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LA GUERRA CIVILE SIRIANA

IL DELICATO CONTESTO GENERALE INIZIALE 

Dopo aver dedicato 4 post (Siria 1Siria 2Siria 3, Siria 4) alla conoscenza del percorso storico della Repubblica Araba Siriana, passiamo all’approfondimento delle dinamiche inerenti l’attuale guerra civile siriana, ponendo particolare attenzione suoi moventi dei vari attori politici coinvolti.

La Siria nel periodo antecedente l’esplosione della crisi interna, si ritrovava sotto la presidenza di Bashar al-Assad, esponente designato dall’establishment baathista. Il secondo mandato di Assad si sviluppava in senso riformista, agevolando un progressivo, ma ambizioso, programma di liberalizzazione economica e politica del paese. Tuttavia riformare un paese formalmente ancora in guerra con un paese vicino, che tra l’altro continuava ad occupare illegalmente parte del proprio territorio, risultava un operazione quanto meno ambiziosa, se non proprio pericolosa, alla luce della costante minaccia islamista interna, pronta ad approfittare dell’inevitabile periodo di assestamento istituzionale. L’establishment baathista infatti pur constatando la necessità di riformare il paese, continuava ad essere condizionato dal complicato contesto regionale, al punto da subordinare l’esigenza riformista alla stabilità politica interna.

In particolare il governo di Damasco stava tentando di instaurare un rapporto fiduciario con l’occidente, soprattutto con i paesi mediterranei dell’Unione Europea, pur conservando i tradizionali rapporti privilegiati con l’Iran e la Russia. Le aperture verso l’occidente ad ogni modo non influirono sul tradizionale sostegno offerto alla resistenza palestinese, garantendo asilo persino alla controversa leadership di Hamas, sebbene la gran parte della comunità internazionale continuasse a considerarla un organizzazione terroristica. Nello specifico il rapporto tra Hamas e Damasco, fu strutturato sostanzialmente in funzione anti-israeliana, e non si configurò come una reale alleanza, a causa della contiguità del movimento palestinese alla temuta Fratellanza Musulmana.

DALLA CRISI POLITICA ALLE INSIDIE ECONOMICHE E FINO ALLA MINACCIA ISLAMISTA 

Proprio l’Avversione alla Fratellanza Musulmana, indusse il governo di Assad, a marginalizzare il dialogo con le forze di opposizione protagoniste della Primavera di Damasco, considerate troppo compromesse con l’insidioso fronte islamista, protagonista della disastrosa rivolta di Hama. L’approccio restrittivo del governo baathista nei confronti dei Fratelli Musulmani, era giustificato dalla pervasività della loro retorica islamista all’interno della preponderante comunità sunnita, dove continuava a riscontrare un ampio consenso politico. L’ascesa dell’islam politico, era considerata dal establishment baathista, come una seria minaccia alla costituzione laica, con cui si era garantito per anni la coesistenza di confessioni religiose diverse tra loro, vigilando sull’approccio intollerante dell’islamismo sunnita, nei confronti delle minoranze Sciite, Alawite, Druse e Cristiane. La comunità sunnita da parte sua, anche se non interamente affine all’ideologie islamiste, continuava comunque ad associare il governo baathista, al dominio della minoranza Alawita, a cui appartenevano i due ultimi presidenti.

Il clima interno, malgrado l’indirizzo riformista inaugurato dal presidente Assad, soffriva un rallentamento dei ritmi di crescita economica, a cui si sommava il rincaro dei prodotti alimentari, dovuto alla carenza di risorse idriche. Infatti l’occupazione del Golan e la disputa relativa allo sfruttamento turco del fiume Eufrate, compromise seriamente il settore agricolo, costringendo molti siriani ad abbandonare i propri villaggi, trasferendosi nelle maggiori città del paese, già sovraffollate dagli imponenti flussi di rifugiati irakeni e palestinesi.

L’AVVENTO DELLA PRIMAVERA ARABA 

Nel 2011 un imprevedibile serie di proteste scuote la stabilità del mondo arabo, disarcionando repentinamente leadership politiche strutturatesi nel corso di decenni, dalla Tunisia di Ben Alì all’Egitto di Mubarak, passando per la Libia di Gheddafi. Ben presto il fermento rivoluzionario contagia anche la Siria, suscitando alcune timide proteste, a cui inizialmente il governo rispose con l’allentamento della censura sui social media, nel tentativo di rasserenare il clima politico interno. Questo approccio conciliante riuscì a garantire l’armonia interna all’interno del paese, fatta eccezione per la cittadina di Daraà, posta a ridosso dei confini con la Giordania Hashemita, tradizionalmente ostile al regime baathista siriano. Nello specifico i manifestanti di Daraà si distinsero per l’ostilità verso le forze dell’ordine, con cui entrarono più volte in contrasto, durante i tentativi di assalto alle sedi locali del Partito Baath.

Il rapido deterioramento del clima interno indusse il governo siriano ad operare alcune riforme immediate, limitando il periodo di leva militare e revisionando le politiche fiscali, mentre intanto il Presidente Assad accusa i media panarabi al-Jazera e al-Arabya di diffondere notizie enfatizzate, al fine di destabilizzare l’ordine interno, avvantaggiando gruppi di oppositori legati a doppio filo con le petro-monarchie del Golfo Persico.

LA REAZIONE GOVERNATIVA ALLE PROTESTE 

Parallelamente alle riforme, Bashar al-Assad nomina un nuovo governo, sostituendo il il Premier Muhammad al-Otari con il Ministro dell’Agricoltura Adel Safar, affidandogli l’implementazione di un programma riformista, aperto alle criticità sollevate dai manifestanti siriani. Tuttavia le timide aperture predisposte dal governo, non riuscirono a placare i manifestanti, le cui iniziative cominciarono a diffondersi un po’ in tutta la Siria, mantenendo comunque il proprio epicentro a Daraà, dove intanto la ribellione degenerava in una vera e propria rivolta, caratterizzata da feroci scontri con le forze di polizia, spiazzata dalla repentina deriva violenta delle manifestazioni. La polizia siriana, infatti fu costretta a a respingere gli assalti alle caserme degli insorti, ricorrendo più di una volta alle armi, nel tentativo di disperdere le iniziative dei primi nuclei rivoluzionari armati. L’inadeguatezza delle forze di polizia, dinnanzi a quella che era diventata un improvvisa insurrezione armata, indusse il governo ad intervenire mobilitando per la prima volta l’esercito. L’approccio pacifico delle iniziali proteste popolari, degenerò repentinamente a causa della presenza di alcuni noti fondamentalisti islamici sunniti, abili nel catalizzare la massiccia presenza di fedeli nei Venerdì di preghiera contro le forze di sicurezza, provocando numerosi incidenti che inevitabilmente contribuirono a deviare le proteste su di un binario violento

Parallelamente alle proteste anti-regime, nelle principali città del paese si registrarono anche importanti manifestazioni filo-baathiste, caratterizzate da un forte ostracismo verso la pericolosa deriva islamista dei rivoltosi, ostili all’apparato laico garantito dalla costituzione, essenziale per la coesistenza civile delle cospicue minoranze Sciite, Alawite, Druse e Cristiane. Questi timori si rivelarono fondati, in quanto ben presto il nucleo liberale dell’opposizione finì per essere fagocitato dalla pervasiva propaganda islamista, adottata dalla galassia di movimenti islamisti, riconducibili alla leadership dei Fratelli Musulmani, che al netto delle speculazioni mediatiche, si presentava come l’unica organizzazione politicamente rilevante attiva in Siria.

 

( Manifestazione Pro-Baathista )

A qualche mese dalle prime proteste, la rivolta era degenerata in una vera e propria guerra civile, dove i manifestanti avevano lasciato progressivamente il posto alle prime milizie ribelli, protagoniste dei primi assalti alle basi militari. Anche le città del nord del paese, cominciarono ad agganciarsi alla rivolta, coagulandosi attorno alla città di Hama, dove iniziava a prospettarsi una riedizione della fallita rivolta islamista del 1982. Queste premesse indussero il governo a mobilitare l’esercito a presidio delle maggiori città del paese, sopperendo all’inadeguatezza delle forze di polizia, nel contrastare la guerriglia ribelle. Ad ogni modo ben presto gli scontri tra l’esercito e le milizie ribelli, degenerarono in un aperta guerra civile, provocando inevitabilmente un grande numero di vittime, che catalizzarono l’attenzione della comunità internazionale, mentre intanto l’Arabia Saudita ed il Qatar patrocinavano la sospensione della Siria dalla Lega Araba.

LA DEFEZIONE DEGLI UFFICIALI SUNNITI E L’ORGANIZZAZIONE DELL’OPPOSIZIONE ALL’ESTERO 

Successivamente all’occupazione militare delle maggiori città siriane, cominciarono a verificarsi alcuni casi di insubordinazione tra i ranghi dell’esercito siriano, da cui fuoriuscirono molti militari di estrazione sunnita, riconducibili alla leadership di alcuni ufficiali dissidenti, come il colonnello Riad al-Asaad, fondatore dell’Esercito Siriano Libero (FSA),formazione militare contraddistinta dall’uso della vecchia bandiera della Repubblica Siriana, ed intenzionata alla deposizione del Presidente Bashar al-Assad. Gli ufficiali del FSA, subito dopo aver defezionato dai ranghi dell’esercito siriano, una volta costatata la loro disorganizzazione, decisero di riparare nella vicina Turchia, dove cominciarono a ricevere sostegno militare indiretto. La Turchia infatti cominciò a catalizzare le forze di opposizione siriane, favorendo l’Organizzazione del Consiglio Nazionale Siriano (CNS), composto da alcuni esuli siriani residenti all’estero, riconducibili alla leadership di Burhan Ghalyun, un academico esule in Francia.

Il presidente Assad, da parte sua, tenta di ricomporre la deriva confessionale della rivolta, nominando un nuovo governo guidato dal sunnita Ryad Hijab, inoltre predispose anche la liberazione di alcuni detenuti politici. Tuttavia questa manovra politica non riuscirà a risanare la contrapposizione politica interna, a causa dell’irriducibilità del fronte ribelle e dell’indisponibilità dell’establishment baathista a dialogare con organizzazioni contigue al terrorismo islamista. Un estremo tentativo di riconciliazione fu promosso dall’influente famiglia Tlass, successivamente costretta a lasciare il paese, riparando in Francia dove raggiungeranno la nutrita schiera di oppositori epurati dai ranghi del Partito Baath, come gli ex-presidenti Rifaat al-Assad ed Abdul Khaddam. Da lì a poco il Premier Hijab defezionerà in favore dei ribelli, costringendo Assad a sostituirlo con Wael Nader al-Halqi, un altro noto esponente sunnita.

LA RIFORMA COSTITUZIONALE DEL 2012 E LA DERIVA MILITARE DEL CONFLITTO POLITICO 

Qualche mese dopo il FSA riesce a strappare la città di Homs all’esercito siriano, rendendola la capitale della rivolta, il tutto mentre il Presidente Assad elaborava un progetto di riforma costituzionale, che limitava a due soli mandati l’accesso alla carica presidenziale, ponendo fine al sistema del partito unico egemonizzato dal Partito Baath. La riforma costituzionale venne approvata dal popolo siriano con l’89% dei consensi, registrando un affluenza di circa il 57% degli aventi diritto, dato che confermava la fiducia della maggioranza del popolo siriano nei confronti del governo baathista, tuttavia rimaneva l’incognita delle comunità soggette all’occupazione delle forze ribelli, a cui venne vietata la partecipare alla consultazione referendaria, parliamo delle città di Daraa’, Hama, Homs e Idlib.

Il successo del referendum, indusse il variegato fronte di opposizione a prendere le distanze dal CNS, considerato troppo filo-turco, preferendo coagularsi sotto la nuova insegna della “Coalizione Nazionale per la Rivoluzione e le Forze di Opposizione”, organizzazione contenitore di tutte le anime della rivolta siriana, diretta da influentissimi esponenti sunniti, come l’imam Moaz al-Khatib e l’imprenditore Riad Seif, supportati dal noto clan al-Atassi. La coalizione si riunì per la prima volta nel 2012 in Qatar, dove si ratificò la leadership di Khatib, trovando il sostegno di molti governi arabi ed occidentali.

Successivamente al rovesciamento di Gheddafi in Libia, per mano della coalizione a guida NATO, molte armi cominciarono ad essere dirottate verso la Siria, dove cominciarono ad affluire migliaia di combattenti stranieri, intenzionati a dar man forte alle milizie islamiste siriane, impegnate a contrastare quello che definivano un regime apostata. L’allargamento del fronte ribelle, sommato alle numerose defezioni dai ranghi militari, indebolirono notevolmente il potenziale dell’esercito siriano, costretto a ritirarsi da alcune importanti città, soprattutto dalle remote regioni nord-orientali abitate dalla cospicua minoranza kurda, a cui venne permesso di organizzare una milizia di protezione popolare, nota come YPG.

L’ASCESA DELLE MILIZIE DEL FRONTE ISLAMICO SUNNITA 

Nonostante la comune avversione verso il regime baathista retto da Bashar al-Assad, il fronte di opposizione era frammentato in una miriadi di organizzazioni autonome, riconducibili ad obiettivi politici diversi. Infatti il CNS e la Coalizione Siriana, rimanevano formazioni politiche sganciate da qualsiasi influenza reale in Siria, dove prevaleva la galassia delle milizie riconducibili all’insegna del Fronte Islamico Siriano, dove spiccavano le formazioni Ahrar al-Sham e di Jaysh al-Islam, entrambe in qualche modo compromesse con il terrorismo jihadista. Parallelamente a queste formazioni si registra anche l’ascesa di al-Nusra, un’altra organizzazione islamista guidata da Abu al-Jawlani, un qaidista recentemente rilasciato dalle forze americane di stanza in Iraq. Contemporaneamente alla nascità di al-Nusra, in Iraq, al-Qaida patrocina la formazione di un’altra organizzazione satellite, guidata da Iibrahim al-Badri, un altro ex-recluso irakeno, divenuto successivamente noto sotto lo pseudonimo di Abu Bakr al-Baghdadi, emulando il leader della rivolta islamica di Hama, ispiratosi al nome del primo Califfo successore di Maometto. L’organizzazione di al-Baghdadi, aveva l’obiettivo di restaurare l’antico Califfato Islamico, nei territori a cavallo tra Siria e Iraq, per poi espandersi in tutta la regione mediorientale. Il progetto di uno Stato islamico ha ispirato la denominazione del gruppo oggi noto come ISIS, acronimo di Stato Islamico d’Iraq e Siria.

L’Isis dopo aver strappato al governo di Baghdad l’ovest del paese, approfittò della crisi siriana per espandersi nell’est siriano, oramai sguarnito dalla presenza militare siriana, instaurando la propria base nella città di Raqqa, conquistata in collaborazione con al-Nusra, con cui tenterà di integrarsi, nonostante la ritrosia del nuovo leader di al-Qaida, Ayman al-Zawahiri. Ad ogni modo ben presto l’asse al-Nusra-Isis riuscì ad imporsi come la maggiore formazione ribelle attiva nella lotta al governo baathista di Damasco. Infatti il FSA nonostante il massiccio supporto occidentale, non riuscirà a competere con la preponderante galassia islamista, anzi in molti casi defezionerà proprio in loro favore, portando in dote modernissimi mezzi militari di fabbricazione americana, come nel caso dei missili Tow, con cui riusciranno a mettere in notevole difficoltà le forze corazzate dell’esercito siriano.

( Esempio di coesistenza tra i “moderati” del FSA e le milizie islamiste )

Il proliferare delle milizie ribelli si sviluppa parallelamente al progressivo deperimento delle difese governative, che nel 2013 sono quasi sul punto di collassare su tutti i fronti, prospettando una sempre più probabile débâcle. Questa precarietà militare, indusse gli alleati iraniani a mobilitarsi a sostegno del governo di Bashar Assad, inviando numerosi consiglieri militari e patrocinando il coinvolgimento delle milizie sciite libanesi di Hezbollah. L’Iran infatti considerava la Siria un elemento essenziale della propria politica estera, finalizzata alla creazione di un asse sciita che potesse svilupparsi da Teheran a Beirut passando per l’Iraq a maggioranza sciita. La deriva confessionale del conflitto indusse le minoranze Sciite, Alawite, Cristiane e Druse ad organizzarsi militarmente, formando la Forza Nazionale di Difesa (FND),con cui iniziarono a contrapporsi alle sempre più frequenti incursioni delle milizie islamiste sunnite.

La prepotente avanzata delle forze ribelli venne catalizzata dalla ferocia delle milizie islamiste, soprattutto quelle riconducibili al Fonte al-Nusra, rinforzato da numerosi miliziani provenienti dal FSA, oramai diventata una milizia inconsistente. Il potenziale di al-Nusra era secondo solo all’Isis, composta per lo più da miliziani stranieri, provenienti da tutto il mondo arabo, mossi dal desiderio di restaurare l’istituzione califfale.

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL CONFLITTO 

Nel corso del 2013 nei sobborghi di Damasco si registra un controverso attacco chimico, le cui responsabilità vennero ricondotte al regime baathista, suscitando lo sdegno della comunità internazionale, in particolar modo gli USA prenderanno in considerazione l’ipotesi di intervenire militarmente per rimuovere il presidente siriano Assad. Tuttavia la responsabilità siriana, verrà contestata dalla Russia, convinta che l’attacco sia stato in realtà predisposto dai ribelli, nel tentativo di suscitare l’intervento dei propri sponsor occidentali. Ad ogni modo successivamente a questi eventi il governo siriano cederà alle pressioni internazionali, consentendo lo smantellamento del proprio arsenale chimico, mediato da Russia e USA, rinunciando al principale strumento di deterrenza con cui per anni aveva controbilanciato l’arsenale nucleare israeliano.

Nel 2014 il fronte ribelle si spacca, quando il Fronte al-Nusra inizia a prendere le distanze dai miliziani irakeni dell’Isis, strappandogli il controllo della città di Aleppo, in risposta al loro bando da Raqqa e Deir ez-Zor. Questa faida interna al fronte islamista, consente all’esercito siriano di riorganizzare un’efficace offensiva con cui riprenderà il controllo dei confini libanesi, tagliando un importante linea di rifornimento ai ribelli, costretti ad abbandonare la roccaforte di Homs. In questo stesso periodo vengono indette nuove elezioni presidenziali, le prime dopo la riforma costituzionale che apriva alla partecipazione di partiti alternativi al Baath. Le elezioni furono vinte ancora una volta da Bashar al-Assad, con l’88% dei consensi, registrando un affluenza del 73% degli aventi diritto, cifra che confermò ancora una volta la credibilità interna del regime. Le elezioni furono invece impedite nelle località sotto il controllo ribelli, i quali inoltre bersagliarono con alcuni colpi di mortaio alcuni seggi dislocati nelle località riconducibili al controllo governativo.

LA MINACCIA DEI JIHADISTI DELL’ISIS 

Sempre nell’estate del 2014, l’Isis proclama la creazione di un Califfati Islamico, sui territori a cavallo tra Iraq e Siria, sull’onda dei successi ottenuti a Mosul, dove riuscirà a mettere in fuga l’esercito irakeno, a cui riuscirà a sottrarre ingenti quantitativi di moderne armi di costruzione americana. Nel giro di qualche mese i jihadisti di al-Baghdadi risaliranno il corso del fiume Eufrate, consolidando la propria presenza nella città di Raqqa, ripulendo il circondario dalla residua presenza governativa, facendo strage del contingente militare, rimasto isolato nella base di Tabqa ed assediando il contingente governativo di stanza a Deir ez-Zor. Una volta installatosi nell’est siriano, i jihadisti dell’Isis, metteranno sotto assedio le cittadine kurde, perseguitando ferocemente gli oppositori locali.

La repentina ascesa dell’Isis, allarma la comunità internazionale, inducendo gli USA ad organizzare una coalizione di stati occidentali e arabi, intenzionati a contrastare l’avanzata jihadista in Iraq e in Siria. Così nel 2015, l’amministrazione americana riesce ad ottenere dal Consiglio di Sicurezza ONU un mandato (Risoluzione 2249), che autorizzava tutti i paesi disponibili a predisporre misure finanziarie e militari, finalizzate al contrasto del terrorismo jihadista. Nello specifico la risoluzione subordinava l’intervento internazionale al rispetto dell’indipendenza, dell’Integrità territoriale e della Sovranità della Repubblica Araba di Siria. Ad ogni modo successivamente all’intervento dell’ONU, la coalizione internazionale a guida americana iniziò a colpire i terroristi in Siria, concentrandosi sulle aree kurde assediate dall’Isis, consentendo alle milizie YPG di respingere progressivamente le milizie dell’Isis.

Le brutalità dell’Isis spinsero molti cittadini siriani ed irakeni a fuggire, rifugiandosi nella vicina Turchia, da dove tenteranno di raggiungere a più ripresa l’Europa. Gli imponenti flussi migratori metteranno a dura prova le capacità di accoglienza del governo turco, alle prese con le ambizioni autonomiste kurde, a cui si opporrà fermamente, minacciando di intervenire direttamente al fine di disarmare le milizie kurde del YPG, considerate emanazione dell’organizzazione terroristica PKK.

L’INTERVENTO MILITARE DELLA RUSSIA 

L’intervento della coalizione internazionale a guida americana, indusse la Russia ad intervenire direttamente in soccorso dell’alleato siriano, predisponendo l’allestimenti di una base militare sul terreno e concordando una serie di interventi aerei mirati a contenere la dilagante presenza islamista in Siria, dove si riscontrava la presenza di numerosi miliziani ceceni, distribuiti tra le varie formazioni ribelli locali. La Russia di Putin, inoltre intendeva puntellare lo strategico approdo logistico di Tartus, essenziale per l’approvvigionamento della flotta russa nel mediterraneo. Successivamente all’intervento russo, anche l’Iran incrementerà il proprio sostegno alle forze di Damasco, inviando alcuni reparti di Pasdaran. Il provvidenziale sostegno degli alleati, permetterà all’esercito siriano di riprendere l’avanzata, approfittando soprattutto della superiorità aerea garantita dall’aviazione militare russa, riuscendo a riconquistare ‘importante città di Aleppo, strappandola al controllo degli islamisti di al-Nusra e di Ahrar al-Sham.

( Alcuni Su-34 russi  volano in formazione )

L’efficace offensiva siriana induce il fronte ribelle ad approfittare delle numerose tregue promosse dai russi, da cui verranno comunque esclusi le formazioni islamiste più radicali. La tregua stabilizzò la realtà siriana, permettendo la progressiva riapertura del dialogo tra i ribelli ed il governo, agevolando l’intensificamento della lotta all’Isis, costretta a recedere dal governatorato di Aleppo, in conseguenza all’intervento diretto dell’esercito turco, finalizzato a bloccare il tentativo kurdo di riunificarsi al Cantone occidentale di Efrin, con cui contavano di creare un entità autonoma kurda a ridosso dei suoi confini. Il ripiegamento dell’Isis, ha permesso all’esercito siriano di riconquistare molti territori ad est di Aleppo, attestandosi a ridosso delle zone controllate dai kurdi del YPG, sostenuti dalla nutrita presenza di consiglieri militari americani. Recentemente l’esercito siriano sta tentando di riprendere il controllo della vasta regione desertica centrale, da cui conta di proiettarsi verso la città di Deir ez-Zor, dove il contingente militare siriano locale, resiste eroicamente da più di quattro anni all’assedio dei jihadisti dell’Isis, tra l’indifferenza dei media internazionali.

PER SAPERNE DI PIU:

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CONOSCIAMO LA SIRIA 2

CONOSCIAMO LA SIRIA 3

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I RAPPORTI TRA SIRIA E RUSSIA

I RAPPORTI TRA SIRIA E USA

L’EPILOGO DELLA GUERRA CIVILE SIRIANA