CONOSCIAMO IL VENEZUELA (3°Parte)
Nella seconda parte di questo focus dedicato alla conoscenza del Venezuela ci eravamo lasciati agli albori dell’epoca d’oro venezuelana, quando l’ascesa del prezzo del petrolio venne sfruttata dall’amministrazione di Azione Democratica (AD) del Presidente Andres Perez, per proiettare il paese nella modernità.
LE CONTRADDIZIONI DELL’ORO NERO
Durante l’amministrazione AD del Presidente Carlos Andres Perez, l’incremento esponenziale del prezzo del petrolio contribuì al repentino processo di sviluppo economico del paese. Tuttavia, il governo venezuelano non riuscirà a sfruttare il massiccio afflusso di valuta straniera forte, per avviare un serio processo di industrializzazione con cui proiettare il paese tra le principali realtà economiche globali. Ben presto, con il rapido calo del prezzo del petrolio, la massiccia spesa pubblica impiegata per sostenere l’esteso stato sociale e il pachidermico apparato burocratico statale cominciò a palesare tutta la sua insostenibilità economica, costringendo il governo ad indebitarsi pesantemente con le istituzioni finanziarie internazionali.
L’inevitabile contraccolpo economico finì col pregiudicare la popolarità di Andres Perez, e di conseguenza quella di Azione Democratica (AD). La discutibile gestione finanziaria dell’amministrazione AD, nel 1973, favorirà la conquista della presidenza di Luis Herrera Campis, il candidato dei Cristiano-sociali del COPAI. Il nuovo Presidente manterrà un approccio dirigista, tentando di stimolare l’iniziativa economica privata attraverso l’erogazione di appositi fondi pubblici, continuando ad espandere il debito pubblico, confidando nella risalita dei prezzi del petrolio.

Ad ogni modo, la formula del nuovo governo COPAI non riuscirà a correggere la deriva economica negativa innescatesi durante la precedente amministrazione di centro-sinistra AD. Sempre durante questo periodo, la crescente inflazione indurrà il governo a classificare molte banche straniere come istituzioni usuraie, spingendole a lasciare il paese. La fuga delle banche internazionali si tradurrà in una fuga di capitali stranieri, nel frattempo divenuti essenziali per sostenere le massicce importazioni di beni dall’estero, dal momento che l’80% dei beni consumati in Venezuela erano di produzione estera. Crisi amplificata dalla progressiva svalutazione del Bolivar (-50%) e dall’altissimo tasso di disoccupazione (20%). Nel 1982, durante la sua gestione, Herrera Campis si distinguerà per il sostegno politico all’iniziativa argentina nelle Isole Malvinas (Falkland per il Regno Unito) contro le forze di occupazione britanniche. La solidarietà politica del Venezuela fu dettata dalla comune ostilità nutrita nei confronti del Regno Unito, a cui rimproveravano l’ingannevole sottrazione dei territori incamerati dalla Guyana. Sempre durante questo periodo, un gruppo di ufficiali ispirati dagli ideali di Simon Bolivar, stanchi della corruzione dilagante causata dal duopolio AD-COPEI, si riuniranno sotto la sigla del Movimento Bolivariano Rivoluzionario 200 (MBR-200). Tra i leader del MBR-200 si distingueranno il Comandante Hugo Chavez, e Francisco Arias Cardenas, personalità legata agli ambienti della teologia della liberazione. Il MBR-200 sintetizzerà una struttura ideologica alquanto aperta e variegata, che spaziava dalle idee dell’estrema sinistra a quelle dell’estrema destra, armonizzando teorie socialiste e capitaliste in una sorta di terza via da contrapporre sia al modello neoliberista che a quello sovietico.
IL RITORNO DI AZIONE DEMOCRATICA
Le elezioni del 1984, premieranno Jaime Lusinchi, il Segretario generale di Azione Democratica (AD), noto per essere stato tra i perseguitati della dittatura del Presidente Marcos Perez Jimenez. Il nuovo governo AD tenterà di porre rimedio alla crisi economica, rinegoziando il debito pubblico contratto con le istituzioni finanziarie internazionali, convincendo i paesi OPEC a tagliare la produzione, incrementando il prezzo del petrolio, da cui continuava a dipendere la debole economia venezuelana. L’impegno di Lusinchi riuscirà a sbloccare l’economia, portando il PIL al 6%. Tuttavia, gli sforzi per la ristrutturazione del debito pubblico e per la razionalizzare della spesa pubblica degraderanno ulteriormente la precaria situazione economica, contribuendo a svalutare ulteriormente il Bolivar. Le difficoltà economiche esaspereranno il clima sociale, peraltro aggravato dalla diffusissima corruzione della pubblica amministrazione. L’insoddisfazione popolare crescerà al punto tale da convincerà il governo AD a cambiare registro, decretando una serie di aumenti salariali, accompagnati dall’erogazione di sussidi sociali. Ad ogni modo, l’amministrazione AD sarà ricordata anche per la storica visita di Papa Giovanni Paolo II (1985), il primo pontefice a visitare il Venezuela. Sempre durante la gestione Lusinchi, una disputa inerente la sovranità sulle acque territoriali nel Golfo del Venezuela rischierà di degenerare in un vero e proprio conflitto con la Colombia, quando una fregata colombiana violerà i confini venezuelani, ritrovandosi minacciata dagli F-16 di Caracas. Alla vigilia delle elezioni presidenziali, Lusinchi patrocinerà la candidatura del Ministro degli interni Octavio Lepage. Tuttavia, la candidatura del delfino di Lusinchi verrà affossata dal deludente risultato conseguito nelle primarie di Azione Democratica, vinte dall’ex Presidente Carlos Andres Perez, a cui la costituzione non impediva di candidarsi per un secondo mandato non consecutivo.

LA LIBERALIZZAZIONE VENEZUELANA
Malgrado le difficoltà economiche, nel 1989, Azione Democratica riuscirà a riconfermare un proprio membro alla guida del paese, eleggendo addirittura per la seconda volta Carlos Andres Perez, capace di raccogliere il 52% dei consensi, a fronte del 40% conseguito dall’avversario del COPEI. Nonostante la notoria avversione nutrita nei confronti delle istituzioni finanziarie internazionali, a più riprese criticate durante la precedente campagna elettorale, il Presidente Andres Perez si ritroverà costretto a concordare l’intervento del Fondo Monetario Internazionale (FMI), lo stesso che in passato accusò di essere un ente economico totalitario e genocida. Il “pacchetto di aiuti” finanziari del FMI verrà subordinato ad un processo di riforma economica di stampo neo-liberista raccomandato dagli Stati Uniti. Tra le misure richieste c’era la fine dell’intervento pubblico in economia, la privatizzazione delle industrie statali, l’incremento della pressione fiscale e la riduzione dei dazi doganali. La liberalizzazione dell’economia venezuelana, soprattutto nel settore petrolifero, innescherà un repentino incremento dei prezzi dei beni di consumo, precedentemente calmierati dal governo.

Nello specifico, l’aumento del 100% del prezzo della benzina, innescherà una serie di rivolte nel paese, soprattutto nella capitale Caracas, dove i manifestanti si renderanno protagonisti di numerosi episodi di saccheggio, a cui le forze di polizia non riusciranno a far fronte. Ben presto, la rivolta degenererà in una vera e propria insurrezione, a cui il governo reagirà impostando lo stato di emergenza rafforzato da una rigida legge marziale, con cui decreterà la sospensione dei diritti fondamentali della costituzione. La risposta governativa sarà particolarmente brutale, tanto che alla fine degli innumerevoli scontri armati si conteranno centinaia di vittime, oltre che danni per svariati milioni di dollari, a cui farà fronte grazie ad un nuovo prestito emergenziale erogato dal Presidente USA George Bush Sr. Gli Stati Uniti sospettano tutt’oggi che, in realtà, le rivolte venezuelane del 1989 non siano state innescate tanto dagli effetti sociali delle riforme economiche neoliberiste da loro raccomandate, quanto, invece, dall’intervento dei servizi segreti cubani infiltrati tra i ranghi dell’esercito venezuelano, intenzionati a prendere il controllo delle riserve petrolifere del paese al fine di sopperire alla fine del tradizionale sostegno economico sovietico.
I DUE GOLPE DEL MBR-200 DI CHAVEZ
La perdurante crisi economica, convincerà l’organizzazione MBR-200 guidata dal Colonnello Hugo Chavez ad agire predisponendo i piani per un colpo di stato inizialmente pianificato per l’inizio del 1991, e successivamente posticipato al 4 Febbraio 1992. L’iniziativa del MBR-200 prevedeva il sequestro del Presidente Andres Perez, di ritorno dal World Economic Forum di Davos, una volta atterrato, per poi affidare l’interim all’ex-presidente Rafael Caldera. Operazione, che nei piani di Chavez si sarebbe dovuta sviluppare parallelamente all’occupazione dei principali centri di potere da parte dell’esercito. Tuttavia, la prospettiva dell’affidamento dell’interim a Caldera, irriterà l’Ammiraglio Hernan Gruber Odreman, inducendolo a defezionare dalla congiura, permettendo al Presidente Andres Perez di sfuggire rocambolescamente alla cattura imboccando l’autostrada a fari spenti in direzione del palazzo presidenziale, dove si ritroverà assediato da un altro manipolo di militari golpisti. Tuttavia, la scarsa partecipazione dei militari al colpo di stato pregiudicherà l’assalto a Palazzo Miraflores, dove la guardia presidenziale anziché agevolare i golpisti, prenderanno le difese del Presidente, aiutandolo a fuggire verso la Tv di stato, da dove riuscirà a chiamere a raccolta l’esercito lealista, mandando a monte il golpe. Infatti, sebbene i golpisti fossero riusciti a prendere il controllo di alcune importanti città, avvalendosi della cooperazione di molti civili, i militari artefici del golpe si ritrovarono traditi e assediati dai loro stessi colleghi, che nei momenti decisivi de colpo di stato decideranno di sottrarsi dalla congiura a cui avevano aderito in un primo momento.

Messi alle strette, i congiurati si arrenderanno, assecondando l’appello che il loro leader Hugo Chavez lancerà in diretta Tv, prima di consegnarsi alle autorità, e di essere posto agli arresti. Sarà proprio l’appello alla resa del Colonnello Chavez a renderlo popolare tra le masse venezuelane, con cui ben presto cominciarono a identificarsi. Paradossalmente, l’iniziativa golpista del MBR-200 di Chavez verrà inizialmente condannata dal leader cubano Fidel Castro. Ad ogni modo, al termine del golpe, si contarono decine di feriti e caduti, sia tra i militari governativi e congiurati, che tra gli stessi civili solidali ai golpisti.
Pochi mesi dopo il fallito golpe, i militari tenteranno un nuovo colpo di stato, prendendo il controllo di una sede della TV statale dove riusciranno a trasmettere un videomessaggio che Chavez aveva registrato in carcere, e in cui esortava il popolo venezuelano a rivoltarsi contro il governo AD. Tuttavia, anche questo nuovo tentativo fallirà, nonostante la conquista di alcune basi militari, prontamente liberate nel giro di poche ore dalle forze di sicurezza rimaste fedeli al Presidente Andres Perez, la cui popolarità verrà seriamente compromessa da questa nuova sfida ribelle. Il degrado dell’autorevolezza di Andres Perez verrà amplificato anche dalle aspre critiche rivoltegli dall’ex-presidente Caldera, intensificatesi dopo le accuse di corruzione avanzate dalla procura, che contestò al Presidente l’appropriazione indebita di denaro pubblico. Le pesanti accuse mosse dalla procura scateneranno uno scandalo culminato con la revoca dell’immunità al Presidente Andres Perez, che malgrado si rifiutasse di dimettersi, alla fine verrà estromesso dal Congresso attraverso la procedura impeachment prevista dalla costituzione.
IL GOLPE ISTITUZIONALE DI CALDERA
Sull’onda dell’indignazione popolare nei confronti dell’establishment di Azione Democratica (AD), l’ex-Presidente Caldera abbandonerà il COPAI, promuovendo il movimento “Convergenza Nazionale”, con cui riuscirà a catalizzare i consensi di molti piccoli partiti marginalizzati dal sistema bipolare varato negli anni 60, come ad esempio il Partito Comunista Venezuelano (PCV). Del resto, la convergenza politica del leader dei cristiano-sociali del COPAI, si era intuita già nel corso del primo golpe del MBR-200, predisposto con l’intenzione di affidare la transizione proprio all’ex-presidente Caldera, personalità politica di spessore, ritenuta affidabile sia dall’establishment che dagli stessi golpisti. I propositi dei militari golpisti si realizzeranno nel Dicembre 1994, quando l’anziano Rafael Caldera (86 anni) riuscirà a riconquistare la presidenza del Venezuela, battendo il candidato di Azione Democratica, nonostante l’affluenza in forte calo rispetto alle precedente tornate elettorali (-40%). La vittoria di Caldera, confermerà la sua contiguità politica con i militari golpisti, prontamente amnistiati dal nuovo Presidente, animato da un’ideologia democristiana che mirava al superamento del dualismo tra liberismo e socialismo, rigettando gli estremismi del comunismo e del capitalismo, considerate derive politiche differentemente perniciose. Ad ogni modo, l’approccio conciliante di Caldera verrà accolto tiepidamente da Hugo Chavez, secondo cui la costituzione vigente continuava a subordinare la politica venezuelana alle logiche bipolaristiche impostate dall’oligarchia venezuelana. Addirittura, Chavez accarezzerà persino l’idea di un nuovo colpo di stato, ritenendosi scettico circa le sue reali possibilità di riuscire a scardinare per vie democratiche gli antichi equilibri oligarchici.

Una volta al potere, il nuovo Presidente venezuelano si ritroverà a fare i conti con la disastrata situazione economica, decidendo di impostare una politica economica finalizzata al risanamento dei conti pubblici, attraverso il potenziamento delle agenzie di riscossione fiscale. Durante i primi mesi della nuova amministrazione, falliranno alcune delle più importanti banche del paese, situazione a cui Caldera reagirà nazionalizzando gli istituti finanziari interessati, garantendo così i depositi dei correntisti. Parallelamente a queste iniziative, il governo riaprirà l’industria petrolifera agli investimenti stranieri, riuscendo a conseguire un proficuo aumento della produzione. Caldera varerà un programma economico impostato sulle linee guida richieste dal FMI, incrementando i prezzi dei carburanti, liberalizzando i tassi di interesse e ridimensionando i vincoli posti a tutela dei prezzi dei beni di consumo. Riforme che, nel 1995, permetteranno al PIL di tornare a crescere (+5%), grazie anche alla determinante ripresa dei prezzi del petrolio che, tuttavia, nel 1997, freneranno nuovamente, limitando nuovamente le prospettive di sviluppo del paese, inducendo il governo a istituire un apposito fondo di stabilizzazione economica, con cui tenterà di schermare il bilancio nazionale dalle endemiche fluttuazioni del mercato petrolifero. Caldera riuscirà a sincronizzare queste riforme economiche con la sfera sociale, agevolando anche il confronto tra sindacati e imprese. Nonostante le ristrettezze finanziarie, il suo governo riuscirà comunque realizzare alcune importanti infrastrutture come la l’estensione della metropolitana di Caracas e della rete idrica nazionale, implementando la costruzione di alcune importanti autostrade e ferrovie.
Durante l’amministrazione Caldera il Venezuela subirà un attacco della guerriglia marxista colombiana dell’ELN, che provocherà alcune vittime tra i militari posti a presidio dei confini fluviali con la Colombia. In quell’occasione, il governo di Caracas deciderà di cooperare con la Colombia, effettuando addirittura alcuni raid lungo i confini tra i due paesi.
LA DISCESA IN CAMPO DI CHAVEZ
Parallelamente al mandato presidenziale di Caldera, all’interno del sistema politico venezuelano si registrerà un certo fermento, soprattutto all’interno del MBR-200, diviso tra l’ala scettica, contraria ad ogni ipotesi di partecipazione elettorale che legittimasse il vigente ordine bipolare, e l’ala più pragmatica di Francisco Arias Cardenas, convinto di poter riuscire a competere anche all’interno di un sistema costituzionale sfavorevole. Questa contrapposizione politica interna al movimento, indurrà Francisco Arias Cardenas a lasciare l’organizzazione, fondando il movimento “Causa Radicale”, con cui riuscirà a vincere le elezioni dell’importante governatorato di Zulia, strappandolo al controllo di AD.
Nel 1997, al culmine di un lungo e combattuto dibattito interno al MBR-200, pesantemente influenzato dall’insperata vittoria di Arias Cardenas, prevalse la volontà di candidare Chavez, che all’epoca i media accreditavano attorno all’8%. Nel corso del 97, Chavez viaggerà in lungo e in largo per il paese, divulgando il suo progetto di rivoluzione sociale bolivariana, riscontrando anche il supporto di alcune importanti personalità politiche sudamericane, come il Presidente cubano Fidel Castro, che incontrerà nel 1999, e con cui inizierà a costruire un rapporto politico particolare che si intensificherà nel corso degli anni avvenire. Durante i suoi numerosi viaggi, Chavez avrà modo di frequentare gli ambienti della guerriglia rivoluzionaria colombiana delle FARC e dell’ELN, con cui condivideva l’ideologia socialista.
Al rientro in Venezuela, Chavez inizierà la sua campagna elettorale sotto l’insegna del “Movimento per la 5° Repubblica” (M5R), con cui intendeva porre fine alla deludente e austera deriva neo-liberista impostata dal Presidente Caldera, giudicata inadeguata a rispondere alle domande di equità provenienti dalle masse popolari. Nello specifico, la scelta di fondare un nuovo soggetto politico fu dettata dal divieto di utilizzare il nome di Simon Bolivar per fini politici, vincolò costituzionale che indurrà Chavez ad optare per una sigla che manifestasse l’intenzione di aprire una 5° fase della vita storica e politica venezuelana, che nei suoi propositi sarebbe dovuta coincidere con l’elaborazione di una nuova costituzione. La nuova formazione di Chavez incontrerà anche il favore del vecchio collega Arias Cardenas. Agevolato dal suo carisma e dall’efficacissima retorica rivoluzionaria del suo leader, il Movimento per la 5° Repubblica guadagnerà il sostegno dei socialisti e dei comunisti venezuelani, riuscendo ad allargare la sua base di consenso. Le fasce popolari meno abbienti, oltre che dall’indiscutibile carisma di Chavez, verranno conquistate dal suo ambiziosissimo programma politico che mirava al blocco del processo di privatizzazione di PDVSA, alla revisione delle concessioni petrolifere concesse alle multinazionali straniere, alla redistribuzione popolare degli introiti petroliferi, all’impostazione di una politica economica svincolata dai principi del neoliberismo, all’introduzione di un salario minimo, al potenziamento del sistema sociale, passando per la revisione della costituzione, la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale.

Nel 1998, sull’onda dell’entusiasmo popolare, Chavez (56%) riuscirà a conquistare la presidenza, battendo Henrique Salas Romer (40%), il candidato sostenuto da AD e COPAI. Inizialmente, Chavez manterrà una condotta politica alquanto moderata, coinvolgendo nel suo governo sia esponenti di estrazione socialista che esponenti di centrodestra, confermando il Ministro dell’economia del precedente governo Caldera, con cui cercherà di far fronte alla pessima situazione economica, aggravata dall’ennesimo calo del prezzo del petrolio. Ad ogni modo, il nuovo governo, pur mantenendo un approccio cauto in economia, accantonerà il processo di privatizzazione avviato dalla precedente amministrazione Caldera. Nello specifico, la strategia economica di Chavez puntò a sfruttare il potenziale dell’industria petrolifera nazionale, limitando la produzione nel tentativo di spingere gli altri paesi OPEC a fare lo stesso, incrementando così il prezzo del greggio. Il governo chavista tenterà anche di convincere le multinazionali petrolifere a rinegoziare le concessioni precedentemente assegnategli, senza, tuttavia, riuscire nell’intento, ritrovandosi costretto a recedere da questo ambizioso proposito per evitare una sconveniente nuova fuga degli indispensabili capitali stranieri.
Tra i primi provvedimenti più popolari del governo Chavez ci fu l’inaugurazione del modello delle “missioni bolivariane”, con cui provò a sfruttare il potenziale militare del paese mettendolo al servizio dello sviluppo del benessere della comunità. Chavez, a differenza dei suoi predecessori, continuerà ad intrattenere un rapporto poitico diretto con il popolo venezuelano, con cui interloquiva almeno una volta a settimana all’interno del suo programma radiofonico “Alò Presidente”. Il governo chavista promuoverà anche una contestatissima riforma agraria finalizzata alla redistribuzione delle terre non sfruttate dall’oligarchia latifondista, titolare dell’85% dei fondi agricoli del paese.
LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA IN COSTITUZIONE
Nel 1999, forte di un crescente consenso popolare, Chavez indirà un referendum popolare che autorizzerà la procedura di revisione costituzionale, iniziativa sostenuta dall’88% dei venezuelani. La nuova costituzione verrà elaborata da un’apposita Assemblea Costituente, eletta pochi mesi dopo, e dominata dalla coalizione chavista. La nuova bozza costituzionale, ispirata dal pensiero del libertador Simon Bolivar e di altre personalità legate all’ideologia socialista radicale, oltre a introdurre la possibilità di licenziare i funzionari pubblici corrotti, abrogherà il divieto del secondo mandato presidenziale consecutivo, estendendone la durata da 5 a 6 anni, integrando le due camere in un’unica Assemblea Nazionale, mutando, infine, la denominazione ufficiale del paese da Repubblica di Venezuela a “Repubblica Bolivariana del Venezuela”. La nuova bozza costituzionale si focalizzerà particolarmente anche sui diritti sociali, estendendo la tutela dei diritti umani, garantendo le prerogative ambientali e delle popolazioni indigene, innalzando il livello di istruzione gratuita fino all’università, implementando un sistema di assistenza sanitaria pubblica gratuita. Tra le peculiarità della nuova costituzione venezuelana ci fu la procedura di impeachment presidenziale, sottratta all’arbitrio parlamentare, e delegata direttamente al popolo che, nella misura del 20% del collegio elettorale, aveva il diritto di indire un referendum per la revoca del mandato presidenziale (Art. 72).
I lavori della costituente si concluderanno nonostante le obiezioni pregiudiziali avanzate dalla Corte Costituzionale e dai due rami del Parlamento che, tuttavia, alla fine verranno esautorati, archiviando le loro pretese di supremazia rispetto all’Assemblea Costituente. Al termine della contesa istituzionale, la Costituente consegnerà alla cittadinanza il nuovo testo costituzionale, ratificato nel Dicembre dello stesso anno dal 71% dei votanti, anche se con un modesto 44% di affluenza.
Pochi mesi dopo la promulgazione della nuova “costituzione bolivariana”, i venezuelani verranno richiamati nuovamente alle urne per eleggere la nuova Assemblea Nazionale e il nuovo Presidente della Repubblica. Le elezioni presidenziali vedranno contrapposti Hugo Chavez e Francisco Arias Cardenas, divenuto via via sempre più critico nei confronti dell’egemonia politica del suo ex-compagno di partito, riconfermato alla guida del paese con il 60% dei consensi. Parallelamente alla riconferma del Presidente Chavez, il suo Movimento per la 5° Repubblica (M5R) riuscirà a conquistare il 44% dei consensi nelle elezioni parlamentari, seguito dal 16% di Azione Democratica (AD), e dagli altri partiti minori partecipanti alle elezioni legislative, caratterizzate da un tasso di astensione del 44%, inferiore a quello del referendum costituzionale confermativo.
L’ALLEANZA CON CUBA E L’ALLONTANAMENTO USA
Tra i primi atti del nuovo “governo bolivariano” di Hugo Chavez ci fu il consolidamento delle relazioni bilaterali con la Cuba di Fidel Castro, con cui stipulò un accordo internazionale che, tutt’oggi, garantisce importanti forniture petrolifere in cambio di consulenti medici e professori altamente qualificati impiegati nel potenziamento del sistema sociale venezuelano. Il supporto venezuelano permetterà a Cuba di far fronte al crescente isolamento internazionale, conseguente alla dissoluzione dell’alleato sovietico. Il rafforzamento dei legami con Cuba contribuiranno ad allontanare il Venezuela dagli Stati Uniti, i cui rapporti degraderanno ulteriormente per via delle strette relazioni intrattenute con Iran, Iraq e Libia, tutti paesi governati da personalità politiche fortemente ostracizzate da Washington. Nel 2001, Chavez entrerà in contrasto anche con la Colombia, ostacolando l’estradizione di uno dei capi della guerriglia dell’ELN, accusato di atti di terrorismo in patria. Successivamente all’11 Settembre 2001, Chavez non mancherà di contestare l’unilateralismo militare USA, condannandone pubblicamente i crimini perpetrati in Afghanistan contro la popolazione civile innocente durante la guerra al terrorismo avviata dall’amministrazione Bush Jr. Ad ogni modo, Chavez trarrà giovamento dalla guerra al terrore avviata dagli Stati Uniti, approfittando del conseguente incremento del prezzo del petrolio, trainato, tra l’altro, dal progressivo aumento della domanda delle tigri asiatiche. L’incremento esponenziale delle risorse derivanti dalle remunerative esportazioni petrolifere, che costituivano l’80% delle entrate del paese, verrà sfruttato dal governo bolivariano per sviluppare ulteriormente i suoi ambiziosi programmi sociali, molti dei quali finanziati attingendo direttamente alle risorse di PDVSA, sempre più sotto controllo pubblico.

Ben presto la contiguità politica ed economica con Cuba susciterà l’indignazione dell’opposizione, fortemente critica nei confronti dei consulenti cubani posti a capo del sistema scolastico venezuelano, e a cui contestavano la colonizzazione ideologica socialista. In particolar modo, sul finire del 2001, il sindacato CTV, espressione dell’establishment di Azione Democratica, promuoverà uno sciopero generale organizzato dal presidente della Federazione delle Camere di Commercio Pedro Carmona, un potente oligarca del petrolio venezuelano. L’ostilità dell’establishment venezuelano nei confronti di quello che consideravano un governo autoritario, verrà condivisa anche da alcuni importanti ufficiali delle forze armante, che arriveranno addirittura a chiedere le dimissioni del Presidente Chavez, perorando l’attivazione della procedura di impeachment. Questi militari, criticavano aspramente la contiguità politica con Cuba e la guerriglia colombiana di FARC e ELN, realtà che fino a ieri erano stati abituati a considerare come nemici irriducibili dello stato venezuelano. Addirittura, l’opposizione di AD arriverà a denunciare alla Corte Suprema l’insanita mentale del Presidente Chavez, al fine di estrometterlo per via costituzionale. Dinnanzi alle minacce di sciopero, Chavez reagirà sostituendo la dirigenza di PDVSA, con personalità politiche a lui vicine. Licenziamenti che avverranno in diretta televisiva nel corso del suo consueto programma “Alò Presidente”, e che susciteranno lo sciopero di numerosi lavoratori di PDVSA, particolarmente critici nei confronti della scelta di tagliare la produzione petrolifera nel tentativo di incrementare il prezzo del greggio su scala globale. Durante questo controverso periodo, il Segretario Generale dell’OPEC, il venezuelano Alì Rodriguez Araque ventilerà la tesi di un presunto complotto internazionale, secondo cui i governi di Iraq e Libia intendevano coinvolgere il Venezuela nell’organizzazione di un embargo petrolifero contro gli Stati Uniti come rappresaglia per il loro supporto fornito a Israele. Iniziativa che, secondo Alì Rodriguez, gli USA intendevano sabotare rovesciando per tempo il governo di Chavez che, tuttavia, prenderà pubblicamente le distanze da questo scenario.
IL GOLPE DELL’OPPOSIZIONE OLIGARCHICA
Tra l’8 e il 9 Aprile 2002, lo sciopero generale organizzato dall’opposizione bloccherà il paese, incontrando l’enfasi delle principali Tv private venezuelane, di proprietà dei principali oligarchi, che copriranno l’evento sospendendo le rispettive programmazioni ordinarie, esaltando le istanze dell’opposizione. I promotori dello sciopero decideranno di prolungarlo indefinitivamente, organizzando una marcia sulla sede di PDVSA. Tuttavia, l’11 Aprile, i dimostranti cambieranno il programma concordato con le autorità, decidendo di dirigersi a Palazzo Miraflores, la sede della Presidenza della Repubblica, dove nel frattempo si erano radunati migliaia di sostenitori del Presidente Chavez. Sotto le esortazioni dei leader dell’opposizione, i manifestanti verranno incitati a forzare i cordoni di sicurezza per assediare il palazzo presidenziale, dove si apprestavano ad ingaggiare i sostenitori chavisti. Lo scontro tra le due fazioni verrà impedito da numerosi colpi di arma da fuoco esplosi dai tetti degli edifici circostanti l’area, e indirizzati indiscriminatamente da cecchini ignoti contro i dimostranti di entrambi i cortei. I fucili dei cecchini faranno decine di vittime civili, suscitando un caotico clima da guerra civile, prontamente strumentalizzato dalle Tv private, che non esiteranno ad addossare sommariamente le responsabilità degli eventi al Presidente Chavez, evitando di interpellare i membri del governo, il cui unico mezzo di informazione pubblico verrà reso inutilizzabile da un gruppo di militari ribelli, che costringeranno gli operatori televisivi ad abbandonare gli studi, mettendo in onda un documentario sull’ecosistema naturale.
Dinnanzi alla prospettiva di un assalto a Palazzo Miraflores, Chavez indosserà la divisa militare, ordinando all’esercito di intervenire per ripristinare l’ordine nella capitale, mettendo il perimetro del Palazzo Presidenziale sotto la protezione dei carri armati dell’esercito. Ordine che, tuttavia, il capo di stato maggiore si rifiuterà di eseguire, temendo le responsabilità umanitarie conseguenti ad uno scontato confronto con i manifestanti civili. L’ormai demoralizzato Chavez, prossimo alla capitolazione, riconsidererà l’idea dopo una telefonata di Fidel Castro, avanzando la propria disponibilità a dimettersi, ma all’interno dell’iter costituzionale, cedendo i poteri al vice-presidente Diosdado Cabello, e dietro la garanzia di essere esiliato a Cuba insieme alla sua famiglia. Condizioni che i golpisti rigetteranno in blocco, inviando l’esercito a Palazzo Miraflores per arrestarlo nel cuore della notte, minacciando di bombardare il palazzo presidenziale in caso di resistenza. Dinnanzi a queste minacce, Chavez cederà, consegnandosi nelle mani delle forze armate golpiste che, dopo averlo arrestato, divulgheranno un comunicato in cui sosterranno che il Presidente aveva deciso liberamente di dimettersi, cosa che in realtà Chávez non farà.
LE 24 ORE DELLA GIUNTA GOLPISTA DI CARMONA
Poche ore dopo l’arresto del Presidente Chavez, i militari affideranno la presidenza ad-interim a Pedro Carmona, il principale promotore dello sciopero generale, che dinnanzi alla stampa negherà di aver complottato per il rovesciamento di Chavez. Tra i primi atti del presidente golpista ci fu l’abrogazione della costituzione bolivariana e delle leggi promosse durante il governo chavista, disponendo la rettifica della denominazione dello stato da Repubblica Bolivariana di Venezuela a Repubblica di Venezuela. Oltre all’abrogazione della costituzione, il governo golpista disporrà anche lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, della Corte Suprema e di tutte le amministrazioni pubbliche elette durante l’era Chavez. Carmona, nominerà anche un nuovo direttore di PDVSA, che annunciò subito l’intenzione di interrompere le forniture di petrolio a Cuba, impegnandosi a conformarsi all’embargo statunitense, favorendo l’incremento della produzione petrolifera e prendendo le distanze dalle strategie concordate con l’OPEC, guadagnandosi così il rapido riconoscimento degli USA, seguito a ruota da quello di Spagna, Regno Unito e Israele. La nuova giunta golpista, sostituirà tutti i dirigenti chavisti con membri dell’oligarchia liberale, marginalizzando quelle formazioni di sinistra che avevano contribuito al successo dello sciopero generale, tradendo Chavez. Anche molti degli ufficiali traditori si ritroveranno ripagati con la stessa moneta, ritrovandosi subordinati a colleghi più defilati nel corso del golpe, dinamica che degraderà i rapporti di fiducia all’interno della giunta golpista.

Durante l’insediamento della giunta golpista, la notizia che Chavez non si era dimesso ma posto agli arresti trapelerà, ispirando la mobilitazione dei ceti popolari fedeli al leader bolivariano, inducendoli ad assediare Palazzo Miraflores. La mobilitazione popolare chavista, galvanizzerà gli ufficiali bolivariani, convincendoli ad intimare a Carmona la liberazione del Presidente Chavez. Sicuri del supporto popolare, il giorno dopo il colpo di stato, i militari lealisti della Guardia Presidenziale romperanno gli indugi prendendo il controllo di Palazzo Miraflores, repentinamente evacuato dai golpisti. Successivamente al contro-golpe, il governo bolivariano riprenderà le sue funzioni sotto la leadership del Vice-presidente Diosdado Cabello, mentre Carmona riusciva a sfuggire all’arresto, rifugiandosi nell’ambasciata colombiana, da dove qualche giorno dopo otterrà dal governo un salvacondotto per la Colombia. Lo stesso giorno, l’Organizzazione degli Stati Americani promuoverà un processo di dialogo tra il governo di Chavez e l’opposizione riunita sotto un unico Coordinamento Democratico (CD).
Successivamente al ripristino delle sue funzioni presidenziali, Chavez ordinerà delle indagini che dimostreranno il coinvolgimento indiretto degli Stati Uniti nell’organizzazione del colpo di stato, denunciando il ruolo dell’attuale inviato speciale per la crisi in Venezuela Elliott Abrams, già compromesso nell’organizzazione di altre torbide operazioni in America Latina. Nello specifico, gli Stati Uniti prenderanno le distanze dalla fallimentare iniziativa di Carmona, revocando il riconoscimento precedentemente accordatogli, pur invitando sibillinamente Chavez ad imparare la lezione.
IL RIPRISTINO DELLA PRESIDENZA CHAVEZ
Immediatamente dopo il suo ritorno al potere, Chavez seguirà il consiglio dei consulenti per la sicurezza cubani, epurando lo stato maggiore venezuelano, rimpiazzando i vertici militari con ufficiali ritenuti più affidabili. Tuttavia, molti degli ufficiali golpisti verranno addirittura scagionati, con sentenze finalizzate ad agevolare la riconciliazione nazionale. Logica che verrà replicata anche sul piano politico, dove Chavez eviterà di perseguire l’opposizione, tentando di riconciliarsi, promuovendo l’ingresso di personalità moderate all’interno del suo governo, e reintegrando la dirigenza precedentemente epurata dal board di PDVSA. Tuttavia, malgrado la buona volontà di Chavez, l’opposizione continuerà ad avversarlo, riorganizzando una nuova ondata di scioperi finalizzati a bloccare il comparto petrolifero, e con esso tutto il paese, rimasto a corto di carburante. L’opposizione organizzerà scioperi quotidiani per tutto il 2002, godendo della complicità delle Tv private apertamente schierate con il Coordinamento Democratico dell’opposizione, esortando addirittura i venezuelani a non pagare le tasse. Ad ogni modo, lo sciopero non produrrà i risultati attesi dall’opposizione, ma contribuirà solo a degradare ulteriormente la situazione economica venezuelana, e le condizioni di vita dei venezuelani.
Il governo di Chavez, da parte sua, reagirà allo sciopero licenziando il 40% dei lavoratori di PDVSA, con l’accusa di aver abbandonato il posto di lavoro, disponendo, tra l’altro, anche l’arresto dei dirigenti dei sindacati coinvolti. Il giro di vite del governo chavista, indurrà l’opposizione a recedere dai suoi propositi, collaborando al processo di riconciliazione nazionale mediato dall’Organizzazione degli Stati Americani, appellandosi all’Art 72 della Costituzione bolivariana, che permetteva di indire un referendum per la revoca del mandato presidenziale. Tuttavia, il referendum dell’Agosto del 2004 confermerà la presidenza Chavez con il 58% dei consensi, contro il 42% racimolato da tutte le forze di opposizione, che non perderanno l’occasione per denunciare presunti brogli, che a loro dire avrebbero viziato l’esito della consultazione, allontanandolo drasticamente dai risultati previsti dagli exit-poll da loro commissionati. Ad ogni modo, il risultato referendario verrà accreditato sia dall’Organizzazione degli Stati Americani, che dal governo statunitense.
CONCLUSIONI
Il petrolio è stato la grande fortuna del Venezuela, ma anche la principale causa della sua precarietà economica. Al petrolio, infatti, si deve il repentino processo di sviluppo socio-economico del paese, tuttavia, la scelta di strutturare un economia esclusivamente sulle esportazioni di greggio, esporrà il paese alle endemiche fluttuazioni dei prezzi di questa importante materia prima. L’ancoraggio dell’economia nazionale al comparto petrolifero costringerà i venezuelani a vivere sulle montagne russe, alternando fasi di sfrenata opulenza a fasi di profonda crisi. Fasi alternate dal ricorso al massiccio indebitamento internazionale. Durante l’amministrazione AD di Andres Perez il paese vivrà una delle fasi più favorevoli della sua storia, godendo di una significativa espansione del tenore di vita medio, accompagnato da un estesissimo stato sociale. Il governo AD, sfrutterà gli immensi proventi petroliferi per estendere la sua base di consenso, integrando grandi percentuali di forza lavoro all’interno dell’apparato pubblico, trascurando la promozione di un tessuto economico privato. La carenza di un vero tessuto economico costringerà i venezuelani a dirottare le loro risorse economiche all’estero, da dove proveniva la gran parte dei beni consumati, lasciando quelle poche risorse presenti all’interno del paese nelle mani di una ristretta cerchia di oligarchi. L’effimera epoca d’oro venezuelana verrà spazzata via dal ribasso dei prezzi del petrolio, palesando tutta la sua insostenibilità finanziaria.
La crisi economica che ne conseguirà pregiudicherà le aspettative di vita della popolazione, mutando l’atteggiamento politico dei cittadini venezuelani nei confronti della establishment oligarchico, oscillante tra le due principali forze politiche del paese, l’AD e il COPAI. Infatti, il netto del peggioramento delle condizioni economiche generali, produrrà i suoi effetti negativi sostanzialmente sulle classi medio-bassa, lasciando relativamente invariato il tenore di vita dell’oligarchia venezuelana. Il degrado delle condizioni socio-economiche delle classi meno abbienti, e l’esplosione della corruzione, susciterà sentimenti di rivalsa, intercettati dal MBR-200 di Hugo Chavez, ispirato da un mix ideologico socialista alternativo sia al comunismo sovietico che alla liberal-democrazia. L’attivismo del MBR-200 si svilupperà proprio mentre i governi espressione del duopolio AD-COPAI negoziavano le riforme economiche neo-liberiste richieste dalle istituzioni finanziarie internazionali come condizione per la concessione dell’assistenza finanziaria necessaria a garantire la sostenibilità dei conti pubblici del paese. Le riforme varate imposteranno un processo di privatizzazione che contribuirà ad aggravare le pessime condizioni economiche dei venezuelani, lasciati da un giorno all’altro in balia del libero mercato, senza la tradizionale tutela sui prezzi esercitato dallo stato. Le ricette economiche turboliberiste internazionali si riveleranno inadeguate alla realtà venezuelana, configurando tutta una serie di contraddizioni sociali che finiranno per trascinare il paese sull’orlo della guerra civile.
Nel 1992, la situazione socio-economica si degradò ad un punto tale, da convincere il MBR-200 di Chavez a rompere gli indugi, organizzando un colpo di stato, che benché fallimentare, darà la spallata definitiva all’inadeguato sistema oligarchico venezuelano. Paradossalmente, il fallimento del golpe di Chavez, e il suo conseguente arresto, farà la sua fortuna politica, proiettandolo agli onori della cronaca, e rendendolo l’idolo delle masse, identificatesi con il suo status di perseguitato dal corrotto potere oligarchico. Il golpe di Chavez, sarà un golpe anomalo, dal moneto che si realizzerà proprio quando il movimento socialista internazionale si apprestava ad essere archiviato in conseguenza del crollo dell’URSS. Addirittura, anche lo stesso Fidel Castro condannerà la sua iniziativa golpista. Infatti, l’iniziativa di Chavez non fu propriamente un golpe socialista classico, quanto piuttosto un tentativo brusco di aprire una nuova stagione politica, che superasse la tradizionale egemonia di Azione Democratica, liberalizzando gli antichi e oramai insostenibili equilibri politici venezuelani. Non a caso, il golpe del MBR-200 intendeva affidare l’interim all’ex-Presidente Caldera, personalità moderata, particolarmente apprezzata sia dall’oligarchia che dagli stessi militari. In ogni caso, nonostante il fallimento dei due golpe militari, la precaria presidenza Andres Perez finirà ugualmente per essere demolita e rimpiazzata proprio da Caldera, al culmine di un repentino processo di impeachment.
La gestione Caldera metterà mano al risanamento dei conti pubblici, processo aggravato dalla necessita di nazionalizzare gli istituti di credito sull’orlo del fallimento. La politica economica di Caldera si adeguerà ancora una volta alle linee guide delle istituzioni finanziarie internazionali, promuovendo quel processo di liberalizzazione dell’economia richiesto dal FMI, con cui tentare di sviluppare una solida economia indipendente dal mutevole comparto petrolifero, anch’esso sottoposto ad un processo di privatizzazione. L’approccio compiacente di Caldera rispetto alle pressioni finanziarie internazionali, allontanerà Chavez da questa stagione politica, convincendolo a considerare una sua possibile discesa in campo politico. Ipotesi, che tuttavia considerava alquanto deleteria all’interno di un sistema costituzionale fondamentalmente vincolato dalle antiche logiche politiche bipolari varate dall’establishment, e che Caldera alla fine si è guardato bene dal riformare. La comprensione di quest’epoca è fondamentale per comprendere l’ascesa di Chávez, poiché senza la dissennata gestione finanziaria AD-COPAI, probabilmente non ci sarebbe stato nessun Chávez, la cui ascesa va intesa come la risposta ad una questione politica degenerata in una gravissima crisi sociale, oramai improcrastinabile. Ad ogni modo, malgrado i dubbi iniziali, la discesa in campo di Chavez, favorita dal supporto dei movimenti socialisti più o meno radicali, culminerà in un insperato successo politico nelle presidenziali del 1997.
Il nuovo governo Chavez pur mantenendo una linea politica alquanto moderata rispetto a quelli che erano le premesse, revisionerà il processo di privatizzazione impostato da Caldera, ripristinando il controllo pubblico sul comparto petrolifero, promuovendo il taglio della produzione al fine di determinare un incremento dei prezzi del greggio su scala globale. Dal comparto petrolifero, il governo chavista riuscirà a ricavare ingenti risorse destinate alla spesa sociale, con cui riuscirà a migliorare le condizioni sociali delle classi meno abbienti, aiutate anche dalle numerose missioni bolivariane impostate dall’esercito. Le iniziative sociali di Chavez, sommate al suo indiscutibile carisma, lo renderanno un leader anomalo per il panorama politico venezuelano, capace di mantenere un rapporto politico diretto e costante con le masse, cosa a cui non erano affatto abituate. Al di là delle considerazioni ideologiche, Chavez rivoluzionò la politica venezuelana, soprattutto nei modi di rapportarsi con la gente, instaurando un proficuo, e decisamente inedito, rapporto di comunicazione diretta tra governanti e governati. Per certi versi, Chavez sarà il prototipo dei sovranisti populisti tanto di voga oggi, e profondamente avversati dall’establishment globalista liberal-democratico.
Sull’onda di questo entusiasmo popolare Chavez riuscirà a riformare la costituzione venezuelana, plasmandola sui quei principi bolivariani più volte richiamati nel corso della sua carriera politica, e posti alla base del cosiddetto socialismo del XXI secolo. Riforma costituzionale osteggiata dall’opposizione, che come oggi, contesterà le prerogative supreme dell’Assemblea costituente, pretendendo di poter vincolare l’iter di revisione costituzionale autorizzato dai cittadini a mezzo referendum. Ad ogni modo, successivamente alla riforma costituzionale, Chavez inizierà ad impostare la sua visione di paese, sia sul piano interno che sul piano internazionale, stringendo le relazioni con Cuba, a discapito del tradizionale rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, con cui intratterrà relazioni via via sempre più critiche. Sarà proprio il rapporto particolare costruito con i cubani a destabilizzare il suo governo, rendendolo oggetto di aspre contestazioni da parte dell’opposizione legata all’oligarchia liberale filo-americana. L’ostilità dell’opposizione nei confronti del governo Chavez culminerà in uno sciopero generale culminato con un fallimentare colpo di stato, fallito a causa della solidarietà che Chavez riscontrerà sia tra i ceti popolari che tra i ranghi dell’esercito venezuelano. Successivamente al colpo di stato Chavez tenterà di riconciliarsi con l’opposizione, ottenendo in cambio una nuova tornata di scioperi, rientrati solo in prossimità del referendum del 2004, che lo confermerà alla guida del paese. Come abbiamo potuto constatare, i problemi economici, e di conseguenza politici, del Venezuela, precedono l’ascesa di Chavez, e dipendono sostanzialmente dalla fallimentare struttura economica impostata dal duopolio AD-COPAI, espressione dell’oligarchia venezuelana che oggi, come nel 1992, scende in piazza perseguendo il colpo di stato, delegittimando un processo politico derivante dalla loro inadeguata visione politica.
Nel prossimo, e ultimo articolo, dedicato alla conoscenza del Venezuela, analizzeremo gli sviluppi più recenti della storia venezuelana, ripercorrendo la parabola dell’era chavista fino ai giorni d’oggi.