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LA CRISI DELLO YEMEN

LA CRISI YEMENITA

Dopo aver dedicato due articoli alla conoscenza del background socio-culturale dello Yemen, adesso proviamo ad entrare nel merito della crisi che tutt’oggi attanaglia il paese, e da cui, al netto della marginalizzazione mediatica, deriva una delle più devastanti crisi umanitarie dell’epoca contemporanea. Ebbene, in questo nuovo articolo proveremo ad approfondire le tappe di questa semi-sconosciuta crisi, partendo da dove avevamo interrotto nell’ultimo articolo, ovvero dalla fine della guerra civile del 1994, attenzionando la realtà zaydita, attorno a cui ruota la contesa politica alla base dell’odierna crisi yemenita.

LA RIORGANIZZAZIONE POLITICA ZAYDITA

Conseguentemente alla sconfitta degli scissionisti sud-yemeniti nella guerra civile del 1994, il Presidente Saleh riuscirà a consolidare la propria leadership in tutto il paese. L’annichilimento dell’opposizione socialista permetterà di normalizzerà il clima nel sud dello Yemen, mentre intanto nelle regioni montuose del nord a ridosso con l’Arabia Saudita, la comunità zaydita cominciava a riorganizzarsi politicamente sotto la leadership dello sceicco Hussein Bahreddin al-Houthi, membro di spicco del Partito zaydita al-Haqq. Lo sceicco al-Houthi era figlio di un importante leader zaydita, formatosi in Iran, patria dell’islam sciita, dove ebbe modo di conoscere l’attuale Ayatollah Alì Khamenei, e Hassan Nasrallah, il leader degli Hezbollah libanesi. Gli zayditi, come abbiamo avuto modo di apprendere nei precedenti articoli, costituiscono una minoranza a cui appartiene circa il 25% degli yemeniti, prevalentemente residenti nelle regioni montuose nord-occidentali a ridosso dei confini con l’Arabia Saudita, paese storicamente ostile alla loro confessione sciita. La minoranza zaydita, ha governato ad intermittenza per circa un millennio la gran parte della regione yemenita, promuovendone l’indipendenza.

Nei primi anni 90, di ritorno dall’Iran, lo sceicco Hussein al-Houthi, fonderà l’organizzazione dei “Giovani Credenti”, poi divenuta nota sotto la denominazione di “Ansarallah” (Sostenitori di Dio), con l’intenzione di rianimare l’antica tradizione islamica zaydita, avvalendosi del contributo di importanti figure sciite come il libanese Nasrallah. L’organizzazione dello sceicco al-Houthi riuscirà a catalizzare il consenso all’interno delle storiche roccaforti zaydite del nord dello Yemen, marginalizzate dal governo di Sana’a, accusato di essere un regime corrotto al soldo dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti, di cui criticarono aspramente l’invasione dell’Iraq di Saddam Hussein.
La crescente influenza dello sceicco al-Houthi allerterà il Presidente Saleh, che dopo aver ricercato senza successo il dialogo con il leader zaydita, ne ordinerà l’arresto, accusandolo di voler rovesciare l’ordine costituzionale per ripristinare l’antico Regno Zaydita, godendo del sostegno iraniano. Ad ogni modo, le accuse di voler ripristinare l’antico Regno zaydita verranno fermamente rigettate dagli stessi zayditi, ben consci di non essere in grado di imporre la loro egemonia alla maggioranza sunnita del paese, e per nulla intenzionati a mettere in discussione la costituzione repubblicana del paese. Nel 2004, il mandato di arresto dello sceicco al-Houthi, verrà  seguito dall’arresto di massa dei suoi seguaci riuniti dinnanzi alla grande moschea della capitale Sana’a, innescando una rivolta zaydita che dopo tre mesi di combattimenti culminerà con l’assassinio dello stesso sceicco Hussein al-Houthi, per mano delle forze di sicurezza yemenite. Successivamente all’assassinio di Hussein al-Houthi, il movimento zaydita Ansarallah verrà generalmente associato proprio al suo nome, mentre intanto la leadership dell’organizzazione passò ad Abdul al-Houthi, uno dei fratelli dello sceicco.

Yemen hussein houthi
(Lo sceicco Hussein al-Houthi, il fondatore zaydita di Ansarallah)

L’assassinio dello sceicco al-Houthi priverà Ansarallah del suo perno organizzativo, ridimensionando la l’attivismo zaydita, placato anche dall’intenzione del Presidente Saleh di non ricandidarsi, accompagnata dalla proposta di una tregua mediata da alcune influenti tribù locali. Tuttavia, nel 2006, il Presidente Saleh recederà dai suoi propositi, ricandidandosi e vincendo le elezioni presidenziali, destabilizzando il clima politico interno, inducendo la tribù Hamadan a schierarsi con Ansarallah. Successivamente alle elezioni, il Presidente Saleh tenterà di placare la rinnovata ostilità zaydita, liberando molti dei ribelli filo-Houthi precedentemente arrestati. Ad ogni modo, l’approccio conciliante di Saleh non riuscirà a placare l’attivismo dei ribelli zayditi, tanto che nel 2007 deciderà di reagire alla loro sfida, mobilitando l’esercito, innescando un vero e proprio conflitto, ricomposto solo dopo l’intermediazione del Qatar, che promuoverà una nuova tregua che sancirà la smilitarizzazione del fronte zaydita e l’esilio dei suoi leader, dietro la liberazione di tutti i ribelli arrestati dal governo.
Il clima politico yemenita precipiterà nuovamente nel 2008, conseguentemente ad un attentato contro una moschea di Sana’a, che il governo addebiterà ai ribelli zayditi, che comunque respingeranno tali accuse. L’attentato riaprirà il conflitto, portando l’esercito yemenita ad assediare le roccaforti montuose zaydite di Sa’ada, godendo del supporto saudita al confine.

Il sostegno saudita all’esercito yemenita, allargherà il conflitto anche all’interno dell’Arabia Saudita, dove i ribelli zayditi effettueranno alcune incursioni, bersagliando alcuni villaggi prossimi al confine, inducendo i sauditi a potenziare le iniziative militari contro le roccaforti zaydite. Nel 2009, agli attacchi sauditi, si aggiungeranno anche quelli degli Stati Uniti, giustificati dal presidente Obama come raid contro obiettivi qaidisti, nonostante gli Houthi fossero un organizzazione sciita, fortemente osteggiata dalla stessa al-Qaida, organizzazione terroristica integralista sunnita, che gli zayditi accusano tutt’oggi di essere milizie cripto-saudite.
La tenace resistenza zaydita, spiazzerà l’esercito yemenita ed i suoi alleati sauditi, esasperando il pessimo clima politico interno dello Yemen, contraddistinto da un diffusissimo degrado socio-economico, amplificato dalla prospettiva di un’ennesima riforma costituzionale, con cui il Presidente Saleh contava di superare il vincolo di mandati presidenziali consecutivi.

LA FINE DELL’ERA SALEH

L’incapacità di Saleh nel venire a capo alla rivolta zaydita, eroderà la sua base di potere, tanto che molti suoi alleati inizieranno a sostenere ad esortarlo dal recedere l’inopportunità di una sua permanenza alla guida del paese. La debole leadership di Saleh, verrà sgretolata definitivamente dalla diffusione delle Primavere Arabe, animate dal grandissimo numero di disoccupati insoddisfatti dalle politiche economiche del suo governo. Le proteste popolari verranno assecondate dalle principali tribù yemenite, dall’influentissima tribù Hashid alla comunità zaydita filo-Houthi, mettendo alle strette il Presidente Saleh, che proverà inutilmente a promuovere un governo di unità nazionale, respinto nettamente da tutte le formazioni di opposizione. L’isolato Saleh, assediato nella capitale Sana’a, rigetterà tutti gli inviti a dimettersi avanzati dall’opposizione, pur mantenendosi disponibile a trovare una soluzione politica mediata dai paesi arabi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), egemonizzati dall’Arabia Saudita. I ribelli zayditi filo-Houthi approfitteranno del caos politico per impossessarsi della città di Saa’da, cacciando le forze di sicurezza governative, e mettendo alle strette i militanti wahhabiti del partito al-Islah, denunciandone la contiguità con al-Qaida, che reagirà con una feroce campagna terroristica contro gli Houthi. Ad ogni modo, la disorganizzazione dell’esercito governativo indurrà i ribelli Houthi a rompere gli indugi, prendendo il controllo della costa nord-occidentale del paese, mettendo sotto scacco persino la capitale Sana’a.

La risoluta resistenza di Saleh vacillerà dopo essere sfuggito al tentativo di linciaggio, conseguente all’assalto del palazzo presidenziale, evento che lo costringerà a rifugiarsi nella vicina Arabia Saudita, incaricando la guardia repubblicana comandata da suo figlio Ahmed di colpire le roccaforti fedeli all’influentissimo Clan al-Ahamar e del partito al-Islah, sostenuti dai wahhabiti filo-sauditi e dai militari ribelli fedeli al Generale Ali Mohsen al-Ahmar.
Dopo un’estenuante trattativa politica, le monarchie arabe riusciranno a convincere il riluttante Saleh a dimettersi, cedendo il potere al suo Vice-Presidente Mansour al-Hadi, anziché a suo figlio Ahmed, ottenendo in cambio l’immunità, accompagnata da un salvacondotto per gli Stati Uniti. Ad ogni modo, l’accordo promosso dal Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), accontenterà un po’ tutta l’opposizione, eccetto che i ribelli zayditi filo-Houthi, che invece lo contesteranno aspramente, considerando al-Hadi, un delfino di Saleh al soldo dell’Arabia Saudita.
Nello specifico, l’accordo promosso da CCG designerà il Vice-Presidente al-Hadi come unico candidato Presidente, incaricato di un mandato biennale imperativamente subordinato alla stesura di una nuova costituzione.

Yemen Hadi e Saleh
( Il neo-Presidente Hadi (sx) riceve il testimone dall’ex-Presidente Saleh (dx) )

IL PROCESSO DI RIFORMA COSTITUZIONALE

Nonostante le ferme proteste zaydite, tre mesi dopo le dimissioni di Saleh, si formò una coalizione a sostegno della candidatura di al-Hadi alle elezioni presidenziali del 2012, boicottate sia dai ribelli zayditi che dai secessionisti sud-yemeniti. Paradossalmente, la rimozione di Saleh acclamata dalla piazza, verrà seguita da un’elezione farsa, in cui l’unico candidato in corsa era il Vice-Presidente Hadi, l’anziano delfino del precedente presidente, “premiato” con il 100% dei consensi, su di un affluenza del 65%. Malgrado la palese anti-democraticità della consultazione elettorale mono-candidato, a dir poco “gattopardesca”, la gran parte dei paesi occidentali accoglierà il risultato con particolare enfasi, riconsegnando il paese alla rinnovata coalizione tribale gradita all’influentissima corona saudita.
Il processo di riforma affidato al neo-Presidente al-Hadi, coadiuvato dal suo Vice Alì Moshen al-Ahmar, faticherà a svilupparsi, inducendo la coalizione a suo sostegno, a rinviare provvisoriamente di un anno le elezioni previste dall’accordo promosso dal CCG. L’incapacità del governo di Hadi nel ristrutturare la disastrata economia yemenita, esaspereranno nuovamente il clima politico interno, inducendo i ribelli Houthi ad assaltare la capitale Sana’a, invocando le dimissioni di al-Hadi, accusato di continuare a favorire il consorzio tribale fedele all’ex Presidente Saleh, a discapito delle realtà rurali periferiche, dove la crisi economica costringeva le popolazioni locali ad un gravissimo stato di deprivazione sociale.

Dinnanzi all’avanzata zaydita, il Presidente al-Hadi proverà ad imbastire un dialogo con gli Houthi, che tuttavia verranno giudicati insoddisfacenti dal loro leader Abdul al-Houthi. In particolar modo, gli Houthi contestarono la scelta del governo di revocare i sussidi per il carburante, come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale, per l’accesso agli aiuti finanziari. Sarà proprio la rimozione di questi sussidi ad indurre la popolazione yemenita ad accogliere favorevolmente l’insurrezione promossa da Ansarallah, considerato come un movimento di riscatto sociale anti-corruzione, contrapposto alle gattopardesche dinamiche politiche con cui le tribù fedeli al vecchio Presidente Saleh stavano cercando di riciclare i loro privilegi e la loro base di potere, illudendo le istanze popolari.
Pur godendo di un crescente consenso popolare, i ribelli Houthi eviteranno di operare un colpo di stato, limitandosi ad esigere le dimissioni del Premier Basindawa, chiedendo all’ONU di promuovere un reale processo riformista finalizzato alla costituzione di un governo di unità nazionale che includesse anche loro, respingendo i veti sauditi. Sotto la pressione militare dei ribelli Houthi, il Presidente al-Hadi cederà alle loro richieste, nominando Bahaha Primo Ministro. Tuttavia, malgrado queste premesse, i veti incrociati tra il governo di al-Hadi, il Congresso Generale Popolare (GPC) di Saleh e i ribelli Houthi manderanno a monte l’accordo mediato dall’ONU, inducendo questi ultimi due a rinunciare a sostenere il nuovo governo di unità nazionale.

Agli inizi del 2015, gli Houthi criticheranno la nuova bozza costituzionale stilata dal governo, contestando l’intenzione di metteva al bando tutti i partiti fondati sull’appartenenza etnico o religiosa.  La riforma costituzionale contestata, esasperò il clima politico interno, inducendo gli Houthi ad accusare il Presidente al-Hadi di aver tradito i presupposti dell’accordo alla base del governo di unità nazionale, tentando di bandirli dalla scena politica, sostenendo tacitamente le manovre qaidiste contro di loro. La crisi politica culminerà con l’assalto del palazzo presidenziale di Sana’a da parte dei ribelli Houthi, e la rocambolesca fuga del Presidente al-Hadi, che si dimetterà nonostante le esortazioni dei ribelli Houthi a correggere il processo di riforma costituzionale avviato, impegnandosi ad eliminare gli elementi motivi di disputa.
Le dimissioni di al-Hadi verranno accolte dalla popolazione della capitale Sana’a, dove i cittadini acclameranno i ribelli Houthi, inneggiando slogan contro gli Stati Uniti e Israele.

IL COLPO DI MANO ZAYDITA

All’indomani della conquista di Sana’a, Abdul al-Houthi il farà un appello televisivo a tutte le forze politiche del paese, invitandole a collaborare alla stabilizzazione della situazione politica yemenita, incontrando tuttavia solo la collaborazione del GPC dell’ex-Presidente Saleh, accusato dai media panarabi, di proprietà delle monarchie del golfo persico, di aver favorito gli Houthi nella conquista zaydita della capitale Sana’a, triangolando finanziamenti dagli Emirati Arabi Uniti, accusa che sarà alla base delle sanzioni che ONU e USA imporranno contro di loro. Dinnanzi alla mancanza di collaborazione politica, i ribelli Houthi scioglieranno le camere ed istituiranno un Consiglio Presidenziale provvisorio formalmente affidato a Mohammed Alì al-Houthi, coadiuvato da un nuovo parlamento composto da membri dei comitati rivoluzionari. Ad ogni modo, il nuovo governo Houthi non verrà riconosciuto né dall’opposizione, né dal CCG, né tanto meno dagli Stati Uniti, che accuseranno i ribelli zayditi di essere al soldo dell’Iran, con cui condividono la confessione islamica sciita. Gli Houthi, dal canto loro, continueranno ad esortare la comunità politica yemenita ad aprire un processo di riforma condiviso e inclusivo, mediato dalle Nazioni Unite.

Yemen Abdul Houti leader
( Abdul al-Houthi il leader dei ribelli di Ansrallah )

L’apertura degli Houthi, aprìrà un timido processo negoziale che gli islamisti del partito tribale al-Islah e i nasseristi abbandoneranno rapidamente, adducendo a presunte minacce provenienti dalla delegazione zaydita. L’ex-presidente al-Hadi, succube dei suoi sponsor sauditi, chiederà di stabilire come sede negoziale proprio l’Arabia Saudita, condizione che verrà nettamente respinta dagli Houthi e dal GPC di Saleh, concordi nell’impostare un processo politico in un ambiente neutrale, immune dalla pervasiva influenza di Riyadh.
Nel frattempo, nella città costiera di Aden, l’opposizione si coagulerà attorno al presidente al-Hadi, che non esiterà a chiedere l’intervento militare del Consiglio di Cooperazione del Golfo contro quelli che definirà golpisti Houthi. Ad ogni modo, la debole leadership di Hadi verrà compromessa ulteriormente dopo che il capo di stato maggiore al-Saqqaf rigetterà la sua richiesta di dimissioni, disconoscendo la legittimità dell’ex-presidente, accusandolo di voler trasformare lo Yemen in una nazione qaidista. Il generale al-Saqqaf, si schiererà dalla parte dell’ex-presidente Saleh, agli ordini di cui guiderà un fallimentare assalto all’aeroporto di Aden, respinto dall’esercito fedele ad Hadi, che tuttavia non riuscirà a contenere la successiva offensiva lanciata dalle milizie Houthi, che indurrà Hadi a lasciare Aden, rifugiandosi nella più sicura Arabia Saudita, mentre intanto al-Qaida e le milizie fedeli all’Isis scatenavano una cruenta escalation terroristica, contro obiettivi Houthi. La fuga di Hadi verrà contestata duramente dai secessionisti sud-yemeniti, che lo avevano sostenuto sperando di ottenere l’indipendenza, mentre intanto a Sana’a i sostenitori dell’ex-presidente Saleh, invocavano l’affidamento della presidenza al figlio Ahmed.

LA GUERRA CIVILE YEMENITA

Il rafforzamento degli Houthi nello Yemen verrà accolto con particolare favore dall’Iran, che pur garantendo il proprio supporto, non prenderà parte diretta nella contesa, respingendo le accuse americane di essere direttamente coinvolto nella crisi yemenita, rifornendo di armi i ribelli Houthi. Gli USA ed i loro alleati occidentali contesteranno a più riprese il sostegno iraniano ai ribelli Houthi, anche se ciò non impedirà loro di fornire armi la coalizione araba a guida saudita, responsabile di operazioni militari che in non pochi casi si configureranno come veri e propri crimini di guerra. La contiguità occidentale alle operazioni militari arabe nello Yemen, configurerà come in Siria, una “anomala alleanza” con formazioni jihadiste come al-Qaida, con cui condividevano l’ostilità verso gli Houthi, che tra l’altro, si ritroveranno braccati anche da alcune compagnie mercenarie private, come l’americana Academi.
La crescente influenza iraniana sui ribelli Houthi in prossimità della conquista di Aden, indurrà l’Arabia Saudita a mobilitare il proprio esercito all’interno dei confini yemeniti, nel tentativo di puntellare la roccaforte del governo in esilio presieduto da al-Hadi. L’iniziativa militare saudita in Yemen verrà promossa dal Principe Mohammed Bin Salman, il figlio del Re Salman, protagonista di una audace manovra di palazzo culminata con lo scavalcamento del più moderato principe Muqrin nella linea di successione al trono.

L’iniziativa militare araba si svilupperà principalmente attraverso raid aerei, coinvolgendo collateralmente anche l’Egitto di al-Sisi, che dispiegherà la propria marina militare a garanzia della fruibilità delle rotte commerciali del Mar Rosso, dove operava anche la Marina americana, intenzionata ad impedire all’Iran di rifornire militarmente i ribelli Houthi, su cui intanto l’ONU aveva imposto un embargo sulle importazioni militari. L’offensiva araba oltre a bersagliare le roccaforti Houthi, devasterà il paese, colpendo numerosi obiettivi civili, e contribuendo ad alimentare una disastrosa crisi umanitaria, mentre intanto anche al confine con l‘Arabia Saudita diveniva oggetto di la ricorrenti scambi di artiglieria, accompagnati da sporadici lanci di missili verso siti petroliferi sauditi da parte degli Houthi. Ad ogni modo, la campagna aerea araba riuscirà a spezzare l’assedio Houthi nel circondario di Aden, permettendo alle forze fedeli al presidente al-Hadi di consolidare il proprio controllo nel sud del paese, puntellando le loro basi fondamentali.

I TENTATIVI DI RISOLUZIONE POLITICA

Nel corso della guerra civile, l’ONU tenterà di promuovere un nuovo processo negoziale, accolto favorevolmente dagli Houthi, ma osteggiato dall’ex Presidente Hadi, che successivamente accetterà di partecipare, dopo aver inutilmente richiesto il ritiro delle milizie zaydite. I negoziati produrranno una fragile tregua che tuttavia non troverà riscontro sul campo, dove le parti continuarono a contrastarsi. Il Consiglio di Sicurezza ONU con la risoluzione 2216 imporrà agli Houthi il ritiro dalle città conquistate, sostenendo la creazione di un nuovo governo di unità nazionale inclusivo di tutte le parti in conflitto, soluzione sostenuta fin dal principio dagli Houthi, ma avversata fermamente dalla coalizione fedele ad Hadi, che invece non intendeva condividere con loro il potere, pressati soprattutto dai loro sponsor sauditi, contrari a legittimare politicamente un alleato iraniano. Il fallimento della tregua ONU, verrà seguito da una nuova iniziativa diplomatica promossa dal vicino Regno dell’Oman, paese che vantava ottime relazioni sia con il fronte delle monarchie del golfo sunnite, che con l’Iran sciita. Nello specifico, la proposta avanzata dall’Oman prevedeva il ritiro dell’esercito fedele ad Hadi e delle milizie Houthi; il riconoscimento di un governo presieduto provvisoriamente da al-Hadi, coadiuvato dall’Ambasciatore Khaled Bahah; rinnovamento istituzionale previo nuove elezioni; istituzionalizzazione dell’organizzazione Houthi ed integrazione dello Yemen all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Tuttavia dopo i primi incontri diplomatici, anche questo tentativo diplomatico si arenerà, mantenendo il conflitto aperto.

Yemen Hadi USA
( Il Presidente dello Yemen al-Hadi con l’allora Segretario di Stato USA Kerry )

La situazione muterà sul finire del 2017, quando gli Houthi scopriranno i contatti che l’ex-presidente Saleh intratteneva con gli Emirati Arabi Uniti, incrinando la loro scomoda alleanza. Lo stallo politico e militare aveva infatti convinto l’ex-presidente Saleh a ripristinare il rapporto con l’Arabia Saudita, svincolandosi dall’alleanza con gli Houthi, con cui condividevano il controllo della capitale Sana’a, dove scoppieranno feroci scontri. Gli Houthi reagiranno prontamente al tradimento di Saleh, bloccandone la fuga verso l’Arabia Saudita, predisponendo un’imboscata culminata con il suo assassinio, per mano di un cecchino. L’assassinio si Saleh si consumerà sotto un intensa campagna di bombardamenti saudita che martellerà le posizioni Houthi per molti giorni a seguire, senza tuttavia riuscire a mutare la situazione sul campo. Successivamente all’assassinio di Saleh, suo figlio Ahmed fuggirà negli Emirati Arabi Uniti, mentre il GPC si scinderà in due fazioni, una che confermerà l’alleanza con gli Houthi rotta dal loro leader, e una che si schiererà dalla parte della coalizione fedele al presidente Hadi, che denuncerà l’assassinio del suo vecchio alleato. Questi eventi hanno determinato l’attuale situazione nello Yemen, dove la guerra civile continua tutt’oggi, con conseguenze umanitarie disastrose, per lo più ignorate dai mass-media, e soprattutto senza che la comunità internazionale sappia porvi rimedio. Oggi la precarietà del governo in esilio di Aden, sconta soprattutto la debolezza dell’anziano Presidente Hadi, la cui leadership non sembra aver grandi prospettive temporali, il ché sembra andare a vantaggio del suo Vice-Presidente Alì Mohsen al-Hamar, che sembra in grado di rilanciare le dinamiche di potere alla base del partito islamico-tribale al-Islah, particolarmente popolare persino all’interno della realtà tribale nord-occidentale dello Yemen, dove dominano i ribelli Houthi.

Vice-Presidente Ali Mohsen al-Ahmar
( Il Vice-Presidente Ali Mohsen al-Ahmar )

CONCLUSIONI

La riunificazione dello Yemen si realizza successivamente a quella della Germania, dopo un tormentato processo negoziale inframezzato da assassini e colpi di stato, nel nord quanto al sud. I due Yemen costituiscono indubbiamente un unico popolo, che per anni è stato costretto a vivere diviso da logiche politiche straniere, le stesse che l’imamato zaydita ha sempre cercato di ostacolare, tenendo un approccio restrittivo alle relazioni internazionali. Infatti, come abbiamo avuto modo di constatare nei nostri precedenti articoli, l’unità e l’indipendenza del popolo yemenita è stata storicamente ostaggio delle logiche geopolitiche di paesi quali la Turchia, il Regno Unito, l’Egitto, l’Arabia Saudita, l’Iran, la Russia e gli USA. Le potentissime influenze straniere hanno diviso artificialmente questo popolo, esasperando le endemiche contrapposizioni tribali, che tutt’oggi configurano idealmente un poligono politico, ai cui vertici troviamo la componente politica storicamente più organizzata degli zayditi, oggi riconducibile all’organizzazione degli Houthi contigua all’Iran; la componente tribale egemonizzata dal Clan al-Hamar; la componente islamica sunnita contigua al wahhabismo saudita; la componente cosmopolita e secessionista di Aden, influenzata dai britannici prima e dai sovietici dopo; e la componente militare in passato contigua al panarabismo nasserista e al GPC di Saleh. Al contrario di quello che potrebbe sembrare, la contrapposizione politica interna allo Yemen non è una contrapposizione geografica, ma una contrapposizione politica tra 5 forze politiche che si intersecano reciprocamente in un vortice di alleanze, ostilità e tradimenti, spesso ispirati dall’esterno.

Ad ogni modo, negli anni 90, come abbiamo avuto modo di costatare, l’unificazione yemenita si realizzerà successivamente ad una guerra civile, che disintegrerà la componente cosmopolita secessionista, divisa tra socialisti moderati e radicali, mentre nel nord dello Yemen, il ridimensionamento della componente zaydita permetterà alla pragmatica componente militare di conquistare il potere, cooptando le importanti componenti tribali e islamiste, federate all’interno del partito al-Islah. Il Presidente Saleh, riuscirà ad estendere la propria egemonia politica proprio grazie alla strategica alleanza con queste due componenti, che oltre al consenso locale, gli garantiranno anche un proficuo rapporto con la vicina Arabia Saudita. L’alleanza politica tra la componente militare di Saleh e quelle tribale e islamica, è stata cementata alimentando un vorticoso sistema clientelare, che privilegiava le loro élite, a scapito delle realtà periferiche come quella zaydita, il cui malcontento verrà catalizzato dall’efficace mobilitazione del movimento fondato dalla famiglia Houthi. Per quanto identificato come un movimento zaydita, i ribelli Houthi si mobiliteranno sostanzialmente per denunciare il regime clientelare che Saleh aveva patrocinato per anni senza riuscire a porre rimedio all’endemica precarietà economica che attanagliava il paese, soprattutto all’interno delle povere realtà periferiche.

L’inadeguatezza politica di Saleh non era contestata dai soli Houthi, ma anche dalla componente tribale periferica, divenuta sempre più critica nei confronti dell’efficacia delle politiche economiche varate dal governo del Presidente, tanto che nel 2011, approfitterà dell’onda delle “Primavere Arabe” per forzare l’allontanamento di Saleh, cooptando parte della sua componente militare, stanca del suo approccio politico arbitrario. Nonostante la strenua resistenza, il Presidente Saleh sarà costretto a lasciare il potere, cedendo alla pressione militare dei ribelli Houthi, amplificata dalla sfiducia dei suoi vecchi alleati. All’interno del clima popolare delle Primavera Araba yemenita, le componenti tribale ed islamica prenderanno il sopravvento, grazie al determinante supporto esterno dell’Arabia Saudita, che riuscirà persino a cooptare parte della componente militare, sostenendo l’ascesa politica del Vice-Presidente al-Hadi, trasformando quella che sembrava una rivoluzione in un semplice rimpasto di governo, che gli Houthi denunceranno fermamente dopo essere stati estromessi dal nuovo governo di unità nazionale. L’esclusione degli Houthi dal governo di unità nazionale, verrà verosimilmente imposto dall’Arabia Saudita, che non intendeva dare legittimità ad un movimento identificato con la sua nemesi sciita iraniana.

L’isolamento politico degli Houthi, produrrà un malcontento che più tardi esploderà, quando il neo-presidente al-Hadi si dimostrerà incapace di varare le riforme costituzionali concordate, aggravando addirittura la disastrosa situazione economica interna, revocando i sussidi ai carburanti per accedere ai finanziamenti del FMI. La “gattopardesca” coalizione di governo guidata da Hadi verrà ammonita a più riprese dagli Houthi, che esasperati dalla pessima situazione economica prenderanno d’assalto la capitale Sana’a, da dove il presidente fuggirà per stabilirsi prima ad Aden, e dopo in Arabia Saudita. Gli Houthi riusciranno a prendere il controllo della capitale Sana’a, avvalendosi della cooperazione della componente militare fedele a Saleh. Gli Houthi e Saleh da nemici si sono ritrovati uniti, accomunati dallo stato di isolamento politico imposto dall’Arabia Saudita, che considerava i primi dei nemici irriducibili, e il secondo un reietto politico. Ad ogni modo, con il loro colpo di mano, gli Houthi cercheranno inutilmente di costringere il Presidente Hadi a recedere dalla sua intenzione di metterli al bando all’interno della nuova costituzione, cercando di convincerlo ad includerli all’interno del processo di riforma costituzionale. Tuttavia, i reiterati inviti degli Houthi verranno regolarmente respinti da Hadi, evidentemente incapace di svincolarsi dalla pervasiva influenza saudita.

Presidente dello Yemend Hadi e Re Salman Arabia Saudita
( Il Presidente dello Yemend Hadi e Re Salman d’Arabia Saudita )

Al netto dei proclami, la leadership di Hadi era al dir poco inconsistente, anche perché successivamente al ritorno in scena di Saleh gran parte della componente militare si schiererà dalla parte del loro vecchio presidente, rendendolo Hadi un fantoccio privo di reale potere nelle mani dell’Arabia Saudita, legittimato solo dall’establishment occidentale. La coalizione fedele ad Hadi si installerà ad Aden dove godrà dello scomodo sostegno dei secessionisti sud-yemeniti, che sebbene deboli, continuavano a rivendicare un’indipendenza, che non era, e non è nei programmi sauditi, giacché tale ipotesi legittimerebbe l’installazione di un governo sciita filo-iraniano ai propri confini. Infatti, Hadi più che sul supporto dei secessionisti, conta essenzialmente sull’altrettanto scomodo e “informale” sostegno della componente islamista, che negli ultimi anni ha abbandonato l’approccio moderato del partito al-Islah, radicalizzandosi sulle posizioni salafite dei gruppi qaidisti e fedeli all’Isis, che sul campo costituiscono la principale forza militare contrapposta a quella degli Houthi. Dunque, la leadership di Hadi si regge sul campo essenzialmente grazie al “supporto indiretto” di milizie jihadiste e di milizie mercenarie private, coadiuvate da contingenti militari sauditi ed emiratini che presidiano tutt’oggi la sua roccaforte di Aden.

In particolar modo, senza il supporto militare saudita, Hadi non sarebbe riuscito a reggere la pressione Houthi sulla costa meridionale del paese, conservata solo grazie alle intense campagne aeree predisposte dall’aviazione militare saudita, i cui “effetti collaterali” continuano tutt’oggi ad aggravare la disastrosa situazione umanitaria yemenita, che i mass-media marginalizzano, riservando un attenzione nemmeno lontanamente paragonabile a quella riservata alla ben più nota crisi siriana, dove si registra comunque una certa “approssimazione informativa”.
Va poi considerato che la crisi yemenita ha influito anche sullo scacchiere politico saudita, giacché l’approccio interventista della ricchissima monarchia araba è stato promosso dall’intraprendente principe Mohammed Bin Salman, abile nello sfruttare la crisi yemenita per rimpiazzare il più moderato principe Muqrin nella line adi successione della petro-monarchia del golfo. La potente influenza saudita ha sabotato ogni tentativo dell’ONU di mediare una soluzione politica della crisi yemenita, ostacolando qualsiasi ipotesi di negoziato con i ribelli Houthi. Sarà sempre la pervasiva influenza saudita ad infrangere la fragile intesa che gli Houthi avevano raggiunto con Saleh, convincendo quest’ultimo ad abbandonarli, pagando con la propria vita il prezzo del tradimento.

Oggi la crisi yemenita resta aperta, con gli Houthi che continuano a controllare le popolose regioni del nord dello Yemen, reggendo ad un pluriennale assedio imbastito da una coalizione araba che almeno sulla carta, data l’ampia disponibilità di risorse finanziarie e militari a disposizione, avrebbe dovuto annichilire l’insurrezione da anni, e invece si ritrova ad arrancare, dimostrando che in guerra non sempre la superiorità di mezzi garantisce la vittoria, un po’ come hanno imparato gli Stati Uniti nei loro interventi in Afghanistan e Iraq. Il prolungarsi del conflitto dimostra l’impossibilità di una soluzione militare alla crisi yemenita, rendendo necessario un negoziato che promuova un governo di unità nazionale che riconosca il giusto peso anche agli Houthi, e ciò a livello geopolitico configurerà inevitabilmente una sconfitta dell’Arabia Saudita, che si ritroverebbe costretta a legittimare l’influenza di un organizzazione filo-iraniana ai propri confini, che nel medio-lungo periodo costituirebbe una replica degli Hezbollah libanesi installata nel sud della penisola arabica. Questa soluzione, per quanto scomoda, sembra tuttavia quella più ragionevole, anche perché il prolungamento del conflitto rischia di compromettere seriamente le finanze saudite, assottigliatesi dopo anni di guerra inconcludente, da considerare come una tappa fondamentale della guerra fredda che la monarchia saudita da anni combatte con la Repubblica islamica iraniana.

Nello Yemen ritroviamo certamente un plurisecolare conflitto religioso che contrappone sunniti e sciiti, dietro cui gli osservatori meno ideologizzati potranno benissimo individuare una lotta per il controllo delle strategiche rotte commerciali che passano dallo strategico stretto di Bab el-Mandeb. Nello specifico, un consolidamento del fronte Houthi metterebbe l’Iran nelle condizioni di controllare due delle tratte commerciali petrolifere internazionali, quella dello stretto di Hormuz e quella di Bab el-Mandeb, dove al traffico petrolifero si aggiungono i non indifferenti flussi commerciali provenienti dall’estremo oriente, parliamo di un zona marittima talmente strategica da essere controllato a vista dalle principali potenze internazionali concentrate proprio in prossimità dello Yemen, a Gibuti, dove sorgono basi militari di paesi come USA, Cina, Francia, Italia, Germania, Giappone e Regno Unito.

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( Mappa del Medioriente con in rilievo gli strategici stretti di Hormuz e Bab el-Mandeb )

Proprio mentre ultimiamo l’articolo, ci giunge la notizia che l’anziano Presidente Hadi abbia lasciato lo Yemen per gli Stati Uniti, spostamento giustificato da motivi di salute. Oggi pertanto la leadership del governo in esilio ad Aden è verosimilmente nelle mani del potente Vice-Presidente Alì Mohsen al-Ahmar, il principale referente della tribù Hashid, che gode di un forte sostegno popolare anche nelle regioni nord-occidentali dominate dai ribelli Houthi, dove precedentemente sorgeva il Regno zaydita e la Repubblica Arana nord-yemenita, ché, dopo l’assassinio dell’ex-Presidente Saleh, potrebbe innescare mutamenti significativi nella crisi yemenita.

PER SAPERNE DI PIU’:

CONOSCIAMO LO YEMEN 1°Parte

CONOSCIAMO LO YEMEN 2 °Parte