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I PROTAGONISTI REGIONALI DELLA CRISI SIRIANA

 ANALIZZIAMO I RAPPORTI CHE LEGANO LA SIRIA AI PRINCIPALI ATTORI MEDIORIENTALI 

Dopo aver analizzato i 4 articoli  di analisi sul back-ground storico-politico della Siria ( Siria 1Siria 2 Siria 3; Siria 4 ), ed aver illustrato le premesse e gli sviluppi della rivoluzione siriana, considerandone nello specifico i maggiori gruppi di opposizione, proviamo a conoscere gli interessi dei paesi stranieri coinvolti nella crisi siriana.

L’odierna crisi siriana per quanto interessi essenzialmente il popolo siriano, è stata in qualche modo sfruttata da alcuni paesi stranieri. Alcuni di questi paesi vantano decennali e proficui rapporti di amicizia con il governo siriano, mentre altri intrattengono con esso relazioni a dir poco controverse, spesso all’insegna dell’ostilità. Ebbene in questo nostro nuovo articolo proveremo ad illustrare il coinvolgimento straniero all’interno della guerra civile siriana, approfondendo innanzitutto gli interessi condivisi o contesi tra il governo baathista siriano e i gli attori regionali coinvolti, cercando di affrancarci della retorica del politicamente corretto, giacché come sosteneva Henry Kissinger: “non si fanno guerre per il beneficio dell’umanità, ma per interessi nazionali”.

I RAPPORTI TRA SIRIA E ARABIA SAUDITA 

Storicamente la monarchia saudita ha sostenuto l’indipendenza siriana, allontanandola dalle influenze della dinastia hashemita, cooptando l’allora presidente al-Quwwatli e patrocinando il golpe del generale al-Shishakli, senza contare i cospicui finanziamenti inoltrati a sostegno della debole economia siriana. Tuttavia solo qualche anno dopo, nel 1958, le relazioni bilaterali tra questi due paesi furono compromesse dall’adesione siriana alla Repubblica Araba Unita (RAU), promossa dal leader egiziano Nasser, nemico giurato della dinastia saudita filo-americana.

Tre anni più tardi, l’ascesa del Partito Baath porrà fine all’esperienza panaraba della RAU, tuttavia questa svolta politica non ricompose affatto le relazioni bilaterali tra Damasco e Riyadh a causa del corso socialista radicale avviato da Jadid, infatti solo con l’ascesa di Hafiz al-Assad si giunse ad una progressiva normalizzazione dei rapporti diplomatici. Il pragmatismo di Assad agevolò l’instaurazione di un proficuo rapporto strategico con la monarchia saudita, sugellato nel 1975 con l’autorizzazione della Forza di Dissuasione Araba in Libano, guidata proprio dall’esercito siriano. La fragile intesa raggiunta con i sauditi ebbe tuttavia vita breve, a causa dell’alleanza che il governo di Damasco strinse con l’odiata Repubblica Islamica iraniana, ad ogni modo questa scelta pur deteriorando le relazioni bilaterali, non le azzerò del tutto, infatti in occasione dell’invasione irakena del Kuwait, la Siria contribuì a difendere i confini sauditi, dislocando un sostanzioso contingente militare.

Con l’ascesa del nuovo presidente Bashar al-Assad, i sauditi ripresero a contestare il supporto fornito al movimento sciita Hezbollah, denunciandone le responsabilità nel controverso assassinio dell’ex-premier libanese Hariri, episodio che spinse Riyadh a rompere le relazioni diplomatiche con Damasco, salvo poi ristabilirle nel 2009, in occasione dell’incontro tra il leader siriano ed il nuovo sovrano saudita, Abdallah al-Saud. Il ripristino delle relazioni bilaterali, venne suggellata da un accordo di libero scambio, inoltre i due paesi cominciarono a discutere anche la possibilità di costruire una rete ferroviaria araba, in collaborazione con la Giordania.

Ad ogni modo, nonostante questa superficiale riappacificazione, i rapporti tra Siria ed Arabia Saudita continuavano a soffrire la contiguità del governo baathista con l’Iran, considerato dai sauditi come la principale minaccia alla loro egemonia regionale. Sicché l’esplosione della crisi siriana venne provvidenzialmente sfruttata dalla monarchia saudita per vanificare il progetto della “mezza luna sciita”, con cui l’Iran contava di proiettare la propria influenza regionale dall’Iraq al Libano, fino a giungere in Palestina, passando proprio per la strategica Siria.

Man mano che la crisi siriana assumeva la forma di una vera e propria guerra civile, i sauditi contribuivano all’ascesa delle formazioni islamiste ribelli, soprattutto quelle fedeli all’ideologia wahhabita, fornendo finanziamenti ed importanti forniture militari, da quelle più moderne di fabbricazione americana a quelle più antiquate triangolate dalla Croazia. La monarchia saudita ha pertanto contribuito a trasformare la guerra civile siriana in una guerra per procura con cui contrastare la prepotente ascesa geopolitica iraniana.

L’interesse saudita in Siria è, e resta dunque il respingimento dell’influenza iraniana, favorita dallo sfaldamento del regime baathista di Saddam Hussein, a cui ha tentato di porre rimedio favorendo la mobilitazione della comunità sunnita, affinché strutturasse un entità statale cuscinetto che si frapponesse fra l’Iraq a maggioranza sciita e la Siria Baathista. Questo intento geopolitico è stato in qualche modo realizzato dall’Isis, su cui si è a lungo speculato circa la sua oggettiva contiguità agli interessi strategici sauditi, ad ogni modo il progetto di un “Sunnistan” a cavallo tra Siria ed Iraq sembra essere tramontato, salvo ribaltamenti sul fronte orientale di Deir ez-Zor.

Egitto, Arabia Saudita e Siria
( Mubarak, Re Abdallah al-Saud e Bashar al-Assad )

I RAPPORTI TRA SIRIA ED EGITTO 

Sin dall’indipendenza dall’Impero Ottomano i rapporti tra Siria ed Egitto sono stati ottimi, addirittura durante la leadership di Nasser, si giunse ad una vera e propria integrazione politica, concretizzatesi sotto l’insegna della Repubblica Araba Unita (RAU). Tuttavia l’insofferenza siriana all’egemonia politica egiziana, determinò la repentina conclusione dell’esperienza panaraba tra i due paesi arabi. Successivamente alla Guerra del Kippur i due paesi divisero definitivamente le proprie strade, a causa dell’accordo di pace che il presidente egiziano Sadat firmò con gli Israeliani a Camp David, tradendo gli storici alleati siriani, risolutamente contrari a legittimare quella che definiscono tutt’oggi, entità sionista.

Ad ogni modo le relazioni siro-egiziane saranno ripristinate, solo nel 2005 con l’avvento di Bashar al-Assad, riaprendo il dialogo con l’allora presidente egiziano Mubarak. Tuttavia questa nuova stagione, risultò compromessa dalla rivoluzione islamista che nel 2011 portò al potere i Fratelli Musulmani, i quali solidarizzarono con il fronte ribelle, disponendo nuovamente il blocco delle relazioni diplomatiche con il governo baathista di Damasco, successivamente revocato in conseguenza al colpo di stato operato dal neo-presidente al-Sisi, senz’altro disponibile a cooperare con il governo siriano, in funzione anti-islamista.

I RAPPORTI TRA SIRIA E GIORDANIA 

Successivamente alla dissoluzione dell’Impero Ottomano, la dinastia Hashemita tentò di imporre il proprio dominio sui territori arabi, riuscendo ad insediarsi con successo in Giordania e Iraq, mentre la Siria riuscì a mantenersi indipendente. Malgrado ciò, gli Hashemiti continuarono a coltivare l’ambizione di guidare una grande stato arabo, rispolverando il mito della “Grande Siria”. I giordani durante gli anni 50 e 60 continuarono a pressare l’establishment sunnita siriano, affinché predisponesse un iter federativo panarabo, patrocinato dalla dinastia Hashemita, con il bene placito di Gran Bretagna e Stati Uniti. Questi intenti vennero comunque costantemente sabotati dall’establishment militare siriano, contiguo agli ideali socialisti panarabi e refrattario alle influenze straniere, soprattutto quelle occidentali, memori del periodo coloniale francese.

In particolar modo, durante il dominio del generale Jadid le ralazioni tra Siria e Giordania toccarono il fondo, a causa del sostegno siriano fornito alle milizie palestinesi protagoniste della crisi del “Settembre Nero”, finalizzata alla deposizione dell’infida dinastia hascemita, considerata compromessa con i nemici israeliani e fin troppo prona agli interessi occidentali. L’ingerenza militare siriana in Giordania venne provvidenzialmente bloccata dall’allora ministro della difesa Hafiz al-Assad, che ne approfittò per prendere il potere. Successivamente alla deposizione del regime di Jadid, il neo-presidente Assad riuscì a normalizzare i rapporti con i vicini giordani, tentando di convincerli a prendere parte alla Guerra del Kippur, in collaborazione con l’Egitto. La Giordania tuttavia, seppur formalmente allineata col fronte arabo, mantenne il piede in due staffe, informando il governo israeliano delle intenzioni offensive della coalizione araba.

Nel 1973, in occasione della crisi in Libano, i giordani avallarono la scelta dei sauditi, di conferire il comando della Forza Araba di Dissuasione con cui risolvere la guerra civile libanese, su mandato della Lega Araba. Nel 1976 i rapporti tra Damasco ed Amman si complicarono repentinamente, in occasione della rivolta islamista di Hama, quando i giordani assicurarono il proprio supporto alle iniziative dei Fratelli Musulmani, favorendone l’addestramento a ridosso dei confini. Le relazioni bilaterali tra i due paesi migliorarono solo successivamente al loro comune coinvolgimento nella prima guerra del golfo, contrastando l’offensiva dell’Iraq di Saddam Hussein in Kuwait.

Con lo scoppio della crisi siriana, i confini a cavallo con la Siria divennero particolarmente instabili, diventando teatro di sporadici incidenti di frontiera, provocati dai frequenti scontri tra le milizie ribelli e le forze di sicurezza siriane. I confini giordani permettono tutt’oggi l’approvvigionamento del fronte ribelle, coordinato dalle forze speciali americane, sotto la scusa del contrasto all’Isis. Recentemente le milizie ribelli siriane addestrate dagli USA hanno occupato lo strategico valico di al-Tanf, nel tentativo di impedire all’esercito siriano il ripristino del controllo sui confini orientali con il vicino Iraq, essenziali per la proiezione strategica delle asse sciita filo-iraniano. La monarchia hashemita giordana sembra dunque replicare il copione degli anni 80, quando sostenendo la rivolta islamista, contava di assumere il controllo della Siria, facendo leva sulla preponderante comunità sunnita.

IL RAPPORTO TRA SIRIA E IRAN 

L’Iran è legato alla Siria da una solida alleanza, stretta quasi all’indomani della rivoluzione islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini, nonostante la divergenza ideologica che caratterizzava le élite di questi due paesi relativamente distanti tra loro. Ad ogni modo, come spesso accade in politica estera, sono i nemici comuni a plasmare le alleanze strategiche più solide, infatti Siria e Iran, al netto delle differenze ideologiche, condividevano nemici come l’Iraq, l’Arabia Saudita, gli USA e soprattutto Israele.

Siria e Iran
( Assad e Khamenei )

Gli Ayatollah iraniani, grazie all’alleato siriano sono riusciti a patrocinare lo sviluppo del movimento sciita libanese Hezbollah, ponendolo come un baluardo fondamentale della resistenza a quello che ancora oggi viene definito entità sionista occupante. L’Iran dopo la deposizione del regime di Saddam Hussein, riuscì ad imporre la propria influenza in Iraq, catalizzando il consenso della maggioranza del paese, vanificando il controllo statunitense. In particolar modo la contiguità politica con il nuovo governo irakeno, sommata alla tradizionale alleanza con la Siria, spianò la strada al progetto iraniano di una “mezzaluna sciita”, con cui l’Iran contava di proiettare la propria influenza dalla Persia fino al Libano, passando proprio per l’Iraq e la Siria, turbando gli equilibri di forza consolidati da Israele in Palestina.

L’alleanza siro-iraniana oltre la sfera militare strategica, ha interessato anche la sfera economica, permettendo l’afflusso di cospicui investimenti, soprattutto in campo energetico, in particolar successivamente alla scoperta dell’imponente giacimento metanifero South-Pars nel Golfo Persico (condiviso con il Qatar), il governo di Teheran ha convinto il governo siriano e quello irakeno, ad aderire alla progettazione di un gasdotto (Islamic Pipeline), indirizzato allo strategico mercato energetico europeo. Questo gasdotto se implementato avvantaggerebbe la quota iraniana del giacimento South-Pars, rispetto a quella di pertinenza del Qatar; a quanto pare il gasdotto promosso dal Qatar e dall’Arabia Saudita è stato rigettato dal governo del presidente Assad, scatenando la reazione asimmetrica delle petro-monarchie del golfo, verosimilmente concretizzatesi nel 2011, sotto forma di sostegno aperto all’insurrezione siriana anti-baathista.

All’indomani della crisi siriana il governo di Teheran mantenne inizialmente un approccio titubante, infatti potendo scegliere il governo iraniano avrebbe senza dubbio alcuno, avallato la sostituzione del regime baathista con uno prettamente sciita, magari emanazione di Hezbollah. Tuttavia i presupposti per l’ascesa politica di una forza politica sciita vennero ben presto sconfessati dall’egemonia sunnita sul fronte ribelle, rivelatosi pesantemente compromesso con le odiate petro-monarchie del Golfo Persico. Sicché dinnanzi alla prospettiva di perdere un alleato strategico come la Siria, la Repubblica Islamica iraniana prese una posizione più netta e solidale al governo baathista guidato da Bashar al-Assad. Il sostegno iraniano al governo di Damasco si concretizzò con l’invio delle Forze Quds, un reparto speciale dei Pasdaran (Guardiani della Rivoluzione), deputato alle operazioni militari extraterritoriali, guidato dal generale Soleimani.

Il governo iraniano, inoltre dinnanzi alla prospettiva di perdere la propria strategica influenza in Siria, ha persino coordinato il proprio impegno militare sul con il governo russo, consentendo alla sua aviazione di sorvolare il proprio spazio aereo, favorendo la neutralizzazione dei principali obiettivi ribelli. Ad ogni modo l’impegno delle forze iraniane si concentra soprattutto nelle zone costiere e meridionali a ridosso dei confini libanesi, abitati prevalentemente da Alawiti. Recentemente Teheran sta anche supportando le iniziative diplomatiche promosse dalla Russia, in partnership con la Turchia, conseguendo modesti progressi, limitati solo dalla ritrosia della coalizione araba a trazione occidentale a trattare con quello che considerato uno stato potenzialmente lesivo della stabilità mediorientale.

I RAPPORTI TRA SIRIA E IRAQ 

L’Iraq all’indomani degli Accordi Sykes-Picot finì sotto il controllo della dinastia Hashemita filo-britannica, al contrario della Siria che invece riuscì a svincolarsi dal dominio coloniale francese, raggiungendo la piena indipendenza. La famiglia reale al-Hashimi tentò a più riprese di federare la Siria con i propri domini di Giordania e di Iraq, al fine di realizzare l’antico progetto della “Grande Siria”, facendo leva sulla comune ascendenza islamica, a cui era particolarmente sensibile l’élite commerciale sunnita siriana. Le ambizioni federali tuttavia vennero sempre rigettate dai militari nazionalisti, risolutamente contrari a sottomettersi al dominio di una monarchia collusa con gli occidentali. Ad nel ogni modo, nel 1958 dopo la deposizione di Re Faysal II, l’Iraq cambiò registro politico, allontanandosi dall’influenza occidentale e finendo nel giro di qualche anno sotto il dominio del Partito Baath, già attivo in Siria.

All’indomani della Guerra del Kippur, l’establishment baathista irakeno sotto la Presidenza di al-Bakr consolidò i propri rapporti con il Presidente Siriano Hafiz al-Assad, discutendo persino la possibilità di federare i due paesi gemelli, facendo leva sulla comune appartenenza baathista. Tuttavia nel 1979 l’ascesa di Saddam Hussein mutò i pregressi equilibri politici, imponendo ai siriani un inter integrativo definitivo ed immediato che insospettì Assad, contrario ad un unione dove la Siria sarebbe stata inevitabilmente subordinata al preponderante peso demografico, economico e militare dei vicini irakeni. Il leader siriano infatti temeva di essere eclissato dall’establishment baathista irakeno, replicando la fallimentare esperienza della Repubblica Araba Unita (RAU), egemonizzata sostanzialmente dall’Egitto di Sadat.

I rapporti tra Saddam Hussein e Hafiz al-Assad pur essendo buoni, restavano viziati da una reciproca diffidenza, infatti Saddam Hussein temeva le spiccate capacità politiche del leader siriano, percependole come una minaccia alla sua precaria posizione di potere all’interno del Partito Baath, appena conquistata dopo l’estromissione del proprio mentore al-Bakr. Questa diffidenza reciproca, compromise il processo di integrazione siro-irakeno, aprendo una frattura interna al Partito Baath, a cui seguì a stretto giro anche la rottura delle relazioni diplomatiche, dopo che Saddam Hussein denunciò l’esistenza di un complotto siriano finalizzato a rovesciarne la leadership.

Nel giro di pochi mesi la contrapposizione tra le due fazioni del Baath, degenerò in una vera e propria “guerra fredda”, dai risvolti confessionali, con gli irakeni che denunciavano la contiguità siriana agli interessi del nemico iraniano sciita. La componente confessionale, giocò un ruolo determinate nei rapporti tra i due paesi, che sebbene riconducibili ad un architettura istituzionale laica, rappresentavano l’uno l’antitesi dell’altro, infatti l’Iraq pur essendo un paese a maggioranza sciita, risultava governato da un élite sunnita, mentre la Siria nonostante fosse un paese prevalentemente sunnita, era governato dalla setta sciita degli Alawiti.

Negli anni 80 la discrepanza confessionale, ispirò l’aggressione irakena ai danni del vicino Iran, retto da una teocrazia sciita, alleata dei siriani. Hafiz al-Assad durante il corso del conflitto, sostenne strategicamente la causa di Teheran, sperando inutilmente di rovesciare Saddam Hussein dalla presidenza, nel tentativo di proiettare la propria influenza politica all’interno dell’establishment baathista irakeno. Lo stesso obiettivo indusse i siriani a sostenere militarmente l’intervento internazionale, contro l’invasione irakena del Kuwait nel 1991. I rapporti tra i due paesi baathisti si ristabilirono progressivamente fino al 2003, portando il neo presidente Bashar al-Assad a condannare l’invasione americana dell’Iraq, temendo la destabilizzazione di un paese chiave della regione, le cui conseguenze negative avrebbero inevitabilmente coinvolto anche la Siria, dove infatti più tardi si riversò un enorme flusso di rifugiati, che si sommarono all’ingente presenza di profughi palestinesi.

La rimozione del regime baathista irakeno agevolò l’ascesa della maggioranza sciita del paese, politicamente contigua all’Iran, permettendo la progressiva normalizzazione dei rapporti con la Siria. All’indomani della crisi siriana, il governo di Baghdad manterrà un approccio neutro, ben  diverso da quello prevalente all’interno del fronte arabo, criticando l’espulsione della Siria dalla Lega Araba, senza tuttavia sostenere direttamente il presidente Assad. Ad ogni modo quando la guerriglia jihadista dell’Isis cominciò a minacciare l’ordine interno, il governo irakeno mutò linea politica, adeguandosi alla pozione iraniana e concedendo il proprio spazio aereo alle incursioni aeree predisposte dall’aeronautica militare russa, in favore delle forze governative siriane.

I RAPPORTI TRA SIRIA E ISRAELE  

Come è noto la Siria è stato uno dei paesi della coalizione araba filo-palestinese che si oppose alla costituzione di un entità statale sionista, combattendola a più riprese, senza tuttavia riuscire ad avere la meglio, anzi addirittura in seguito alla “Guerra dei Sei Giorni” del 1967 perderà il controllo delle strategiche alture del Golan. Proprio l’occupazione del Golan rimane uno degli elementi di ostilità tra i due paesi, la Siria infatti contesta l’occupazione militare di questo suo territorio, presentandola come una spudorata e reiterata violazione del diritto internazionale. Successivamente alla Guerra del Kippur del 1973, i due paesi si vincolarono al rispetto di una tregua vigilata da un’apposita missione di interposizione ONU (UNDOF), dislocata sul versante orientale del Golan.

Negli anni 80 Israele invadendo il Libano, entrò nuovamente in contrasto con le forze siriane, senza tuttavia compromettere la tregua sul Golan. Durante la guerra del Libano del 2006, i siriani contrastarono nuovamente gli israeliani, supportando le manovre di Hezbollah, permettendo inoltre all’Iran di rifornire pesantemente il fronte sciita. L’anno dopo gli Israeliani effettuarono un raid mirato alla distruzione di un sospetto sito di sviluppo nucleare, situato nella provincia di Deir ez-Zor, irritando considerevolmente Damasco, che reagì ritirandosi dall’iniziativa negoziale di pace mediata dalla Turchia di Erdogan. Ad ogni modo la questione relativa alla pace, ruota tutt’oggi attorno alla disputa relativa alla sovranità sul Golan, considerato un territorio militarmente strategico che permetterebbe all’artiglieria siriana di dominare il nord di Israele, senza contare la presenza di ingenti risorse idriche, essenziali per il sostentamento di entrambi i paesi.

Successivamente all’esplosione della crisi siriana Israele, i confini sul Golan sono divenuti teatro di sporadici scontri tra i due eserciti, spesso dovuti a provocazioni predisposte dalle forze ribelli attive in loco, alcune delle quali riconducibili all’Isis. L’infuocato clima interno non ha diminuito le sporadiche incursioni aeree israeliane, finalizzate alla distruzione di convogli militari destinati agli Hezbollah libanesi, a cui seguono le proteste del governo di Damasco, regolarmente ignorate dalla comunità internazionale, totalmente insensibile alle violazioni della sovranità di uno stato sovrano, salvo poi sanzionare le eventuali rappresaglie. Ad ogni modo, Israele pur mantenendosi estraneo alla crisi siriana, ha comunque mantenuto una linea politica di dialogo con le formazioni ribelli, fornendo assistenza sanitaria ai feriti nei dintorni del Golan.

I RAPPORTI TRA SIRIA E QATAR  

A dispetto delle sue limitate dimensioni geografiche, questo piccolo emirato arabo storicamente irrilevante, negli ultimi anni ha sfruttato le sue immense risorse energetiche, investendone i sostanziosi proventi finanziari sulla scacchiera politica mediorientale, sostenendo le attività dei Fratelli Musulmani nella regione. L’emirato di Doha si è imposto prepotentemente sulla scena internazionale, finanziando il network panarabo al-Jazeera, divenuto estremamente popolare all’interno del mondo arabo, condizionandone pesantemente l’opinione pubblica.

Al-Jaazera ha conquistato l’attenzione dei media occidentali divulgando i messaggi confezionati da al-Qaida, inoltre ha sfruttato la propria influenza popolare, fornendo una narrativa al dir poco distorta della Primavera Araba, divulgando in molti casi notizie false mirate a delegittimare le leadership dei paesi coinvolti, esasperando il clima interno, come nel caso della Libia e dell’Egitto. Al-Jazera, infatti si è imposta a livello internazionale come il portavoce delle rivendicazioni democratiche del mondo arabo, tuttavia queste nobili intenzioni sembrano non valere per i suoi proprietari, ovvero la famiglia reale al-Thani, una dinastia probabilmente più dispotica e retrograda di quella in auge nella Francia del Re Sole, intorno al XVI secolo.

Il coinvolgimento del Qatar nella guerra civile siriana, sembra essere dettato dal veto posto da Assad al gasdotto alternativo a quello promosso dall’Iran, d’altro canto sembra che l’intervento russo sia tra l’altro finalizzato a bloccare l’accesso in Europa della pipeline promossa dall’emirato filo-occidentale di Doha, la cui concorrenza limiterebbe inevitabilmente la posizione dominante che la Russia mantiene sul mercato energetico europeo, vanificando di conseguenza l’influenza di Mosca sul vecchio continente.

mappa gasdotti siria iran qatar
( Le pipeline energetiche concorrenti in Siria )

L’ingerenza del Qatar in Siria, va tuttavia letta considerando la stretta cooperazione tra l’emirato di Doha ed il governo islamista turco di Erdogan, finalizzata alla diffusione dell’islam politico in tutto il Medioriente, avvalendosi del supporto dei Fratelli Musulmani, particolarmente attivi in Siria nella lotta al governo laico baathista guidato dal presidente Assad. L’emirato ha inoltre favorito la deriva militare della rivolta siriana, erogando sostanziosi finanziamenti a tutte le formazioni ribelli attive in Siria, privilegiando in particolar modo quelle jihadiste come Ahrar al-Sham, al-Nusra ed addirittura l’Isis, sorvolando sui loro controversi rapporti con al-Qaida.

I RAPPORTI TRA SIRIA E TURCHIA 

Come è noto lo stato siriano, nasce dalle ceneri dell’Impero ottomano, di cui è diretta erede l’odierna Repubblica Turca. Alla vigilia dell’indipendenza siriana, l’amministrazione mandataria francese ratificò la cessione della provincia di Alessandretta al governo di Ankara, successivamente ribattezzata Hatay, nonostante le feroci proteste siriane. I siriani infatti hanno sempre contestato l’illegittimità della decisione francese, richiedendo a più riprese la reintegrazione di questo territorio, prevalentemente abitato da siriani, molti dei quali arabi di estrazione Alawita. Nello specifico l’integrazione alla Repubblica Turca avvenne tramite referendum, viziato dall’espulsione della preponderante comunità arabo-siriana dalla provincia, prontamente sostituita da ingenti flussi di cittadini turchi invitati a colonizzare questo territorio.

I rapporti tra questi due paesi sono stati anche condizionati dalla disputa relativa allo sfruttamento turco del corso dell’Eufrate, limitato dalle dighe costruite dai turchi a ridosso dei confini siriani, provocando endemiche carenze idriche e ricorrenti crisi agricole. Il governo turco inoltre ha a lungo condannato il supporto fornito dal governo siriano all’organizzazione marxista kurda del PKK, e alla guerriglia irredentista armena. I tradizionali rapporti di reciproca diffidenza si sono progressivamente ricomposti a partire dal 1998, quando la Siria espulse il leader del PKK, Ocalan, inoltre qualche anno dopo l’ascesa del leader islamista Erdogan, contribuì a rilanciare le difficili relazioni bilaterali, instaurando un proficuo rapporto con il neo-presidente Bashar al-Assad. La nuova stagione politica inaugurata dai due nuovi leader, fu agevolata dalla comune opposizione all’invasione americana dell’Iraq. Il nuovo clima favorì persino la stipula di un accordo di libero scambio, a cui seguì l’offerta turca di mediare un accordo di pace definitivo tra Siria ed Israele, successivamente saltato.

Turchia e Siria
( Erdogan e Assad )

Allo scoppio della crisi siriana la Turchia prese nettamente le distanze dal governo siriano, condannandone la gestione militare della crisi, da cui scaturì un imponente flusso di profughi che si riversò all’interno dei confini turchi, destabilizzando l’ordine interno. Man mano che la crisi assumeva i toni di una vera e propria guerra civile, i confini tra i due paesi cominciarono ad essere teatro di frequenti incidenti di frontiera , a cui seguivano regolarmente episodici scambi di artiglieria. Ad ogni modo l’instabilità dei confini turchi, risultò una conseguenza naturale e ben ponderata da Ankara, dato il sostegno fornito alle formazioni ribelli siriane, da quelle pseudo-moderate del FSA a quelle islamiste più radicali come Ahrar al-Sham e al-Nusra, senza contare la connivenza con i trafficanti di petrolio dell’Isis.

La Turchia garantì supporto militare indiretto al fronte ribelle siriano almeno fino al 2016, quando decise di intervenire direttamente nel Nord della Siria, ripulendo il confine dalla presenza dell’Isis, anche se in realtà l’operazione (Scudo sull’Eufrate) era finalizzata ad impedire la formazione di un entità autonoma kurda, propedeutica alla futura costituzione di uno stato kurdo, che inevitabilmente priverebbe la Turchia di una consistente porzione di territori orientali. L’ostilità turca nei confronti dei kurdi è frenata a stento dalle pressioni USA, divenuti gli sponsor delle rivendicazioni irredentiste kurde in Iraq e Siria, sorvolando sulla contiguità delle milizie kurde YPG con il PKK, un organizzazione terroristica marxista.

Ad ogni modo l’intervento della Turchi, va letta considerando le ambizioni neo-ottomane del presidente Erdogan, finalizzate a ripristinare l’antica influenza turca sul Medioriente, approfittando del caotico effetto domino innescato dal rovesciamento del regime irakeno di Saddam Hussein. Erdogan infatti mira ad impossessarsi delle regioni kurde siriane ed irakene, sperando di disinnescare il loro irredentismo, incamerando territori strategici, ricchi di risorse energetiche. L’intraprendente politica regionale turca sta mettendo a dura prova gli equilibri internazionali, sviluppandosi su percorsi alquanto rischiosi che potrebbero persino mettere in discussione la permanenza della Turchia all’interno della NATO, accompagnato da un ancor più sconvolgente partnership strategica con Russia e Iran che a differenza di Washington non nutrono particolari interessi nel sostenere la causa kurda, perorata spudoratamente dall’amministrazione americana, incurante della concreta possibilità di allontanare uno storico e strategico alleato come Ankara.