CONOSCIAMO L’IRAN (1° Parte)
Come già fatto con Siria, Corea, Yemen, Kurdistan e Venezuela, adesso proviamo a conoscere l’Iran, un altro potenziale teatro di crisi internazionale.
CENNI GENERALI
La Repubblica islamica dell’Iran, precedentemente nota come Persia, è un paese mediorientale confinante con Armenia, Azerbaijan, Turkmenistan, Afghanistan, Iraq e Turchia. L’Iran, come l’Arabia Saudita, il Bahrein, il Kuwait, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti si affaccia sul Golfo Persico e condivide l’accesso al Mar Caspio con Russia, Kazakistan e Azerbaijan. L’Iran conta circa 81 milioni di abitanti, e l’etnia prevalente è quella persiana (61%), con cospicue minoranze azere (16%) e curde (10%), seguite da altre meno numerose come quelle arabe, turkmene e beluche. La lingua ufficiale è il persiano, affiancato da dialetti azeri, curdi e turchi, particolarmente diffusi a livello regionale. Ad ogni modo, anche l’inglese e l’arabo hanno una discreta diffusione. Come si evince dalla sua denominazione ufficiale, la religione islamica riveste un ruolo fondamentale nella vita sociale e politica dell’Iran, soprattutto dopo la Rivoluzione islamica promossa da Khomeini nel 1979. Nello specifico, in Iran prevale la confessione sciita duodecimana dell’islam, riconosciuta come religione di stato, e condivisa da circa il 95% della popolazione, mentre il resto degli iraniani appartiene alla confessioni islamica sunnita, o ad altre religioni minoritarie come il Cristianesimo, l’ebraismo o il zoroastrismo a cui è riconosciuta una rappresentanza parlamentare.

L’Iran è per l’appunto una Repubblica islamica di tipo presidenziale, attualmente presieduta da Hassan Rohani, titolare del potere esecutivo, mentre il parlamento (Majles) esercita il potere legislativo, in nome del popolo che lo elegge democraticamente, seppur sotto stretta supervisione delle istituzioni islamiche sciite, il cui massimo esponente è la Guida Suprema, attualmente l’ayatollah Ali Khamenei. Le città più importanti dell’Iran sono la popolosa capitale Teheran (circa 12 Milioni di abitanti) seguita da Mashad (circa 2 milioni di abitanti), Esfahan, Tabriz, Karaj, Shiraz, Ahvaz, Qom, ecc. Sul piano economico l’Iran è un paese che vive soprattutto di esportazioni petrolifere e minerarie, anche se l’agricoltura rimane uno dei settori forti del paese, la cui valuta è il Riyal.
DAL DOMINIO ARABO ALL’IMPERO SAFAVIDE
La storia dell’Iran e indissolubilmente legata alla religione islamica, un connubio iniziato nel VII secolo d.C. quando i territori riconducibili all’odierno Iran vennero conquistati dal califfato islamico. Durante il dominio dei califfi arabi, la popolazione iniziò a convertirsi alla nuova religione monoteista, spesso per non precludersi i vantaggi fiscali e politici derivanti dall’appartenenza alla comunità islamica. Nonostante il fortissimo ascendente religioso dei califfi arabi, nei due secoli avvenire la Persia cominciò ad emanciparsi culturalmente, ripristinando e privilegiando l’uso della lingua persiana rispetto all’arabo, dinamica che ha distinto, e continua a distinguere, i persiani dai loro vicini paesi arabofoni. Con il trascorrere del tempo, il restauro della cultura persiana favorirà anche l’ascesa di una aristocrazia autoctona che progressivamente riuscirà a svincolarsi da quella araba, riuscendo ad imporsi sul piano politico e religioso. Nel 1200, i territori persiani verranno invasi e governati dai popoli delle steppe orientali guidate dal famigerato Gengis Khan, il cui nipote darà vita all’Ikhanato, una dinastia che regnerà sui territori riconducibili agli attuali Iran, Iraq, Turchia, Siria, Armenia, Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan, Afghanistan e Pakistan.
Intorno al 1500, l’Ikhanato verrà scalzato dall’ascesa della locale dinastia sciita Safavide, promotrice del restauro della cultura persiana, dopo anni di dominazione straniera. Nello specifico, la dinastia safavide, di origini curde, proveniva dalla regione dell’Azerbaijan, e vantava una remota discendenza con il profeta islamico Maometto, riconducibile a suo cugino Alì. I safavidi, durante i loro due secoli di dominio, promuoveranno la diffusione dell’islam sciita duodecimano all’interno del paese, rendendolo un elemento catalizzatore dell’identità nazionale persiana. L’ascesa dei safavidi coinciderà con i primi contatti con il mondo occidentale, con cui l’impero persiano coopererà in funzione anti-ottomana. Nello specifico, grazie al contributo britannico, i persiani riusciranno a strutturare il nucleo del loro primo apparato amministrativo, organizzando anche le loro prime forze armate regolari, con cui i safavidi riusciranno a riconquistare il Caucaso e parte della Mesopotamia, strappandoli ai vicini ottomani, con cui storicamente intrattenevano rapporti dualistici. Sempre grazie ai britannici, i persiani riusciranno a ridimensionare l’influenza portoghese nel Golfo Persico, fondando lo strategico porto di Bandar Abbas.
Agli inizi del 1700, l’indebolimento della dinastia safavide porterà ad un transitorio periodo di caos, da cui emergerà una nuova dinastia egemone, i Qajar.
L’ERA QADJAR E LA SUBORDINAZIONE RUSSA
I Qajar, come i Safavidi, di cui furono alleati, erano anch’essi originari della regione settentrionale dell’Azerbaijan. Ai Qajar si deve lo spostamento della capitale a Teheran. Nel 1804, lo Shah Fath Alì, il secondo sovrano della dinastia Qajar, approfitterà dell’invasione napoleonica della Russia per riprendere il controllo della Georgia. Dopo aver richiesto inutilmente supporto ai britannici, nel 1807, i persiani opteranno per la Francia di Napoleone, con cui stipuleranno un accordo che in prospettiva avrebbe dovuto scalzare i britannici dall’Afghanistan e, soprattutto, dall’India. Tuttavia, dopo le iniziali vittorie persiane, nel 1813, i russi riusciranno a batterli, facendo valere la loro superiorità militare. Successivamente a questa sconfitta, i persiani saranno costretti a sottoscrivere uno sfavorevolissimo trattato di pace che sancirà il passaggio della Georigia e del Daghestan alla Russia, oltre che la perdita del diritto di navigazione nel Mar Caspio (Trattato di Glestan). Nel 1825, il sentimento di rivalsa porterà i persiani a riaprire a contesa con la Russia, che, tuttavia, nel 1827, si concluderà con una nuova cocente sconfitta, a cui seguirà un nuovo trattato di pace che sancirà la perdita dell’Armenia e di parte dell’Azerbaijan (Trattato di Turkmenchay), assoggettando la Persia alla crescente influenza russa.

Nel 1834, successivamente alla dipartita dello Shah Fath Alì, il potere passerà a suo nipote Muhammad, subentrato al padre prematuramente scomparso. La designazione di Muhammad verrà contestata da suo zio Ali Mirza, che, tuttavia, non riuscirà ad impedirgli di insediarsi. Durante la sua reggenza, lo Shah Muhammad si concentrerà ad est, tentando di sottrarre ai britannici la città afghana di Herat. Tuttavia, nonostante il supporto dei consulenti militari francesi, i persiani non riusciranno a realizzare il loro proposito.
La prematura scomparsa di Muhammed lascerà il potere nelle mani di suo fratello Nasser al-Din, le cui posizioni riformiste iniziali, con il tempo lasceranno il posto a posizioni più conservatrici e dispotiche, nel disperato tentativo di controllare un impero in disfacimento e in piena crisi finanziaria. In questo difficile contesto, lo Shah Nasser al-Din si farà promotore di una serie di importanti riforme finalizzate alla razionalizzazione delle finanze pubbliche, implementate grazie al determinante contributo del suo Primo Ministro Mirza Taghi Khan, fautore di un apertura al commercio verso l’occidente. Durante la sua gestione verrà costruita la prima università persiana moderna, animata da insegnanti locali e provenienti dall’Europa. Tuttavia, le riforme promosse dal Primo Ministro finiranno per alienargli le simpatie dell’establishment persiano, che nel 1835 riuscirà a convincere lo Shah a sostituirlo, paventando un suo possibile colpo di stato.

L’IRAN NEL “GRANDE GIOCO” ANGLO-RUSSO
Nel 1858, sul piano internazionale, i britannici integreranno la città di Herat nel nascente stato afghano, al fine di arginare l’espansione dell’impero zarista in Asia centrale, dopo l’annessione russa del vicino Turkmenistan. Durante la sua reggenza, Naser al-Din, sorvolerà sull’irritazione russa, assegnando ad una compagnia britannica il monopolio sulla tabacchicoltura, settore che impiegava una considerevole quota di forza lavoro iraniana. La decisione dello Shah innescherà una serie di rivolte popolari organizzate dall’establishment commerciale, supportato dall’influente élite religiosa islamica. La rivolta porterà alla chiusura di molti bazar, e al boicottaggio dell’uso del tabacco, ispirato da una efficacissima fatwa emanata dagli ulema, che alla fine riusciranno a convincere lo Shah a revocare la concessione ai britannici, aprendo una profonda breccia nella monarchia persiana.
Nel 1896, la reggenza passerà al figlio Mozzafar al-Din, personalità non particolarmente dotata di abilità politica, e responsabile dell’accondiscendenza iraniana nei confronti dell’occidente, da cui otterrà in cambio risorse finanziarie per fronteggiare la precaria situazione economica in cui versava il suo paese.
L’inadeguatezza politica del nuovo Shah, considerato troppo accondiscendete nei confronti delle potenze straniere, susciterà una nuova serie di proteste popolari, in cui i manifestanti sostenevano la necessità di una costituzione che vincolasse il potere del sovrano ad un’assemblea parlamentare rappresentativa. Richieste che verranno parzialmente accolte nel 1906, rendendo la Persia una monarchia costituzionale. Nello specifico, la costituzione iraniana prevedeva un Parlamento, sulle cui decisioni vigilava un consiglio composto dagli Ulema sciiti, titolari di potere di veto sulle deliberazioni parlamentare. Tuttavia, l’anno seguente, queste riforme verranno revocate dal nuovo Shah Mohammad Ali, che non esiterà a bombardare la sede del parlamento (Majles), avvalendosi del supporto militare russo. Tuttavia, la risolutezza dei manifestanti costituzionalisti metterà alle strette lo Shah, costringendolo ad abdicare nel 1909 in favore del suo giovane figlio Ahmad, a cui non resterà che ripristinare la costituzione. La vittoria dei costituzionalisti verrà seguita dall’invasione russa del nord della Persia, rea, secondo i russi, di privilegiare gli interessi occidentali, contraddicendo le premesse del Trattato di Turkmenchay.

La crisi costituzionale persiana verrà pesantemente condizionata dalle dinamiche del “grande gioco” con cui Russia e Regno Unito si contendevano il controllo strategico dell’Asia centrale, e da cui derivò la spartizione delle loro sfere d’influenza all’interno dello stato persiano. Nello specifico, i russi si garantirono l’influenza sulle regioni settentrionali che dal Caucaso andavano verso il Turkmenistan, e i britannici si garantirono le regioni meridionali che si affacciavano sul Golfo Persico. Inoltre, nel 1908, la scoperta dei primi pozzi petroliferi contribuirà a rendere ancora più appetibile il dominio strategico su questo importante paese. In particolar modo, saranno i britannici della Anglo-Persian Oil Company (APOC), l’odierna British Petroleum (BP), a scoprire i primi giacimenti petroliferi iraniani, ottenendo una favorevolissima concessione dallo Shah. L’APOC, partecipata al 51% dal governo britannico, sarà uno dei pionieri protagonisti dell’ascesa commerciale del petrolio, approfittando della riconversione della flotta della Royal Navy dal carbone al petrolio, disposta da Wiston Churchill.
LO SGRETOLAMENTO DELLA DINASTIA QAJAR
Più avanti, durante la prima guerra mondiale, la Persia, pur rimanendo neutrale, verrà utilizzata da Russia, Regno Unito come piattaforma militare in funzione anti-ottomana. Più avanti, i britannici utilizzeranno la Persia per tentare di sabotare l’ascesa dei rivoluzionari sovietici, approfittandone, al contempo, per tentare di rendere la Persia un loro protettorato, inglobando i territori settentrionali della sfera d’influenza russa. Tuttavia, le iniziative britanniche si infrangeranno contro la tenacia dei rivoluzionari sovietici che, addirittura, arriveranno a dilagare nel nord della Persia, mentre nel resto del paese cresceva l’insofferenza nei confronti degli inglesi. La crescente influenza britannica in Persia, susciterà la mobilitazione del Movimento Jangal (Movimento della Giungla), una formazione politica nazionalista islamista, sostenuta dai ceti popolari persiani di estrazione sciita, stanchi di essere marginalizzati da un governo debole, ritenuto corrotto e succube del Regno Unito. Il Jangal, sotto la leadership di Mirza Kuchik Khan, riuscirà a superare le ritrosie religiose, alleandosi con i sovietici, grazie al cui supporto, nel 1920, riusciranno a costituire la Repubblica Socialista Sovietica di Gilan, lungo la costa caspica nord-occidentale. Tuttavia, l’esperienza sovietica si interromperà solo l’anno successivo, a causa delle insanabili contraddizioni sorte tra i nazionalisti islamisti del Jangal e i comunisti filo-sovietici. Il fallimento progetto politico del Jangal sarà verosimilmente determinato dall’ennesimo compromesso strategico con cui i russi si impegneranno con i britannici a revocare il sostegno alla Repubblica Socialista Sovietica Persiana, agevolandone lo smantellamento per mano del colonnello Reza Pahlavi, così da normalizzare le relazioni con il governo persiano, ottenendo in cambio il ritiro dei militari britannici dal nord del paese.
Durante questo controverso periodo, si realizzerà anche la rivolta curda di Simko Shikak, che abbiamo avuto modo di trattare in un nostro precedente articolo dedicato alla conoscenza dei curdi iraniani. A questa rivolta curda, ne seguirà anche un’altra predisposta da militari arabi della regione de Khuzestan. Ad ogni modo, queste turbolente dinamiche politiche contribuiranno a degradare l’autorità del giovanissimo Shah Ahmad, costretto dal potente colonnello della brigata cosacca persiana Reza Pahlavi a nominare Zia’eddin Tabatabaee come suo nuovo Primo Ministro, conseguentemente ad un colpo di stato. Il nuovo governo persiano, sostanzialmente controllato da Reza Pahlavi, si adeguerà alle indicazioni strategiche britanniche, ratificando il trattato di amicizia precedentemente negoziato con i russi, che garantì il ripristino dello status-quo strategico tra le due potenze, allontanando la possibilità di un’aggressione britannica attraverso il corridoio caucasico.

L’ASCESA DELLA DINASTIA PAHLAVI
Nel 1925, questi eventi porteranno alla deposizione del giovane e inesperto Shah Ahmad Qajar, e all’ascesa al potere, legittimata dal parlamento, del colonnello Reza Pahlavi alla guida della Persia. Nello specifico, Reza Pahlavi, fortemente influenzato dall’esperienza repubblicana del leader turco Mustafa Kemal “Ataturk”, considererà inizialmente la proclamazione di una repubblica, salvo ripiegare per la conservazione della monarchia di cui si porrà a capo in qualità di Shah, rassicurando gli ambienti religiosi più tradizionalisti, oltre che gli stessi britannici. Tuttavia, per quanto ordinato, il cambio di dinastia verrà criticato da alcune importanti personalità come l’influente ex Ministro delle finanze Mohammad Mossadeq, appartenente ad uno dei rami cadetti della dinastia Qajar, e l’ayatollah Seyyed Hasan Modarres.
Durante il suo governo, la Persia verrà incanalata su di un corso riformista, relativamente aperto ai canoni socio-politici occidentali, cercando di limitare la storica influenza dell’establishment islamico sciita, particolarmente critico nei confronti del rapido processo di modernizzazione avviato dal nuovo Shah Reza Pahlavi. In particolar modo, il governo promuoverà uno stile di vita occidentale, incoraggiando la diffusione dell’abbigliamento occidentale, permettendo alle donne di abbandonare l’uso del tradizionale velo islamico, garantendone maggiori libertà e autonomia rispetto agli standard tradizionali dell’epoca.
Il nuovo Shah promuoverà anche la costruzione di importanti opere infrastrutturali come la strategica ferrovia transiraniana, e la prima Università del paese, agevolando anche la prima fase dell’industrializzazione persiana. L’irritazione dell’influentissimo establishment religioso, suscitata dall’approccio laico inaugurato dal nuovo sovrano, sommato allo stringente stato di polizia finirà per rendere alquanto impopolare il governo dello Shah. Malumori che non impediranno al nuovo sovrano persiano di intrattenere relazioni amichevole con la comunità ebraica di Isfahan. Sempre allo Shah si deve la mutazione della denominazione ufficiale del paese da Persia ad Iran, in un’operazione finalizzata a rievocare la mitologia della patria dei popoli Ariani. Sul piano internazionale, lo Shah cercherà di svincolarsi sia dalla Russia sovietica, che dal Regno Unito, rinegoziando le concessioni petrolifere precedentemente accordate ai britannici, a cui sottrasse anche l’emissione della moneta nazionale.
Nello specifico, lo Shah proverà a svincolarsi dalle fortissime pressioni anglo-sovietiche, potenziando le relazioni con la Germania Nazional-Socialista e con la vicina Turchia di Mustafa Kemal “Ataturk”, con cui, nel 1937, stipulerà il “Patto di Saadabad”, finalizzato alla costruzione di un’alleanza strategica con paesi islamici come l’Iraq e l’Afghanistan. Iran e Turchia, in virtù del Trattato di amicizia stipulato nel 1926, intratterranno proficue relazioni bilaterali, finalizzate soprattutto al controllo delle crescenti rivendicazioni delle minoranze curde presenti all’interno dei loro territori, delimitati da un accordo sui confini definitivo. Sempre su consiglio turco, nel 1939, lo Shah proverà a cooptare nell’alleanza anche l’Egitto, patrocinando il matrimonio tra suo figlio Mohammed e la principessa egiziana Fawzia, figlia di Re Fuad d’Egitto. Dinamiche politiche, queste, che si svilupperanno all’interno di un corso politico interno particolarmente restrittivo, soprattutto nei confronti di chi rivendicava riforme democratiche, come Mohammed Mosaddeq, altamente critico nei confronti del sistema di potere verticistico, essenzialmente fondato sulla corruzione, soprattutto dei principali ufficiali dell’esercito. Sempre nello stesso periodo, la Persia concorderà con l’Iraq i rispettivi confini lungo la regione dello Shatt al-Arab.

L’AZZARDO STRATEGICO IRANIANO
All’inizio della seconda guerra mondiale, la neutralità iraniana verrà messa in dubbio dagli inglesi, convinti che le relazioni economiche privilegiate che lo Shah stava intrattenendo con la Germania Nazional-Socialista celassero una pericolosa alleanza strategica, che avrebbe potuto compromettere la loro posizione particolarmente dipendente dalle petrolio iraniano. Nel 1941, gli alleati anglo-sovietici esigeranno dall’Iran l’espulsione dei lavoratori tedeschi presenti nel paese, a cui era stata affidata la gestione dello strategico settore ferroviario, ottenendo, tuttavia, solo una riduzione del volume dell’interscambio commerciale con la Germania di Hitler. Il controllo tedesco sulle linee ferroviarie iraniane, infatti, venne letto dagli alleati anglo-sovietici come un ostacolo al corridoio di rifornimento occidentale essenziale per supportare la resistenza russa sul fronte orientale, sicché decisero di invadere a sorpresa il neutrale Iran, a cui non rimase altro che protestare, chiedendo inutilmente supporto internazionale. L’invasione britannica dall’Iraq verrà seguita da quella sovietica a nord, passando dall’Azerbaijan e dal Turkmenistan. L’invasione degli alleati anglo-sovietici travolgerà le disorganizzate e titubanti difese iraniane, inducendo lo Shah Reza Pahlavi ad abdicare in favore del figlio Mohammed, che incontrerò il determinante favore dei britannici, nonostante in un primo momento questi avessero ipotizzato la restaurazione della vecchia dinastia Qajar.
Immediatamente dopo il suo insediamento, il nuovo Shah Mohammed Reza Pahlavi affiderà la guida del governo a Mohammed Alì Foroughi, l’ex-primo ministro allontanato dal padre, appartenente ad un’influente famiglia di commercianti, sulle cui presunte origini ebraiche si è lungamente speculato, soprattutto da parte tedesca. Successivamente all’ascesa del nuovo Shah, l’Iran cederà alle pressioni anglo-sovietiche, dichiarando guerra alla Germania, ottenendo in cambio la garanzia della smilitarizzazione del paese alla fine del conflitto, come concordato da Churchill, Roosvelt e Stalin alla conferenza di Teheran. Grazie all’occupazione dell’Iran, gli alleati riusciranno a supportare la resistenza sovietica, rifornendola attraverso la strategica ferrovia transiraniana, all’interno della cornice del fondamentale, e spesso dimenticato, piano di aiuti americano Lend-Lease. Durante la guerra, le risorse agricole delle regioni settentrionali iraniane verranno regolarmente saccheggiate dai sovietici a discapito della popolazione locale, che in alcuni casi arrivò ad insorgere a causa della penuria alimentare, inducendo le autorità ad implementare la legge marziale, rendendosi responsabili di crimini contro la popolazione civile. In particolar modo, durante questo periodo, i movimenti nazionalisti e socialisti cominceranno ad organizzarsi all’interno del Tudeh (Partito delle masse iraniane), un’organizzazione politica capace di conquistare seggi nel parlamento e consensi tra le fila dell’esercito.

LE SFIDE DEL SECONDO DOPOGUERRA
Al termine della seconda guerra mondiale, i sovietici supporteranno le iniziative secessioniste delle minoranze azere e dei curde presenti nel nord dell’Iran, agevolando la costituzione di due repubbliche separatiste alleate. Tuttavia, il sostegno russo a queste due repubbliche separatiste verrà revocato nel 1946, quando Stalin cederà alle fortissime pressioni dei suoi alleati occidentali, ritirando le proprie truppe dai territori iraniani, ottenendo in cambio alcune concessioni petrolifere, e il disimpegno americano dal teatro cinese. Nel 1947, il deterioramento dei rapporti coniugali tra lo Shah e la principessa egiziana Fawzia porterà al loro divorzio, costringendo il sovrano iraniano a risposarsi qualche anno più tardi con Soraya Esfandiary-Bakhtiari, la giovane figlia dell’ambasciatore iraniano nella Germania ovest. Durante questi primi turbolenti anni del secondo dopoguerra, la monarchia iraniana si ritroverà i “Fedayn dell’islam”, un organizzazione terroristica islamista sciita, protagonista di una serie di omicidi mirati contro personalità notabili della vita politica iraniana. Sempre nel 1947, l’Iran prenderà parte al Comitato Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, opponendosi insieme a Jugoslavia e India al piano di partizione avanzato dall’assemblea degli 11 stati che la formavano. Nello specifico, l’Iran contesterà il piano di partizione temendo un escalation violenta della questione, che secondo lo Shah avrebbe trovato una soluzione più adeguata delineando una soluzione federale all’interno di un unico stato palestinese. Ad ogni modo, nonostante queste criticità, l’Iran non solo riconoscerà l’indipendenza israeliana, ma intratterrà con esso buone, ma discrete, relazioni bilaterali, che si articolavano parallelamente all’altrettanto discreto supporto della lotta dell’OLP.
Nel 1949, lo Shah estenderà la portata dei suoi poteri, convocando un’Assemblea Costituente che istituirà un Senato composto da membri di sua nomina, capace di contrastare l’eventualità di un Parlamento ostile, fortemente condizionato dal clero sciita. Lo Shah pagherà questa sua iniziativa politica, subendo un attentato predisposto da un giovane esponente islamista che lo ferirà senza tuttavia riuscire ad ucciderlo. L’attentato verrà sfruttato dallo Shah per associare gli ambienti islamici sciiti alla minaccia comunista, approfittandone per istituire la legge marziale nel paese, chiudendo i giornali e arrestando alcuni importanti leader dell’opposizione, da Mossadeq ai principali leader del Partito Tudeh, considerato una formazione politica filo-sovietica e anti-islamica.
Alle seguenti elezioni parlamentari del 1950, cominciò a strutturarsi una vera e propria opposizione al regime dello Shah, catalizzata dal tentativo di broglio elettorale predisposto dal governo. Il broglio verrà vendicato dai Fedayn per l’islam, con un escalation terroristica contro alcuni eminenti personalità governative, dall’ex-Primo Ministro Abdolhossein Hazir, al Ministro della cultura Ahmad Zanggeneh, passando per il Premier Haj Ali Razmara, reo di aver difeso gli interessi britannici, opponendosi al progetto di nazionalizzazione dell’industria petrolifera del paese.

L’ASCESA DEL FRONTE NAZIONALE RIFORMISTA
Le variegatissime forze di opposizione si riuniranno sotto la sigla del Fronte Nazionale, che sotto l’abile leadership di Mohammed Mossadeq sosterrà la necessità di democratizzare l’arena politica, liberalizzare la stampa e ridimensionare il ruolo delle imprese occidentali all’interno dell’economia iraniana, soprattutto nel settore petrolifero egemonizzato dai britannici dell’AIOC, accusati depredare le risorse del paese, sottopagando gli operai, disattendendo regolarmente le promesse di investimenti destinati al potenziamento infrastrutturale e sociale fatte al governo. La mobilitazione del Fronte Nazionale costringerà lo Shah ad annullare l’esito delle elezioni, indicendone di nuove, dove l’opposizione riuscirà a racimolare i consensi necessari a designare Mossadeq come nuovo capo del governo.
Le elezioni parlamentari dell’anno successivo verranno dominate dalla coalizione realista filo-britannica e dal Fronte Nazionale guidato dal Mossadeq, precludendo artificiosamente l’ingresso al parlamento agli altri partiti concorrenti come il Partito Tudeh e il Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (PDKI). Successivamente alle elezioni parlamentari, il governo di Mossadeq varerà alcune importanti riforme socio-economiche, alcune delle quali deluderanno i Fedayn dell’Islam, che per quanto sostenitori della nazionalizzazione dell’industria petrolifera, non perdoneranno al nuovo Premier il rigetto della Sharia come fonte giuridica primaria, arrivando ad attentare, senza successo, alla vita di Hossein Fatemi, il suo fidato Ministro degli esteri.
Ad ogni modo, la discutissima proposta di nazionalizzazione della AIOC britannica verrà approvata dal Parlamento, dirottandone le immense risorse economiche a vantaggio dello sviluppo del paese. La nazionalizzazione del preziosissimo settore petrolifero verrà condannata dai britannici come un furto, mentre negli Stati Uniti questa mossa verrà intesa come una potenziale vittoria strategica sovietica. Nello specifico, il governo di sua maestà predisporrà il blocco del porto di Abadan, emanando una serie di stringenti sanzioni economiche contro l’Iran, dal congelamento degli asset finanziari, al bando alle importazioni di prodotti iraniani, passando per il ritiro dei tecnici del comparto petrolifero. Il ritiro dei tecnici britannici, deluderà, tuttavia le aspettative iraniane di sostituirli con tecnici di altre nazioni europee, che tranne per il caso dell’Italia, si rifiuteranno di prenderne il posto. Nello specifico, la posizione italiana irriterà considerevolmente Londra, tanto da indurre i britannici a sequestrare una nostra petroliera al largo del loro protettorato yemenita, sostenendo che il petrolio importato dall’Iran fosse stato rubato, portando a termine un’iniziativa finalizzata a dissuadere la comunità internazionale dal continuare ad importare greggio da Teheran.
CONCLUSIONI
Come sappiamo, l’Iran è un paese chiave del quadrante mediorientale, un po’ per la sua posizione geografica strategica, un po’ per le sue immense risorse energetiche, senza dimenticare la sua corposa rilevanza demografica. Tuttavia, proprio questa sua peculiarità demografica ha storicamente esposto questo paese a fortissime spinte centrifughe di natura etnica. Detto questo, la promiscuità etnica è stata armonizzata dalla forte e comune identità religiosa islamica, che nel tempo, complice la confessione sciita prevalente nel paese, ha permesso all’Iran di intraprendere un corso differenziato rispetto a quello intrapreso dai suoi vicini arabi, che permetterà a questo importante paese di conservare le proprie peculiarità persiane, parallelamente alla particolare tradizione islamica vigente in gran parte del suo territorio. La storia iraniana ha poi dimostrato la tenacia con cui questo popolo ha saputo conservare la propria identità persiana, nonostante i prolungati periodi di dominio straniero a cui ha dovuto far fronte nel corso dei secoli.
Durante l’era Safavide, la Persia instaurerà i primi rapporti con il mondo occidentale, privilegiando, in particolar modo, le relazioni con il Regno Unito in funzione anti-ottomana. Più avanti, durante l’epoca Qajar, i persiani torneranno a collaborare con gli occidentali, abbandonando la partnership con i britannici in favore della Francia napoleonica, con cui confidavano di sconfiggere la Russia nel Caucaso, e in prospettiva, sottrarre l’Afghanistan ai britannici, aprendosi nella migliore delle possibilità un corridoio strategico verso le Indie. Tuttavia, la fallimentare iniziativa napoleonica finirà per archiviare definitivamente anche le pretese persiane sulla regione caucasica, costringendoli a cedere Georgia, Daghestan, Armenia, e Azerbaijan alla Russia, che più avanti riuscirà ad assoggettare anche il Turkmenistan, inducendo i britannici ad integrare la città di Herat all’interno dello stato afghano. Queste cocenti sconfitte esporranno la Persia alla crescente influenza russa, da cui il governo dei Qadjar tenterà di svincolarsi potenziando le relazioni commerciali con i britannici, nonostante i loro investimenti scontentassero l’establishment locale, supportato dall’influente clero sciita.
Sarà proprio l’insofferenza della società civile persiana nei confronti dell’approccio filo-britannico dello Shah a catalizzare la prima mobilitazione politica di massa che costringerà il sovrano Qajar a concedere una costituzione che ponesse limite al suo arbitrio, fino a quel momento indiscusso. Una delle peculiarità della riforma sarà l’istituzione di uno speciale Consiglio degli Ulema, titolare di potere di veto sulle iniziative parlamentari, prassi che sopravvive tutt’oggi nell’odierna Repubblica islamica Iraniana. Ad ogni modo, durante questo turbolento periodo, i britannici inizieranno a scoprire e sfruttare i primi giacimenti petroliferi del paese, fondando l’Anglo-Persian Oil Company (APOC), l’odierna British Petroleum (BP), ottenendo favorevolissime concessioni dallo Shah.
Più avanti, durante la prima guerra mondiale, i britannici sfrutteranno la Persia sia in funzione anti-ottomana, che per tentare di sabotare l’insurrezione sovietica in Russia, impegnandola nel Caucaso. E se la strategia anti-sovietica non riuscirà, il governo di sua maestà riuscirà quantomeno a guadagnarsi il pieno controllo sulla Persia, approfittando del caos post-zarista. Ad ogni modo, l’ascesa britannica continuerà ad essere osteggiata dall’establishment locale, disposto addirittura a scendere a compromessi con i sovietici, grazie al cui supporto proveranno a dar vita ad un‘effimera repubblica socialista sovietica che, tuttavia, collasserà a causa delle dispute sorte tra le fazioni nazionaliste islamiste e quelle comuniste, indebolite dalla revoca del supporto di Mosca, conseguente all’accordo che i russi stipuleranno con i britannici per disinnescare la possibilità di uno scontro nel Caucaso.
Queste dinamiche politiche, sommate alle rivolte secessioniste curde e arabe nell’ovest del paese, porteranno al collasso della dinastia Qadjar, e all’ascesa della dinastia Pahlavi, fondata dal potente colonnello Reza Pahlavi, che dalla sua posizione di forza si farà garante dello status-quo anglo-sovietico nella strategica regione caucasica. Il nuovo Shah inaugurerà un nuovo corso politico riformista, decisamente più aperto verso l’occidente, e per certi versi ispirato dall’esperienza del governo turco guidato da Mustafa Kemal “Ataturk”, con cui stringerà un’alleanza strategica che coinvolgerà l’Iraq e l’Afghanistan, due paesi soggetti alla tradizionale influenza britannica. In particolar modo, l’alleanza tra Iran e Turchia verrà consolidata dalla comune necessità di controllare le possibili iniziative secessioniste curde, supportate più o meno velatamente proprio dai britannici, ma non solo. L’intento di provare a sfuggire al controllo britannico si ravvede anche nella strategia della monarchia iraniana di cooptare anche l’Egitto nel Patto di Saadabad. Ad ogni modo, questa alleanza strategica permetterà all’Iran di fissare i reciproci confini sia con la Turchia che con l’Iraq.
L’intento di svincolarsi dal controllo britannico verrà abilmente mascherato sotto una strategia formalmente neutrale, ma che nel giro di qualche anno porterà l’Iran a potenziare le relazioni con l’ascendente Germania Nazional-Socialista. Sarà proprio il rapporto particolare con la Germania ad indurre gli alleati anglo-sovietici a stipulare una sorta di riedizione del “patto Moltotov-Ribbentrop” per invadere e spartirsi l’Iran, sottraendo le strategiche linee ferrate persiane al controllo del quarto Reich, senza le quali sarebbe stato praticamente impossibile ricevere gli aiuti americani necessari ai sovietici reggere l’urto delle preponderanti forze dell’asse. Ad ogni modo, così come nel caso dell’invasione della Polonia, nessuno all’interno della comunità internazionale riterrà necessario muovere guerra all’URSS, né tantomeno al Regno Unito, a cui fu quindi permesso di fare quello che non verrà perdonato alla Germania di Hitler, ovvero, invadere un paese sovrano. Persino gli Stati Uniti eviteranno di difendere la sovranità iraniana, come del resto era scontato aspettarsi da un paese che nello stesso periodo collaborava con i britannici all’invasione di un altro paese sovrano neutrale, l’Islanda, e il tutto, ben prima che gli americani entrassero ufficialmente in una guerra, a cui evidentemente si stavano preparando ad entrare ben prima dell’attacco di Pearl Harbor alle isole Hawaii, che per la cronaca, erano state annesse “manu-militari” sempre dagli USA, senza che nessuno gli scatenasse contro una guerra mondiale, ma questa è un’altra storia.
Ritornando all’Iran, l’invasione anglo-sovietica permetterò di trascinare a forza Teheran all’interno della coalizione alleata, sostituendo il troppo autonomo Shah Reza Pahlavi con il suo meno assertivo figlio Mohammed, a cui non restò altro che avallare la legge marziale, perseguendo chiunque provasse a contestare l’approccio predatorio con cui i russi saccheggiavano regolarmente le risorse agricole del nord-ovest del paese nel corso della guerra. Al termine della guerra, i sovietici contraddiranno l’impegno di ripristinare l’integrità territoriale iraniana, fornendo il proprio supporto alla costituzione di due repubbliche separatiste composte dalle minoranze curda e armena, salvo revocarlo in cambio del disimpegno americano dal teatro cinese.
Ad ogni modo, malgrado il disimpegno sovietico, la società iraniana continuerà ad avversare l’approccio filo-britannico dello Shah, il cui governo iniziò ad essere bersagliato dagli attentati organizzati dai Fedeayn dell’islam. Ostilità che crescerà dall’iniziativa costituzionale con cui lo Shah tenterò di ridurre il peso politico del parlamento eletto, controbilanciandolo con l’introduzione di un senato composto da suoi nominati. Tuttavia, nemmeno quest’ultima iniziativa riuscirà ad impedire alle variegatissime forze di opposizione di conquistare il governo sotto la leadership di Mossadeq, l’artefice dell’inedito e storico processo di nazionalizzazione del comparto petrolifero iraniano, che porterà il paese in rotta con il Regno Unito, innescando una serie di eventi politici e strategici di cui avremo modo di trattare nella seconda parte di questo nuovo dossier dedicato alla conoscenza dell’Iran.