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LE COMPLICATE RELAZIONI TRA SIRIA E USA

LA RESISTENZA SIRIANA ALLE STORICHE INGERENZE STATUNITENSI 

Dopo aver analizzato i 4 articoli di analisi sul back-ground storico-politico della Siria ( Siria 1Siria 2Siria 3Siria 4 ), ed aver illustrato le premesse e gli sviluppi della rivoluzione siriana, considerandone nello specifico i maggiori gruppi di opposizione e gli interessi dei paesi stranieri coinvolti nella guerra civile siriana, proviamo ad approfondire i turbolenti rapporti tra Siria e USA.

Sin dall’indipendenza siriana, gli USA hanno tentato di assoggettare la Siria alla propria influenza, tuttavia l’appoggio fornito alla causa sionista allontanò considerevolmente il circolo ufficiali dell’esercito di Damasco, risolutamente contrari ad instaurare una partnership subordinata al riconoscimento del neonato stato di Israele. Dinnanzi alla ritrosia siriana gli americani delegarono la cooptazione dell’establishment arabo locale all’alleata dinastia Hashemita, al potere in Giordania ed Iraq. Gli Hashemiti infatti godevano del favore dell’élite commerciale siriana, allettata dalla prospettiva di federarsi sotto un unico grande stato arabo, ipotesi questa favorita a più riprese sia dall’influentissimo clan al-Atassi, che dal presidente al-Quwwatli. Ad ogni modo, nonostante gli sforzi, al-Quwwatli non riuscì a convincere l’establishment militare a considerare il progetto di federazione panaraba promosso dalla monarchia hashemita, a causa della ritrosia a collaborare con il principale sponsor sionista, inoltre la loro impostazione nazionalista sdegnava ogni possibilità di cooperazione con l’occidente, perché identificato con i precedenti trascorsi coloniali.

L’OPPOSIZIONE DELL’ESTABLISHMENT MILITARE ALLE INGERENZE USA

Successivamente alla sconfitta nel conflitto arabo-israeliano, la credibilità dell’élite politica arabo-sunnita venne compromessa seriamente, favorendo una serie di colpi di stato patrocinati dall’esercito. Si è a lungo speculato sul presunto appoggio della CIA al golpe organizzato dal colonnello al-Zaim, sostenuto indirettamente in funzione anticomunista. Gli americani tentarono di convincere al-Zaima stipulare una pace definitiva con gli israeliani, tuttavia ancora una volta l’opposizione dell’establishment militare sabotò gli intenti di Washington, operando un nuovo golpe finalizzato alla rimozione del colonnello. Il circolo ufficiali siriano cominciò ad assumere posizioni marcatamente socialiste alquanto ostili sia all’influenza USA hashemita in Siria, infatti, pur condividendo il progetto panarabo, preferivano strutturarlo in senso repubblicano.

Negli anni 50, la Siria sembrò ritornare sotto un ordine democratico, sotto la leadership dell’ex presidente al-Quwwatli, tuttavia il suo margine di azione politica rimase ancora subordinato all’influenza dell’establishment militare, intenzionato ad agganciare il corso siriano alla formula socialista panaraba inaugurata in Egitto dai liberi ufficiali guidati da Nasser. Sicché, nonostante le non poche perplessità al-Quwwatli finì costretto a cedere alle pressioni del circolo degli ufficiali, aderendo alla Repubblica Araba Unita (RAU), rigettando ogni ipotesi di adesione al “Patto di Baghdad”, un’alleanza promossa dagli USA in funzione anti-sovietica.

Nonostante l’entusiasmo inziale i siriani cominciarono a mal sopportare l’egemonia politica egiziana all’interno della RAU, tanto da prendere in considerazione l’ipotesi di recedere dalla federazione, ipotesi che divise irrimediabilmente la realtà politica siriana, il cui caos indusse gli americani ad interferire favorendo il ritorno al potere del generale kurdo al-Shsihakli. Il ritorno del vecchio autocrate venne tuttavia sabotato dai servizi segreti siriani, che lo assassinarono prima che potesse ritornare dal suo esilio brasiliano. Ancora una volta l’intraprendenza del circolo ufficiali siriano, vanificò i piani americani, impedendogli di assumere il controllo della Siria, la quale finì sotto il controllo del Partito Baath, formazione socialista-panaraba decisamente contigua alle posizioni sovietiche.

IL PRAGMATISMO BAATHISTA CONSERVA LO STATUS-QUO REGIONALE

L’ascesa dei baathisti in Siria, lasciò ancora una volta gli americani alla porta, permettendo all’URSS di installarsi in Medioriente, tuttavia la dissoluzione della RAU accontentò gli americani, preoccupanti dalla possibilità che la rivoluzione socialista-panaraba di Nasser contaminasse le petro-monarchie del Golfo Persico. Ben presto però gli Stati Uniti dovettero fare i conti con l’ambiziosa leadership del generale siriano Jadid, determinato a realizzare il progetto della “Grande Siria”. Jadid era infatti intenzionato ad annettere la Giordania, rovesciando la dinastia Hashemita filo-americana, la stessa che per anni aveva tentato di integrare la Siria all’interno di un grande stato arabo. L’intento di Jadid si concretizzò in occasione della crisi del “Settembre Nero”, sostenendo l’insurrezione palestinese in Giordania, preventivando addirittura ‘intervento dell’esercito già mobilitato ai confini meridionali.

Gli USA, dinnanzi alla prospettiva di perdere un alleato chiave come la Giordania, minacciarono di intervenire in suo sostegno, mettendo in guardia l’establishment militare siriano, che nella persona dell’allora ministro della difesa Hafiz al-Assad, decise di bloccare l’intervento militare, mettendo agli arresti Jadid e la fazione baathista radicale a lui fedele. Il pragmatico colpo di mano predisposto da Assad, gettò acqua sul fuoco, permettendo ai protagonisti coinvolti di uscire dalla crisi senza colpo ferire, conservando lo status quo. Infatti gli USA riuscirono a mantenere al potere gli alleati Hashemiti in Giordania evitando di innescare una pericolosa escalation con la Siria ed i loro alleati sovietici, allo stesso modo i baathisti riuscirono a mantenere il potere appena conquistato, epurando la componente socialista più estremista.

DALL’IMPORTAZIONE DELLA FORMULA AFGHANA ALLA TREGUA POLITICA POST-SOVIETICA 

All’indomani della Guerra del Kippur, il presidente Nixon incontrò a Damasco il presidente siriano Hafiz al-Assad, discutendo i termini relativi all’implementazione della tregua sul Golan, senza tuttavia riuscire convincerlo a sottoscrivere una pace definitiva con gli israeliani. Negli anni 80, la rivolta islamista scatenata dai Fratelli Musulmani nel nord della Siria, sembrò prospettare un cambio di regime favorevole agli interessi americani, sicché indussero i giordani a sostenere la causa ribelle, anche dentro i proprio confini. La scelta americana di sostenere indirettamente la rivolta islamista siriana, per quanto controversa, si accordava con la strategia adottata nello stesso periodo in Afghanistan, dove la CIA supportò massicciamente la guerriglia dei Mujaheddin in funzione anti-sovietica, armando ed addestrando terroristi del calibro di Osama Bin Laden, futuro leader di al-Qaida.

Nixon-Assad
( Nixon e Assad )

Col trascorrere del tempo la Siria, divenne un duplice problema per gli Stati Uniti, poichè alla tradizionale alleanza con i sovietici, si aggiunse successivamente anche quella con l’Iran Khomeinista. Le relazioni bilaterali tra Siria e USA sembrarono riprendersi negli anni 90, successivamente al dissolvimento dell’URSS, addirittura l’amministrazione Bush tentò di sondare l’eventuale disponibilità di Assad ad intavolare un serio negoziato con gli israeliani, tuttavia il dialogo non andò prese mai una forma concreta, sicché gli americani preferirono limitare le proprie pressioni sulla sola questione libanese. Ad ogni modo, questo timido approccio bilaterale permise agli USA di coinvolgere i siriani nella coalizione internazionale che caccio gli invasori irakeni dal Kuwait.

LA SFIDA JIHADISTA DIVENTA OPPORTUNITA’ STRATEGICA 

Nel 2001, il neo-presidente Bashar al-Assad condannò fermamente gli attentati dell’undici settembre, cooperando con gli Stati Uniti nella lotta al terrorismo islamista, condividendo alcune informazioni di intelligence. Tuttavia malgrado la cooperazione nella lotta al terrorismo islamista, i siriani continuarono a diffidare delle intenzioni americane, contestando la scelta di invadere l’Iraq, mettendo in guardia dalla pericolosissima deriva caotica, i cui effetti negativi si sarebbero riverberati sicuramente ben oltre i confini irakeni, come poi è effettivamente avvenuto. Infatti, successivamente all’occupazione americana dell’Iraq, la Siria dovette fare i conti con un imponente flusso di profughi che si riversarono in massa all’interno delle sue città, già provate dalla decennale presenza di rifugiati palestinesi. Come se ciò non bastasse, i confini orientali cominciarono a soffrire le frequenti incursioni dei guerriglieri irakeni ostili alla presenza militare americana. Sempre in questo periodo, il governo americano cominciò a finanziare alcuni gruppi di opposizione siriana, sperando di innescare una nuova rivolta, con cui rimuovere definitivamente il governo baathista, sprovvisto del tradizionale supporto sovietico.

ONU
( Consiglio di Sicurezza ONU )

Allo scoppio della crisi del 2011, gli USA mantennero da subito una linea fortemente ostile al governo baathista guidato da Bashar al-Assad, promuovendo alcune risoluzioni di condanna in sede ONU, regolarmente respinte dal veto di Russia e Cina all’interno del Consiglio di Sicurezza. Dinnanzi all’impedimento diplomatico, l’allora amministrazione Obama decise di finanziare l’armamento delle milizie ribelli intenzionate a rovesciare il governo di Assad, fornendo armi alle formazioni classificate dalla CIA come affidabili e moderate, come nel caso dell’Esercito Libero Siriano (FSA), una milizia composta da ex-ufficiali siriani di estrazione sunnita.

L’addestramento e l’afflusso di armi a queste milizie vene organizzato in stretto coordinamento con la Turchia e la Giordania, a cui si aggiunse il sostanzioso contributo delle petro-monarchie del Golfo Persico. Man mano che la crisi si sviluppava il fronte ribelle sostenuto dagli americani evaporava, a causa delle massicce defezioni di miliziani che dal FSA migravano in massa verso le preponderanti milizie islamiste siriane, rendendo la presenza dei ribelli moderati una mera astrazione politica, strutturata ad uso e consumo mediatico. Malgrado l’inconsistenza delle milizie pseudo-democratiche (FSA), gli USA confidavano tacitamente sulla prepotente avanzata islamista, a cui il già provato esercito siriano non avrebbe potuto resistere a lungo, obbligando l’establishment baathista ad arrendersi, permettendo agli Stati Uniti di piazzare una nuova classe dirigente, senza dubbio più aperta ai loro interessi geopolitici.

TRA AMBIZIONI GEOPOLITICHE, FALSE FLAG E PRETESTI UMANITARI 

Nel 2013, nel sobborgo damasceno di Ghouta, tutt’oggi sotto il controllo ribelle, si registra un controverso attacco chimico, che gli USA contesteranno al governo di Damasco. L’uso di armi chimiche, per l’amministrazione Obama rappresentava una linea rossa, che se oltrepassata avrebbe comportato l’intervento militare americano in Siria, tuttavia la ricostruzione degli eventi si presentava più complicata di quella presentata dai media occidentali, inoltre i russi sostenevano che l’uso di armi chimiche fosse da addurre al tentativo ribelle di trascinare i loro sponsor occidentali all’interno della crisi siriana. Dinnanzi all’incapacità di identificare i responsabili dell’attacco, gli USA concordarono con la Russia lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano, privando la Siria del suo principale strumento di deterrenza strategica, con cui per anni aveva contrastato l’arsenale nucleare israeliano. Ancora una volta gli USA si ritrovarono ostacolati dal loro proposito di intervento diretto in Siria, facendo i contri con la risolutezza russa, che se scavalcata avrebbe potuto innescare una pericolosa, quanto indesiderata, escalation del conflitto.

Qualche mese più tardi, la prepotente avanzata dell’Isis, accompagnata dall’onda di terrore scatenata dalle loro iniziative terroristiche, riporteranno in auge la possibilità di intervenire direttamente in Siria. Sull’onda mediatica innescata dai reiterati attentati islamisti, gli USA riusciranno a convincere il Consiglio di Sicurezza ONU ad emettere una risoluzione (N°2249) che autorizzasse attività militari di contrasto alle organizzazioni terroristiche presenti in Siria e Iraq. La risoluzione ONU, tanto agognata dagli USA, passerà non senza difficoltà, subordinandosi alle clausole apposte dalla Russia che vincolavano qualsiasi azione militare al rispetto della sovranità, dell’integrità e dell’indipendenza della Repubblica Araba di Siria, vincoli tra l’altro richiamati esplicitamente dalla Carta ONU. Fu così che gli Stati Uniti riuscirono a conquistarsi un mandato internazionale con cui poter intervenire legittimamente in Siria, accogliendo loro malgrado i limiti posti dal diritto internazionale, di cui avrebbero volentieri fatto a meno. Successivamente a questo passaggio diplomatico fondamentale, gli USA patrocinarono la formazione di una coalizione di stati alleati, intenzionati a contrastare l’avanzata jihadista.

USA-ribelli
( Cooperazione tra truppe USA E ribelli siriani )

Le operazioni americane in Siria si concretizzarono sotto forma di raid aerei, mirati prevalentemente a spezzare l’assedio jihadista sulle città kurde, controllate dalle milizie YPG. L’appoggio americano alle milizie YPG presenta alcune criticità di non poco conto, infatti, questa formazione risulta legata a doppio filo con il PKK, un’organizzazione marxista che gli stessi USA classificano come terroristica, tra l’altro bandita in Turchia. L’alleanza che gli Stati Uniti si accinsero a stringere con questa formazione kurda, sconfessò la loro tradizionale linea anti-marxista, sacrificandola a vantaggio della loro strategia mediorientale, sempre più incentrata sul sostegno alla causa irredentista kurda. L’amministrazione americana, seppur legittimata da un mandato ONU, articolò il proprio intervento militare senza coordinarsi minimamente con il governo siriano, violandone ripetutamente la sovranità territoriale.

Del resto, al netto della retorica, il coinvolgimento americano era sostanzialmente finalizzato ad inglobare la Siria alla propria sfera di influenza regionale, proposito che si palesò nuovamente nel 2017, quando in una cittadina situata nei pressi di Idlib (roccaforte islamista), i ribelli denunciarono l’ennesimo attacco chimico, a cui l’amministrazione repubblicana guidata dal neo-eletto Donald Trump reagì bombardando la base aerea di Shayrat, dove l’intelligence americana riteneva fosse presente un deposito chimico dell’esercito siriano, ipotesi inverosimile se considerato lo smantellamento dell’arsenale effettuato proprio dagli stessi americani in coordinamento con i russi.

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( F-15 americano in missione )

LE PROSPETTIVE AMERICANE IN SIRIA

Ad ogni modo, nonostante questo clamoroso e controverso episodio, la nuova amministrazione Trump sembra aver cambiato indirizzo politico, recedendo dall’intenzione di rovesciare il governo baathista siriano, riconoscendo implicitamente la permanenza dell’influenza russa in Siria, eccetto che nel Rojava kurdo. La prepotente avanzata dell’esercito siriano, supportato dalla determinante copertura aerea siriana, ha ribaltato i rapporti di forza, inducendo gli USA ad abbandonare il controverso fronte ribelle siriano al suo destino, puntando tutto sul fronte kurdo, che al netto della sua struttura marxista, risultava sicuramente ben più affidabile e presentabile del coacervo di formazioni islamiste arabe.

Gli sviluppi del conflitto, permisero all’esercito siriano di spuntarla ancora contro le storiche ingerenze americane, costringendo Washington a ripiegare su di un Piano B, accontentandosi del controllo parziale del Rojava kurdo, territorio che nei piani del pentagono nel medio-lungo periodo dovrebbe costituire il nucleo di un futuro stato kurdo, destinato ad inglobare successivamente i residui territori kurdi soggetti alla sovranità di paesi terzi quali la Turchia l’Iraq e l’Iran. La nascita di uno stato kurdo è dunque diventata una priorità strategica di Washington, soprattutto da quando l’Iraq è caduto sotto l’egemonia della maggioranza sciita filo-iraniana.

Proprio la crescente influenza dell’Iran nella regione, ha spinto gli Stati Uniti a patrocinare il fronte ribelle sunnita in Siria ed Iraq, tentando di sottrarre a Teheran due tasselli fondamentali per la realizzazione del progetto della “Mezzaluna Sciita”. Gli USA avrebbero sicuramente gradito la nascita di un “Sunnistan”, non tanto ideologicamente, quanto strategicamente, poiché avrebbe compromesso la proiezione iraniana verso il Libano, probabilmente oggi, senza l’intervento russo, esisterebbe uno stato arabo sunnita, geograficamente compatibile con lo Stato Islamico, promosso da al-Baghdadi. Dunque, l’intervento americano in Siria è stato in parte dettato dalla necessità di ostacolare la direttrice sciita in Palestina, schermando Israele dalla minaccia iraniana che incombe dai confini siro-libanesi, oramai presidiati dalle milizie Hezbollah.

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( Prospettiva geopolitica americana in Medioriente )

L’intraprendente politica mediorientale americana, sembra essere frutto di una classe dirigente ottusa ed approssimativa, intenta a collezionare un fallimento dopo l’altro, tuttavia ponderando nel merito gli sviluppi geopolitici regionali in aggregato con la questione kurda, si potrebbe giungere ad un interpretazione logica, frutto di una lucidissima pianificazione strategica. Infatti, senza il disastroso intervento in Iraq, oggi sarebbe impossibile mettere in discussione la geografia politica mediorientale, prospettiva decisamente concreta, da cui dipende la nascita del Kurdistan, considerato dagli Stati Uniti come il perno strategico da cui proiettare la propria influenza nella regione, mettendosi al riparo dalle endemiche scosse tettoniche etnico-confessionali che caratterizzano un po’ tutti gli stati arabi dell’area.

Questa ardita interpretazione degli eventi, potrebbe conferire un senso alla apparentemente fallimentare politica regionale americana, tuttavia qualora questa strategia si rivelasse verosimile, presupporrebbe rischi collaterali non indifferenti, infatti, l’appoggio americano all’irredentismo kurdo sta spingendo la Turchia e l’Iran a stringere un’alleanza strategica, su cui incombe la crescente influenza regionale russa. In particolar modo la Turchia di Erdogan, dopo il tentato golpe dello scorso anno sembra aver messo in discussione la tradizionale alleanza che la lega agli USA e all’occidente in genere, considerando addirittura l’ipotesi di recedere dalla NATO, ricercando una partnership strategica con la Russia, da cui ha recentemente acquistato il sistema antiaereo S-400. Nei prossimi anni la determinazione statunitense nel perseguire questa verosimile scaletta geopolitica, determinerà la geografia politica mediorientale.

Se l’esito di questa azzardata strategia sarà positivo gli USA consolideranno definitivamente il loro ordine internazionale unipolare, se invece l’esito sarà negativo le ambizioni egemoniche americane dovranno necessariamente lasciare il posto ad un nuovo ordine internazionale multipolare, da governare con la rediviva Russia e l’ascendente potenza cinese, con la concreta prospettiva di perdere il controllo sull’Europa, che a quel punto potrebbe pensare seriamente di sganciarsi dallo stretto controllo di Washington, d’altro canto la permanenza al potere di Assad, preclude la possibilità di incanalare il gas del Golfo Persico verso il mercato energetico europeo, dove la posizione russa sembra destinata a consolidarsi, con tutto ciò che ne consegue in termini di influenza politica.