E SE GLI USA ATTACCANO LA COREA DEL NORD?
Dopo aver analizzato la storia della penisola coreana (Corea 1, Corea 2, Corea 3, Corea 4), approfondendo lo sviluppo del programma missilistico e del programma nucleare della Corea del Nord, adesso priviamo ad analizzare lo scenario antitetico a quello prospettato nello scorso articolo, ovvero come si svilupperebbe un ipotetico attacco americano sulla Corea del Nord, considerandone conseguenze e possibili sviluppi.
IL DISPOSITIVO MILITARE AMERICANO IN ASIA
Prima di considerare quelli che per il momento restano ipotetici scenari, riteniamo opportuno conoscere, seppur generalmente, la consistenza delle forze americane nella regione asiatica, a cominciare dalla settima flotta USA, la più grande flotta proiettata al di fuori degli Stati Uniti, istituita nel 1943, e divenuta protagonista della Guerra di Corea sotto la guida del famoso generale Douglas McArthur, e più tardi della meno esaltante guerra del Vietnam, tra l’altro, la denominazione di Settima Flotta venne adottata ufficialmente proprio alla vigilia della guerra di Corea del 1950, quando le portaerei americane cominciarono ad operare con i loro primi caccia turbogetto.
La punta di diamante della corposa 7° flotta americana, è costituita dal poderoso “Carrier Strike Group”, a cui è demandata la proiezione del potenziale militare offensivo americano nella regione asiatica, attualmente riconducibile al comando del Vice-Ammiraglio Sawyer, almeno fino all’estate del 2019. La nave ammiraglia della 7° Flotta è la USS Ronald Reagan, una delle super-portaerei a propulsione nucleare con una stazza di oltre 100.000 tonnellate, appartenente alla Classe Nimitz, nota per essere stata la prima nave a prendere il nome di un presidente ancora in vita al momento del suo varo nel 2001. I due reattori nucleari della portaerei Reagan le consentono di operare dovunque nel mondo, senza la necessità di fare tappe per rifornire l’apparato propulsivo da 260.000 CV, autonomia limitata dalla necessità di approvvigionare a cadenza trimestrale i circa 6.000 marinai presenti a bordo, il cui motto è “Pace attraverso la Forza”. Questo formidabile mezzo consente di imbarcare circa 90 aerei, tra elicotteri ed aerei ad ala fissa come i cacciabombardieri F/A-18 Super-Hornet, distribuiti in 5 squadroni, accreditati di un raggio d’azione di circa 720 Km, di cui uno specializzato in guerra elettronica.
Sempre della 7° Flotta fanno parte 7 cacciatorpedinieri della classe Arleigh Burke, alimentati a gas, ed accreditati di un autonomia di 7.400 Km. Recentemente una di queste navi, la USS McCain, risulta fuori servizio, a causa dei danni riportati dopo la collisione con una nave cargo in prossimità del trafficatissimo Stretto di Malacca. I 7 cacciatorpedinieri americani imbarcano 96 missili ciascuno, dai missili antinave Harpoon ai missili cruise Tomahawk, fino ai missili SM-3 integrati al sofisticato sistema anti-missili balistici AEGIS, sulla cui efficacia rimangono numerosi dubbi, soprattutto sulla supposta capacità di neutralizzare i missili intercontinentali ICBM. A concludere la composizione della 7° Flotta troviamo i 3 incrociatori della Classe Ticonderoga, a cui si aggiungono altre navi di minor stazza, predisposte a funzioni diverse tra loro, sotto il coordinamento del comando imbarcato sulla USS Blue Ridge.
Parallelamente alla 7° Flotta della US Navy, gli Stati Uniti contano su 50.000 militari distribuiti tra le 8 grandi basi militari dislocate in Giappone, a cui si appoggiano sia la Marina che l’Aeronautica militare USA, un po’ avviene anche nella base di Guam, situata in un’isola del pacifico formalmente associata agli Stati Uniti d’America, e pertanto da ritenersi alla stregua di territorio americano. Proprio a Guam sorge una delle poche basi militari predisposta ad accogliere i bombardieri strategici americani, dai giganteschi B-52 ai supersonici B-1B, fino ai B2 Stealth. Al dispositivo militare dislocato tra Guam e il Giappone, vanno aggiunti i circa 23.000 militari americani presenti in Corea del Sud, cifra che, al netto della retorica ostile, è scesa progressivamente negli ultimi anni, parliamo di forze vincolate da un Trattato di mutua difesa che, in caso di aggressione, impone agli Stati Uniti il soccorso degli alleati sudcoreani. Le forze americane presenti in Corea del Sud, tengono regolari esercitazioni militari congiunte con quelle sudcoreane, le stesse esercitazioni contestate dalla Corea del Nord, costretta a controbilanciare la minaccia militare in prossimità dei propri confini, tenendo perennemente mobilitati un alto numero di soldati, sottraendoli all’economia del paese.
L’ESERCITO SUDCOREANO
Oggi, a differenza del passato, le forze armate sudcoreane, sono una delle forze armate più numerose al mondo, con i suoi 600.000 militari attivi, coadiuvati all’occorrenza da oltre 3 milioni di riservisti. Nello specifico, l’esercito sudcoreano vanta 47 divisioni composte da circa 500.000 soldati. Le sue forze corazzate contano più di 2.500 carri armati, dai datati M-48 Patton americani, ai relativamente moderni K-1 autoctoni, fino ad arrivare ai nuovissimi K-2 Panther, a cui si aggiungono altrettanti veicoli blindati adibiti al trasporto della fanteria. Le forze corazzate sudcoreane pur risultando numericamente inferiori a quelle nordcoreane, vantano tuttavia mezzi tecnologicamente più avanzati, come nel caso dei carri armato K1 e K2, e persino i vetusti M-48 godono di aggiornamenti non trascurabili. Infine, l’esercito sudcoreano conta circa 6.000 pezzi di artiglieria di produzione nazionale e americana, sia nelle varianti da 105 mm, che da 155 mm, capaci di colpire obiettivi distanti dagli 11 ai 30 Km, a cui si aggiungono i più di 200 sistemi lanciarazzi multipli, tuttavia, in questo caso l’inferiorità numerica non garantisce sensibili vantaggi rispetto alla poderosissima artiglieria nordcoreana (9.0000 pezzi d’artiglieria), anche se garantisce comunque una maggiore precisione e rapidità d’esercizio.
I MISSILI SUDCOREANI
Anche se lontani dal clamore del controverso programma missilistico nordcoreano, anche la Corea del Sud possiede un proprio programma missilistico nazionale, che al netto del suo basso profilo, ha raggiunto risultati degni di nota nell’ambito balistico, sviluppando i missili della serie Hyunmoo, derivati dai missili anti-aerei americani MIM-14 Nike. I primi missili ad essere sviluppati sono stati gli Hyunmoo-1, prodotti sul finire degli anni 80, quando la Corea del Nord iniziò a sviluppare i primi missili Hwasong, derivati dagli Scud sovietici triangolati dall’Egitto, le cui prestazioni non risultarono all’altezza dei razzi nordcoreani accreditati di una gittata massima sicuramente maggiore (600/1000 Km), di quelli sudcoreani accreditato di una gittata di appena 200 Km, anche se sembra che tali prestazioni siano state limitate dai veti americani alla proliferazione missilistica in Corea del Sud. Infatti, al netto della modesta gittata, i missili Hyunmoo-1 vantavano prestazioni tattiche di primo livello, soprattutto per via della tecnologia a propellente solido che ne abbatteva sensibilmente i tempi di operatività, senza contare i sofisticati sistemi aerodinamici che rendevano tali razzi decisamente più precisi delle varie versioni nordcoreane degli scud sovietici, notoriamente imprecisi.
Malgrado le limitazioni imposte dagli americani e dal Tratto MTCR (Missile Technology Control Regime), nei primi anni 2000, i sudcoreani svilupparono ulteriormente la tecnologia missilistica autoctona, producendo il missile Hyunmoo-2, un razzo più volte aggiornato negli ultimi anni, la cui gittata massima dagli iniziali 300 Km fino a 500 Km, range sufficiente a coprire qualsiasi obiettivo situato in Corea del Nord, a fronte di un errore circolare (CEP) di circa 30 mt, prestazioni che rendevano il razzo sudcoreano, ancora più preciso di quelli nordcoreani. Recentemente i sudcoreani, hanno affinato la tecnologia del missile Hyunmoo-2, estendendo la gittata massima a 800 Km, e riducendo il CEP a 1/5 Mt, rendendo questo razzo uno strumento balistico potente, rapido ed estremamente preciso. Per alcuni analisti, la struttura del missile Hyunmoo-2 sembra molto simile a quella del missile russo Iskander, tuttavia se è vero che Corea del Sud e Russia hanno collaborato allo sviluppo di una piattaforma di difesa antiaerea (KM-SAM), i due paesi non hanno collaborato allo sviluppo di missili a corto raggio come questi, per giunta derivati da un razzo americano.
Sempre nei primi anni 2000, i sudcoreani hanno iniziato a sviluppare il missile Hyunmoo-3, un razzo guidato simile agli americani Tomahawck, accreditato di una gittata massima di circa 1.500 Km, gittata che oltre a coprire gli obiettivi nordcoreani, ingloberebbe teoricamente anche le capitali di Cina e Giappone. Qualche mese fa, l’amministrazione americana guidata da Donald Trump, ha revocato il limite di 500 Kg alle testate che fino ad oggi vincolava lo sviluppo dei nuovi missili sudcoreani, che senza tale vincolo potranno sviluppare missili capaci di alloggiare una testata esplosiva convenzionale di 1/2.000 Kg, con cui conta di poter distruggere gli obiettivi corazzati dislocati all’interno della Corea del Nord. La Corea del Sud non ha bisogno di sviluppare missili intercontinentali, poiché a differenza della Corea del Nord, si ritrova i suoi potenziali avversari in un raggio relativamente circoscritto.
L’AERONAUTICA MILITARE SUDCOREANA
Al contrario della Corea del Nord, la Corea del Sud gode di una sicura superiorità aerea, garantita da mezzi tecnologicamente più moderni e aggiornati, senza contare le capacità dei piloti sudcoreani, che a differenza dei loro colleghi nordcoreani, vantano un migliore addestramento, garantito da un maggior numero di ore di volo. Nello specifico, l’Aeronautica militare sudcoreana conta circa 70 vecchi cacciabombardieri F-4 e circa 150 F-5, a cui si aggiungono i 170 F-16 affiancati dai 60 moderni F-15, inoltre, la Corea del Sud presto entrerà in possesso di 40 moderni caccia stealth F-35. Questi aerei, oltre ad essere decisamente più moderni ed aggiornati di quelli nordcoreani, possono contare sull’assistenza di 4 aerei AWACS, che consentono il totale controllo delle attività aeree nella penisola coreana, impedendo qualsiasi iniziativa aerea nordcoreana. Parallelamente alla componente aerea, la Corea del Sud, conta anche su di una notevole difesa aerea basata a terra, composta da sistemi missilistici americani Patriot, e dal sistema KM-SAM sviluppato in partnership con l’Almaz-Antey, la stessa ditta che produce il sistema antiaereo russo S-400, con cui condivide molti elementi tecnologici, che gli consentono di ingaggiare obiettivi entro un raggio di 40 Km. Altrettanto importanti risultano i numerosi a cui sistemi di artiglieria contraerea di produzione locale.
LA MARINA MILITARE SUDCOREANA
La Marina militare sudcoreana è composta da navi decisamente più moderne di quelle nordcoreane, e conta 9 sommergibili della Classe Bong-Chang prodotti in partnership con la Germania, più altri 7 prodotti interamente da un consorzio Daewoo-Hyundai. Per quanto concerne la componente di superficie, troviamo 2 portaelicotteri Classe Dodko predisposta ad operazioni di sbarco anfibio, di cui una ancora in fase di costruzione, mezzi che andranno ad integrare le altre 15 navi da sbarco pre-esistenti. A queste navi vanno aggiunti 12 cacciatorpedinieri, 12 fregate, 14 corvette e 21 pattugliatori. Il ruolo della marina sudcoreana è fondamentale soprattutto per quel che concerne i mezzi da sbarco, che consentirebbero di prendere Pyongyang, senza dover affrontare le massicce difese nordcoreana dislocate lungo il confine.
I PIANI PER UN’OFFENSIVA SUDCOREANA
Le forze armate nordcoreane, per quanto vetuste, sono talmente numerose da rendere praticamente impossibile qualsiasi attacco alla Corea del Nord, soprattutto a causa dell’immenso dispositivo militare dislocato sul confine all’interno di postazioni d’artiglieria fortificate. Pertanto, l’unica possibilità di superare l’imponente sistema difensivo nordcoreano, resta l’uso unilaterale di armi nucleari tattiche da parte degli Stati Uniti, o in alternativa approntare un improbabile blitz delle forze speciali mirato alla decapitazione della catena di comando nordcoreana, ipotesi difficilmente praticabile, che in caso di fallimento rischia di innescare una prevedibile, quanto devastante, rappresaglia su Seul. Alla luce di queste considerazioni, si riesce a comprendere perché gli USA abbiano preferito non intervenire in Corea del Nord, secondo gli schemi militari predisposti in Afghanistan e in Iraq, che pur rimanendo possibili, imporrebbero tuttavia uno sforza strategico e militare eccezionale, rendendo quantomeno necessario l’incremento esponenziale della loro presenza militare nella regione. Inoltre data la difficoltà nello scardinare la linea demilitarizzata, gli americani potrebbero tentare di aggirarle organizzando uno sbarco sulle coste nordcoreane, facendosi carico del rischio di irritare considerevolmente Cina e Russia, che di certo non accoglierebbero con favore un concentramento di mezzi da sbarco ad una manciata di chilometri dai loro confini.
Ad ogni modo, per quanto gli Stati Uniti possano tentare di eludere lo scontro lungo la linea demilitarizzata, quel frangente rischia di attivarsi ugualmente una volta avviate le prime operazioni in territorio nordcoreano. Infatti, per quanto efficaci possano essere gli eventuali bombardamenti convenzionali americani, i nordcoreani non avrebbero particolari difficoltà a resistere asserragliati nelle loro posizioni fortificate di confine, sfruttando i numerosi tunnel per rifornirsi di munizioni, costringendo gli americani ed i loro alleati sudcoreani ad logorante guerra di posizione, configurabile come una via di mezzo fra la guerra del Vietnam e la prima guerra mondiale, date le scarse possibilità di sfondare la massiccia linea difensiva nordcoreana, che tra l’altro espone i militari sudcoreani ed americani alle probabilissime rappresaglie non convenzionali a base chimica dei nordcoreani, potenzialmente in grado di annichilirne la presenza delle truppe mobilitate nell’area. A ciò va aggiunta la seria possibilità che all’attacco americano possa seguire anche una rappresaglia nucleare contro la Corea del Sud, soprattutto nel caso in cui le difese nordcoreane collassassero repentinamente. Detto questo, anche nel caso in cui la coalizione americana riuscisse a scardinare le difese nordcoreane predisposte lungo la linea demilitarizzata, l’avanzata risulterebbe ancora più complicata, data la difficile conformazione geografica nordcoreana, aggravata ulteriormente dai presidi delle numerosissime milizie popolari presenti dietro le prime linee, addestrate a resistere in condizione di vantaggio tattico.
Ad ogni modo, nel caso gli americani riuscissero a superare il 38° parallelo, si ritroverebbero a fare i conti con la Cina, obbligata ad intervenire a sostegno della Corea del Nord in caso di invasione, in conformità con l’Accordo di mutua difesa pluriennale tutt’oggi vigente tra i due paesi asiatici. Pertanto, qualsiasi tentativo di invasione della Corea del Nord innescherebbe automaticamente un conflitto con la Cina, prospettando una riedizione della Guerra di Corea del 1950, quando i cinesi salvarono i loro alleati nordcoreani, respingendo gli americani al di sotto del 38° parallelo. Oggi, la Cina è una potenza militare consolidata, dotata di un discreto arsenale nucleare, e non più un’armata di contadini male equipaggiata, pertanto, un suo intervento non solo potrebbe impedire il rovesciamento di Pyongyang, ma potrebbe addirittura mettere a serio rischio l’indipendenza della Corea del Sud, aumentando il rischio di un escalation nucleare con gli USA, le cui conseguenze potrebbero essere talmente imprevedibili da indurre gli americani a desistere dal predisporre piani per un invasione della Corea del Nord, simili a quelli predisposti in Iraq e Afghanistan.
L’OPERAZIONE “NASO SANGUINANTE”
Gli Stati Uniti sono consapevoli dei costi e dei rischi derivanti dall’invasione militare della Corea del Nord, cominciando a considerare la possibilità di predisporre una massiccia serie di raid preventivi finalizzati alla distruzione degli obiettivi legati al programma missilistico e nucleare di Pyongyang, parliamo dell’operazione denominata “Bloody Nose”, letteralmente naso sanguinante, un operazione che nei progetti del Pentagono non implicherebbe l’invasione del paese, ma solamente la distruzione degli obiettivi sensibili, seguendo l’esempio del bombardamento israeliano del reattore nucleare iracheno di Osirak. L’operazione “Bloody Nose” si configurerebbe come il tentativo circoscritto e relativamente limitato di eliminare la minaccia nucleare nordcoreana, azzerandone la minaccia mediante una serie di raid mirati, predisposti dalla 7°Flotta USA, a mezzo di sciami di missili guidati Tomahawck, seguiti da una serie di sortite dei bombardieri americani stealth B-2, seguiti a stretto giro da bombardieri supersonici B1 e da quelli pesanti B-52, armati con bombe convenzionali ad altissimo potenziale esplosivo, teoricamente in grado di perforare anche i bunker fortificati nordcoreani, dove si celano le componenti del loro arsenale nucleare.
I raid preventivi americani sembrano un operazione relativamente sostenibile, tuttavia non sussistono garanzie circa la loro reale efficacia, giacché successivamente all’attacco non si potrebbe avere la matematica certezza della completa eliminazione degli asset nucleari nordcoreani, senza contare le conseguenze ambientali derivanti dalla distruzione di un reattore nucleare, i cui effetti negativi rischierebbero di riverberarsi all’interno dei paesi limitrofi come la Cina e la Russia, e paradossalmente anche all’interno della stessa Corea del Sud. A queste eventualità, andrebbe aggiunta la possibilità che la Corea del Nord riesca a conservare alcuni vettori, utilizzandoli per operare una devastante rappresaglia contro obiettivi sudcoreani. Un’altra possibilità, è quella che la Corea del Nord decida di reagire in maniera convenzionale, attivando l’artiglieria per spianare Seul, con il serio rischio di innescare un escalation che potrebbe addirittura indurre i nordcoreani ad invadere la Corea del Sud, disattendendo i piani americani di un intervento breve e circoscritto. Infine, va considerata anche la remota possibilità che qualche missile nordcoreano armato di testata nucleare riesca a sfuggire ai raid americani, raggiungendo qualche città della Corea del Sud o del Giappone, se non addirittura degli stessi Stati Uniti, provocando danni ingentissimi e innumerevoli vittime civili. Ad ogni modo, gli USA ritengono che i missili nordcoreani non costituiscano una minaccia particolarmente urgente, poiché la tecnologia a propellente liquido dei vari missili della serie Hwasong, richiede tempi di preparazione al lancio piuttosto lunghi, che li renderebbero vulnerabili a raid preventivi nel corso delle prolungate fasi preliminari al lancio, inoltre, alcuni analisti sostengono che i missili nordcoreani, per quanto validi, non possiedano testate opportunamente schermate per resistere alle fortissime sollecitazioni della fase di rientro in atmosfera, rendendo dubbia la reale efficacia strategica di questi temibili sistemi d’arma.
CONCLUSIONI
Chiudendo questa considerazione, se l’invasione della Corea del Nord ponderata nel nostro ultimo articolo resta fantapolitica, lo stesso non si può dire dell’opzione di un massiccio raid preventivo americano, che per quanto praticabile, pone importantissime incognite, configurandosi per certi versi come una lotteria nucleare, giacché nel caso qualche missile Hwasong riesca a sfuggire alla distruzione, è altamente probabile che finisca per essere recapitato con a bordo una testata nucleare ad un paese tra Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti, configurandosi come una lotteria nucleare, giacché paradossalmente la vittima della rappresaglia nucleare rischia di essere determinata dall’esito del raid, poiché nel caso in cui si salvasse il deposito degli Hwasong-15, la vittima designata sarebbero l’America, se si salvasse un Hwasong-12 la vittima potrebbe essere il Giappone, mentre se non si salvasse nemmeno un missile intercontinentale, resta altissimo il rischio che più di qualche testata nucleare finisca per annichilire gli obiettivi più prossimi della Corea del Sud, giacché i missili a corto raggio nordcoreani non richiedono prolungati tempi di attivazione, essendo in larga parte alimentati a propellente solido, come nel caso dei KN-15 o dei recenti SRBM esibiti a Pyongyang, particolarmente simili ai missili russi Iskander.
In conclusione, un escalation in Corea del Nord pone rischi altissimi per tutti gli attori coinvolti, ragion per cui difficilmente si giungerà a questo punto, nonostante la retorica americana farebbe pensare il contrario, d’altronde senza una minaccia nordcoreana gli Stati Uniti avrebbero serie difficoltà a legittimare la loro crescente presenza militare nella regione asiatica, entrando inevitabilmente in contrasto diretto con la Cina e la Russia, rendendo al contempo più difficile dirottare finanziamenti pubblici al famelico comparto militare, alla continua ricerca di una “minaccia contrastabile” da sventare. Pertanto, è molto probabile che la crisi in Corea del Nord rimanga accesa sul piano politico ancora per lungo tempo, anche se verosimilmente i nordcoreani tenteranno di capitalizzare il vantaggio del loro arsenale nucleare chiedendo una normalizzazione delle proprie relazioni internazionali, che invece gli Stati Uniti non intendono proprio assecondare, preferendo conservare l’attuale rapporto antagonistico, perché in politica la presenza di una minaccia torna sempre utile, soprattutto nella regione asiatica. In ogni caso, gli sviluppi della crisi nordcoreana conseguiranno dagli esiti dell’anomalo, quanto improvviso, incontro tra il presidente americano Donald Trump e Kim Jong-Un, due personaggi che perseguono obiettivi diversi, condividendo un approccio politico spiazzante e totalmente imprevedibile.
PER SAPERNE DI PIU’:
IL PROGRAMMA NUCLEARE NORDCOREANO
IL PROGRAMMA MISSILISTICO NORDCOREANO