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CONOSCIAMO L’IRAN (3° Parte)

Proseguiamo con la terza parte del nostro focus dedicato alla conoscenza dell’Iran, riprendendo dalla fase di declino dell’autocrazia pahalavide dello Shah, messo alle strette dai rivoluzionari guidati dall’ayatollah Khomeini.

LO SHAH MESSO ALLE STRETTE DALL’AYATOLLAH

Nel 1977, sull’onda della crescente insoddisfazione popolare, l’Iran dello Shah asseconderà le pressioni dell’amministrazione USA presieduta dal democratico Jimmy Carter, allentando la presa del SAVAK sull’opposizione, liberandone alcuni esponenti. Tuttavia, l’ordine assoluto dello Shah Mohammad Reza Pahlavi comincerà a vacillare all’inizio del 1978 quando, stanco dei sermoni infuocati di Khomeini, deciderà, cont7ro il parere del SAVAK, di reagire facendo stilare insieme all’ex-Premier Hoveyda un articolo dileggiatore, in cui accusava l’ayatollah di essere un cittadino indiano, comunista, drogato al servizio del governo britannico. L’iniziativa dello Shah, oltre ad essere suggerita dalle sue manie di grandezza, venne verosimilmente influenzata anche dal degrado delle sue capacità cognitive determinate dai seri problemi di salute che si trascinava da qualche anno. Ad ogni modo, l’articolo diffamatorio scatenerà una serie di feroci proteste nella roccaforte del clero sciita di Qom, da dove in passato Ruhollah Khomeini aveva a più riprese accusato lo Shah di essere un agente sionista al servizio dell’impero americano. Tra l’altro, la retorica dell’ayatollah si intensificherà in occasione della visita dello Shah alla Casa Bianca, quando il monarca iraniano brinderà con lo champagne insieme al Presidente Carter, contravvenendo platealmente al precetto islamico di non bere alcolici. Gli scontri tra esercito e manifestanti che seguiranno questi eventi produrranno centinaia di vittime, contribuendo ad alimentare l’astio della popolazione sia nei confronti del governo che della stessa monarchia pahlavide.

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(Il Presidente USA Carter brinda con lo Shah Mohamed Reza Pahlavi )

Nel frattempo, Khomeini espulso dall’Iraq, dove aveva vissuto sotto la tutela della locale comunità sciita almeno fino all’ascesa del governo baathista di Saddam Hussein, troverà rifugio in Francia, dopo aver tentato di trasferirsi senza successo prima nel vicino Kuwait e dopo in Siria. Dal suo esilio parigino l’ayatollah continuerà a contestare il regime dello Shah, accusandolo di voler sradicare la tradizione islamica iraniana, sostituendola con quella dei suoi alleati occidentali, contestandogli provvedimenti come quello della sostituzione del calendario islamico con quello imperiale, privilegiando l’enfasi della figura di Ciro “il grande” rispetto a quella del profeta Maometto. Retorica che ben si armonizzerà con le recriminazione del ceto commerciale deluso dalle riforme della rivoluzione bianca dello Shah, percepito come una figura elitaria, distante dalla popolazione. Sul piano strategico Khomeini rivendicherà l’indipendenza iraniana sia dall’occidente che dall’Unione Sovietica, condannando sia la deriva capitalista che quella comunista. Sempre durante l’esilio francese, Khomeini incontrerà il liberale Karim Sankabi, uno dei leader del Fronte Nazionale, che tenterà inutilmente di convincerlo ad aderire ad un governo di unità nazionale che si impegnasse a salvaguardare la monarchia pahlavide.

LO SFALDAMENTO DELL’AUTORITA’ DELLO SHAH

Dinnanzi alla crescente pressione popolare, lo Shah proverà ad aprirsi alle rivendicazioni dei manifestanti, annunciando libere e democratiche elezioni, e l’inizio di una profonda lotta contro la corruzione. Sull’onda di queste premesse, lo Shah disporrà la sostituzione del capo del SAVAK Nematollah Nassiri con il più conciliante generale Nasser Moghaddam, invitando le fazioni più moderate dell’opposizione a convergere su di una pacifica risoluzione della crisi politica. A tal proposito, lo Shah scaricherà tutte le responsabilità delle criticità sollevate dai manifestanti sul Primo Ministro Amouzegar, sostituendolo con l’ex-Premier Sharif-Emami, confidando nei suoi buoni rapporti con l’establishment del clero sciita, con cui sperava di implementare un governo di riconciliazione nazionale. Credenziali con cui cercherà di revocare gran parte delle riforme contestate dall’opposizione, agevolando la liberalizzazione del sistema politico iraniano, fino a quel momento fortemente restrittivo ed egemonizzato dal partito conservatore realista Rastakhiz. Tuttavia, l’approccio conciliante del nuovo governo, sommato all’allentamento della censura, non sortirà l’effetto sperato, incoraggiando ulteriormente l’opposizione, favorendo l’organizzazione di oceaniche manifestazioni in cui si chiedeva a gran voce la fine dell’esilio di Khomeini, considerato sempre di più come il leader carismatico di quella che andava assumendo i contorni di una vera e propria rivoluzione. Dinnanzi alla vasta e crescente mobilitazione popolare, lo Shah decreterà la legge marziale al fine di impedire possibili colpi di mano dell’opposizione di cui, pur intendendo dialogare, continuava a diffidare. Non a caso, l’8 Settembre, parte dell’opposizione contravverrà al coprifuoco riunendosi nella Piazza Jableh di Teheran andando incontro alla dura reazione delle forze di sicurezza che a fine giornata faranno numerose vittime. Il degrado della situazione interna finirà per indurre il Premier Sharif-Emami a rassegnare le sue dimissioni, lasciando provvisoriamente la guida del governo al generale Gholam Reza Azhari. Messo alle strette, il 2 Ottobre lo Shah emanerà un amnistia estesa anche a Khomeini, accantonando il piano che il SAVAK aveva avanzato per deportare i principali leader dell’opposizione.

Durante queste turbolente proteste, lo Shah, oltre che dell’URSS, inizierà a sospettare persino dei suoi alleati anglo-americani, per via dell’approccio simpatizzate che i mass-media occidentali dimostravano nei confronti dell’opposizione iraniana, ritenuta più liberale del vecchio monarca iraniano. Del resto, l’Ambasciatore americano a Teheran Sullivan aveva già segnalato a Washington il degrado delle capacità politiche dello Shah, suggerendo un golpe delle forze armate ed il raggiungimento di un compromesso con le principali forze di opposizione. A Novembre, messo sempre più con le spalle al muro, lo Shah proclamerà un discorso televisivo in cui si dimostrerà ricettivo delle istanze rivoluzionarie del paese, scusandosi con il popolo, promettendo profonde riforme, e mettendo agli arresti domiciliari l’ex-Premier Hoveyda, a cui scaricherà tutte le responsabilità della “rivoluzione bianca”. Tuttavia, la presa di posizione dello Shah non muterà i sentimenti dell’opposizione, spronata da Khomeini a rovesciare la ormai claudicante monarchia pahlavide e il governo militare del generale Azhari. Il tutto mentre i manifestanti invitavano i militari a disertare dalla loro parte, donandogli fiori, accompagnati da minacce di rappresaglia contro i soldati più refrattari.
Più avanti, ad inizio 1979, Il Presidente Carter esorterà l’ormai malandato Shah a lasciare il paese, prendendo contatti con l’opposizione di Khomeini in Francia, che a dispetto della retorica animosa non si dimostrerà pregiudizialmente chiusa verso gli Stati Uniti, garantendo il rispetto dei contratti petroliferi in essere.

LA FUGA DELLO SHAH

Lo Shah in un ultimo slancio, tenterà in extremis di convincere Gholam Hossein Sedighi, l’ex-Ministro degli interni di Mossadeq, a formare un nuovo governo di riconciliazione nazionale, confidando di riuscire ad aggregare una coalizione liberal-democratica capace di arginare l’ascesa islamista. Tuttavia, dinnanzi all’indisponibilità dello Shah a rimanere nel paese, Sedighi rinuncerà temendo la prospettiva di perdere l’unica figura in grado di controllare le forze armate del paese. Questo rifiuto, indurrà lo Shah a ripiegare su Shapour Bakhtiar, l’ex-Ministro del Lavoro del governo Mossadeq, nonché autorevole membro del Fronte Nazionale. Bakhtiar accetterà l’incarico per salvare la monarchia ed impedire l’ascesa di una coalizione dominata da islamisti e marxisti. Tuttavia, successivamente all’accettazione dell’incarico, il neo-Premier verrà prontamente ripudiato dal Fronte Nazionale. Ad ogni modo, durante il suo mese di governo, disporrà la fine della legge marziale e lo scioglimento del SAVAK, annunciando l’elezione di un’assemblea costituente. Ciononostante, Khomeini disconoscerà il nuovo governo, bollando Bakhtiar come traditore della rivoluzione alleato dello Shah. Durante il suo breve governo, concorderà la partenza (ufficialmente una vacanza) dello Shah per l’Egitto dell’amico Sadat, offrendo in extremis a Khomeini un referendum per l’istituzione di una repubblica e l’istituzione di una città stato sciita a Qom, simile al modello della Città del Vaticano, mentre intanto nel paese i simboli della monarchia pahalavide cadevano sotto la furia dei manifestanti rivoluzionari.

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( Il Premier iraniano Shapour Bakhtiar )

L’abbandono dello Shah, incoraggiato dai contatti che l’intelligence americana aveva nel frattempo preso con l’opposizione, indurrà le forze armate a mantenere una linea neutrale nei confronti dei rivoluzionari, lasciandogli il controllo di alcune importanti città, come Mashhad, confidando in un pacifico processo di transizione politica. Nel frattempo, Khomeini comincerà a coordinare l’organizzazione della rivoluzione creando il Consiglio della Rivoluzione islamica, composto sia da esponenti del clero sciita che da personalità civili e militari, guidati da Mehdi Bazargan, un ingegnere di origini azere formatosi in Francia, precedentemente parte del governo di Mossadeq, più volte incarcerato e noto, tra l’altro, per essere il fondatore del Movimento di Liberazione dell’Iran. Tuttavia, i membri del Consiglio erano divisi sull’assetto del futuro stato iraniano, dividendosi tra chi sosteneva la necessità di uno stato islamico e chi invece ne preferiva uno democratico.
Successivamente, l’ormai malandato Shah si sposterà prima nel Marocco di Re Hassan II, con la flebile speranza di tornare a regnare dopo un periodo di transizione governato da un apposito Consiglio di Reggenza, e poi in Messico, a causa della ritrosia dell’amministrazione USA del Presidente Carter ad accoglierlo, al fine di evitare di inimicarsi il fronte rivoluzionario iraniano. Almeno inizialmente, il rovesciamento della monarchia pahlavide verrà accolto timidamente persino dal governo baathista iracheno di Baghdad, che qualche anno prima fu costretto proprio dallo Shah a cedere lo Shatt al-Arab. Addirittura, Saddam Hussein inviterà Khomeini a consolidare le relazioni bilaterali improntandole sul rispetto reciproco, sorvolando sull’invito a ribellarsi che pochi giorni prima l’ayatollah aveva lanciato alla cospicua comunità islamica sciita irachena. Ciononostante, l’invito iracheno verrà rigettato sdegnosamente da Khomeini, inducendo i baathisti di Baghdad a considerare il nuovo governo rivoluzionario iraniano alla stregua di un nemico. Dinamiche che degraderanno repentinamente le relazioni tra i due paesi confinanti, portando nel giro di qualche settimana alla reciproca espulsione delle rispettive delegazioni diplomatiche.

IL TRIONFANTE RIMPATRIO DI KHOMEINI

Pochi giorni dopo la partenza dello Shah, il Premier Bakhtiar inviterà Khomeini a far ritorno in patria, che avverrà il 1 Febbraio, quando il suo jet Air France atterrerà a Teheran, accolto da una folla esultante. Tuttavia, nonostante i buoni propositi del Premier iraniano, appena poche ore dopo il suo ritorno in patria, l’ayatollah dichiarerà il governo di Bakhtiar illegale, annunciando l’istituzione di un governo rivoluzionario provvisorio che qualche giorno dopo affiderà a Mehdi Bazargan, in qualità di leader del Consiglio della Rivoluzione Iraniana. Khomeini imporrà al popolo iraniano il rispetto del nuovo governo come un dovere islamico, condannando qualsiasi forma di opposizione a questa disposizione, invitando gli Stati Uniti disconoscere il governo di Bakhtiar, che da parte sua tenterà di resistere, offrendo inutilmente all’ayatollah la costituzione di una sua repubblica islamica a Qom. Qualche giorno dopo, un gruppo di guardie reali ingaggerà una feroce battaglia con i manifestanti rivoluzionari, ma il mancato supporto dello stato maggiore, rimasto neutrale, permetterà ai rivoluzionari di prendere possesso delle principali sedi istituzionali iraniane, costringendo Bakhtiar ad una rocambolesca fuga dal suo palazzo. Fuga che precederà l’insediamento del nuovo governo provvisorio di Bazargan, composto in larga parte da esponenti del Fronte Nazionale e del Movimento per la Libertà dell’Iran. Mentre intanto le fazioni più vicine a Khomeini si riuniranno nel Partito Repubblicano Islamico (PRI), una formazione islamista radicale che perseguiva l’obiettivo dell’istituzione di una Repubblica islamica, e tra i cui ranghi militerà l’attuale Guida suprema iraniana, Alì Khamenei. Durante queste turbolenti fasi, l’opposizione istituirà appositi tribunali rivoluzionari incaricati di perseguire gli esponenti del regime dello Shah, a cominciare dagli ufficiali del SAVAK, in gran numero giustiziati sommariamente per ordine di Khomeini senza l’ausilio di una difesa, riscuotendo il plauso dei comunisti del Tudeh e del MEK, ma anche il biasimo di molti liberali come Bazargan. Questo clima di rivalsa porterà al primo assalto dell’ambasciata americana a Teheran da parte dei comunisti dell’Organizzazione dei Guerriglieri del Popolo Iraniano, e al sequestro di un marine, accusato di aver aperto il fuoco contro i manifestanti, che lo tortureranno prima di liberarlo dopo l’intervento del Ministro degli esteri iraniano Ebrahim Yazdi.

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( L’ayatollah Ruhollah Khomeini accolto al suo ritorno in patria )

IL FRONTE RIVOLUZIONARIO SI POLARIZZA

A fine Marzo, il nuovo governo rivoluzionario provvisorio sottoporrà al voto dei cittadini iraniani un quesito referendario, parzialmente contestato da alcuni esponenti del governo, in cui si chiedeva se si voleva sostituire la monarchia con una Repubblica islamica. Nello specifico, il cambiamento di regime verrà sostenuto dal Partito Repubblicano Islamico (PRI), dal Fronte Nazionale, dal Movimento per la Liberazione dell’Iran (MPL), dal Tudeh, dall’Organizzazione dei Mojahedin Popolari (MEK), dal Partito Iraniano, dal Partito della Repubblica Popolare Musulmana (PRPM), dal Partito Pan-iraniano e dal Partito Nazionale, mentre altre formazioni come il Fronte Nazionale Democratico, il Pekyar, il Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (PDK-I) lo contesteranno, preferendo l’istituzione di una Repubblica democratica. Ad ogni modo, il referendum, legittimato da un’affluenza del 98%, ratificherà la fine della monarchia iraniana.
Parallelamente a queste dinamiche, le minoranze arabe del Khuzestan e curde approfitteranno del caos rivoluzionario per iniziare una serie di insurrezioni finalizzate alla rivendicazione di una maggiore autonomia politica, e di cui abbiamo avuto modo di trattare, almeno per il caso curdo, nel nostro focus sui curdi iraniani.
Nell’estate del 1979, gli iraniani verranno nuovamente convocati alle urne per eleggere l’Assemblea Costituzionale, che verrà egemonizzata per il 73% dei seggi dagli islamisti del PRI guidato da Mohammad Beheshti; seguito dall’5% del MPL del Premier Bazargan; dall’8% PRPM del Grande Ayatollah Mohammad Kazem Shariatmadari, il leader sciita che salvò Khomeini dalla pena capitale nominandolo Grande Ayatollah, ma di cui nel frattempo era divenuto sempre più critico per il via del ruolo politico che voleva far giocare alla religione islamica nel paese.

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( L’ayatollah Khomeini insieme al Premier Bazargan )

Durante i lavori della costituente, il fronte rivoluzionario si polarizzerà tra islamisti radicali e islamisti democratici, salvo trovare un difficile compromesso su di una costituzione presidenziale, ispirata al modello francese, che l’opposizione aveva avuto modo di sperimentare durante l’esilio parigino. Parallelamente alla figura del Presidente della Repubblica, la nuova costituzione introdurrà anche la figura dell’Autorità Suprema della Rivoluzione Islamica, ponendola al vertice dello stato, con prerogativa di scelta e nomina diretta del Ministro degli esteri e della difesa, oltre che titolare dell’indirizzo politico delle linee guida fondamentali del paese, e supervisore ultimo delle attività del governo, del Parlamento e delle forze armate. Nello specifico, la Guida suprema deve essere un membro del clero sciita, eletto e supervisionato dall’Assemblea degli Esperti, a cui spetta la supervisione giuridica islamica fino all’epoca della rivelazione del “12° imam nascosto” della tradizione escatologica islamica sciita. In particolar modo, farà discutere l’istituzione del controverso “Consiglio dei Guardiani della Costituzione”, composto da 12 esperti (6 clerici nominati dalla Guida suprema e 6 giuristi nominati dal parlamento), a cui sono demandate le funzioni di interpretare la costituzione, vagliare e approvare (dato il potere di veto) la coerenza costituzionale delle leggi; approvare i candidati presidenziali, dell’Assemblea degli Esperti (insieme alla Guida Suprema) e dei candidati parlamentari. L’Assemblea degli Esperti è invece un organo composto da 88 giuristi eletti ogni 8 anni, deputato alla designazione, e all’eventuale rimozione, della Guida Suprema.

GLI USA PERDONO IL CONTROLLO DELL’IRAN

Il 4 Novembre, il riluttante Presidente americano Carter autorizzerà l’ingresso dello Shah negli Stati Uniti, per permettergli di curarsi. Notizia che irriterà l’opinione pubblica iraniana al punto da ispirare un nuovo assalto all’ambasciata americana da parte di un gruppo di studenti sostenitori di Khomeini, guidati da Ebrahim Asgharzadeh, convinti che Washington stesse tramando per sabotare la rivoluzione islamica, progettando la restaurazione della monarchia pahalavide, in un a sorta di sequel del rovesciamento del governo di Mossadeq. L’iniziativa degli studenti verrà inizialmente disconosciuta da Khomeini, salvo sostenerla a fine serata come un atto rivoluzionario contro quello che considerava essere un covo di spie straniere, spiazzando così il governo provvisorio di Bazargan. Forti del sostegno di Khomeini, gli studenti prenderanno in ostaggio il personale dell’ambasciata americana, esibendoli alla stampa legati e imbavagliati. Gli studenti si giustificheranno, contestando la politica razziale contro gli afro-americani, esigendo dagli Stati Uniti le scuse per il golpe anti-Mossadeq, sfruttando gli ostaggi diplomatici per costringere Washington a consegnargli il malandato Shah, temendo la possibile restaurazione del suo regno. L’assalto dell’ambasciata incontrerà un consenso popolare talmente diffuso da indurre gli studenti a rendere quella che doveva essere un’iniziativa dimostrativa di qualche ora, in una vera e propria crisi internazionale. Infatti, l’iniziativa studentesca verrà accolta con particolare enfasi dalla retorica antimperialista dei comunisti del MEK, seguendo l’esempio della Cuba di Fidel Castro. Sul piano interno, il sostegno di Khomeini all’iniziativa studentesca provocherà le dimissioni del governo provvisorio del moderato Bazargan, certificando l’egemonia politica di Khomeini, che ne approfitterà per tacciare di americanismo chiunque si opponesse al suo progetto di costituzione islamica. Tuttavia, per quanto prevalente, l’egemonia di Khomeini, incontrava resistenze anche tra il clero sciita, soprattutto da parte dell’ayatollah Shariatmadari, le cui posizioni critiche gli costeranno una dura campagna di epurazione.

LA NASCITA DELLA REPUBBLICA ISLAMICA IRANIANA

In questo clima, il 3 Dicembre, il popolo iraniano approverà con il 99% dei consensi la costituzione della Repubblica islamica iraniana, sostenuta dal PRI, dal MLI e dal Tudeh, incontrando l’opposizione, più o meno marcata, di tutte le altre forze rivoluzionarie, limitate dalla mancanza di un leader capace di rivaleggiare con l’influentissimo e popolarissimo Khomeini, nel frattempo divenuto ufficialmente la Guida Suprema del paese. Pochi giorni dopo, lo Shah cercherà di alleggerire la posizione americana, chiedendo il trasferimento nel vicino Messico, che tuttavia si opporrà, assecondando la Cuba di Fidel Castro, il cui sostegno gli era necessario per ottenere il seggio provvisorio nel Consiglio di Sicurezza ONU. Sicché, lo Shah opterà per Panama, dove poco dopo lo raggiungerà la richiesta di estradizione emanata dal governo di Teheran, e favorita dal governo americano, che intendeva così riallacciare i rapporti con il nuovo governo iraniano, su cui incombeva l’influenza sovietica, che da poco aveva iniziato l’invasione dell’Afghanistan. Queste dinamiche indurranno lo Shah a chiedere asilo al governo egiziano dell’amico Presidente Sadat. Nel frattempo, il 15 Gennaio 1980, il 76% degli iraniani eleggerà Abolhassan Banisadr, il loro primo Presidente della Repubblica, un’economista laureato alla Sorbona, appartenente ad un’influente personalità sciita, e a cui l’ex-Premier Bazargan aveva affidato la guida del Ministero delle finanze.

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(l’ayatollah Khomeini e il primo Presidente dell’Iran rivoluzionario Banisadr )

Il 7 Aprile, l’amministrazione democratica del Presidente USA Carter romperà le relazioni diplomatiche con l’Iran. Decisione che, qualche giorno dopo (il 24 Aprile) verrà seguita da una sofisticata operazione militare (Operazione Eagle Claw) finalizzata alla liberazione dei 52 ostaggi diplomatici detenuti dagli studenti rivoluzionari iraniani. L’operazione americana impegnerà circa 120 soldati della “Delta Force”, distribuiti su 2 aerei cargo C-130 e 8 elicotteri RH-53D decollati dalla portaerei nucleare Nimitz. Tuttavia, una serie di circostanze e inconvenienti tecnici, che porteranno alla perdita di 6 elicotteri e di uno dei C-130, indurranno gli americani a rinunciare all’operazione, in cui, tra l’altro perderanno la vita anche alcuni militari, non dovuti a scontri con il nemico. Il giorno successivo, l’amministrazione Carter divulgherà all’opinione pubblica americana il fallimento dell’operazione, che verrà seguita dalla pronta decisione iraniana di distribuire gli ostaggi in località diverse al fine di complicare l’implementazione di eventuali nuove iniziative simili, a cui gli americani continueranno comunque a lavorare sottotraccia.
Successivamente a questi eventi, nonostante le feroci e massicce purghe ai danni degli ufficiali considerati vicini allo Shah, un gruppo di militari della regione araba del Khuznestan, sostenuti dall’ex-Premier Shapour Bakhtiar, organizzerà un tentativo 9 che tuttavia verrà impedita dall’intelligence rivoluzionaria, secondo cui il golpe avrebbe dovuto agevolare l’invasione irachena. Successivamente alla dipartita del malandato Shah, nel mese di Luglio, in Egitto, Khomeini ridefinirà le pretese per la liberazione degli ostaggi, esigendo lo svincolamento dei 32 miliardi di dollari di beni depositati negli Stati Uniti.

Operazione Eagle Claw Iran crisi ostaggi ambasciata USA Teheran
( Resti dei mezzi americani autodistrutti durante la fallimentare operazione Eagle Claw )

CONCLUSIONI

Sul finire degli anni 70, la deriva assolutistica dello Shah, amplificata da modi al dir poco megalomani e decisamente lontani dall’iraniano medio, lo porterà ad ingaggiare uno scontro diretto con il clero sciita rappresentato dal popolarissimo ayatollah Khomeini, che da parte sua si era ben immedesimato nei panni della nemesi del monarca iraniano, riuscendo a definire Mohammed Reza Pahalavi per quello che era, ovvero un eccentrico burattino nelle mani dei suoi sponsor occidentali. Critiche schiette, e non di rado feroci, che verranno ulteriormente enfatizzate dalla notevole influenza di cui Khomeini godeva tra i ceti popolari iraniani, profondamente legati alla pervasiva tradizione islamica sciita, e di cui l’ayatollah veniva considerato l’esponente più puro e carismatico. Il dualismo politico tra Khomeini e lo Shah trascinerà il paese nel caos, esponendo le miriadi di sostenitori dell’ayatollah alla merce delle spietate forze di sicurezza coordinate dal famigerato SAVAK. Dinnanzi alla solidarietà che Khomeini, nel frattempo costretto all’esilio, riscuoteva tra le masse iraniane, lo Shah tenterà di reagire cooptando l’élite sciita, affidando la guida del governo a Sharif-Emami, confidando nei tradizionali legami che la sua famiglia intratteneva proprio con i principali leader islamici del paese. Tuttavia, nonostante i reiterati tentativi di dialogo approcciati dal monarca iraniano, la mobilitazione popolare continuerà a crescere, alimentata da logiche politiche trasversali, che amalgamarono organizzazioni di estrazione decisamente diverse tra loro, ma accomunate dal comune rispetto della carismatica leadership rivoluzionaria di Khomeini.

L’imponente sfida politica catalizzata da Khomeini, metterà alle corde il malandato Shah, incapace di venire a capo di quella che assumeva i contorni di una rivoluzione dalla portata così ampia da non poter essere più arginata attraverso un semplice rimpasto di governo, sicché si convincerà a lasciare il paese. A riprova dell’irreversibilità del processo rivoluzionario, basta far riferimento all’inconsistenza del governo riformista di Bakhtiar, la cui popolarità non era lontanamente paragonabile a quella di cui godeva Khomeini, ben lungi dall’essere un semplice leader religioso. Khomeini, infatti, sarà il primo ad implementare con successo la formula dell’islam politico, sfruttando il non indifferente potenziale di catalizzatore politico che la religione islamica aveva dimenticato dall’epoca dei califfi.
Con la fuga dello Shah, l’imponente esercito iraniano, il più potente della regione, finirà per sbandarsi a causa della mancanza di leader capaci di assicurare una transizione politica ordinata e alternativa alla dinastia pahalavide. Dinamica che, tra l’altro, a suo tempo era stata sfruttata dal padre dello Shah per sostituirsi alla decadente dinastia Qajar. Detto questo, sull’onda del travolgente consenso popolare, Khomeini riuscirà ad egemonizzare la rivoluzione iraniana, mettendo all’angolo le componenti più liberali e democratiche, accusandole di essere corrotte da una tradizione aliena al contesto iraniano, ovvero quella occidentale.

Iran ayatollah Khomeini e Shariatmadari rivoluzione islamica
( Khomeini insieme all’ayatollah Shariatmadari )

La particolarità della leadership di Khomeini sarà quella di dirottare la rivoluzione iraniana su di un canale autoctono incentrato sulla tradizione islamica sciita, ben lontano sia dalle dinamiche liberal-democratiche occidentali, peraltro sconosciute in Medio Oriente, che da quelle socialiste più o meno radicali, decisamente più in voga nella regione, a cominciare dal vicino Iraq baathista. Tuttavia, va considerato che non tutto l’establishment religioso sciita condivideva il ruolo politico che Khomeini aveva deciso unilateralmente di assegnare all’islam, come nel caso dell’ayatollah Shariatmadari, la cui popolarità, tuttavia, non riuscirà ad eclissare l’ascesa del ben più carismatico Khomeini, alla cui nomina ad ayatollah aveva paradossalmente contribuito salvandolo dalla pena capitale. Il sopravvento politico definitivo di Khomeini sulla compagine rivoluzionaria che aveva contribuito al rovesciamento dello Shah verrà certificato in occasione dell’occupazione dell’ambasciata americana, quando metterà con le spalle al muro il governo provvisorio del moderato Bazargan, inducendolo a dimettersi alla vigilia del referendum che approverà la costituzione della Repubblica islamica iraniana. L’occupazione dell’ambasciata certificherà anche agli Stati Uniti la perdita del controllo dell’Iran, che si ritrovarono in una situazione strategica decisamente peggiore di quella del Regno Unito all’indomani della nazionalizzazione del comparto petrolifero, giacché in questo caso al posto di un leader relativamente moderato come Mossadeq si ritrovarono a fare i conti con un leader islamista decisamente più radicale, e difficile da inquadrare all’interno degli schemi politici classici che all’epoca della guerra fredda polarizzavano nettamente il mondo tra comunisti e non comunisti.