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IL PROGRAMMA NUCLEARE IRANIANO

Dopo aver analizzato il programma nucleare nordcoreano adesso proviamo a conoscere quello iraniano ripercorrendo le principali tappe del suo sviluppo.

LE ORIGINI DEL PROGRAMMA NUCLEARE IRANIANO

Come abbiamo avuto modo di accennare nel 2° capitolo del focus dedicato alla conoscenza dell’Iran, le basi del programma nucleare iraniano furono gettate durante il regime dello Shah Mohammad Reza Pahalavi. Nello specifico, tutto iniziò nel 1967 con l’istituzione dell’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran e la costruzione del Centro di Ricerca Nucleare di Teheran (TRNC), dotato di un reattore nucleare della potenza di 5MW, alimentato da uranio altamente arricchito fornito dagli Stati Uniti, di cui all’epoca l’Iran era alleato.
Nello specifico, l’idea di sviluppare un programma nucleare nazionale per fini civili energetici venne promossa dallo Shah all’indomani dello shock petrolifero del 1973, quando inizierà a pensare alla necessità di sopperire al progressivo esaurimento delle riserve petrolifere nazionali. Prospettiva che lo indurrà ad investire gli ingenti profitti petroliferi nella progettazione di una ventina di centrali nucleari da attivare entro il 2000, permettendo al paese di diventare energeticamente indipendente, monetizzando il petrolio in eccesso nei mercati globali.
Le ambizioni nucleari dello Shah catalizzeranno l’attenzione delle principali multinazionali del nucleare occidentali. Così, nel 1975, un consorzio tedesco formato dalla Siemens e dalla AEG, supportato dalla Tyssen-Krupp, si aggiudicherà un appalto miliardario per la costruzione di due reattori ad acqua pressurizzata accreditati di una potenza di circa 1.200 MWe, nei pressi della città costiera di Bushehr, nel Golfo Persico settentrionale.

Sempre nello stesso anno, l’Iran riuscirà a convincere il governo francese a farsi integrare nel consorzio europeo per l’arricchimento dell’uranio, rilevando il 10% delle quote possedute dalla Svezia. Consorzio di cui all’epoca erano parti anche Italia, Spagna e Belgio. Successivamente, l’accordo tra Teheran e Parigi porterò alla creazione del consorzio SODIF, una società franco-iraniana finalizzata alla produzione di uranio arricchito da utilizzare come combustibile nelle centrali nucleari. Nello specifico, lo Shah sfrutterà l’enorme fondo sovrano per finanziare con 1 miliardo di dollari il consorzio SODIF, ottenendo in cambio il diritto di acquistare il 10% dell’uranio prodotto così da destinarlo all’alimentazione delle future centrali nucleari iraniane. L’ingresso di Teheran nel club dei paesi nucleari, seppur per fini energetici civili, non rimarrà privo di implicazioni strategiche, giacché all’epoca la CIA dava per scontato che l’eventualità della costruzione di un arsenale nucleare indiano sarebbe stata sicuramente emulata a stretto giro anche dall’Iran. Tuttavia, questa prospettiva non destò particolari preoccupazioni a Washington che all’epoca aveva nell’Iran dello Shah il suo migliore alleato nella regione. Ad ogni modo, il governo iraniano, firmando il Trattato di Non Proliferazione (TNP), aveva allontanato la prospettiva di un simile scenario, subordinandosi alla regolari ispezioni dei tecnici dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

IL NUCLEARE IRANIANO DIVENTA UN PROBLEMA

Il programma nucleare iraniano avanzerà speditamente fino alla rivoluzione islamica guidata dall’ayatollah Ruollah Khomeini, quando le tensioni politiche assumeranno una portata tale da indurre il consorzio tedesco ad interrompere i lavori alla centrale di Bushehr, lasciandoli al 65%, contestando al nuovo governo rivoluzionario iraniano il mancato pagamento degli oneri pattuiti. Accuse che l’Iran respingerà sostenendo che la scelta di abbandonare i lavori da parte del consorzio tedesco sia stata indotta in realtà dalle pressioni degli Stati Uniti, che all’indomani della rivoluzione khomeinista avevano interrotto le forniture di uranio arricchito destinato ad alimentare il Centro di Ricerca Nucleare di Teheran, costringendo gli iraniani a disattivarlo. Forniture di combustibile nnucleare che verranno negate a stretto giro persino dal consorzio francese Eurodif di cui l’Iran era divenuto socio durante il regime dello Shah. Queste rappresaglie post-rivoluzionarie predisposte dall’occidente convinceranno l’Iran dell’inopportunità del continuare ad approvvigionarsi di combustibile nucleare all’estero, dove gli accordi commerciali potevano essere disattesi adducendo a motivi meramente politici.

Malgrado gli ostacoli tecnici derivanti dal boicottaggio internazionale promosso dagli Stati Uniti, negli anni ottanta il governo iraniano guidato dall’allora Presidente Ali Khamenei si impegnerà a rilanciare il programma nucleare nazionale. Nello specifico, il governo iraniano cercherà di convincere l’AIEA ad assisterli nell’implementazione autarchica delle componenti tecniche necessarie all’avviamento della produzione di combustibile nucleare destinato ad alimentare le proprie centrali nucleari. Collaborazione che tuttavia verrà affossata dal pressing degli Stati Uniti presso l’AIEA. Pressioni che Washington riuscirà ad esercitare persino sulla Cina, inducendola a non rifornire gli iraniani.
Durante la guerra con l’Iraq di Saddam Hussein degli anni ottanta, la Germania catalizzerà l’attenzione globale ipotizzando la possibilità che l’Iran potesse riuscire ad assemblare un ordigno nucleare sfruttando l’uranio prodotto dal vicino Pakistan, dove i tecnici locali erano prossimi alla costruzione dei primi ordigni. Accuse che contribuiranno ad incrementare la pressione mediatica sull’Iran, già amplificata oltremisura dal clima marcatamente filo-iracheno alimentato dagli Stati Uniti nel corso della prima guerra del golfo. Conflitto nel corso del quale l’aviazione irachena riuscirà a danneggiare seriamente la centrale nucleare di Bushehr grazie all’ausilio di missili francesi.
Durante la guerra con l’Iraq, i reiterati attacchi balistici e chimici indurranno il governo iraniano ad ipotizzare la costruzione di un arsenale nucleare nazionale con cui contrastare le armi di distruzione di massa irachene. Ambizione che verrà rilevata anni dopo dall’AIEA, divulgando informazioni relative ad un presunto programma nucleare militare classificato come “Progetto AMAD”. Speculazioni che contribuiranno ad alimentare un clima di sospetto attorno al programma nucleare iraniano, che l’ayatollah Khomeini cercherà di diradare emettendo una fatwa contro lo sviluppo di qualsiasi tipo di arma di distruzione di massa.

L’IRAN CERCA DI AGGIRARE L’ISOLAMENTO

Nel 1985, gli iraniani cominceranno ad esigere dalla Francia l’adempimento dei loro obblighi contrattuali relativi alle forniture di uranio arricchito negate, sfruttando la crisi degli ostaggi in Libano. Addirittura, in Francia si arriverà ad ipotizzare il coinvolgimento dell’intelligence iraniana nel clamoroso e controverso assassinio di George Besse, un alto dirigente del consorzio Eurodif. Ad ogni modo, pochi anni dopo, l’Iran cercherà di ovviare al boicottaggio occidentale negoziando con l’Argentina la conversione dei loro reattori nucleari, adattandoli all’uso di uranio a basso arricchimento (19%). Accordi che gli Stati Uniti cercheranno di sabotare ancora una volta, pressando il governo di Buenos Aires. Nel 1991, il governo francese deciderà di risolvere il contenzioso con gli iraniani, rimborsando i finanziamenti conferiti dallo Shah al consorzio Eurodif, di cui comunque Teheran rimarrà comunque azionista, in cambio della rinuncia alle forniture di uranio arricchito precedentemente concordate. L’anno seguente, l’attentato che colpirà l’ambasciata israeliana a Buenos Aires susciterà alcune speculazioni circa il presunto coinvolgimento dell’intelligence iraniana, accusata di pressare il governo argentino al fine di costringerlo a mantenere l’impegno a fornire l’uranio a basso arricchimento che avevano negoziato qualche anno prima. Dinamiche precedute, dall’ispezione dei siti nucleari iraniani da parte degli ispettori dell’AIEA. Il tutto, mentre gli Stati Uniti riuscivano a convincere la Cina ad abbandonare il proposito di costruire un impianto di riconversione dell’uranio precedentemente concordato con Teheran, che tuttavia riuscirà a farsi fornire almeno i progetti per implementarli autonomamente, sempre sotto la regolare supervisione dell’AIEA. Più avanti, nel 1995, l’Iran riuscirà a convincere ad eludere le pressioni americane, convincendo la Russia post-sovietica ad ultimare la centrale nucleare di Bushehr lasciata incompleta dai tedeschi.

Centrale nucleare iran Bushehr
( La centrale nucleare iraniana di Bushehr )

Nel 2002, l’AIEA contesterà all’Iran la costruzione di due nuovi siti nucleari, un impianto di arricchimento sotterraneo a Natanz; e un reattore ad acqua pesante ad Arak. Nello specifico, il reattore di Arak, accreditato di una potenza di 40 Megawatt, verrà costruito al fine di sopperire all’invecchiamento del Centro di ricerca nucleare di Teheran. Dal canto loro, gli iraniani ostacoleranno le ispezioni dell’AIEA, contestando la riforma dei regolamenti che dal 1992 obbligava i paesi che intendevano costruire nuovi siti nucleari a comunicarlo preventivamente all’organizzazione, permettendogli di ispezionarlo prima del caricamento del combustibile. Riforma che Teheran da cui Teheran si considerava svincolata poiché imponeva un vincolo non previsto all’epoca della loro sottoscrizione del TNP. Nel 2003, l’AIEA contesterà all’Iran l’occultamento di alcune attività di arricchimento che a Teheran giustificheranno sostenendo di essere stati costretti a nascondere per evitare gli attacchi che molti ambienti politici americani minacciavano di attuare al fine di distruggere le loro infrastrutture nucleari, sulla scia dei timori avanzati da Israele, a cui Washington era particolarmente sensibile. In un clima internazionale particolarmente inasprito, gli iraniani accuseranno gli Stati Uniti di sabotare sistematicamente il diritto a sviluppare il loro programma nucleare nazionale, di cui ribadiranno le finalità civili. Ad ogni modo, queste accuse verranno seguite dalla richiesta del Consiglio di Sicurezza ONU di sospendere le attività di arricchimento autonomo del combustibile nucleare, avanzando l’imposizione di sanzioni internazionali. La pressione internazionale, sommata all’invasione americana dell’Iraq, indurrà l’allora Presidente Khatami ad avanzare un accordo finalizzato alla normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti, che tuttavia, l’amministrazione Bush rigetterà, ritenendolo inaffidabile. Accordo che tra l’altro avanzava una serie di impegni stringenti per risolvere definitivamente la contesa nucleare e gli altri contenziosi regionali inerenti la crescente influenza iraniana in Libano.
Tuttavia, nonostante la ritrosia americana, nel 2003, Francia, Germania e Regno Unito convinceranno il governo iraniano a sospendere il processo di arricchimento dell’uranio sotto supervisione AIEA, sebbene ciò non contravvenisse gli impegni del TNP sottoscritti da Teheran, durante le fasi del processo negoziale che sarebbe iniziato da lì a poco, coinvolgendo, tra gli altri, anche il futuro presidente Hassan Rouhani.

L’OLTRANZISMO RADICALE DI AHMADINEJAD 

L’accordo avanzato dai paesi europei verrà rispettato dagli iraniani fino all’elezione di Mahmud Ahmadinejad, nel 2005, quando l’Iran recederà dagli impegni presi, limitando l’accesso degli ispettori dell’AIEA ai propri siti nucleari, e annunciando la ripresa dell’arricchimento dell’uranio nella struttura di Natanz. Tuttavia, nonostante questa iniziativa, il nuovo governo conservatore iraniano consentirà ai tecnici dell’AIEA di ispezionare la controversa base militare di Parchin, dove i tecnici militari iraniani erano alle prese con lo sviluppo del programma missilistico nazionale, da molti associato allo sviluppo del mai dimostrato programma nucleare militare iraniano. Accuse che verranno seguite dalla richiesta del Consiglio di Sicurezza ONU di sospendere le attività di arricchimento autonomo del combustibile nucleare, minacciando l’imposizione di sanzioni internazionali che il Presidente iraniano Ahmadinejad condannerà come atti illegali promossi da paesi arroganti, ribadendo il diritto dell’Iran a sviluppare il proprio programma nucleare nazionale. Diritto a cui l’Iran non rinuncerà, rigettando risolutamente tutti gli accordi che prevedevano lo smantellamento del proprio programma nucleare in cambio di un processo di normalizzazione della loro posizione di isolamento internazionale. Posizione iraniana che verrà sostenuta dall’Organizzazione dei Paesi Non Allineati, preoccupata dalla politicizzazione della produzione del combustibile nucleare avanzata dai paesi avanzati a danno di quelli emergenti.

Presidente Iran Ahmadinejad centrale nucleare centrifughe uranio
( Il Presidente iraniano Ahmadinejad ispeziona un sito nucleare )

Ad ogni modo, l’iniziativa del nuovo governo iraniano irriterà i governi europei che, tuttavia, proveranno ad avanzare un nuovo accordo in cui l’abbandono del programma di arricchimento nucleare veniva compensato dalla promessa di normalizzare la situazione internazionale dell’Iran. Accordo considerato fumoso da Teheran, che tra l’altro, rileverà la mancanza di garanzie contro future aggressioni americane, soprattutto all’indomani della controversa invasione americana dell’Iraq. In quel frangente, la Germania continuerà a rifiutarsi persino di risarcire la mancata consegna delle componenti nucleari non consegnate all’indomani della rivoluzione islamica, preferendo non seguire l’approccio risolutorio inaugurato dalla Francia nel 1991. Dal canto suo, il neo-presidente Ahmadinejad proporrà la costituzione di un consorzio internazionale equamente partecipato, autorizzato ad arricchire l’uranio di cui necessitava il suo paese. Proposta che verrà rigettata in blocco sia dagli americani che dagli europei. Sicché, nel 2006, l’Iran deciderà di iniziare ad arricchire autonomamente l’uranio destinato ad alimentare il proprio programma nucleare, andando incontro all’irritazione internazionale alimentata dal governo americano. Pressioni che indurranno il Consiglio di Sicurezza ONU a chiedere all’Iran la sospensione del processo di arricchimento dell’uranio, minacciando di inasprire ulteriormente il regime sanzionatorio a livello internazionale.

SPECULAZIONI E SOSPETTI NUCLEARI

Nonostante il clima internazionale ostile, l’Iran continuerà a collaborare con l’AIEA, consentendogli di ispezionare regolarmente le proprie strutture nucleari, in ottemperanza degli obblighi previsti dal TNP, ribadendo ogni volta il diritto ad arricchire il proprio combustibile nucleare. Dal canto suo, l’AIEA pur non avendo elementi da sanzionare, manterrà sotto pressione l’Iran sostenendo di non poter escludere del tutto che il suo programma nucleare non avesse finalità militari. Speculazioni che verranno amplificate da notizie false proveniente dagli Stati Uniti, secondo cui l’Iran ostacolasse le ispezione dei tecnici dell’AIEA. Mentre intanto Israele contestava sempre più platealmente l’inaffidabilità delle conclusioni con cui l’AIEA certificava la conformità iraniana agli obblighi del TNP che lo stesso governo di Tel Aviv, al contrario di Teheran, non ha mai firmato, eludendo per decenni i controlli sul suo controverso programma nucleare militare.
Nel 2007, l’Iran avvierà la produzione di uranio arricchito nel sito di Natanz mediante l’ausilio di 3000 centrifughe, molte delle quali regolate da tecnologia tedesca derivata dalla Siemens. Sempre nel corso dello stesso anno, il Direttore generale dell’AIEA, Mohamed el-Baradei, metterà in guardia gli Stati Uniti dalle conseguenze catastrofiche derivanti da un’eventuale raid aereo contro i siti nucleari iraniani.
Nel 2009, gli Stati Uniti contesteranno all’Iran la costruzione di un piccolo sito nucleare sotterraneo a Fordow, scavato all’interno di una montagna contigua ad un comando dei Pasdaran, e tenuto nascosto agli ispettori dell’AIEA. Nello specifico, gli americani sosterranno che le dimensioni ridotte dell’impianto nucleare suggerissero le finalità militari della struttura. Il tutto mentre il Venezuela di Chavez si ritrovava a fronteggiare le accuse di collaborare con l’Iran nella ricerca di uranio, aiutandolo ad aggirare le sanzioni internazionali.

Mappa siti centrali nucleari arricchimento uranio
Mappa siti centrali nucleari arricchimento uranio

La produzione di uranio arricchito iraniana continuerà sotto la supervisione dell’AIEA, nonostante le periodiche accuse di irregolarità e scarsa trasparenza che l’Iran riuscirà sempre a giustificare all’organizzazione. In particolare, gli ispettori rileveranno con sospetto la crescente quota di uranio arricchito al 19%. In questo periodo, alcuni scienziati iraniani coinvolti nel programma nucleare cadranno vittima di agguati, verosimilmente organizzati dai servizi segreti israeliani in partnership con i terroristi comunisti del MEK. Attacchi che coinvolgeranno anche alcune strutture nucleari iraniane, danneggiandole in non pochi casi. Attacchi predisposti anche attraverso strumenti informatici i cui effetti riusciranno a rallentare l’implementazione del programma nucleare iraniano. Dinamiche che si svilupperanno parallelamente all’intensificazione delle sanzioni internazionali, in un clima esasperato dalla mancata ispezione della base militare iraniana di Parchin, sebbene questa non fosse un sito nucleare subordinato alle consuete ispezioni dell’AIEA. Nello specifico, le attenzioni sul sito di Parchin verranno catalizzate da una serie di immagini satellitari in cui venivano riscontrate modifiche evidenti alla struttura che gli Stati Uniti sospetteranno essere dovute ad attività nucleari clandestine.

IL COMPROMESSO NUCLEARE DI ROUHANI

Sotto pressione internazionale, nel 2011, l’Iran riprenderà i colloqui con Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia e Stati Uniti nel formato 5+1, che comprendeva tutti i membri del Consiglio di Sicurezza ONU, più la Germania, che di Teheran all’epoca era il principale partner commerciale. Tuttavia, i colloqui ospitati dalla Turchia si areneranno in seguito al rigetto delle richieste iraniane di rimuovere le sanzioni internazionali e di riconoscere il proprio diritto di arricchire uranio.
L’anno successivo, il “gruppo 5+1” riunito a Istanbul arriverà a considera la possibilità di concedere all’Iran l’arricchimento dell’uranio fino ad una quota massima del 5%. Speculazioni contestate aspramente dagli israeliani, risoluti nel chiedere il divieto totale di qualsiasi attività di arricchimento, sostenendo che i negoziati fossero un escamotage iraniano per prendere tempo da impiegare allo sviluppo del loro programma nucleare militare. Più avanti il nuovo governo iraniano presieduto dal riformista Hassan Rouhani accetterà di limitare l’arricchimento dell’uranio al 5% per 6 mesi, congelando lo sviluppo dell’impianto di Arak, in cambio di una riduzione del regime sanzionatorio. Periodo nel quale i paesi partner del gruppo 5+1 avrebbero lavorato ad un accordo finalizzato alla risoluzione definitiva della contesa. Negoziati agevolati dai contatti telefonici intercorsi tra il Presidente iraniano Rouhani e il suo collega americano Obama. Il primo contatto ufficiale tra i vertici governativi dei due paesi dai tempi della rimozione della monarchia dello Shah. Contatti che più avanti verranno portati avanti direttamente dai rispettivi responsabili della politica estera, Mohammad Zarif e John Kerry. Ciononostante, nel 2014, durante le prime fasi interlocutorie, l’Iran annuncerà l’attivazione del reattore ad acqua pesante di Arak.

Segretario stato USA Kerry Ministro esteri Iran Zarif negoziati nucleare JCPOA gruppo 5+1
( Il Segretario di stato USA Kerry con il Ministro degli esteri iraniano Zarif durante i negoziati )

L’ACCORDO JCPOA RISOLVE LA CONTESA NUCLEARE

Nel 2015, al culmine di una serrata negoziazione, il gruppo 5+1 siglerà a Ginevra il “Joint Comphensive Plan of Action” (JCPOA), un accordo con cui l’Iran sottoscriverà una serie di impegni che riassumiamo genericamente qui di seguito:

  • Riduzione del 97% delle scorte di uranio a basso arricchimento, che passeranno da 10.000 Kg a 300 Kg per un periodo di 15 anni.
  • Impegno ad arricchire uranio in Iran entro il limite del 3.67% per 15 anni, soglia ben al di sotto di quella necessaria per poter sviluppare ordigni nucleari.
  • Rinuncia iraniana a costruire nuove infrastrutture destinate all’arricchimento di uranio esterne al sito di Natanz.
  • Congelamento dei 2/3 delle centrifughe iraniane destinate all’arricchimento dell’uranio, che da 19.000 passeranno 6.104, tutte localizzate nel sito di Natanz. Trattasi di centrifughe non aggiornate, mentre quelle più moderne verranno stoccate sotto supervisione dell’AIEA.
  • Impegno a rimodulare la struttura del reattore ad acqua pesante di Arak in modo da precludergli la produzione di plutonio idoneo ad essere impiegato per lo sviluppo di armi nucleari. Impegno integrato dalla consegna di tutto combustibile nucleare esaurito.
  • Impegno a non costruire altri reattori ad acqua pesante simili a quello di Arak e a non accumulare acqua pesante per 15 anni.
  • Congelamento delle attività di arricchimento di uranio a Fordow per un periodo di 15 anni, sito che dovrà essere convertito in semplice centro di ricerca nucleare a fini scientifici e industriali.
  • Impegno a permettere accesso H24 ai siti di Fordow e Natanz agli ispettori dell’AIEA, che potranno monitorarli anche attraverso l’ausilio di appositi sistemi di controllo remoto.
  • Gli ispettori AIEA autorizzati a controllare il programma nucleare passano da 50 a 150, selezionati esclusivamente tra i paesi che intrattengono relazioni diplomatiche con Teheran.
  • Impegno a garantire l’accesso agli ispettori dell’AIEA in eventuali siti sospettati di ospitare attività nucleari proibite dal TNP, o comunque fornire informazioni utili a rispondere alle criticità contestate dall’agenzia, pena l’avvio di una procedura di risoluzione che permetta alla maggioranza del gruppo 5+1 (senza possibilità di veto sino-russo) di richiedere l’ingresso di ispettori, che se negato innescherebbe automaticamente la riapplicazione delle sanzioni internazionali revocate dal JCPOA. Accordo con cui Teheran si subordina volontariamente per un periodo di 15 anni ad un regime di controllo particolarmente restrittivo e soprattutto non previsto dal TNP.
Gruppo 5+1 accordo nucleare iraniano JCPOA
( I delegati del gruppo 5+1 firmatari dell’accordo JCPOA sul nucleare iraniano )

Il rispetto degli impegni sopraelencati liberava l’Iran delle sanzioni internazionali varate nel corso degli anni precedenti, e permetteva lo scongelamento dei beni congelati presso istituzioni finanziarie straniere. Accordo certificato dalle Nazioni Unite, e vincolante per tutte le parti in causa, nonostante una certa ritrosia presente sia tra le fazioni radicali americane che iraniane.
Le sanzioni internazionali contro l’Iran verranno rimosse ufficialmente il 16 Gennaio 2016. Tuttavia, il giorno dopo gli Stati Uniti vareranno nuove sanzioni contro soggetti legati al programma missilistico iraniano, rimasto fuori dall’accordo, nonostante le pressioni americane. Missili che Teheran continuerà a sviluppare e testare nei mesi successivi all’implementazione dell’accordo.
Successivamente all’accordo, le multinazionali francesi saranno tra le prime in occidente a stipulare vantaggiosi contratti inerenti il settore energetico e industriale, mentre intanto il sistema finanziario iraniano veniva riconnesso al sistema SWIFT.

GLI USA DI TRUMP DEMOLISCONO IL JCPOA

Nel 2018, il nuovo presidente americano Donald Trump ripudierà l’accordo JCPOA, accusando l’Iran di non rispettarlo, nonostante l’AIEA certificasse il pieno rispetto di Teheran dei termini previsti dall’accordo. La decisione americana verrà contestata da tutti gli altri paesi partner dell’accordo, compresi quelli dell’Unione Europea. Nello specifico, Trump esigerà la stipula di un nuovo accordo globale con cui vincolare sia il programma nucleare di Teheran che il suo programma missilistico. Condizioni seccamente respinte dall’Iran, categoricamente contrario a negoziare il proprio diritto a sviluppare sistemi di difesa nazionale. Tra i sostenitori della scelta americana ci sarà Israele, che tornerà ad accusare l’Iran di sviluppare armi nucleari, sostenendo che il programma nucleare militare AMAD non fosse mai stato veramente archiviato dai Pasdaran. Accuse che tuttavia il governo iraniano smentirà seccamente, avvalendosi ancora una volta delle certificazioni dell’AIEA. Successivamente all’iniziativa americana, la Guida suprema Ali Khamenei chiederà agli stati europei di garantire il rispetto del trattato, minacciando di riprendere l’arricchimento dell’uranio sospeso dopo la stipula del trattato JCPOA. Propositi che l’Unione Europea tentennerà a garantire, costringendo il Presidente Rohani a riprendere l’arricchimento dell’uranio a percentuali crescenti, ritenendosi svincolata da un accordo sostanzialmente ripudiato dagli stessi occidentali. Il resto è cronaca quotidiana.

Iran programma missilistico missile
( Missile iraniano in fase di lancio)

CONCLUSIONI:

Le basi del programma nucleare iraniano sono state gettate alla fine degli anni 60 dallo Shah, in un periodo in cui tale prospettiva non turbava di certo l’occidente, che aveva nell’Iran dell’epoca il suo migliore alleato nella regione mediorientale. Prospettiva su cui comunque l’AIEA vigilerà conseguente alla rapida sottoscrizione del TNP da parte di Teheran. Detto questo, l’intenzione di sviluppare un programma nucleare nazionale era dettata dalla strategia dello Shah di sopperire al progressivo esaurimento dei pozzi petroliferi, estendendone lo sfruttamento temporale. Approccio che avrebbe permesso all’Iran di diversificare la propria struttura economica, sviluppando le condizioni ideali per avviare un profondo processo di industrializzazione con cui lo Shah contava di emancipare il suo paese dalla categoria del classico rentier state, in cui rientravano tutti gli altri paesi della regione mediorientale, fortemente dipendenti dal solo settore petrolifero.
Tuttavia, è anche vero che la prospettiva di un programma nucleare non precludeva di certo all’Iran di seguire in passi di India e Pakistan, dotandosi di un proprio arsenale nucleare con cui controbilanciare gli equilibri strategici regionali. Prospettiva che avrebbe lasciato relativamente soddisfatti persino gli Stati Uniti, che avrebbero potuto sfruttare un Iran nucleare per ridimensionare la proiezione strategica dell’Unione Sovietica tra il Caucaso e l’Asia centrale, oltre che in Medio Oriente.

Ad ogni modo, forte del credito che riscontrava in occidente, lo Shah Mohammad riuscirà a coinvolgere paesi chiave come Germania e Francia nel suo ambiziosissimo programma nucleare, ottenendo il necessario know-how tecnologico. Nel caso della Germania, si tratterà di un ritorno di fiamma strategico, giacché come abbiamo avuto modo di approfondire nel 1° capitolo del focus sull’Iran, l’allora Terzo Reich provò a scalzare i britannici dalla Persia accaparrandosi il sistema ferroviario, suscitando l’invasione britannica e conseguente la deposizione dello Shah Reza Pahlavi. Nello specifico, la Germania sottoscriverà con l’Iran una serie di contratti multimiliardari finalizzati alla costruzione dei primi due reattori nucleari del paese, da costruirsi a Bushehr. Mentre la Francia otterrà ingenti investimenti nel settore nucleare, integrando l’Iran consorzio SODIF.
Tuttavia, malgrado queste ottime premesse, il proficuo clima di cooperazione si offuscherà all’indomani della rivoluzione islamica di Khomeini, la cui repentina ascesa degraderà irrimediabilmente il rapporto fiduciario privilegiato che aveva permesso ai paesi occidentali di esporsi finanziariamente in un contesto particolarmente instabile come quello mediorientale. Senza l’affabile Shah alla guida del paese, gli Stati Uniti, e con essi il resto dell’occidente, si ritrovarono alle prese con un paese governato da una nuova classe dirigente, decisamente meno propensa a recepire le loro istanze. Clima che la guerra con il vicino Iraq contribuirà ad esasperare ulteriormente, inducendo la Germania svincolarsi dall’appalto precedentemente sottoscritto, abbandonando i lavori della centrale di Bushehr, pur confidando in un possibile ritorno conseguente ad una sconfitta per mano irachena che non si realizzerà mai, nonostante il relativamente discreto supporto che numerosi paesi occidentali forniranno a vario titolo a Baghdad. In particolar modo, la centrale di Bushehr verrà pesantemente danneggiata dagli iracheni proprio grazie alle moderne armi messe a disposizione dai loro discreti sostenitori occidentali, che all’epoca non consideravano le iniziative militari di Saddam Hussein un problema meritevole di una punizione internazionale.

In questo clima internazionale, USA e Francia imporranno all’Iran una moratoria ai rifornimenti di uranio arricchito precedentemente commissionati da Teheran per alimentare le proprie centrali nucleari. Moratoria che verrà aspramente contestata dal governo iraniano come una strategia politica finalizzata a punire l’autonomia strategica che si erano conquistati con la rivoluzione islamica khomeinista. Il boicottaggio occidentale convincerà Teheran dell’inaffidabilità occidentale, e dell’inopportunità di continuare a dipendere dalle importazioni da paesi pronti a disattendere gli accordi commerciali adducendo a motivazioni meramente arbitrarie. Sicché a Teheran decideranno di iniziare ad arricchire autonomamente l’uranio necessario ad alimentare le proprie centrali nucleari, soprattutto dopo l’elezione di Khamenei alla presidente della Repubblica islamica. Proposito che comunque perseguiranno regolarmente coinvolgendo l’AIEA, nonostante le fortissime pressioni americane.
Durante questo periodo, gli iraniani, vessati dalla pesante campagna di bombardamento irachena e dal largo impiego di armi chimiche arriveranno a considerare lo sviluppo di un programma nucleare militare (Programma AMAD) con cui controbilanciare le armi di distruzione di massa impiegate dall’Iraq nel corso del conflitto. Intenzione rilevata più avanti dalle intelligence occidentali e prontamente girate all’AIEA. In particolar modo, la prospettiva di un Iran nucleare comincerà a turbare Israele che vedeva nel governo iraniano la principale minaccia alla loro sicurezza ed egemonia regionale. A queste considerazioni va tuttavia aggiunta la posizione ufficiale dell’ayatollah Khomeini che durante la sua gestione politica condannerà lo sviluppo di armi nucleari emettendo una nota fatwa.

Al termine del conflitto con l’Iraq, gli iraniani tenteranno di rimpiazzare i partner occidentali nei lavori propedeutici all’attivazione del proprio programma nucleare, incontrando notevoli difficoltà determinate dall’approccio dissuasivo esercitato dagli Stati Uniti a tutti i possibili soggetti interessati a collaborarvi. Solo dopo la dissoluzione dell’URSS, l’Iran potrà riprendere mano alla centrale di Bushehr, grazie al supporto tecnico della Russia. Nel frattempo, complice la crisi degli ostaggi in Libano, i francesi decideranno di risolvere il contenzioso finanziario con l’Iran relativo alla disputa sull’uranio commissionato e mai consegnato da SODIF.
Negli anni a seguire si svilupperà la contraddizione interna all’ordine internazionale, che da una parte, attraverso l’AIEA, riconosceva il diritto iraniano ad arricchire il proprio combustibile nucleare, e dall’altra le Nazioni Unite che invece disconoscevano sostanzialmente tale diritto, temendo possibili deviazioni militari a cui la stessa AIEA spettava vigilare in conformità con quanto prescritto dal TNP. Questa contraddizione, più politica che giuridica, convincerà gli iraniani di essere vittima di un sopruso internazionale predisposto arbitrariamente da alcuni paesi ostili. Percezione prevalente soprattutto durante il governo presieduto dal conservatore Ahmadinejad. La questione nucleare iraniana si complicherà ulteriormente dopo la disputa regolamentare relativa alle ispezioni ai siti nucleari di Arak e Natanz, e a causa della concomitante invasione americana dell’Iraq. Circostanze che indurranno l’allora presidente Khatami ad allentare la tensione, avanzando la propria disponibilità a negoziare una soluzione diplomatica della questione nucleare, senza tuttavia riuscire a convincere l’amministrazione Bush. Infatti, all’epoca l’Iran temeva seriamente l’eventualità di un’estensione dell’invasione americana oltre le frontiere irachene.

Successivamente all’elezione di Ahmadinejad, l’Iran intensificherà lo sviluppo del proprio programma nucleare nazionale, rigettando sistematicamente tutte promesse di revoca dell’isolamento internazionale avanzate dall’occidente (europeo) in cambio della rinuncia del diritto ad arricchire uranio. Promesse che il leader iraniano considererà fumose e prive di garanzie, come del resto l’odierna amministrazione Rohani ha recentemente dovuto prendere atto. La difesa del diritto all’arricchimento dell’uranio rivendicata da Teheran verrà velatamente sostenuta dai paesi non allineati, secondo cui l’atteggiamento dei paesi occidentali stava politicizzando il mercato energetico alla stregua di quei paesi mediorientali che tanto avevano criticato durante i decenni precedenti.
Tuttavia, nonostante le ritrosie iniziali e l’opposizione americana, i paesi europei abbozzeranno un processo negoziale che progredirà timidamente, nonostante la risolutezza del governo conservatore iraniano nell’esigere il rispetto del diritto dell’arricchimento del proprio combustibile nucleare nei termini previsti dal TNP. Impegni che il governo iraniano evidenzierà a più riprese, contestando alla comunità internazionale l’atteggiamento pluridecennale con cui continuavano a sorvolare su paesi come Israele che invece quegli impegni non li avevano mai sottoscritti sviluppando quelle armi nucleari che loro non avevano. Armi che in un contesto come quello mediorientale costituiscono tutt’oggi una grave minaccia alla sicurezza della regione mediorientale, soprattutto se in mano ad un paese dai confini indefiniti, in perenne guerra contro i suoi vicini, come lo è lo stato israeliano. Ad ogni modo, queste rimostranze iraniane non impediranno alle Nazioni Unite di cedere alle pressioni americane, varando una serie di sanzioni contro l’Iran, riconoscendo implicitamente il diritto di Israele al nucleare militare, e disconoscendo esplicitamente il diritto iraniano al nucleare civile, per di più vigilato da quell’AIEA che non aveva mai avuto modo di ispezionare accuratamente i siti nucleari israeliani. Alla pressione internazionale, l’Iran dovette far fronte nel corso degli anni ad atti di sabotaggio predisposti da servizi segreti di paesi ostili, affiancati localmente dal movimento terroristico comunista del MEK, a lungo sospettato da Teheran di essere sostenuto da USA e Israele.

La questione del nucleare iraniano inizierà a ricomporsi solo nel 2011, quando il “gruppo 5+1” riuscirà ad avviare un proficuo negoziato culminato nel 2015 con la stipula dell’accordo JCPOA, con cui il nuovo governo moderato di Rouhani sottoscrisse tutta una serie di limitazioni accessorie non previste dal TNP in cambio della revoca del regime sanzionatorio internazionale. Accordo favorito dall’approccio pragmatico adottato sia dal governo iraniano che da quello americano, storicamente contrario a negoziare con Teheran. Accordo con cui Teheran accetterà di ridimensionare i propri diritti nucleari, e che a livello internazionale degraderà il rapporto privilegiato che legava Stati Uniti e Israele. In quel frangente, infatti, Iran e Stati Uniti riusciranno a mettere all’angolo i rispettivi falchi dando una possibilità alla politica piuttosto che alle armi. Prospettiva che si realizzerà sotto l’autorevole e rigorosa supervisione dell’AIEA, almeno fino al 2018, quando l’elezione di Donald Trump stravolgerà gli equilibri strategici impostati nel 2015, ripudiando l’accordo JCPOA, perseguendo l’illusione di poterlo rinegoziare, vincolando lo sviluppo del programma missilistico iraniano insieme alle strutture nucleari. La decisione di Trump ripristinerà il vecchio l’approccio unilaterale alle relazioni internazionali degli Stati Uniti, disintegrando i pilastri della cooperazione internazionale di cui l’accordo JCPOA era espressione.

Presidente Iran Rohani centrale nucleare
( Il Presidente iraniano Hassan Rouhani ispeziona un sito nucleare)

Dinnanzi ad un governo contraddistinto da anni di golpe, regime change, invasioni e per di più incapace di mantenere fede agli impegni internazionali sottoscritti, oggi, l’Iran si ritrova disilluso dalla possibilità di un nuovo possibile futuro accordo, giacché nulla impedisce ad un paese inaffidabile come gli USA di palesare nuovamente le proprie “qualità diplomatiche”, rinnegando anche un’eventuale nuovo accordo. Accordo comunque improbabile, perché difficilmente l’Iran accetterà di subordinare la propria difesa ai vincoli di un paese ostile che non fa mistero di voler rovesciare il loro governo ricorrendo a qualsiasi mezzo, da quello finanziario a quello militare. L’ascesa dei falchi neocon negli USA ha inoltre pregiudicato il fronte riformista iraniano, spianando la strada ai falchi che di certo non mancano a Teheran, e che con tutta probabilità chiuderanno ogni contatto con l’occidente, aprendo le porte di una soluzione non politica della questione nucleare, con tutto quello che ciò comporta per l’Iran, e per l’intera regione mediorientale. A conclusione di questa riflessione va sottolineato che l’Iran non ha mai superato la quota del 20% nell’arricchimento del proprio uranio, soglia decisamente lontana da quella del 90% necessaria per assemblare un ordigno nucleare, almeno stando ai report ufficiali divulgati dall’AIEA. Pertanto, ad oggi, potremmo affermare che la minaccia nucleare iraniana è fatta per l’80% di speculazioni e per il 20% di sospetti, anche se all’interno di quest’ultima quota c’è abbastanza spazio per sorprese capaci di smentire queste considerazioni, giacché l’Iran potrebbe avere acquisito le competenze tecniche necessarie a sviluppare armi nucleari, autonomamente, o attraverso vie traverse che passano da Pyongyang o Islamabad. Ma fino a prova contraria dobbiamo attenerci a ciò che ci dice l’AIEA, ovvero che l’Iran rispetta il TNP.