CONOSCIAMO L’IRAN (4°Parte)
Nel 3° capitolo di questo formu dedicato alla conoscenza dell’Iran ci eravamo lasciati con il nuovo governo rivoluzionario iraniano alle prese con le insurrezioni secessioniste curde animate dal Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (PDKI) nel nord-ovest del paese. Conflitto che potrete approfondire riprendendo il nostro focus sui curdi iraniani.
LA SFIDA DI KHOMEINI A SADDAM HUSSEIN
Mentre le autorità iraniane riguadagnavano il controllo dei territori occupati dai ribelli curdi del PDKI, accusati da Khomeini di subordinare l’identità islamica a quella etnica, i fermenti rivoluzionari islamisti cominceranno a diffondersi anche all’interno della vicina e cospicua comunità sciita irachena sotto la leadership di personalità del clero locale, fortemente ostili al governo nazionalista-panarabo di Saddam Hussein. Del resto, come abbiamo già avuto modo di trattare nel nostro precedente articolo, abbiamo avuto modo di accennare ai motivi alla base del rapporto antagonistico tra il governo baathista di Baghdad e Khomeini, che verrà costretto a lasciare l’esilio iracheno proprio a causa di Saddam Hussein su richiesta dello Shah. E sebbene Saddam Hussein avesse accolto relativamente bene l’ascesa di un nuovo governo iraniano, esprimendo il desiderio di intrattenere buone relazioni bilaterali, Khomeini intensificherà la sua retorica ostile, aizzandogli contro la maggioranza sciita irachena. Le proteste antigovernative che ne conseguiranno, indurranno il governo di Baghdad a prendere una serie di contromisure per arginare l’attivismo dei manifestanti, confidando di dividere il fronte anti-governativo, enfatizzando l’identità araba dei manifestanti sciiti. Saddam Hussein, come altri della sua cerchia di potere, benché membro di un partito laico come il Baath era di confessione sunnita, e comincerà a temere seriamente la prospettiva di ritrovarsi in balia di una maggioranza religiosa ostile, sicché inizierà a considerare il nuovo governo rivoluzionario iraniano come la fonte di una minaccia esistenziale, espellendone la delegazione diplomatica nel marzo del 1980. Iniziativa ricambiata immediatamente anche da Teheran.
Successivamente a questi eventi, il governo iracheno inizierà a stringere il controllo sul paese, mettendo in quarantena l’establishment sciita, perseguitando in il Partito islamista Dawa, e arrivando ad arrestare, torturare e infine assassinare il suo leader, il gran ayatollah Mohamad Baqir al-Sadr, e sua influente sorella Amina bint al-Huda, contribuendo ad amplificare l’animosità iraniana, già esasperata dall’espulsione dei cittadini di origine iraniana e dalle insurrezioni della minoranza araba del Khuzestan, oltre che dal supporto fornito alle milizie curde del PDKI. Eventi che verrà sistematicamente marginalizzati dai mass-media occidentali, che anzi, inizieranno a considerare l’Iraq come un baluardo contro l’inviso governo rivoluzionario iraniano, a cui si erano legati gli al-Sadr, la cui tragica fine innescherà una serie di tumulti anti-governativi che culmineranno in devastanti attentati contro l’establishment baathista, come nel caso di quelli a cui scamperà fortunosamente il Vice-Premier iracheno Tareq Aziz. L’attivismo iraniano si concretizzerà anche nel vicino Bahrein, dove Teheran supporterà il tentativo di colpo di stato predisposto dal locale Fronte islamico di liberazione, intenzionato a riscattare la maggioranza sciita dal dispotismo della dinastia al-Khalifa.

LA GUERRA IRAQ-IRAN
La crisi tra i Iran e Iraq degenererà definitivamente il 22 Settembre del 1980, quando l’aeronautica irachena lancerà una serie di raid aerei a sorpresa contro le principali basi aeree iraniane, con l’intento di disintegrare i moderni mezzi aerei di produzione americana che l’aeronautica militare iraniana aveva acquisito in grande quantità durante il regime dello Shah. Tuttavia, i raid predisposti dai Mig-23 e dai Tu-22 iracheni di origine sovietica non si riveleranno particolarmente efficaci, a causa dei numerosi shelter corazzati in cui la gran parte dei mezzi aerei iraniani era stata allocata. Gli iraniani, dal canto loro, risponderanno il giorno dopo con una massiccia operazione aerea che mobiliterà l’intera aeronautica militare (circa 150 jet, tra F-4 e F-5, difesi da una sessantina di avanzatissimi F-14), producendo danni ben maggiori di quelli conseguenti all’operazione irachena, dimezzando il potenziale aereo di Baghdad.
La controffensiva aerea iraniana si svilupperà mentre le forze corazzate irachene avviava una massiccia invasione della regione petrolifera contesa del Khuznestan, dove tuttavia le aspettative di un’insurrezione araba verranno deluse dalla popolazione locale, che privilegerà l’identità religiosa sciita a quella etnica araba. Dinamica che, al netto delle previsioni irachene, si estenderà in tutto il paese, compattando ulteriormente l’opinione pubblica attorno il nuovo governo islamista di Khomeini, allontanando così l’illusione irachena di un’insurrezione anti-governativa iraniana. Addirittura, almeno inizialmente, persino i comunisti del MEK, sebbene in lotta contro il governo di Teheran, condanneranno l’iniziativa irachena.
IL RUOLO DI USA E ISRAELE NEL CONFLITTO
All’inizio 1981, al culmine di un lungo processo negoziale, agevolato dalla mediazione vaticana e algerina, l’Iran rilascerà i 52 ostaggi dell’ambasciata USA, immediatamente dopo il discorso di insediamento del nuovo Presidente repubblicano Ronald Reagan. Tempistica che umilierà il presidente uscente Jimmy Carter, che dalla liberazione anticipata degli ostaggi avrebbe presumibilmente potuto trarre un vantaggio tale da permettergli di ribaltare il risultato delle presidenziali. Dinamica, questa, che ha dato adito a molte speculazioni circa un possibile accordo tra l’entourage di Reagan ed il governo iraniano al fine di posticipare il rilascio degli ostaggi, in cambio dei pezzi di ricambio di cui le forze armate iraniane, sottoposte ad embargo, necessitavano per fronteggiare l’invasione irachena.
Dinamica verosimile che ben si accorda con gli sviluppi dello “scandalo Iran-Contras” che negli anni successivi coinvolgerà proprio l’amministrazione Reagan. Nello specifico, nel 1985, Reagan permetterà la vendita di armi agli iraniani girandone i proventi alla guerriglia anti-sandinista del Nicaragua, aggirando il divieto del Congresso, ottenendo inoltre anche la liberazione di un gruppo di ostaggi occidentali precedentemente presi dagli Hezbollah in Libano. La spregiudicata strategia di Reagan, agevolerà l’imponente afflusso di pezzi di ricambio alle forze armate iraniane, strutturate in larghissima parte su strumenti in larga parte su strumenti militari di fabbricazione americana, favorendone il triangolamento attraverso Israele, che in cambio otteneva forniture petrolifere iraniane per svariati milioni di dollari, e soprattutto l’indebolimento strategico del sempre più potente esercito iracheno, impegnandolo lontano dai suoi confini.
Gli Stati Uniti alleggeriranno la morsa sull’Iran anche in prospettiva di tempi migliori, confidando nella tradizionale compiacenza dei ranghi ufficiali iraniani, e dando credito al pragmatico Presidente del Parlamento iraniano Alì Akbar Hashemi Rasfanjani, considerato un’esponente moderato capace di prendere il sopravvento sull’establishment radicale egemonizzato dall’anziano Khomeini.

Queste dinamiche strategiche si svilupperanno mentre Khomeini esasperava la retorica contro Israele, appellato come “entità sionista”, dove nel frattempo si erano rifugiati migliaia di ebrei iraniani, accusandolo di essere il nemico irriducibile del mondo islamico, in quanto proiezione regionale dell’imperialismo americano, ma avendo cura di distinguere nettamente il sionismo dall’ebraismo, contro cui non aveva nulla. Del resto, al netto delle fughe, le temute persecuzioni di massa paventate dagli ebrei iraniani non realizzeranno mai. L’antisionismo di Khomeini, confermerà la particolare sensibilità iraniana alla questione palestinese, intensificando le relazioni bilaterali attraverso iniziative altamente simboliche come l’assegnazione della sede dell’ambasciata israeliana a Teheran alla delegazione dell’OLP di Arafat. Nello specifico, l’Iran sosterrà la necessità di sostituire lo stato di Israele con uno stato palestinese unitario, governato democraticamente da tutta la popolazione residente, a prescindere dalle rispettive origine etnico-religiose.
Ad ogni modo, come abbiamo accennato, la retorica ostile non impedirà all’ayatollah di tollerare, suo malgrado, la presenza di decine di tecnici e consulenti militari israeliani nel paese, la cui presenza risulterà essenziale per mantenere operative le forze armate iraniane, soprattutto i jet americani in dotazione all’aviazione.
Nello specifico, il triangolamento di armi americane (soprattutto missili anticarro TOW) da Israele in Iran si realizzerà attraverso intermediari come Adnan Kashoggi, un miliardario saudita dalle origini turco-ebraiche coinvolto nello “scandalo Iran-Contras” e da ex-agenti doppiogiochisti del SAVAK iraniano come Manucher Ghorbanifar, coinvolto insieme all’ex-presidente iraniano Shapour Bakhtiar nel fallito colpo di stato del 1980. Per la cronaca, Adnan Kashoggi era lo zio di Jamal Kashoggi, il giornalista dissidente recentemente smembrato in Turchia, all’interno del consolato saudita di Istanbul. E sempre per la cronaca, era il proprietario del lussuosissimo yacht “Nabila”, che nel 1988 venderà per 29 milioni di dollari all’allora semplice tycoon Donald Trump che lo rinominerà “Trump Princess”, e che nel 1991 rivenderà per 20 milioni di dollari al facoltoso principe saudita al-Waleed bin Talal al-Saud, nipote di Re Abdullah al-Saud, oltre che di Riyad al-Suhl, l’ex-Premier libanese assassinato da un membro del Partito Nazionalista Sociale Siriano. Del resto, all’epoca anche l’Arabia Saudita aveva interesse a polarizzare l’imponente dispositivo militare iracheno lontano dai suoi confini, soprattutto se contro la temuta minaccia rivoluzionaria sciita iraniana. Non a caso, il messaggio di congratulazioni che l’allora Re Khaled al-Saud farà consegnare a Khomeini verrà sdegnosamente rigettato con un appello ai musulmani arabi a rovesciare la monarchia guidata da quelli che definirà come una setta di eretici Wahabiti.
Parallelamente a questi eventi, il consorzio di aziende tedesche (Siemens e AEG) cederà alle pressioni USA, interrompendo i lavori di completamento della centrale nucleare di Bushehr, commissionata durante il regime dello Shah, adducendo a ritardi nel pagamento da parte del nuovo governo rivoluzionario di Teheran. Centrale, che tra l’altro, verrà danneggiata dai raid aerei iracheni durante il conflitto. Del resto, Parigi e Washington avevano già predisposto l’interruzione delle forniture di combustibile nucleare destinato al centro di ricerca nucleare di Teheran, suscitando le critiche di inaffidabilità da parte del governo iraniano.
L’INASPETTATA RESILIENZA MILITARE IRANIANA
Ritornando alla guerra tra Iran e Iraq, alla fine dell’estate del 1980, l’aggressione irachena verrà rallentata dall’indubbia superiorità aerea iraniana, che tra l’altro, verrà utilizzata per distruggere i terminal petroliferi costieri, contribuendo a degradare le finanze di Baghdad. Addirittura il 30 Settembre, l’aeronautica militare iraniana riuscirà a bersagliare la centrale nucleare di Osirak, che l’Iraq si stava accingendo a ultimare, predisponendo una sofisticatissima operazione aerea che si avvarrà dell’intelligence che il vecchio regime dello Shah aveva lungamente condiviso con gli israeliani, che secondo alcuni, in quel frangente, avrebbe sorvolato sulla retorica ostile degli ayatollah, continuando a fornire informazioni, al fine di contrastare i comuni nemici strategici iracheni. Il reattore di Osirak verrà disintegrato definitivamente un anno più tardi, da un nuovo raid aereo, questa volta predisposto dall’aviazione israeliana.
Qualche settimana dopo il raid su Osirak, gli iraniani predisporranno altri raid simili, prima contro la base irachena di Mosul, dove erano in addestramenti i piloti dei nuovi caccia francesi Mirage, e dopo contro la piccola marina militare irachena, che ne uscirà annichilita. Raid aerei che verranno seguiti da altri ancora più sofisticati, come quello predisposto contro la base irachena H3 di al-Walid situata nell’estremo ovest, a ridosso dei confini giordani, dove gli F-4 iraniani, scortati dai sofisticatissimi F-14, riusciranno a distruggere decine di jet militari nemici, aggirando arditamente le difese aeree irachene, volando radenti sul confine turco-iracheno, e rifornendosi grazie ad un’aerocisterna precedentemente collocata in territorio siriano, avvalendosi della compiacenza del governo di Damasco. Infatti, sebbene Khomeini considerasse il Presidente baathista siriano Hafiz al-Assad (di fede alawita) alla stregua di un infedele, nulla gli impedirà di stringere un’alleanza strategica con la Siria, nonostante fosse governato dalla branca siriana di quello stesso partito Baath che intendeva rovesciare in Iraq, e che al pari di Saddam Hussein perseguiva una via laica e panaraba al socialismo.

Ad ogni modo, per quanto anomala e paradossale, Teheran insisterà sull’alleanza con la Siria, considerata strategicamente essenziale per poter proiettare la propria influenza in Libano, dove risiedeva una cospicua comunità sciita, egemonizzata da Hezbollah, un organizzazione finanziata e addestrata dai Pasdaran iraniani conseguentemente all’invasione israeliana del sud del Libano del 1982. Del resto, le basi dell’alleanza siro-iraniana era stata gettate dal lungimirante presidente siriano già all’indomani della rivoluzione islamica, riconoscendo per primo il nuovo governo iraniano, ritenendolo un valido partner strategico in grado di spezzare l’isolamento startegico in cui era stato lasciato dai suoi alleati egiziani dopo la guerra del Kippur. Inoltre, la partnership con Teheran avrebbe permesso ad Assad di liberarsi della sua scomoda nemesi baathista di Baghdad, che gli impediva di imporre la sua leadership assoluta sul movimento socialista panarabo post-nasseriano.
Ad ogni modo, ritornando alle incursioni iraniane in Iraq, le operazioni riusciranno a fiaccare gli iracheni, costringendoli a segnare il passo, seppur ad un costo altissimo in termini umani, rievocando scene di trincee decisamente simili a quelli della “grande guerra”. Risultato che disilluderà gli iracheni circa una facile vittoria contro un esercito iraniano dato allo sbando, a causa della feroce campagna di epurazione intrapresa dal governo islamista contro i principali ufficiali, considerati compromessi con lo Shah.
I CONTRASTI POLITICI E IL TERRORISMO DEL MEK
Detto questo, oltre alla pressione irachena, l’Iran soffrirà anche l’insidiosa guerriglia dei ribelli secessionisti curdi del PDKI, armati strategicamente dall’Iraq. Tuttavia, una volta puntellate le difese, il Presidente iraniano Abolhassan Banisadr approfitterà della guerra per ridimensionare il potere degli islamisti di Khomeini, privilegiando i rifornimenti all’Esercito piuttosto che alle milizie dei Guardiani della rivoluzione (Pasdaran). In particolar modo, Banisadr proverà ad accrescere il suo prestigio ordinando una spregiudicata offensiva che tuttavia fallirà nell’intento di scardinare le posizioni irachene. Azzardo che contribuirà a ridimensionarlo politicamente, esponendolo alle dure critiche degli islamisti del Partito islamista repubblicano(PIR). Ad ogni modo, benché isolato, Banisadr incontrerà la solidarietà dei comunisti del MEK, che nel Giugno del 1981, violando i divieti, manifesteranno in massa a suo sostegno, andando incontro alla dura reazione delle forze di sicurezza. La convergenza tra il MEK e il Presidente iraniano indurrà Khomeini ad attivare la procedura di impeachment, rimuovendo Banisadr dal governo con l’accusa di voler sabotare la rivoluzione islamica, e mettendo al bando tutti i partiti ad esso solidali, istituendo, infine, un apposito governo provvisorio. Banisadr riuscirà comunque a fuggire rocambolescamente dall’Iran, imbarcandosi clandestinamente su di un volo che lo condurrà in Francia, dove insieme a Massoud Rajavi, il leader del MEK, fonderà il “Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana” (CNRI), a cui inizialmente aderiranno anche i curdi del PDKI.

Qualche settimana dopo la fuga di Banisadr, verranno prontamente organizzate nuove elezioni presidenziali, a cui verranno autorizzati esclusivamente esponenti del PRI, che verranno vinte con l’88% dei consensi dal Primo Ministro Mohamed Ali Rajai, personalità con un trascorso giovanile tra le fila del MEK. Una volta conquistata la presidenza affiderà la Premiership del nuovo governo all’ex-Ministro della cultura, Mohammad Javar Bahonar, uno dei fondatori del PRI, nonché membro dell’Assemblea degli esperti. Pochi giorno dopo l’insediamento del nuovo governo, il MEK, messo alle strette dalla persecuzione delle autorità governative, intraprenderà la via del terrorismo, facendo detonare una bomba nel corso di un vertice del PRI, assassinando Mohammed Beheshti, uno dei principali leader del partito, nonché artefice della costituzione della Repubblica islamica iraniana. Il mese successivo, il 30 Agosto dell’81, il MEK si ripeterà facendo detonare un nuovo ordigno all’interno dell’ufficio del Premier Javar Bahonar, uccidendolo insieme al Presidente Rajai, con cui stava incontrando il capo della polizia. Evento che costringerà Khomeini a riformare un nuovo governo provvisorio che porterà alle elezioni presidenziali di Ottobre, vinte con il 95% dei consensi da Alì Khamenei, uno dei più stretti collaboratori di Khomeini nel corso della rivoluzione islamica, e precedentemente ferito gravemente da un ordigno occultato all’interno di un registratore vocale nel corso di una conferenza stampa tenutasi pochi giorni dopo la rimozione dell’ex-Presidente Banisadr. Khamenei, sarà il primo membro del clero sciita a diventare Presidente, incarico che inaugurerà prendendo l’impegno di sradicare l’influenza americana dal paese, affidando la Premiership al Ministro degli esteri Mir Hossein Mousavi, nel tentativo di compiacere le componenti rivoluzionarie di sinistra.
L’IRAN RIBALTA IL FRONTE E ASSEDIA L’IRAQ
Il neo-Presidente Khamenei approfitterà del dualismo tra la fazione siriana e quella irachena interna al Partito Baath per consolidare ulteriormente l’alleanza strategica con la Siria di Hafiz al-Assad, ottenendo la chiusura dell’oleodotto che da Kirkuk indirizzava il greggio fino alle coste di Banyas, contribuendo ad affossare ulteriormente le già pessime finanze di Baghdad, tenute in piedi solo dalla solidarietà strategica delle petro-monarchie arabe del Golfo Persico. Infatti, sebbene i baathisti di Saddam Hussein fossero considerati una minaccia dalle monarchie del golfo, queste temevano di più l’ascesa egemonica dell’Iran di Khomeini, secondo cui erano regimi illegittimi ed eretici. Oltre al supporto arabo, l’Iraq godrà anche del discreto supporto strategico americano, ricevendo attraverso la Giordania armi e informazioni d’intelligence. Tra l’altro, dopo essere stati rimossi dalla lista degli stati sponsor del terrorismo, gli iracheni otterranno dagli Usa anche elementi chimici poi utilizzati per assemblare armi chimiche utilizzate su larga scala contro gli iraniani. Ad ogni modo, il supporto americano non impedirà all’Unione Sovietica di sostenere l’Iraq, garantendo l’afflusso di armi, soprattutto nel momento in cui Baghdad sembrava sul punto di capitolare dinnanzi alla debordante preponderanza numerica iraniana. Infatti, nell’estate del 1982, la potente pressione iraniana costringerà l’Iraq a ripiegare dai territori conquistati del Khuzestan, inducendo Saddam Hussein a chiedere la pace al governo iraniano, che attraverso Khomeini risponderà che la guerra si sarebbe esaurita solo con il rovesciamento del suo governo e l’instaurazione di una Repubblica islamica anche a Baghdad. Prospettiva, quella di un governo islamista, su cui contava il “Consiglio supremo islamico rivoluzionario dell’Iraq” (CSIRI), un’organizzazione di esuli iracheni con sede a Teheran, guidata dall’ayatollah Mohammad Baqir al-Hakim. Nello specifico, il CSIRI si doterà di una propria milizia, la Brigata al-Badr, formata proprio grazie al determinante supporto dell’Iran, di cui tuttavia non condividevano il primato politico degli ayatollah sulla comunità islamica.
Il ritiro iracheno favorirà la realizzazione dei propositi di Khomeini, e sebbene alcuni influenti membri del governo di Teheran fossero propensi ad accettare una tregua, alla fine l’Iran deciderà di approfittare dell’occasione per invadere l’Iraq, approfittando della situazione tattica vantaggiosa. Tuttavia, la scommessa iraniana non pagherà, riconfigurando una nuova guerra di logoramento, in cui nessuna delle due parti riuscirà a conseguire vittorie o avanzamenti significativi. Ad ogni modo, il disimpegno iracheno verrà accolto favorevolmente dai ribelli comunisti del MEK, che dall’esterno del paese faranno appello ad una tregua propedeutica al ripristino della pace. Posizione, che all’inizio del 1983, indurrà gli iracheni a prendere contatti col MEK, riconoscendolo come il legittimo governo iraniano in esilio, con cui concorderà un piano di pace basato sui rispetto dei confini sanciti dall’accordo di Algeri. La svolta filo-irachena del MEK dividerà il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), inducendo molti dei suoi membri, dall’ex-Presidente Banisadr ai curdi del PDKI, a prendere le distanze da un’organizzazione considerata espressione esclusiva del MEK di Rajavi, la cui ascesa verrà finanziata proprio da Baghdad e dai sauditi al fine di rovesciare il governo iraniano.

L’ESCALATION NEL GOLFO PERSICO
Nel 1984, l’Iraq, sempre più alle corde, deciderà di esasperare il clima internazionale catalizzando l’ostilità occidentale nei confronti dell’Iran, bersagliando il terminal petrolifero situato nell’isola di Kharg, al fine di indurlo a rispondere con misure estreme come il blocco dello Stretto di Hormuz, da cui tutt’oggi transita una considerevole quota di petrolio greggio destinato ai principali mercati mondiali. Tuttavia, l’intento iracheno verrà parzialmente deluso, giacché la rappresaglia iraniana si limiterà inizialmente al solo traffico iracheno, per poi estendersi anche contro quello delle petro-monarchie del golfo persico, ree di sostenere il governo di Baghdad.
Nell’estate del 1985, Khamenei riuscirà a riconfermarsi alla guida del governo con l’85% dei consensi, battendo gli altri due sfidanti del Partito islamico repubblicano (PIR), selezionati dal Consiglio dei guardiani.
Le crescenti iniziative iraniane contro il traffico commerciale del Golfo Persico indurranno il Kuwait a chiedere agli Stati Uniti di difenderli, facendo battere le proprie navi sotto la bandiera a stelle e strisce, registrandole in modo da consentire alla marina militare americana di scortarle fuori dal golfo persico. Paradossalmente, durante l’iniziativa americana, una nave americana, la USS Stark, verrà bersagliata da un Mirage F-1 iracheno che l’aveva scambiata per una nave iraniana, provocando numerose vittime tra i membri dell’equipaggio, che l’amministrazione Reagan non vendicherà, confermando tacitamente il proprio supporto ufficioso al governo iracheno in funzione anti-iraniana. Ciononostante, l’Iran, arrivato ad assediare la città irachena di Bassora, continuerà a destabilizzare il traffico navale in maniera discreta, utilizzando mine subacquee e piccole imbarcazioni rapide coordinate da commando basati su alcune piattaforme petrolifere in disuso, inducendo gli USA a dispiegare un certo numero di forze speciali nella regione del golfo, in funzione dissuasiva. Il primo vero scontro tra le due controparti si verificherà nell’Ottobre del 1987, quando gli americani opereranno una rappresaglia contro la piattaforma iraniana, in risposta all’attacco che aveva danneggiato una loro petroliera, ferendone l’equipaggio. Iniziativa per cui gli Stati Uniti verranno successivamente sanzionati dalla Corte di Giustizia Internazionale, in quanto violazione del diritto internazionale, giacché l’iniziativa americana contro la piattaforma non poteva essere considerata finalizzata all’autodifesa, dal momento che l’attacco alla petroliera era partito da essa.

Parallelamente a queste dinamiche nel golfo, l’Iraq, messo alle strette, inizierà a bersagliare le principali città iraniane, lanciando centinaia di missili balistici, e facendo ricorso alle armi chimiche per respingere le preponderanti forze iraniane, che addirittura riuscivano ad agire persino dietro le linee irachene avvalendosi della cooperazione dei peshmerga curdi dell’UPK iracheno, successivamente annichiliti, insieme alla popolazione civile, dalle rappresaglie chimiche irachene, godendo del supporto del MEK, che nel frattempo si era trasferito in Iraq, dopo essere stati espulsi dalla Francia, al culmine di un negoziato con cui il Presidente Chirac otterrà il rilascio di alcuni cittadini francesi precedentemente presi in ostaggio dagli Hezbollah libanesi. Nello specifico, le vittime curde verranno paradossalmente addebitate agli iraniani, sempre più screditati dalla pervasiva propaganda mediatica occidentale, palesemente schierata a favore dell’Iraq. Del resto, l’Iran non risponderà agli attacchi chimici iracheni per volontà di Khomeini, che anzi aveva stilato persino una fatwa contro questa tipologia di armi, che tuttavia, non verrà mai pubblicata per non precludersi questo strumento in caso di bisogno. In questo stesso periodo, uno controverso scontro tra i pellegrini iraniani e le forze di sicurezza in Arabia Saudita per la tradizionale ricorrenza dell’Hajj susciterà l’assalto dell’ambasciata saudita di Teheran, indotto dalle invettive di Khomeini contro la dinastia saudita. Nell’aprile del 1988, una nave USA verrà quasi affondata dalla collisione con una mina subacquea al largo del Bahrein, scatenando un’operazione simile a quella dell’estate precedente che porterà alla distruzione di un’altra piattaforma iraniana.
DALLE SCHERMAGLIE CON GLI USA ALLA PACE
Sotto pressione, l’ayatollah Khomeini affiderà il ruolo di comandante supremo a Alì Akbar Hashemi Rafsanjani, ideatore di un ardito raid aereo dimostrativo contro il palazzo presidenziale di Saddam Hussein, a Baghdad. Durante la sua gestione riuscirà a integrare i comandi delle guardie della rivoluzione a quelli dell’esercito in un unico comando militare unificato, ponendo fine allo spreco di risorse determinato dallo scarso coordinamento tra due corpi reciprocamente diffidenti tra loro. L’uso massiccio di armi chimiche, sommato ai reiterati raid balistici contro le maggiori città iraniane, marginalizzati dalla comunità internazionale, permetterà all’Iraq di riguadagnare forza, mettendo alle strette un Iran, che sempre più alle corde, comincerà a disimpegnarsi dal fronte curdo settentrionale.
Tra il 1987 e il 1988, l’Iran otterrà dall’Argentina la collaborazione tecnica necessaria a riprendere il proprio programma nucleare, aggirando la ferma opposizione americana. Durante questo turbolento periodo i fermenti interni alla coalizione di governo dilanierà il Partito islamico rivoluzionario(PIR), causandone la dissoluzione, agevolando l’ascesa egemonica dell’Associazione dei Combattenti Clericali (ACC), un partito di destra conservatrice, tra i cui ranghi militavano personalità del calibro di Khamenei e Rasfanjani, già membri del PRI.

Nel Luglio del 1988, un elicottero americano in volo nei pressi dello spazio aereo iraniano, verrà ingaggiato dalla contraerea, inducendo la Marina USA ad intervenire, inseguendo le piccole navi iraniane responsabili dell’attacco fin all’interno delle acque territoriali iraniane prossime allo stretto di Hormuz. Durante questo turbolento inseguimento, la USS Vincennes abbatterà per errore un aereo civile iraniano (Iran Air 655), scambiandolo grossolanamente per un F-14 ostile, provocando 290 vittime, tra le quali un italiano. Alle veementi critiche iraniane, l’allora Vice-Presidente americano Bush Sr. rifiuterà di scusarsi con Teheran, considerando l’iniziativa una risposta appropriata alla situazione in corso, suscitando le critiche dell’URSS, che esorterà Washington a ritirarsi dal golfo, e impegnarsi alla risoluzione politica internazionale della guerra tra l’Iran e l’Iraq. Invito che qualche giorno dopo Washington accetterà, condividendo la risoluzione ONU N°598, che istituirà una tregua che verrà accettata sia da Baghdad che da Teheran, nonostante le ritrosie di Khomeini, che cederà, suo malgrado, alle pressioni dell’influente Presidente del Parlamento Rasfanjani, pur non nascondendo la delusione per il non essere riuscito a rovesciare l’odiato governo baathista iracheno di Saddam Hussein. L’intesa verrà, tuttavia, sabotata dai ribelli del MEK, che avvalendosi della complicità irachena organizzeranno una nuova offensiva confidando in una sollevazione popolare, che anche questa volta non si realizzerà mai, esponendoli alla durissima reazione iraniana, ripristinando le condizioni concordate dalle parti per la tregua, su cui vigilerà un’apposita missione d’interposizione ONU dislocata lungo i confini tra i due paesi stabiliti dal precedentemente “Accordo di Algeri” che lo Shah aveva ottenuto nel 1975, ponendo fine ad un conflitto che conterà centinaia di migliaia di vittime da entrambe le parti. Successivamente a questi sviluppi, gli Stati Uniti si disimpegneranno dal golfo, concludendo la missione navale di scorta alle petroliere del Kuwait. Tuttavia una vera pace non verrà raggiunta per via delle rivendicazioni irachene sullo Shatt al-Arab, sostenute strategicamente dall’occidente. Richieste che tuttavia verranno respinte da Teheran come il tentativo iracheno di conseguire politicamente l’obiettivo che avevano mancato militarmente.
LA FINE DI KHOMEINI E L’ASCESA DI KHAMENEI
Immediatamente dopo la fine del conflitto le crescenti divergenze tra il Presidente Alì Khamenei e il moderato Premier Mousavi porterà alle dimissioni di quest’ultimo, sebbene accantonate dopo l’intervento di Khomeini.
Durante l’estate del 1989, la notizia della dipartita dell’anziano ayatollah Khomeini riverserà nelle strade della capitale Teheran milioni di iraniani, colpiti dalla perdita del leader della rivoluzione, deposto in un gigantesco mausoleo. La dipartita di Khomeini aprirà il dibattito interno all’Assemblea degli esperti, circa il suo successore nel ruolo di Guida suprema. L’establishment sciita convergerà sul nome del Presidente Alì Khamenei, che tuttavia si ritroverà a fare i conti con un articolo della costituzione che prescriveva come requisito fondamentale il possesso del titolo di Grande ayatollah (Marja), che all’epoca Khamenei non aveva. Ad ogni modo, l’ostacolo verrà superato attraverso un decreto di nomina provvisoria che verrà confermata definitivamente due mesi dopo sempre dall’Assemblea degli esperti, alla luce della riforma costituzionale che nel frattempo era stata predisposta per superare l’impasse istituzionale. La nomina di Khamenei, verrà seguita dall’elezione di Rasfanjani alla Presidenza della Repubblica, con il 95% dei consensi. Tra l’altro, la riforma costituzionale abolirà anche la carica di Primo Ministro, lasciando isolata la corrente riformista più liberale di Mousavi, la cui proposta di aprirsi agli aiuti occidentali verrà liquidata rapidamente dalla nuova élite di governo post-Khomeini. Durante le prime fasi del suo governo Rasfanjani, intavolerà un negoziato con Abdul Ghassemlou, il leader dei curdi del PDKI, che nel frattempo aveva preso le distanze dal governo in esilio, egemonizzato dai comunisti del MEK. Negoziati che, tuttavia si interromperanno bruscamente dopo gli assassini dei leader curdi Ghassemlou e Sadegh Sharafkandi, ad opera dei servizi segreti iraniani, che li avevano intercettati in Austria e Germania.

Nel 1990, successivamente a questi sviluppi, la pressione occidentale su Saddam Hussein aumenterà esponenzialmente, inducendolo ad approcciarsi in modo più cauto e moderato nei confronti dell’Iran, arrivando ad inviare una lettera al Presidente iraniano Rasfanjani in cui lo esortava a firmare un trattato di pace definitivo in cui avrebbe definitivamente rinunciato alle pretese territoriali in cambio del rimpatrio dei prigionieri di guerra. Accordo che il governo iraniano accoglierà l’anno successivo, mentre la forza d’interposizione ONU iniziava a ritirarsi dai confini contesi.
Successivamente a questi eventi, l’ONU inizierà a ritenere l’Iraq responsabile della guerra, condannandone l’aggressione ai danni dell’Iran, che dal canto suo cercherà di sfruttare il nuovo clima internazionale sfavorevole a Saddam Hussein per reclamare indennizzi di riparazione con cui a Teheran contavano di risanare le proprie finanze, pesantemente erose da 8 anni di conflitto, costati più di 500 miliardi di dollari, e che l’Iraq era riuscito a fronteggiare solo indebitandosi pesantemente con le vicine petro-monarchie del Golfo Persico, con cui ben presto entrerà in contrasto, scagliando l’imponente dispositivo militare costruito negli ultimi anni contro il Kuwait, andando incontro alla severa reazione americana. Dal canto suo, alla vigilia della guerra del golfo, l’Iran esprimerà solidarietà al Kuwait invaso dalle truppe irachene, contribuendo a rasserenare le relazioni con le vicine petro-monarchie arabe, alle prese con l’aggressività di Saddam Hussein che qualche anno prima avevano contribuito ad aizzare contro di loro. Addirittura, nel 1991, sull’onda della guerra del golfo, Teheran arriverà a proporre alle petro-monarchie arabe la propria adesione al Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), al fine di meglio garantire la stabilità regionale, senza tuttavia riuscire nell’intento di convincerle.
Detto questo, la guerra tra Iran e Iraq si rivelerà un vero e proprio affare per molti paesi che vi parteciparono indirettamente a vario titolo finanziando e vendendo armi ad una o addirittura a tutte due le parti in conflitto. Come nel caso dell’Italia, che rifornirà gli iraniani di mine, che venderà anche all’Iraq, a cui però concederà 5 miliardi di dollari attraverso una filiale americana di una nota banca italiana di proprietà statale. Finanziamenti che il nostro paese integrerà con assistenza al programma nucleare iracheno, e costruendo alcuni elicotteri, 4 fregate Classe Lupo e 6 corvette Classe Wadi Assad, che tuttavia non verranno consegnate in tempo a causa dell’embargo internazionale, nonostante la compiacenza del nostro governo nel sostenere la politica filo-irachena promossa dall’amministrazione americana Reagan. Infatti, fin dal 1982, gli USA assumeranno un approccio risolutamente filo-iracheno, eliminando l’Iraq dalla lista dei paesi sponsor del terrorismo internazionale, fornendo regolarmente immagini satellitari relative agli spostamenti militari iraniani, e incontrando in due occasioni, nel 1983 e nel 1984, Saddam Hussein nella persona dell’inviato speciale Donald Rumsfeld. Anche altri paesi seguiranno l’esempio degli Stati Uniti, sostenendo a vario titolo sia l’Iraq che l’Iran, dall’Unione Sovietica alla Cina, dalla Francia al il Regno Unito, passando per Germania, Pakistan, Giappone, Corea del Sud, Spagna e Svizzera.
Nonostante le ristrettezze finanziarie, all’indomani della pace, il governo iraniano intraprenderà un massiccio programma di riarmo acquisendo armi per 10 miliardi di dollari da Cina e URSS, sviluppando un proprio arsenale chimico, archiviando la moratoria degli anni, salvo accettare di distruggerle successivamente al 1993, quando Teheran aderirà alla Convenzione sulle armi chimiche.
CONCLUSIONI
La rivoluzione islamica di Khomeini non configurò un mero cambio di regime, giacché i suoi effetti si propagheranno prepotentemente un po’ in tutta la regione del golfo persico, mettendo a repentaglio l’ordine strategico tracciato dalle potenze occidentali. A farne le spese sarà inevitabilmente l’Iraq, uno stato fondato sulle contraddizioni etnico-religiose, ma che sotto il regime baathista di Saddam Hussein sembrava avesse guadagnato un ordine sotto la regola del nazionalismo arabo di matrice socialista propagandato dal partito Baath. Saddam Hussein, accoglierà la rivoluzione iraniana relativamente bene, dal momento che senza lo Shah, l’Iraq avrebbe facilmente tratto vantaggio dal caos che inevitabile avrebbe ridimensionato la potenza militare iraniana. Tuttavia, ben presto Saddam Hussein dovrà prendere atto che Khomeini non era affatto il classico statista guidato dalla necessità di consolidare la propria base di potere, ma un rivoluzionario duro e puro, che considerava la fine dello Shah non un semplice traguardo per il popolo iraniano, ma l’inizio di un processo rivoluzionario finalizzato alla mobilitazione dell’intera comunità islamica mediorientale, a cominciare da quella irachena, a cui l’ayatollah era legato dalla prevalente e comune confessione sciita. La formula politica religiosa di Khomeini si ritroverà così a misurarsi contro la “formula nazional-socialista” araba baathista con cui Saddam Hussein intendeva disinnescare i fermenti della comunità sciita irachena, contrapponendo l’identità araba a quella islamica teorizzata da Khomeini. La formula etnica irachena, temprata dal marziale controllo sociale del Baath iracheno, riuscirà così a neutralizzare la mobilitazione filo-iraniana della comunità sciita locale, nazionalizzando un conflitto che Khomeini aveva pensato transnazionale.
Tuttavia, l’idealismo di Khomeini rischierà di porre fine alla sua rivoluzione, inimicandosi un paese potente come l’Iraq, in un momento in cui non aveva guadagnato ancora il pieno controllo delle forze armate. Condizioni precarie che indurranno l’Iraq di Saddam Hussein ad approfittarne per conquistare quella regione che lo Shah era riuscito a sottrargli nel 1975, facendo valere l’indiscutibile potenza militare iraniana. Potenza basata essenzialmente su mezzi militari di fabbricazione americana, che cominciavano a scarseggiare dopo l’embargo che gli Stati Uniti avevano imposto dopo la crisi degli ostaggi, e che rischiavano di esporre l’Iran ad una probabilissima sconfitta. Ma in politica, ad un certo punto, l’ideologia lascia il passo alla strategia, aprendo scenari inediti che sfuggono alla logica delle menti semplici. Infatti, la necessità di sopravvivere costringerà il governo islamista iraniano a collaborare, suo malgrado, con i suoi peggiori nemici, ovvero gli Stati Uniti e Israele che, per quanto ostili agli ayatollah, approfitteranno della guerra tra Iran e Iraq per ottenere il massimo vantaggio strategico al minimo costo, inducendo i loro nemici a combattersi tra loro, per loro. Conflitto che permetterà agli israeliani di liberarsi, in modo diverso, dalla minaccia costituita dai programmi nucleari che sia Baghdad che Teheran stavano per ultimare, proprio per colmare il gap strategico che li divideva da Israele. Ad ogni modo, la discreta cooperazione israelo-americana con l’Iran si intensificherà successivamente al rilascio degli ostaggi dell’ambasciata americana, avvalendosi di una sofisticata rete di contrabbando ufficiosa che legherà Medioriente e Sudamerica, all’interno della cornice dello scandalo Iran-Contras. Nello specifico, gli USA scommetteranno sulla pragmatica, e relativamente moderata, figura di Rasfanjani, privilegiando la consegna delle armi all’esercito, dove molti ufficiali rimanevano sensibili all’influenza dei loro vecchi alleati americani. Non a caso, durante la guerra, l’Iran soffrirà proprio il dualismo tra l’esercito e i guardiani della rivoluzione, i primi espressione del governo e i secondi dell’establishment sciita più radicale e fedele alla rivoluzione di Khomeini.
Ad ogni modo, quella con gli israelo-americani non verrà mai considerata come una vera alleanza dal governo iraniano, che proprio in quel frangente si adopererà per stringere una meno infida partnership con la Siria di Hafiz al-Assad, con cui nell’immediato riuscirà ad attanagliare sia l’Iraq, che Israele, gettando le basi di Hezbollah.

Teheran riuscirà poi anche a sfruttare a proprio vantaggio il conflitto interno al fronte curdo iracheno, sostenendo le iniziative dell’UPK di Talabani, con cui intratterrà relazioni oscillanti. Un po’ come farà anche Saddam Hussein con i curdi del PDKI, e soprattutto con i comunisti del MEK, con cui coopererà intensamente nel corso della guerra, traendo vantaggio dai devastanti attentati che decapiteranno il governo Rajai nel 1981, sostituito poco dopo dal ben più radicale Khamenei. Nello specifico, il MEK di Rajavi riuscirà ad egemonizzare la resistenza iraniana all’estero, aggregandola in un consiglio di resistenza che verrà addirittura riconosciuto come il legittimo governo iraniano dall’Iraq, iniziando ad incontrare la solidarietà occidentale. Occidente che con il trascorrere degli anni inizierà a parteggiare discretamente per l’Iraq di Saddam Hussein, che nel giro di qualche anno, da aggressore si ritroverà assediato dall’imponente consistenza numerica delle forze armate iraniane, ricompattate dall’intesa politica interna trovata da Khamenei e Rasfanjani. Supporto occidentale, che si concretizzerà nel golfo persico sotto forma di scorta al traffico commerciale minacciato dalle economiche, ma insidiosissime, imbarcazioni veloci iraniane, protagoniste di un’escalation che una volta giunte al loro apice porteranno alla fine della guerra. Conflitto che per come era iniziato configurava una vittoria iraniana, ma che per come era finito configurava una sconfitta, soprattutto per l’ayatollah Khomeini, che aveva creduto nella possibilità di esportare la sua rivoluzione a Baghdad.