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FOCUS SULL’OPPOSIZIONE SIRIANA

Dopo aver analizzato la storia della Siria, dall’indipendenza alla nascita della Repubblica Araba Baathista, passando per l’ascesa politica di Bashar al-Assad e l’odierna crisi politica degenerata in guerra civile, adesso proviamo ad approfondire nello specifico la composizione del fronte ribelle, tentando di farci un idea sostanziale su quella che è realmente l’opposizione siriana.

CONSIGLIO NAZIONALE SIRIANO  (CNS)

La degenerazione delle proteste popolari in Siria, indusse le forze di opposizione a coordinare una linea politica comune, mediata dal governo turco durante la conferenza di Antalya, organizzata dall’attivista per i diritti umani Ammar al-Qurabi, e culminata con la sottoscrizione di un documento programmatico dove si affermava la necessità di convergere verso una un fronte di opposizione integrato, denominato Consiglio Nazionale Siriano (CNS). Il CNS venne costituito ufficialmente pochi mesi dopo ad Istanbul, aggregando la gran parte delle forze di opposizione, intenzionate ad adottare l’antico vessillo della Repubblica Siriana. I lavori del CNS vennero coordinati dal Presidente Burhan Ghalioun, un accademico esule in Francia, coadiuvato da Yasser Tabbara, un professore di diritto internazionale con passaporto americano, e da Anas al-Abdah un geologo formatosi nel Regno Unito. Alla compagine si aggiunse successivamente anche Adib Shishakly, nipote dell’ex presidente golpista assassinato in Brasile dai servizi segreti siriani.

L’obiettivo del CNS era l’abbattimento del regime baathista, ricorrendo inizialmente a metodi pacifici di pressione politica, finalizzati a indurre il presidente Assad a rassegnare le dimissioni, così da indire libere elezioni democratiche. Ad ogni modo malgrado l’approccio neutro e superpartes con cui si presentava, il CNS si configurava come un organizzazione egemonizzata dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani e fin troppo contigua agli interessi della Turchia, interessata a sostenere le formazioni turcomanne residenti nel nord della Siria. Ben presto l’egemonia turca prese il sopravvento, marginalizzando il peso politico della componente kurda, che a quel punto preferì prendere le distanze dall’organizzazione del CNS, puntando sull’autonomia.

Sul piano internazionale, il CNS venne riconosciuto come unico legittimo rappresentante del popolo siriano dal neonato governo libico, mentre gli altri paesi della comunità internazionale, preferirono riconoscerlo come un interlocutore politico privilegiato. La leadership del CNS, sebbene fosse composta essenzialmente da esuli residenti all’estero, cominciò a organizzare alcuni uffici di rappresentanza nella roccaforte ribelle di Idlib. Nel 2012 il CNS aderì alla Coalizione Nazionale Siriana, un’organizzazione di opposizione più estesa e legittimata da gran parte della comunità internazionale, per poi recedervi nel 2014, in aperta polemica con la decisione di prendere parte ai negoziati di Ginevra promossi dall’ONU. Successivamente alle dimissioni di Burhan Ghalioun, la presidenza del CNS passò ad Anas al-Abdah, caratterizzato da una linea politica ostile all’intervento russo in Siria e alle istanze indipendentiste kurde.

( Coalizione delle forze di opposizione siriane )

COALIZIONE NAZIONALE SIRIANA

Nell’autunno del 2012, alcune forze di opposizione presero le distanze dal CNS, convergendo in una nuova organizzazione politica con sede in Qatar, sotto la leadership di Moaz al-Khatib un influente imam, sostenuto dall’establishment sunnita siriano, politicamente vicino alla nota famiglia al-Atassi. La nuova Coalizione Siriana si strutturò come un governo provvisorio, rappresentante la complessa e variegata galassia delle forze di opposizione siriane, riuscendo ad eclissare il CNS, conquistando la fiducia di molti paesi occidentali, nonostante la contiguità con la formazione qaidista al-Nusra.

Khatib fu fautore di una linea negoziale aperta al dialogo con il governo baathista di Assad, nonostante le ritrosie prevalenti all’interno della Coalizione Siriana, che nel 2013 reagì, inducendolo a rassegnare le dimissioni, dopo aver constatato la sua insofferenza verso le pesanti influenze straniere, intenzionate ad imprimere una svolta militare alla crisi politica. A Khatib succedette Ahmad Jarba, un leader intenzionato ad internazionalizzare la crisi siriana, prendendo parte ai negoziati di Ginevra promossi dall’ONU, anche a costo di scavalcare il veto del CNS, provocandone la scissione. L’obiettivo della Coalizione Siriana è quello di giungere alla ricomposizione politica della crisi, partecipando alle iniziative promosse dalla comunità internazionale, tuttavia questo impegno non riesce a concretizzarsi a causa dello scarso controllo esercitato sulle varie milizie impegnate nel conflitto siriano, in larga parte riconducibili a formazioni islamiste più o meno contigue al terrorismo jihadista. L’egemonia islamista tra le forze di opposizione prevalenti in Siria, sconfessa la presunta rappresentatività delle forze di opposizione moderate aderenti la Coalizione Siriana, accusata dal governo di Assad di essere una realtà astratta, sostanzialmente irrilevante ai fini della risoluzione della crisi siriana. Infatti la Coalizione Siriana riesce a controllare parzialmente solo l’Esercito Libero Siriano (FSA), la cui consistenza militare reale risulta sicuramente ben più limitata rispetto alle preponderanti milizie islamiste.

DIFESA CIVILE SIRIANA (Elmetti Bianchi)

I devastanti sviluppi della guerra civile siriana, hanno indotto alcuni cittadini siriani ad organizzare un’associazione umanitaria volontaria, finalizzata al supporto delle vittime civili, esclusivamente all’interno delle località sotto il controllo delle varie formazioni ribelli, eccetto che per i territori riconducibili al dominio dell’Isis. Il principale sponsor della Difesa Civile Siriana è James Le Mesurier, un ex militare britannico, precedentemente al servizio del ministero degli esteri inglese e noto per i suoi contatti con il governo americano, da cui otterrà cospicui finanziamenti, per mezzo dell’USAID, un’agenzia governativa dedita al sostegno di iniziative umanitarie internazionali.

( Esempio di “cooperazione umanitaria” con le formazioni ribelli jihadiste )

 

Quest’organizzazione umanitaria catalizzerà l’attenzione dei media internazionali, confezionando regolarmente filmati delle loro operazioni di soccorso alla popolazione civile, diventando noti sotto l’insegna degli “Elmetti Bianchi”. Sebbene gli Elmetti Bianchi si presentino come una formazione umanitaria assolutamente neutrale, si è comunque riscontrata una palese complicità politica, se non addirittura militare, con le forze ribelli siriane. A riprova di questa contiguità, sono state pubblicate numerose prove video, dove effettivamente alcuni suoi membri agiscono armati, tenendo un discutibile approccio collaborativo verso le milizie islamiste locali, affiancandoli durante alcune esecuzioni sommarie. Inoltre alcuni dei video da loro confezionati si sono rivelati delle artificiose montature, atte a suscitare l’emotività della comunità internazionale, mediante la sceneggiatura di scene di emergenza, rivelatisi in più di un’occasione delle clamorose iniziative di propaganda, atte a screditare il Governo di Damasco dinnanzi la comunità internazionale.

Nonostante questa realtà, i Caschi Bianchi sono riusciti a conquistarsi la fama di un onesta organizzazione umanitaria, ispirando addirittura una serie tv, ricompensata addirittura con un premio Oscar, che il leader Red Saleh paradossalmente non ha potuto ritirare a causa delle sue presunte complicità con il terrorismo islamista, che ha indotto le autorità americane a negargli l’ingresso negli Stati Uniti, in quanto soggetto potenzialmente pericoloso.

UNITA’ DI PROTEZIONE POPOLARE KURDA  (YPG)

La minoranza kurda siriana, riconducibile alla leadership del Partito dell’Unione Democratica (PYD), all’indomani delle prime proteste in Siria, aderì alla rivolta, pur senza conformarsi al CNS, considerato un’organizzazione sotto il controllo del governo turco, ostile alle istanze indipendentiste della comunità kurda. Proprio la contrapposizione tra i ribelli filo-turchi e la comunità kurda, induce il governo di Assad a ritirare gran parte dell’esercito siriani dalla regione kurda del Rojava, favorendo un parziale avvicendamento strategico con le milizie kurde dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), nonostante queste perseguissero fini indipendentisti.

Durante il 2014 le milizie YPG contrastarono l’assedio dell’ISIS, avvalendosi della copertura aerea americana, con cui riuscirono successivamente a respingere progressivamente le milizie jihadiste dalle aree abitata del Rojava siriano. La cooperazione con l’esercito americano, ha permesso di lanciare un efficace offensiva finalizzata a debellare l’ISIS dal nord della Siria. I successi militari del YPG contro l’ISIS, hanno permesso di perseguire il progetto di ricongiungimento della comunità kurda siriana dal governatorato di Hasakah a quello di Efrin, ostacolato dall’intervento militare turco.

( Milizie kurde filo-marxiste )

La lotta ai jihadisti convinse le YPG ad aderire alle Forze Democratiche Siriane (SDF), una formazione ribelle armata dagli USA, composta da una nutrita componente araba, ma comunque egemonizzata dalle milizie kurde. Le milizie del SDF, parallelamente all’esercito siriano e turco, sono riuscite a ripulire il nord della Siria dalla presenza dell’ISIS, mettendo sotto assedio la sua capitale Raqqa, avvalendosi ancora una volta del sostegno determinate dei numerosi consiglieri militari americani presenti a loro fianco, nonostante la nota contiguità all’organizzazione terroristica marxista del PKK, contraddicendo la tradizionale linea politica anticomunista delle amministrazioni americane. Ad ogni modo l’alleanza kurdo-americana sta approfittando del “provvidenziale” caos regionale, per modificare la geografia politica mediorientale, agevolando la costruzione di uno stato kurdo alleato con cui poter controllare l’intera regione, anche a costo di indispettire i vecchi alleati turchi.

L’ESERCITO LIBERO SIRIANO / FREE SYRIAN ARMY  (FSA)

Durante l’estate del 2011 alcuni ufficiali di estrazione sunnita, defezionano dai ranghi dell’esercito siriano, disconoscendo l’autorità del governo baathista guidato da Bashar al-Assad, accusato di perseguitare i pacifici manifestanti anti-regime. Questi militari ribelli, subito dopo aver defezionato, ripararono nella vicina Turchia, costituendo il Free Syrian Army (FSA), riconducibile alla leadership del colonnello Riad al-Asaad. Grazie al sostegno fornito dal governo turco, questa organizzazione militare ribelle cominciò a coordinare la lotta anti-regime, coordinandosi con le altre milizie ribelli insorte, comprese quelle islamiste radicali. Il FSA riesce ad accreditarsi come il braccio armato dell’opposizione siriana, riconducibile al CNS e alla Coalizione Siriana, subordinandosi, almeno inizialmente, al loro controllo politico.

Nel corso del 2012, il FSA riesce a conquistare alcuni territori siriani, ignorando il piano di tregua mediato dall’ONU, mentre intanto il comando passava da Riad al-Asaad, al generale Salim Idris, esponente decisamente più aperto ad una collaborazione con i governi occidentali, da cui ottenne le prime importanti forniture militari. Tra la schiera degli ufficiali del FSA troviamo anche il tenente Razzaq Tlass, figlio dell’influentissimo ex-ministro della difesa Mustafa Tlass. Nel 2013, la mancanza di una leadership forte e l’incapacità di organizzare una strategia efficace con cui contrastare le forze governative, indusse molti militari del FSA a defezionare, convergendo in massa tra le fila delle preponderanti milizie islamiste dell’Isis e del Fronte al-Nusra, portando in dote ingenti quantitativi di armi, precedentemente fornitegli dagli USA e dalle monarchie del Golfo Persico, come nel caso dei missili anticarro TOW.

( Miliziano del FSA opera con un sistema Tow )

L’esodo dei miliziani del FSA verso i vari movimenti islamisti, compromise la credibilità del generale Idris, soprattutto dinnanzi ai suoi sponsor occidentali, sicché venne prontamente sostituito dal generale Abdullah al-Bashir al-Noemi, tuttavia nel frattempo la consistenza numerica del FSA si era sostanziosamente ridotta, contando un numero esiguo di reduci, affiancati da uno sparuto gruppo di mercenari stranieri, assistiti in qualche caso addirittura da alcuni bambini soldato. Il ridimensionamento del FSA, decretò parallelamente anche l’irrilevanza politica della Coalizione Siriana, rendendo surreale la presenza di forze moderate in Siria, su cui i governi occidentali contavano di agganciare il nuovo corso democratico della Siria post-baathista.

Recentemente gli USA hanno riorganizzarono in Giordania un “Nuovo Esercito Siriano”, collocandolo nelle regioni desertiche della Siria meridionale, giustificandone la presenza con l’esigenza di contrastare l’avanzata dell’Isis, anche se verosimilmente l’obiettivo di questa piccola milizia, sembra prospettare il tentativo di sottrarre all’esercito siriano il controllo dei confini meridionali, essenziali per l’approvvigionamento delle forze ribelli. Inoltre il controllo dei confini sembra finalizzato ad impedire il ricongiungimento delle forze governative con le milizie sciite irakene, ostacolando il progetto della mezzaluna sciita, con cui l’Iran conta di proiettare la sua influenza fino al Libano.

ARHAR AL-SHAM

Nel 2012, le formazioni ribelli islamiste approfittano del caos politico per organizzarsi militarmente, avviando la lotta armata contro il regime laico baathista, nel tentativo di instaurare uno stato islamico salafita, disciplinato dai principi dalla sharia. Sotto questi auspici Hassan Aboud, fonda la milizia Arhar al-Sham, una formazione islamista considerata moderata da gran parte dei paesi occidentali, nonostante le buone relazioni intrattenute con i qaidisti di al-Nusra.

L’obiettivo di Arhar al-Sham è quello di abbattere il regime baathista, considerato troppo compromesso con il governo eretico (sciita) iraniano, nemico che catalizza sistematicamente l’odio di tutte le forze ribelli attive in Siria. Durante i suoi primi anni di attività, la comune estrazione fondamentalista sunnita, agevolò la cooperazione militare con le forze dell’Isis, strappando gran parte del governatorato di Idlib controllo governativo. Man mano che il controllo su questi territori si stabilizzava, gli islamisti di Ahrar al-Sham, imponevano alle comunità residenti la loro radicale visione della legge coranica, abrogando sostanzialmente i principi laici garantiti dalla costituzione, su cui avevano tradizionalmente contato le minoranze Alawite, Cristiane, Druze e Sciite.

Nel 2014 Aboud rimase vittima di un bombardamento, lasciando la leadership di Ahrar al-Sham nella mani di Abu Jaber Shayk, tuttavia appena due anni dopo defezionerà con molti suoi fedelissimi in favore del fronte al-Nusra, successivamente ridenominato come Tahrir al-Sham. Ad ogni modo nonostante la diaspora, il potenziale militare di Ahrar al-Sham rimase solido, grazie all’ingresso di molti militari fuoriusciti dal FSA, da cui ereditarono i moderni armamenti precedentemente forniti dagli USA.

La sostanziosa capacità militare di Ahrar al-Sham venne inoltre favorita da importanti sponsor regionali come la Turchia ed il Qatar, fornendo regolarmente armi e finanziamenti. L’afflusso di armi e finanziamenti agli islamisti di Ahrar al-Sham, viene tutt’oggi agevolata dalla scelta del governo americano di continuare a non classificare come terroristica la loro organizzazione, sorvolando sulla comprovata contiguità con le formazioni qaidiste presenti in Siria. Questa linea politica è stata emulata anche da Francia e Regno Unito, apponendo il veto alla risoluzione ONU, promossa dalla Russia, e finalizzata a classificare ufficialmente Arhar al-Sham come un organizzazione terrorista, responsabile di numerose esecuzioni di civili, a cui veniva contestata l’infedeltà ai precetti coranici, reinterpretati in conformità alla loro impostazione integralista.

JAYSH AL-ISLAM

Nel 2013 la galassia islamista attiva nei sobborghi di Damasco, si coagulò attorno alla formazione islamista di Jaish al-Islam, sotto la leadership di Zahran Alloush, un fondamentalista salafita responsabile dell’assassinio del ministro della difesa siriano Rajiha e del suo vice Shawkat. L’ascesa di Jaysh al-Islam fu agevolata dall’Arabia Saudita, nel tentativo di controbilanciare il crescente potenziale dei qaidisti di al-Nusra, questo sostegno si concretizzò sotto forma di ingenti finanziamenti e mediante l’invio di istruttori militari pakistani. Recentemente dopo la sconfitta subita ad Aleppo, i miliziani di Jaysh al-Islam attivi in loco si sono aggregati agli islamisti di Arhar al-Sham.

Ad ogni modo l’obiettivo principale di questa formazione è quello di ripulire la Siria dalla presenza eretica sciita ed Alawita, ricorrendo ad ogni mezzo, compreso il ricorso al terrorismo, per poi instaurare uno stato islamico. Jaysh al-Islam si è resa responsabile di numerosi crimini contro la popolazione civile, come nel caso del bombardamento chimico di Aleppo del 2016, inoltre non ha esitato ad aprire il fuoco contro i dissidenti che protestavano contro il loro approccio intransigente. Sempre nello stesso anno, nei sobborghi damasceni di Ghouta sono scoppiate feroci scontri tra gli islamisti di Jaysh al-Islam e quelli del fronte al-Nusra, successivamente ricomposti siglando una fragile tregua.

JABATH AL-NUSRA / HAYAT TAHRIR AL-SHAM

Nell’inverno del 2012, al-Qaida decide di approfittare della crisi siriana, organizzando una milizia jihadista, composta da islamisti siriani e stranieri. La leadership di questa formazione venne affidata ad Abu Mohammad al-Jawlani, uno dei tanti rifugiati costretti a lasciare il Golan occupato dagli israeliani, noto per aver partecipato attivamente alla guerriglia irakena contro gli USA, sotto gli ordini del leader qaidista al-Zarqawi. Al-Jawlani venne arrestato dalle autorità militari americane e rinchiuso nel carcere di Camp Bucca, dove ebbe modo di stringere un’alleanza con Abu Bakr al-Baghdadi, il futuro leader dell’Isis.

Successivamente al suo scarceramento al-Jawlani organizzerà una milizia islamista fedele ad al-Qaida, denominata al-Nusra (Partigiani Soccorritori, della Grande Siria), con cui contava di imporsi all’interno del caos politico siriano, approfittando delle sguarnite frontiere a ridosso dell’Iraq. Dopo aver conquistato gran parte dei territori dell’est siriano, Jawlani cominciò a prendere le distanze dall’Isis, conformandosi alle direttive del suo leader al-Zawaihri, preoccupato della crescente influenza di al-Baghdadi. Nel 2014 i rapporti tra i qaidisti di al-Nusra e l’Isis degenerarono in un vero e proprio contrasto aperto, culminato con l’espulsione dei seguaci di al-Jawlani dalle roccaforti di Raqqa e Deir ez-Zor, costringendoli a spostare le proprie basi tra Aleppo ed Idlib.

Al-Nusra infatti cercò di distinguersi dall’approccio brutale dell’Isis, tentando, con scarso successo, di farsi accreditare come una forza di opposizione islamista moderata, interessata ad agire esclusivamente all’interno dei confini siriani, rinnegando le ambizioni califfali di al-Baghdadi. Questo intento fu proseguito mutando più volte denominazione, passando sotto l’insegna di Jabhat Fateh al-Sham (Fronte per la Liberazione del Levante), senza tuttavia spezzare realmente i propri legami con al-Qaida.

Ad ogni modo l’obiettivo principale di questa formazione islamista, resta comunque la sostituzione del regime laico baathista, con uno Stato Islamico disciplinato dalla sharia, dove non ci sarebbe stato più spazio per gli eretici Sciiti ed Alawiti. Infatti l’odio nutrito verso gli Sciiti, sommata all’ideologia wahhabita, ha indotto molti analisti a considerare al-Nusra, come una formazione ribelle contigua agli interessi delle monarchie del Golfo Persico, come l’Arabia Saudita ed il Qatar, da cui si presume ricevano cospicui finanziamenti e forniture militari, triangolate con l’ausilio di alcuni stati balcanici compiacenti.

Nonostante la retorica moderata, al-Nusra mantiene un approccio militare brutale, senza contare il massiccio ricorso a metodi terroristici, con cui si è imposta come una delle milizie ribelli più temute all’interno del conflitto siriano, seconda solo all’Isis. L’approccio brutale di questa formazione islamista ha permesso di sbaragliare più volte le difese dell’esercito siriano, perpetrando numerosi crimini di guerra, coinvolgendo spesso i civili nele loro manovre militari. I numerosi successi militari conseguiti sul campo, hanno convinto la gran parte dei membri dell’ex-FSA a defezionare a loro vantaggio, inglobando ingenti quantitativi di armi di fabbricazione americana, come nel caso dei missili anticarro Tow, con cui insidiano costantemente le forze corazzate dell’esercito siriano. Va segnalato che al netto delle formali differenze politiche, i qaidisti di al-Nusra hanno mantenuto ottimi rapporti con tutte le altre formazioni ribelli, coordinando con loro molte operazioni militari anti-regime.

Nel corso del 2017 al-Nusra, ha modificato nuovamente nome, passando da Jabhat Fateh al-Sham alla nuova sigla Tahrir al-Sham, a cui si sono federate molte altre piccole milizie islamiste siriane. In particolar modo l’influente imam saudita Abdullah al-Muhaysini, ha patrocinato l’integrazione di alcune milizie di Ahrar al-Sham, fedeli alla leadership di Abu Jaber. Recentemente l’Arabia Saudita si è smarcata da Tahrir al-Sham, accusando il Qatar di continuare a sostenerla.

STATO ISLAMICO DI IRAQ E SIRIA  (ISIS) / (DAESH)

L’invasione americana dell’Iraq, suscitò una guerriglia islamista, ben presto egemonizzata dall’organizzazione qaidista Tawhid al-Jihad, guidata da Abu al-Zarqawi. Gli obiettivi di questa formazione jihadista erano la liberazione dell’Iraq dalle forze di occupazione americane, e l’instaurazione di un emirato islamico, da espandere successivamente in tutto il Medioriente, concentrandosi in particolar modo sui regimi laici di Algeria, Egitto, Iraq, Libia, Siria e Yemen. Il sodalizio tra al-Qaida e la formazione di al-Zarqawi, cominciò a vacillare in seguito agli attentati effettuati in Giordania, per poi peggiorare progressivamente dopo la morte del leader jihadista irakeno, sostituito dall’egiziano Abu al-Masri, ucciso anch’egli qualche anno dopo durante un raid americano.

L’assassinio dei due leader favorì l’ascesa di Ibrahim al-Badrì, un jihadista recentemente scarcerato dalle autorità militari americane, noto successivamente sotto lo pseudonimo di Abu Bakr al-Baghdadi, nome ispirato al primo califfo della comunità islamica, adottato tra l’altro anche dal leader della rivoluzione islamista di Hama del 1982. Il passaggio di poteri verso al-Baghdadi, favorì nel 2012 la nascita dello Stato Islamico d’Iraq (ISI), composto da molti ex-militari sunniti fedeli all’ex regime baathista di Saddam Hussein, rimasti disoccupati dopo l’invasione americana. L’apporto di questi militari fu determinante per l’ascesa dell’ISI, giacché garanti personale tecnicamente preparato alla guerriglia, divenuta via via sempre più efficace, al punto da cacciare l’esercito irakeno dal nord del paese, fuga che permise di saccheggiare i sostanziosi arsenali locali, fornitissimi di moderne armi di costruzione occidentale, come nel caso dei carri armati americani M1-Abrams.

Sempre nel 2012, la crisi siriana convinse al-Baghdadi a sostenere la formazione qaidista di al-Nusra, nella sua lotta al regime baathista di Bashar al-Assad, contribuendo alla conquista di molti territori della Siria orientale. Successivamente a questi successi militari, al-Baghdadi tenta di integrare al-Nusra all’ISI, nonostante la ritrosia del leader di al-Qaida, Ayman al-Zawairi, assolutamente contrario al progetto di restaurazione califfale perseguito da al-Baghdadi, fermo restando la comune adesione alla dottrina salafita jihadista.

Ad ogni modo, l’ostilità tra le due formazioni jihadiste era verosimilmente dovuta all’egemonia sul mondo islamico, infatti al-Qaida temeva di essere eclissata dal repentino prestigio accumulato dallo Stato Islamico, sull’onda dei successi militari conseguiti in Siria e Iraq. Infatti le gesta del califfato nero, cominciarono ad ispirare attacchi terroristici in molti paesi occidentali, predisposti da soggetti radicalizzati, che rivendicavano sistematicamente le loro azioni criminali sotto l’insegna dell’ISIS, divenuto una sorta di franchising del terrore concorrente di al-Qaida. Ad ogni modo, ben presto i rapporti tra i due poli islamisti degenerarono, sfociando addirittura in un conflitto aperto, culminato nel 2014 con l’espulsione di al-Nusra dalla città di Raqqa, dove nel frattempo al-Baghdadi, autoproclamatosi califfo, aveva decretato la nascita dello Stato Islamico d’Iraq e Siria (ISIS).

L’ISIS riuscì a consolidare il proprio dominio sulle desertiche regioni orientali della Siria, sbaragliando gli sparuti contingenti governativi, operando veri e propri massacri, come nel caso delle esecuzioni di massa perpetrati ai danni dei militari posti a presidio della base militare di Tabqa. Il successo delle brutali campagne militari dell’ISIS, convinse molti miliziani del FSA ad aderire al progetto califfale, tradendo le aspettative dei loro sponsor occidentali, da cui avevano ottenuto ingenti quantitativi di armi, prontamente dirottate alla causa jihadista. L’ISIS tra l’altro mise sotto assedio le comunità kurde residenti nel nord del paese, mettendo in difficoltà le milizie filo-americane del YPG.

Il successo dell’ISIS fu dovuto alla notevole disponibilità finanziaria, derivata in gran parte dallo sfruttamento del traffico illecito di petrolio, agevolato della connivenza di alcuni paesi come la Turchia e la Giordania, senza contare la complicità di alcune organizzazioni criminali kurde. Altrettanto importanti risulteranno anche i finanziamenti ricevuti da alcune petromonarchie del Golfo Persico, come l’Arabia Saudita ed il Qatar, che non hanno certo lesinato il proprio supporto alla galassia di formazioni islamiste presenti in Siria, nel tentativo di liberarsi dell’odiato governo baathista, guidato da Bashar al-Assad. Fondamentale è risultato il ruolo delle monarchie arabe, nell’approvvigionamento dei Pick-Up Toyota, con cui i jihadisti dell’Isis sono soliti scorrazzare durante le loro offensive.

( Convoglio di Toyota jihadista )

Oggi l’ISIS si ritrova assediata, sia in Siria che in Iraq, a causa dell’intervento internazionale predisposto dal Consiglio di Sicurezza Onu, che ha autorizzato interventi mirati alla distruzione del potenziale militare jihadista, affiancando l’aeronautica militare siriana, nella lotta al terrorismo islamista. Nello specifico gli USA guidano una coalizione internazionale, composta da suoi collaudati alleati europei ed arabi, mentre la Russia e l’Iran perseguono già da tempo la medesima lotta su invito del governo di Damasco.

CONCLUSIONI :

Nonostante le condivisibili rivendicazioni democratiche, la rivolta siriana si è configurata nel giro di pochi mesi come il tentativo di sostituire un regime autoritario a partito unico con un altro presumibilmente peggiore, egemonizzato dall’islam politico di derivazione salafita, a cui sembrano essere legate la gran parte delle milizie ribelli attive in Siria. Infatti al netto della versione edulcorata presenta dai media main-stream, l’opposizione moderata riconducibile alla Coalizione Siriana risulta essere una realtà fittizia, priva di alcun controllo effettivo sugli attori militari presenti in Siria, nella fattispecie parliamo della galassia di milizie islamiste, da cui prende le distanze a giorni alterni.

L’opposizione moderata dunque è un agglomerato di personalità, priva di un contatto reale con la realtà socio-politica siriana, con cui non hanno rapporti da anni, essendo in larga parte composta da soggetti da anni residenti all’estero. Ad ogni modo i leader dell’opposizione siriana moderata, scontano la mancanza di organizzazioni politiche ben strutturate, con cui contendere seriamente l’egemonia del Partito Baath, che al netto dei suoi trascorsi, continua ad essere l’unico vero partito di massa siriano, capace di catalizzare la partecipazione politica, seppur su binari non certo compatibili gli standard democratici occidentali.

L’unica realtà politica organizzata, capace di competere con la consolidata formula baathista, resta la Fratellanza Musulmana, forte del consenso della maggioranza sunnita del paese, sensibile alla retorica politica confessionale imposta dalla sua leadership, incontrovertibilmente intenzionata a rimuovere l’impalcatura costituzionale laica della Siria, considerata come un mero artificio predisposto ad uso e consumo della minoranza Alawita. Certamente il ruolo svolto dalla setta Alawita ha agevolato l’ascesa politica e militare di molti suoi appartenenti, tuttavia non li si può certo accusare di aver trasformato la Siria in una Repubblica Alawita, strutturata sui principi della loro confessione religiosa. Infatti anche considerando il discutibile approccio confessionale promosso dal fronte ribelle, non possiamo che constatare la presenza di una costituzione moderatamente laica, dove parallelamente alle garanzie confessionali minoritarie, l’Islam ricopriva comunque un ruolo importante, ad esempio limitando l’accesso alla presidenza ai soli cittadini musulmani. Questo vincolo confessionale apposto alla costituzione, venne inserito malvolentieri dall’allora presidente Hafiz al-Assad, proprio nel tentativo di accontentare la maggioranza sunnita, allora come oggi, ancorata alla loro visione totalitaria dell’islam politico, a cui continuano a riferirsi i maggiori gruppi di opposizione protagonisti della crisi siriana.

L’elenco delle forze politiche di opposizione che abbiamo voluto elencare all’interno di questo nostro articolo, dimostra come la realtà politica siriana sia rimasta fossilizzata ai vecchi schemi politici, smentendo nella sostanza il carattere rivoluzionario della rivolta siriana, giacché l’elemento innovativo democratico, tanto decantato dai mass-media, non si ravvisa assolutamente all’interno del coacervo di formazioni islamiste attive in Siria, ispirate più da ambizioni confessionali egemoniche che da reali istanze riformiste. Considerata questa realtà, l’unica possibilità di riformare il contesto politico-istituzionale siriano, senza consegnarlo ad una pericolosa e retrograda formula islamista, passa attraverso il dialogo delle forze politiche effettivamente moderate, con l’establishment baathista, infatti solo una soluzione negoziata può aprire concretamente una nuova stagione politica. La costituzione varata dal Presidente Bashar al-Assad nel 2012, apre proprio in questa direzione, ponendo fine al regime a partito unico baathista e ridimensionando la portata dei poteri presidenziali, a vantaggio del parlamento e dell’esecutivo.

Capitolo a parte merita la questione kurda, inevitabilmente legata alle sorti del movimento irredentista in Iran, Iraq e Turchia, paesi che non sembrano disposti a concedere l’indipendenza ad un ipotetico stato kurdo. Infatti nonostante il sostegno americano, la costituzione di uno stato kurdo, passerebbe inevitabilmente per un conflitto regionale su ampia scala, o quanto meno attraversando un periodo di forte instabilità regionale, caratterizzato da piccole crisi nazionali in Turchia e Iran, simili a quelle che hanno caratterizzato la storia recente di Siria ed Iraq.

Ad ogni modo l’odierna guerra civile, rende difficile avviare una reale fase negoziale tra il governo baathista ed il fronte ribelle, a causa delle fortissime pressioni internazionali. Infatti nonostante la Russia stia cercando di mediare un complicato dialogo tra le parti, garantendo una precaria tregua in molte aree del paese, coinvolgendo soprattutto le formazioni ribelli più pragmatiche, resta sempre l’oltranzismo del fronte islamista, strumentalizzato per fini geopolitici dalle monarchie del Golfo Persico e da alcuni paesi occidentali.

L’asse arabo-occidentale nonostante la retorica umanitaria, continua infatti a sostenere finanziariamente e militarmente la rivolta, esasperando la contrapposizione interna, nel tentativo di rovesciare un governo tradizionalmente ostile ai loro interessi regionali. La caduta del governo baathista infatti porterebbe indiscutibili vantaggi a molti attori regionali, da Israele che potrebbe incamerare definitivamente le alture del Golan, alla Turchia fortemente intenzionata ad annettersi gran parte dei territori siriani settentrionali, arginando le rivendicazioni kurde, fino alle monarchi arabe come l’Arabia Saudita ed il Qatar, che progettano di indirizzare le loro pipeline energetiche verso l’Europa proprio attraverso la Siria, eliminando le concorrenti condutture iraniane, privilegiate dal governo di Bashar al-Assad.

Anche gli occidentali avrebbero i loro indiscutibili vantaggi, a cominciare dagli rimozione della scomoda base russa di Tartus, passando per la nascita di uno stato kurdo alleato, incastonato strategicamente all’interno dello scacchiere mediorientale. Infine troviamo le antiche ambizioni neocoloniali della Francia, desiderosa di ripristinare l’antica influenza sulla sua ex-colonia araba, riportando in auge l’eredità perduta dei famosi Accordi Sykes-Picot, la cui revisione 2.0 sembra essere diventata una delle priorità principali dell’agenda politica internazionale.

PER SAPERNE DI PIU:

CONOSCIAMO LA SIRIA 1

CONOSCIAMO LA SIRIA 2 

CONOSCIAMO LA SIRIA 3 

CONOSCIAMO LA SIRIA 4

I PROTAGONISTI REGIONALI DELLA GUERRA CIVILE SIRIANA

L’ALLEANZA TRA SIRIA E RUSSIA 

I RAPPORTI TRA SIRIA E USA