CONOSCIAMO L’IRAN (2° Parte)
Nella prima parte del focus ci eravamo lasciati con le conseguenze della nazionalizzazione dell’Anglo-Iranian Oil Company (AIOC), a cui il governo di sua maestà reagì affossando la produzione petrolifera iraniana, mettendo in crisi le finanze di Teheran.
LE CONSEGUENZE DELLA NAZIONALIZZAZIONE
Successivamente a questi eventi, Arabia Saudita, Iraq e Kuwait ammortizzeranno gli effetti della crisi petrolifera raddoppiando la produzione, sopperendo alla mancata quota di produzione iraniana.
Collateralmente a queste misure, i britannici tenteranno di convincere gli Stati Uniti di Truman a rovesciare il nuovo governo iraniano presieduto da Mohammad Mossaddeq, senza tuttavia riuscire nell’intento, giacchè gli americani non avevano nulla da recriminare ad un governo con cui stavano negoziando accordi petroliferi decisamente vantaggiosi, proprio in virtù del processo di nazionalizzazione del comparto petrolifero avviato. Del resto, Mossadeq non aveva dato segnali di simpatie filo-sovietiche, e ciò si desumeva anche dal rapporto non particolarmente idilliaco che intratteneva con l’Egitto rivoluzionario di Nasser.
Infatti, nonostante il supporto alla nazionalizzazione dell’Anglo Iranian Oil Company (AIOC), nel frattempo diventa National Iranian Oil Company (NIOC), i marxisti del Partito Tudeh approfitteranno del caos derivante per organizzare una serie di scioperi proprio contro il governo di Mossadeq, considerato un ostacolo alla trasformazione dell’Iran in una moderna democrazia libera dal dominio dello Shah e dai tradizionali condizionamenti britannici.

Tuttavia, nonostante il dualismo politico, Mossadeq riuscirà a trovare comunque un modus vivendi con il Tudeh al fine di ridimensionare l’egemonia politica dello Shah. Partnership strategica che verrà strumentalizzata dai britannici per allertare gli Stati Uniti del pericolo di una imminente svolta filo-sovietica dell’Iran. Sarà proprio il timore di essere strumentalizzati dall’URSS di Stalin a indurre Mozzafar Baghai e Khalil Maleki, due importanti personalità del Tudeh, ad abbandonare l’organizzazione per fondare il Partito Toliers, una formazione di estrazione social-democratica lontana dall’influenza sovietica, e che almeno in questa prima fase sosterrà la coalizione governativa del Fronte Nazionale guidata da Mossadeq.
I britannici rigetteranno ogni possibilità di compromesso, rifiutandosi di sottoscrivere un accordo che ripartisse a metà i proventi petroliferi con il governo iraniano, un po’ come era riuscito ad ottenere il governo venezuelano di Romulo Gallegos, che abbiamo avuto modo di trattare nel secondo articolo del focus dedicato alla conoscenza del Venezuela.
MOSSADEQ VINCE LE RESITENZE DELLO SHAH
Alla vigilia delle elezioni parlamentari del 1952, i servizi segreti inglesi cercheranno di influenzare l’esito della tornata elettorale catalizzando il dissenso delle aree rurali contro Mossadeq, corrompendo numerosi capi tribali, senza tuttavia riuscire ad impedirgli di conquistarsi una nuova maggioranza parlamentare. Successivamente alle elezioni, lo Shah tenterà di ostacolare l’ascesa politica di Mossadeq rifiutandosi di raficare il Ministro della Guerra ed il Capo di stato maggiore da lui designati, precludendogli il pieno controllo delle forze armate. Mossadeq prenderà atto dell’atteggiamento anti-costituzionale dello Shah rassegnando le proprie dimissioni, e dopo aver fatto appello al popolo, catalizzerà la mobilitazione di tutte le forze della coalizione del Fronte Nazionale, a cui si aggiungeranno persino i comunisti del Tudeh, fino a quel momento rimasti fuori dalla coalizione di governo. Nonostante le fortissime proteste e gli scioperi organizzati dall’opposizione, lo Shah ne approfitterà per affidare il governo al navigato Ahmad Qavam, che fin dai primi giorni di governo cercherà una ricomposizione delle relazioni con i britannici, prendendo le distanze dalle precedenti iniziative di Mossadeq. Tuttavia, ben presto la crescente pressione popolare indurrà lo Shah a recedere dalla sua linea dura, revocando la premiership a Qavam, e riaffidando l’incarico a Mossadeq, ratificando tutta la sua squadra di governo, compresi i discussi vertici militari. Dopo questa prova di forza, Mossadeq chiederà ed otterrà dal Parlamento poteri speciali per implementare a mezzo decreto tutta una serie di riforme di stampo socialista che archivieranno l’economia agricola feudale del paese, sebbene la stessa Unione Sovietica mantenesse un approccio defilato nella crisi, lesinando il proprio supporto al Tudeh, per non contraddire gli equilibri strategici precedentemente concordati con gli Stati Uniti.
LO SFALDAMENTO DEL FRONTE NAZIONALE
Nel frattempo, però, la crisi economica scatenata dall’embargo britannico esaspererà il clima socio-politico interno, alienando a Mossadeq gran parte dei consensi popolari urbani precedentemente raccolti, tanto da indurlo ad intraprendere una condotta più autoritaria contro l’opposizione al suo governo, mettendola alle strette facendo largo ricorso a provvedimenti emergenziali autorizzati dal parlamento per imporre alcune drastiche riforme agrarie di stampo socialista con cui cercherà di accattivarsi il sostegno del Tudeh e della masse contadine del paese, archiviando secoli di economia feudale. Provvedimenti che limiteranno persino le prerogative dello Shah, impedendogli di tenere contatti diretti con diplomatici stranieri. Tuttavia, i contatti tra l’occidente e la famiglia reale continueranno ad essere coltivati da Ashraf Pahlavi, l’influente sorella dello Shah, convinta dai servizi anglo-americani ad abbandonare la lussuosa vita che conduceva a Parigi per rientrare in patria dove riuscirà a convincere il riluttante fratello a collaborare ad un piano finalizzato alla rimozione di Mossadeq dal guida del governo.

Nel frattempo, la condotta autocratica intrapresa da Mossadeq comincerà ad essere motivo di critica anche tra i ranghi della stessa coalizione del Fronte Nazionale, portando i social-democratici del Toilers a prendere le distanze dal governo, con l’eccezione della fazione di Maleki (Terza Forza) che, invece, rimarrà fedele, rivendicando una terza via strategicamente equidistante dalle logiche bipolari della guerra fredda. Ad ogni modo, il Toilers sopperirà alla scissione di Maleki, alleandosi con la “Società dei Guerrieri Musulmani” guidata dal popolarissimo Ayatollah Abol-Ghasem Kashani, divenuto via via sempre più ostile nei confronti del governo di Mossadeq, considerato fin troppo laico e chiuso verso le loro richieste di introduzione della Sharia tra le fonti giuridiche fondamentali del paese. Vale la pena evidenziare che all’interno della cerchia di Kashani si formeranno importanti personalità del clero sciita, come Ruhollah Khomeini, l’artefice della rivoluzione islamica degli anni 70. Ad ogni modo, la perdita del sostegno dei suoi principali alleati di governo, costringerà Mossadeq a legarsi sempre di più ai comunisti del Tudeh, mossa che allarmerà il neo-presidente USA Eisenhower, preoccupato della possibile passaggio dell’Iran nell’orbita sovietica, a più riprese paventata dai britannici.
IL GOLPE ANGLO-AMERICANO
Nel 1953, la crisi politica innescata dai suoi ex-alleati convincerà Mossadeq ad allontanare il rischio di una sua sfiducia parlamentare, promuovendo un referendum finalizzato allo scioglimento del Parlamento, e che gli avrebbe permesso di assumere i pieni poteri, arrogando a se anche le prerogative legislative. Referendum che premierà l’azzardo di Mossadeq, sebbene fosse stato viziato da diffusi brogli elettorali. Dinnanzi al colpo di mano di Mossadeq, il titubante Shah cederà alle pressioni del nuovo governo americano, avallando l’iniziativa golpista predisposta dalla CIA, allontanando così il rischio di essere deposto insieme all’odiato Primo Ministro. Nello specifico, il golpe organizzato dagli anglo-americani (Operazione Ajax) prevederà la sostituzione di Mossadeq con il generale Fazollah Zahedi. L’Operazione Ajax riuscirà nell’intento di sabotare i già pessimi rapporti tra i nazionalisti socialisti filo-Mossadeq e gli ambienti islamisti sciiti più critici al governo, facendo credere a questi ultimi di essere l’obiettivo di una feroce ed imminente campagna di epurazione governativa. Campagna di disinformazione con cui gli anglo-americani confidavano di innescare una potente insurrezione popolare finalizzata al rovesciamento del governo di Mossadeq, avvalendosi della complicità di ufficiali filo-monarchici corrotti.
Tuttavia, l’intelligence del Tudeh, infiltrata tra i ranghi delle forze armate, riuscirà a sventare l’arresto di Mossadeq ordinato dallo Shah, nel frattempo rifugiatosi nel nord dell’Iran, da dove successivamente al fallimento del golpe muoverà verso il vicino Iraq, per poi dirigersi in Italia. Nonostante il fallimento del golpe, i servizi segreti anglo-americani approfitteranno del caos per coordinare l’infiltrazione di numerosi delinquenti ed esponenti filo-shah tra i manifestanti del Tudeh nel tentativo di innescare un’insurrezione comunista, orchestrando l’assalto di numerosi bazar e moschee. Azione con cui riusciranno a manipolare il terrore della popolazione civile spronandola a scendere in piazza a fianco dell’esercito realista per sventare la minaccia comunista. Con questo espediente, l’esercito riuscirà a prendere il controllo della situazione, disperdendo gli spiazzati manifestati del Tudeh, e prendendo d’assalto la residenza di Mossadeq, che dopo essere riuscito a sfuggire rocambolescamente, deciderà di consegnarsi alle forze armate il giorno dopo, proprio mentre lo Shah si apprestava a far ritorno in patria sotto protezione dalla CIA, mentre, intanto, alcuni esponenti del governo rovesciato venivano giustiziati sommariamente. Successivamente all’Operazione Ajax i partiti della coalizione del Fronte Nazionale verranno messi al bando dal governo del Generale Fazlollah Zahedi, mentre a Mossadeq e molti dei suoi collaboratori verranno concessi gli arresti domiciliari per disposizione dello Shah, che successivamente gli eviterà la pena capitale precedentemente comminategli. Arresti che verranno estesi a molti ufficiali accusati di connivenza con i comunisti del Tudeh, arrestati in gran numero.

Più avanti, l’opposizione del Fronte Nazionale proverà a riorganizzarsi, finendo, tuttavia, per dividersi sulle questioni organizzative chiave della mobilitazione. Lo Shah, dal canto suo, approfitterà dell’annichilimento dell’opposizione per favorire la costruzione di un sistema bipolare, sostenendo l’ascesa del Partito Nazionalista, una formazione conservatrice guidata da Manouchehr Eghbal, un suo fedelissimo consigliere. Il Partito Nazionalista verrà controbilanciato dal Partito Popolare di Asadollah Alam, un’altra formazione filo-monarchica con cui lo Shah cercherà di dare una parvenza di democrazia bipolare al suo regime, a cui cercherà di coinvolgere progressivamente anche esponenti del vecchio Fronte Nazionale, accogliendoli nel suo ambizioso disegno riformista.
Conseguentemente all’Operazione Ajax, il nuovo governo iraniano cercherà di venire incontro ai britannici conciliando la nazionalizzazione dell’AIOC, che pur rimanendo formalmente di proprietà iraniana, verrà sostanzialmente controllata da un consorzio di industrie petrolifere anglo-americane divenute note come “Sette Sorelle”, con cui il governo di Teheran dividerà a metà i profitti, che più avanti verranno ripartiti per il 75% a favore del governo iraniano. Va specificato che da questo consorzio verrà debitamente esclusa l’italiana ENI, verosimilmente a causa del disinvolto approccio autonomo dimostrato durante la crisi di Abadan.
IL RESTAURO DELL’ORDINE PAHLAVIDE
Nel 1954, i reduci del Fronte Nazionale tenteranno di riorganizzarsi, sopperendo alla messa al bando dei loro partiti, partecipando come indipendenti alle elezioni legislative che, tuttavia, sostanzialmente ratificheranno la maggioranza a sostegno di Zahedi, tra le cui iniziative principali ci sarà quella di instaurare relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Nel 1955, superata la fase emergenziale, lo Shah sostituirà il Primo Ministro Zahedi con il tecnocrate Hossein Alà, mentre l’anno successivo le elezioni parlamentari verranno dominate dal Partito Nazionalista. Sempre durante questo periodo, l’Iran si doterà di propri servizi segreti, il SAVAK, una polizia segreta addestrata da ufficiali riconducibili alla CIA e al Mossad, ed incaricata della vigilanza sulle iniziative dell’opposizione, soprattutto quella comunista, distinguendosi per la brutalità dei suoi metodi. Sempre nel 55, l’Iran aderirà al “Patto di Baghdad“, un’alleanza militare strategica strutturata in funzione anti-sovietica, proposta da Iraq e Turchia, e a cui successivamente aderiranno anche il Pakistan e il Regno Unito.
Nel 1959, le relazioni tra il monarca iraniano e il governo statunitense si raffredderanno al punto tale da indurre lo Shah ad abbozzare un trattato di non aggressione con l’Unione Sovietica di Krusciov che, tuttavia, non arriverà a stipulare a causa delle fortissime pressioni dell’amministrazione Eisenhower, da cui successivamente riuscirà ad ottenere importanti aiuti militari con cui controbilanciare il nuovo governo rivoluzionario iracheno di Qassem. Pochi mesi dopo, la scelta dello Shah di riconoscere Israele lo esporrà all’astio della comunità islamica che lo inizierà a considerare alla stregua di un traditore.

Nel 1960, lo Shah permetterà a molti partiti del vecchio Fronte Nazionale di prendere parte alle elezioni parlamentari, che verranno dominate ancora una volta dal Partito Nazionalista di Eghbal. Nello specifico, l’opposizione vicina a Mossadeq tornerà alla ribalta riorganizzandosi sotto la sigla del Movimento di Liberazione dell’Iran (FMI), una formazione politica che armonizzava liberalismo e islam, promuovendo forme di disobbedienza civile. Tra l’altro, il FMI si distinguerà anche per il sostegno alle manifestazioni animate da Khomeini, un importante personalità del clero sciita cresciuta all’ombra dell’Ayatollah Kashani. Supporto che finirà per mettere l’organizzazione sotto lo strettissimo controllo del SAVAK, che ne ridurrà sensibilmente i margini di manovra politica, costringendo la sua leadership ad esiliarsi all’estero, da dove inizierà a coordinare la lotta armata, avvicinandosi ulteriormente agli ambienti religiosi vicini a Khomeini.
L’INSIDIA DEL SAVAK E LA RIVOLUZIONE BIANCA
Nell’estate del 60, la Premiership passerà a Jafar Sharif-Emami, esponente di un’influente famiglia del clero sciita, appartenente al Partito Rastakhiz (Partito della Resurrezione del Popolo Iraniano), formatosi nella Germania Nazional-Socialista, esperienza che gli costerà persino l’arresto per sospetta collaborazione, e noto anche per il suo preminente ruolo all’interno della massoneria iraniana. Durante questo periodo, lo Shah prenderà come suo punto di riferimento l’esperienza di governo del generale De Gaulle in Francia, tentando di emularla in patria.
Sempre nel corso dello stesso anno, la scelta di sbilanciarsi a favore del candidato repubblicano Nixon, finirà col pregiudicare le relazioni con il neo-presidente democratico Kennedy, con cui faticherà a rapportarsi, tanto da affidare a Teymur Bakhriar, l’allora capo del SAVAK, un’iniziativa diplomatica finalizzata normalizzazione delle relazioni con il nuovo presidente americano. Tuttavia, nel corso della sua visita negli Stati Uniti del 1961 il generale Bakhtiar ne approfitterà per convincere Kennedy a sostenere il colpo di stato a cui stava lavorando sottotraccia da qualche tempo. Pochi mesi dopo, una serie di scioperi insospettiranno lo Shah, inducendolo a sostituire il Primo Ministro Sharif-Emami con l’ex-Ambasciatore Ali Amini, che consiglierà al monarca iraniano l’espulsione in Svizzera di Bakhtiar, avvertendolo dei suoi propositi golpisti precedentemente discussi con il Presidente Kennedy.

Ad ogni modo, la premiership di Amini durerà solo qualche settimana, poiché i suoi stretti rapporti con Kenendy indurranno lo Shah a preferirgli il più fidato Asadollah Alam, un ricco magnate iraniano coinvolto nell’Operazione Ajax, noto per essere stato governatore della provincia del Beluchistan. Alam si distinguerà per una decisa campagna anti-corruzione che interesserà soprattutto i vertici militari, portando all’arresto di importanti generali, considerati contigui con gli ambienti golpisti di Bakhtiar. Durante il suo governo, Alam promuoverà la cosiddetta “Rivoluzione Bianca”, una serie di importanti riforme socio-economiche con cui lo Shah tenterà di ridimensionare la crescente influenza comunista nel paese, e con cui cercherà di accattivarsi le simpatie delle masse popolari, a discapito del sempre più infido establishment commerciale borghese iraniano. Nello specifico, durante la Rivoluzione Bianca, il governo smantellerà l’ordine feudale espropriando dietro indennizzo le terre ai latifondisti, rivendendole a prezzo di vantaggio ai contadini; privatizzerà molte industrie statali; decreterà la partecipazione degli operai agli utili prodotti dalle imprese per cui lavoravano; estenderà il diritto di voto alle donne; organizzerà una profonda campagna di alfabetizzazione gratuita e obbligatoria; varerà un sistema sanitario pubblico esteso a tutte le regioni del paese; nazionalizzerà le risorse idriche; implementerà un programma di restaurazione urbana; inaugurerà una rigida politica di controllo dei prezzi di mercato e degli affitti; finanzierà un programma di assistenza sociale per l’infanzia; introdurrà di un sistema previdenziale che garantiva il 100% dei salari percepiti.
L’ASCESA DEGLI ISLAMISTI DI KHOMEINI
La Rivoluzione Bianca modernizzerà l’Iran, favorendo la prima industrializzazione del paese, e l’incremento del tasso di alfabetizzazione, erodendo la tradizionale egemonia culturale del clero sciita sull’istruzione. Tuttavia, la riforma agraria non riuscirà a sortire gli effetti sperati, frammentando il potenziale dell’agricoltura iraniana, peraltro pesantemente fiaccata dalle preponderanti importazioni americane. Le criticità della rivoluzione bianca finiranno per contrapporre lo Shah al clero sciita e all’establishment latifondista. In particolar modo, nella primavera del 1963, lo Shah si ritroverà bersagliato dalla risoluta opposizione del leader sciita Ruhollah Khomeini, secondo cui le riforme dello Shah stavano degradando la morale islamica del paese, asservendolo alle dinamiche imperialiste degli Stati Uniti e di Israele. Dinnanzi alle pesanti accuse mossegli da Khomeini, lo Shah reagirà ordinandone l’arresto, evento che susciterà numerose proteste popolari in tutto il paese, persino dinnanzi il palazzo reale, animate da manifestanti che inneggiavano al rovesciamento di quello che ritenevano un regime tirannico. Manifestzioni, a cui il monarca iraniano non esiterà a disperdere autorizzando l’uso della forza da parte delle forze armate, facendo centinaia di vittime.
Successivamente all’arresto di Khomeini, il Premier Alam sosterrà la necessità di giustiziarlo, ma verrà dissuaso dall’intervento di Hassan Pakravan, il conciliante capo del SAVAK, preoccupato dalle disastrose conseguenze che una tale scelta avrebbero innescato tra sostenitori del popolarissimo leader sciita. Nello specifico, Pakravan riuscirà a convincere lo Shah ad evitare la condanna di Khomeini, convincendolo a ratificare la decisione del grande Ayatollah Sayyd Mohammad Kazem Shariatmadari di nominare Khomeini “grande ayatollah“, carica non passibile di pena capitale. Dopo questo escamotage, il governo riconoscerà a Khomeini gli arresti domiciliari, da cui verrà liberato l’anno seguente. Tuttavia, nonostante ciò, l’atteggiamento critico di Khomeini non si placherà, tornando a lanciare strali contro lo Shah, soprattutto dopo la concessione dell’immunità ai militari americani presenti nel paese. Presa di posizione che, pochi mesi dopo il suo rilascio, gli costerà un nuovo periodo di reclusione. Nel frattempo, successivamente alle dimissioni del Primo Ministro Alam, il nuovo Premier Hasan Ali Mansur tenterà di costringere Khomeini a recedere dalla sua opposizione, arrivando addirittura a schiaffeggiarlo platealmente, gesto che gli costerà la vita due mesi dopo, quando un commando di Fedayn dell’islam lo assassinerà. Poco dopo, Khomeini verrà esiliato in Turchia, dove verrà preso in custodia dall’intelligence turca, per poi stabilirsi qualche mese più avanti nel vicino Iraq.

IL MEK E LA A POLITICA ESTERA DELLO SHAH
Dopo l’assassinio di Mansur del 1965, lo Shah nominerà un nuovo capo di governo, Amir-Abbas Hoveyda, il Ministro delle Finanze ed ex-amministratore delegato della NIOC, un tecnocrate noto per la sua appartenenza alla massoneria. Malgrado la sua notevole influenza politica, Hoveyda faticherà a svincolarsi dalla preponderante figura dello Shah, per nulla disposto a cedere margini di potere, esigendo dal governo l’implementazione acritica del programma della sua rivoluzione bianca. Sempre nel 65, l’ala comunista del Movimento per la Liberazione dell’Iran (FMI) si sgancerà dando vita all’organizzazione dei Mujahedin del Popolo Iraniano (MEK), perseguendo una formula politica che armonizzasse l’islam con la teoria marxista. Nel 1965, l’Iran sosterrà indirettamente il Pakistan nel corso del conflitto con l’India, arrivando addirittura ad ipotizzare un embargo petrolifero contro Nuova Delhi. Sempre nello stesso periodo, l’Iran sosterrà la fazione realista zaydita nella guerra civile yemenita, in contrapposizione con i ribelli panarabi sostenuti dall’Egitto di Nasser.
Nel 1966, lo Shah normalizzerà le relazioni con l’Arabia Saudita di Re Faysal, sorvolando sulla questione del riconoscimento iraniano di Israele, concordando la necessità di condividere la responsabilità di garantire la sicurezza regionale, dopo il ritiro britannico dal Golfo Persico. In questa fase, lo Shah esorterà i sauditi a modernizzare il paese paventando il rischio di una possibile insurrezione, senza tuttavia riuscire a persuadere la dinastia saudita, risoluta nel rimanere ancorata ai valori tradizionali dell’islam, a cui, a sua volta, Re Faysal esorterà lo Shah a mantenersi fedele. Più avanti, le relazioni tra Iran e Arabia Saudita verranno messe alla prova dai dissidi relativi alla misura degli aumenti da applicare al prezzo del petrolio, in cui i sauditi peroravano un incremento moderato rispetto a quanto preteso da Teheran, che in questo troverà l’anomalo supporto dalla Libia di Muammar Gheddafi, con cui, fino a quel momento, intratteneva rapporti non proprio idilliaci. Il pressing sul prezzo del greggio, aumentato del 70% nel giro di qualche mese, permetterà così all’Iran di incrementare il PIL del 50%, nonostante l’amministrazione americana Nixon esigesse prezzi più bassi a causa della stagflazione che tale processo stava contribuendo a rendere dilagante in tutte le economie occidentali.

Questa congettura politico-economica particolarmente favorevole contribuirà ad alimentare la megalomania dello Shah, convinto di essere un sovrano illuminato capace di poter controllare il corso dell’agenda globale, convincendolo addirittura di poter superare lo stesso occidente che lo aveva messo sul trono, credendosi in grado di ripristinare i fasti della potenza persiana di Ciro e Dario, di cui cercherà di riprendere la tradizione imperiale per fini di propaganda. Nel 1967, l’Iran garantirà le forniture petrolifere a Israele nel corso della guerra dei sei giorni, confermandosi uno strategico alleato di Tel Aviv. Del resto, la comunità ebraica iraniana viveva in condizioni socio-economiche invidiabili considerato il clima mediorientale. Anche se nonostante il suo approccio filo-sionista, lo Shah non mancherà di evidenziare la non indifferente influenza della lobby ebraica sull’establishment mediatico-finanziario americano, criticando apertamente la colonizzazione israeliana dei territori arabi.
L’EGEMONIA IRANIANA NEL GOLFO PERSICO
Sempre nel 67, grazie al supporto tecnico americano, l’Iran svilupperà il suo primo centro di ricerca nucleare, dotandosi di un reattore di ricerca accreditato di una potenza di 5 Megawatt. Iniziativa che verrà vigilata dall’AIEA in seguito all’adesione al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), firmato nel 1968, e ratificato nel 1970. Nei piani dello Shah il programma nucleare sarebbe divenuto necessario negli anni a seguire quando le riserve petrolifere del paese si sarebbero inevitabilmente assottigliate, arrivando addirittura a pianificare la costruzione di ben 20 centrali nucleari entro il 2000 per raggiungere l’autosufficienza energetica.
Nel 1970, il SAVAK assassinerà in Iraq Teymur Bakhtiar, l’ex-generale promotore del fallito golpe contro lo Shah, reo di tenere contatti con esponenti del Tudeh. Azione questa che contribuirà a degradare i rapporti con il governo di Baghdad. Nel 1971, l’amministrazione Hoveyda, per mezzo del Ministro delle Finanze Jashmid Amouzegar, riuscirà a coordinare con la vicina Arabia Saudita un nuovo incremento del prezzo del petrolio, ricavando nuove ingenti risorse destinate al potenziamento infrastrutturale e militare del paese, rendendolo il più sviluppato e potente della regione. Sarà proprio il rapido potenziamento militare iraniano, assecondato dall’industria bellica americana, ad indurre Teheran a ripudiare i trattati che regolavano lo status dei confini della regione dello Shatt al-Arab (conosciuto come Arvand Rud in Iran), rifiutandosi di pagare il passaggio navale al governo iracheno, dando inizio ad una crisi che degraderà i rapporti tra i due paesi confinanti, che ad onor del vero erano degradati già all’indomani della cruenta deposizione della monarchia hashemita del 1958, predisposta dagli ufficiali nazionalisti guidati da Qassem, postosi a capo di un governo rivoluzionario non più allineato con gli USA, come dimostrerà il successivo ripudio del Patto di Baghdad, che tra l’altro, legava l’Iraq all’Iran.

Nello specifico, il nuovo governo nazionalista iracheno, dopo aver rotto le relazioni diplomatiche con Teheran, avanzerà pretese sul Khuznestan, una regione petrolifera abitata da una cospicua minoranza araba di confessione sciita, arrivando a rivendicare persino la sovranità sulle strategiche isole di Abu Musa, Greater Tunb e Lesser Tunb in prossimità dell’imboccatura dello stretto di Hormuz, che l’Iran aveva occupato immediatamente dopo il ritiro britannico dal golfo persico, indisponendo i nascenti Emirati Arabi Uniti che ne rivendicavano la sovranità. Eccezione farà l’isola del Bahrein, che sebbene rivendicata da Teheran riuscirà a guadagnarsi l’indipendenza sotto la dinastia degli al-Khalifa. A queste rivendicazioni irachene, gli iraniani risponderanno sostenendo i curdi del Kurdistan al fine di indebolire la posizione del governo baathista di Saddam Hussein, avvalendosi del contributo del Mossad e persino degli Stati Uniti, sebbene questi ultimi fossero riluttanti a sostenere la causa curda, dal momento che avrebbe inevitabilmente destabilizzato l’ordine interno della Turchia, un’importante alleato in chiave NATO. Pericolo che pur riguardando anche l’Iran, che come l’Iraq e la Turchia tutt’oggi si ritrova a gestire l’insidia della minoranza curda, non impensierirà più di tanto la spregiudicata strategia dello Shah. Nello specifico gli iraniani sosterranno l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) di Jalal Talabani, di cui abbiamo avuto modo di trattare nel focus sui curdi del Kurdistan iracheno.
Sempre nel 1971, l’Iran si confermerà amico del Pakistan sostenendolo indirettamente nel nuovo conflitto con l’India, replicando l’assistenza fornita nel corso della rivoluzione del Belucistan dell’anno precedente.
Lo Shah approfitterà della sua egemonia interna per potenziare le sue forze armate, approfittando della larga disponibilità di risorse finanziarie e degli ottimi rapporti coltivati con molti paesi occidentali. Nello specifico, nel 1974, il governo iraniano riuscirà ad ottenere dagli USA 80 moderni caccia F-14, destinati al contrasto delle incursioni dei velivoli da ricognizione sovietici come il Mig-25. L’Iran sarà l’unico alleato con cui gli Stati Uniti condivideranno la tecnologia del F-14. Rapporti privilegiati con cui più avanti lo Shah riuscirà anche a stipulare altre importantissime commesse militari che prevedevano altri 80 F-14, 300 caccia F-16, 250 F-18, 7 aerei AWACS Boeing E3 e 12 aerocisterne Boeing 707. La spesa militare iraniana interesserà anche la marina, ordinando dall’Italia 6 fregate della classe Lupo, e tentando di convincere i britannici a vendergli una portaerei nucleare. Infine, le forze di terra verranno dotate di 400 carri armati M60 Patton americani, affiancati dai circa 900 carri armati britannici Chieftain. Tuttavia, molti di questi ordinativi rimarranno inattuati a causa della rivoluzione iraniana, di cui avremo modo di trattare nel prossimo articolo. Va poi segnalata anche l’acquisizione di numerosissimi mezzi blindati sovietici della serie BTR, spesso pagati con forniture energetiche.

LA SFIDA DEL MEK E IL SUPPORTO A ISRAELE
Durante l’amministrazione Hoveyda, il SAVAK intensificherà la persecuzione dei movimenti di opposizione, disarticolando in particolar modo l’élite del MEK, rea di aver organizzato il fallito tentativo di sequestro dell’Ambasciatore americano McArthur. Qualche anno dopo, nel 1973, l’ala comunista radicale del MEK epurerà la fazione islamista dall’organizzazione, rivendicando il primato assoluto della teoria rivoluzionaria marxista su quella islamica, ridenominando l’organizzazione come Peykar. Ciononostante, i reduci del MEK continueranno a combattere la loro guerra contro il governo, predisponendo una lunga serie di attacchi terroristici sia contro obiettivi iraniani che occidentali, arrivando addirittura a colpire l’ambasciata britannica e a ferire ed uccidere alcuni ufficiali statunitensi. Sempre nel corso del 73, l’Iran si asterrà dal prendere parte all’embargo petrolifero che le monarchie arabe imporranno all’occidente a seguito della guerra dello Yom Kippur, approfittandone per dirottare gli ingenti proventi petroliferi sull’ambiziosissimo programma di potenziamento militare del paese. Tra l’altro, Teheran agevolerà anche il ritiro israeliano dal Sinai, garantendo le forniture petrolifere a cui Tel Aviv rinunciava restituendo agli egiziani i pozzi petroliferi precedentemente occupati nel corso del conflitto. Successivamente, l’Iran approfitterà della fine del governo di Nasser per normalizzare le relazioni con l’Egitto del nuovo Presidente Sadat. Degno di nota sarà anche l’impegno del contingente militare iraniano inviato in Oman a sostegno del Sultano, per risolvere la ribellione del Dhofar, risolta anche grazie all’accordo raggiunto con la Cina, che indurrà Pechino a revocare il proprio sostegno agli insorti. Durante questo periodo, il Ministero della difesa iraniano svilupperà l’Iran Electronics Industries, un’azienda statale specializzata nello sviluppo di sistemi di difesa avanzati, tentando di superare lo status di mero assemblatore industriale di componenti straniere, principalmente americane.
Nel 1975, Amouzegar, dopo essere passato al Ministero degli Interni, riuscirà ad imporsi nella vita politica iraniana fondando il Partito Rastakhiz (Partito della Resurrezione del Popolo Iraniano), con cui cercherà di ridimensionare il peso politico dello Shah. Tuttavia, anche questa formazione politica finirà per essere imbrigliata dalla monarchia, che ne approfitterà per strutturare un sistema democratico monopartitico. Qualche mese dopo, Amouzegar verrà sequestrato dal noto terrorista “Carlos lo Sciacallo” nel corso di una riunione dell’OPEC, per poi essere liberato qualche giorno più tardi in Algeria, nonostante al terrorista fosse stato ordinato di assassinarlo. Sempre nel 75, l’Algeria del Presidente Boumedienne ospiterà un vertice OPEC che permetterà allo Shah di incontrare il leader iracheno Saddam Hussein, con cui giungerà ad un nuovo accordo sullo status dello Shatt al-Arab che fisserà il confine sulla linea mediana del corso d’acqua e non più sulla costa iraniana. Accordo, che per quanto scomodo per i baathisti di Baghdad, permetterà al governo iracheno di riprendere il controllo della regione del Kurdistan, dove i peshmerga curdi dell’UPK di Talabani verranno abbandonati in balia dell’esercito iracheno, dopo essere stati strumentalizzati per indebolire strategicamente la posizione dell’Iraq, costringendolo a drenare risorse dal fronte arabo-israeliano.

Sempre nello stesso periodo, il governo iraniano commissionerà ad un consorzio tedesco, composto da Siemens e AEG, la costruzione della prima centrale nucleare elettrica da circa 1200 Megawatt a Bushehr, che nei piani di Teheran sarebbe stata alimentata da uranio arricchito in partnership con un’azienda specializzata francese.
Nel 1977, Amouzegar riuscirà ad assumere la leadership del Rastakhiz, imponendo la sua linea progressista in antitesi con la fazione liberale capeggiata dal nuovo Ministro delle Finanze Hushang Ansary. Conseguentemente al suo rafforzamento politico, Amouzegar riuscirà a conquistarsi la Premiership, sostituendo Hoveyda, divenuto via via sempre meno gradito allo Shah, che non esiterà a chiudere il suo “Nuovo Partito Iraniano”, la formazione di cui era leader. Tuttavia, malgrado la rapida ascesa politica, la popolarità di Amouzegar verrà pregiudicata dalle misure che sarà costretto a varare per far fronte ad una pessima congettura economica che lo porterà a rassegnare le sue dimissioni nel giro di qualche mese. Nell’estate del 1978, i fermenti popolari, animati soprattutto dal clero sciita, indurranno lo Shah ad affidare la Premiership all’ex-Primo Ministro Jafar Sharif-Emami, confidando sui buoni rapporti che tradizionalmente intratteneva proprio con l’establishment religioso. Nello stesso periodo, l’Iran avvertirà il governo baathista di Saddam Hussein dei piani di un colpo di stato filo-sovietico, ottenendo in cambio l’espulsione di Khomeini dall’Iraq.
CONCLUSIONI
La nazionalizzazione del comparto petrolifero da parte del governo di Mossadeq sarà forse uno dei segni precursori della fine dell’Impero britannico. Evento, che insieme alla crisi di Suez, farà capire a Londra che il soccorso statunitense nella seconda guerra mondiale non era solo un episodio isolato, ma un vero e proprio atto di successione imperiale. Londra si renderà conto di questo suo nuovo status, quando dinnanzi all’incapacità di riguadagnare l’antico controllo sull’Iran, cercherà a più riprese il supporto degli Stati Uniti, senza di cui non erano più in grado di esercitare il ruolo che tradizionalmente avevano svolto nell’arena internazionale, ma questo, all’epoca, Mossadeq non poteva comprenderlo appieno. Eppure, ai britannici sarebbe bastata un minimo di flessibilità negoziale per conservare la loro posizione strategica in Iran, accettando di dividere i proventi petroliferi a metà con gli iraniani, come alla fine si arriverà al termine della crisi, quando tuttavia Londra si ritroverà costretta a condividere la tavola con le “altre 5 sorelle” americane. Invece, preferiranno alimentare il dissenso, facendo leva sugli effetti del disastroso embargo petrolifero, che l’italiana ENI di Enrico Mattei proverà temerariamente ad aggirare. Dal canto loro, gli USA lasceranno i britannici nel loro brodo, approfittando del disfacimento della loro posizione regionale, non ritenendo Mossadeq in combutta con i sovietici, come invece lasciava intendere il governo di sua maestà. Del resto, anche all’interno del Tudeh, non tutti erano ben disposti nei confronti dell’influenza sovietica, e la scissione del Toilers sta a dimostrarlo, anche se probabilmente Mosca farà effettivamente poco per incidere sullo status-quo iraniano, rispettando gli equilibri strategici della guerra fredda.
In tutto questo, lo Shah tenterà di arginare l’ascesa di Mossadeq, non tanto per fedeltà britannica, quanto per timore di finire, presto o tardi, per essere rovesciato dal suo trono, ma dinnanzi al consistente seguitò popolare del Fronte Nazionale non poté far altro che prendere atto della sua posizione di precarietà politica interna. Tuttavia, al netto delle sensazioni, la leadership di Mossadeq non era fondata su di una solida base di consenso personale, ma su di una fragile strategia politica che oscillava tra l’islamismo degli ayatollah e il marxismo del Tudeh. Nonostante l’impegno profuso, l’equilibrismo politico di Mossadeq non basterà ad accontentare entrambe le fazioni, sicché preferirà, suo malgrado, il sostegno dei comunisti del Tudeh a quello degli islamisti di Kashani, di cui rifiuterà la prospettiva di una rivoluzione islamica, preferendone una socialista, che probabilmente confidava di poter moderare, nonostante la defezione dei social-democratici del Toilers suggerisse proprio il contrario. Sarà proprio l’avvicinamento di Mossadeq ai comunisti a indurre gli Stati Uniti a riconsiderare le pressioni britanniche, accettando di rimuoverlo dal potere attraverso quella che diverrà nota come Operazione Ajax, sapientemente orchestrata dagli strateghi della CIA, capaci di ribaltare una sconfitta in una vittoria, conducendo una delle psy-op meglio riuscite nella storia dei servizi segreti. Successivamente, gli anglo-americani permetteranno allo Shah di consolidare la sua nuova posizione di dominio, sostenendolo nella costruzione di un regime di polizia di cui il SAVAK diverrà sua massima espressione.
Più avanti, le simpatie repubblicane dello Shah gli costeranno l’inimicizia dell’amministrazione Kennedy, rischiando addirittura di essere rovesciato da un golpe militare alla vigilia del suo ambiziosissimo processo di riforma e modernizzazione del paese, che si svilupperà parallelamente alla crescente ostilità del clero sciita, mobilitato dal popolarissimo ayatollah Khomeini, e dai comunisti del MEK.
Sul piano strategico, l’Iran dello Shah si manterrà ancorato al blocco occidentale insieme a Turchia e Arabia Saudita, sostenendo l’indipendenza di Israele e aderendo al Patto di Baghdad, ottenendo in cambio massicce forniture militari, finanziate con gli ingenti proventi petroliferi trainati dall’ascesa del prezzo del greggio di quei turbolenti anni. Durante questo periodo, la sicurezza dello Shah si trasformerà in una pericolosa arroganza che, almeno inizialmente, sembrerà pagare in Iraq, mettendo alle corde il governo baathista di Baghdad, armando i miliziani curdi dell’UPK. Posizione di forza con cui riuscirà anche ad avviare il programma nucleare che all’epoca, a differenza di oggi, non preoccupava affatto né gli Stati Uniti, né i loro alleati israeliani.