CONOSCIAMO LA COLOMBIA (4° Parte)
Riprendiamo questo ultimo capitolo del focus dedicato alla conoscenza della storia colombiana, ripartendo dai primi anni 90.
LA RIFORMA COSTITUZIONALE COLOMBIANA
Pochi mesi dopo l’elezione del liberale Cesar Gaviria verrà avviato un processo di riforma costituzionale, le cui basi erano state poste dalla comune volontà della precedente amministrazione Barco e del Partito Conservatore, guidato dall’ex-presidente Pastrana, di aprire una nuova stagione politica colombiana. Processo iniziato parallelamente alle elezioni presidenziali del 1990, quando l’86% dei colombiani hanno approvato la convocazione di un’Assemblea Costituente. Le elezioni per la ripartizione dei 70 seggi all’Assemblea Costituzionale si terranno pochi mesi dopo, nel dicembre del 1990, assegnando il 25% al Partito Liberale, il 28.5% alle due liste del fronte conservatore, il 27% al M-19 ed il 2% all’Union Patriotica (UP). Elezioni che si terranno contemporaneamente all’assalto che l’esercito colombiano predisporrà su ordine del governo Gaviria, che pressato dagli ambienti militari, autorizzerà l’assalto di una delle principali roccaforti dei guerriglieri delle FARC, confidando di cogliergli spiazzati dalla recente dipartita del loro leader, Jacobo Arenas. Operazione che, pur espugnando la roccaforte delle FARC, non riuscirà a disarticolare l’organizzazione guerrigliera, che sotto la leadership di Manuel Marulanda e Raul Reyes riuscirà a riorganizzarsi, rispondendo con una serie di assalti contro l’esercito un po’ in tutto il paese, affossando il processo di pace imbastito dall’amministrazione Betancur e proseguito con quella Barco.
LA COLOMBIA OSTAGGIO DEI NARCOS
I lavori dell’Assemblea Costituente verranno pesantemente condizionati dai narcos colombiani, con in testa l’organizzazione degli Estradabili guidata da Pablo Escobar, il cui immenso potere economico riuscirà a corrompere trasversalmente le delegazioni politiche convincendole ad abrogare il tanto temuto trattato di estradizione verso gli Stati Uniti, imponendo l’introduzione di un apposito articolo costituzionale che vieterà espressamente l’estradizione di cittadini colombiani verso qualsiasi paese straniero. Risultato che gli Estradabili riusciranno a conseguire conseguentemente alla campagna di sequestri di personalità notabili come Diana Turbay, la figlia dell’ex-presidente Turbay; Marina Montoya, la sorella dell’influente consigliere del Presidente Barco, German Montoya; Maruja Pachon, sorella della moglie del leader liberale assassinato Luis Carlos Galan, nonché moglie dell’influente diplomatico liberale Alberto Villamizar; e Beatriz Villamizar, sorella dello stesso Villamizar. Ostaggi con cui Pablo Escobar, costringerà il governo Gaviria a negoziare le condizioni per la sua resa, ottenendo di essere recluso in una “struttura penitenziaria privilegiata”, presidiata e controllata da guardie armate cooptate integralmente da esponenti di fiducia interne al Cartello di Medellin. Agevolazioni penali di cui godranno in misura minore gli altri leader del cartello come i fratelli Ochoa, che riusciranno a godere di sostanziosi sconti di pena cumulativi da scontare nei carceri della loro città, al sicuro dalla temuta prospettiva di estradizione negli Stati Uniti. Accordo che permetterà al nuovo governo Gaviria di interrompere l’escalation narco-terroristica che stava turbando l’ordine interno, mietendo vittime del calibro dell’ex-ministro della giustizia Enrique Low Mutra, surclassando per violenza addirittura la minaccia costituita dalla guerriglia colombiana. Dinamiche che approfondiremo minuziosamente in un prossimo articolo in cui ripercorreremo minuziosamente proprio la storia dei narcos colombiani.

Il presidente Gaviria estenderà l’approccio negoziale utilizzato con i narcos del Cartello di Medellin anche alla guerriglia colombiana, avvalendosi dell’intermediazione di Venezuela e Messico. Dialogo, tuttavia, affossato dal sequestro dell’ex-ministro delle infrastrutture Duran, predisposto dai guerriglieri dell’ELN nel maggio del 1992. Sul piano economico l’amministrazione Gaviria promuoverà una serie di riforme di stampo neo-liberista che metteranno a dura prova la struttura economica colombiana, esponendola ad un processo di privatizzazione sregolato che avvantaggerà i pochi gruppi oligarchici del paese. Economia che sconterà anche un deciso incremento dell’IVA che zavorrerà i consumi interni, già pregiudicati da una crisi energetica determinata dall’ondata di siccità che aveva limitato la produzione delle centrali idroelettriche colombiane.
Nel 1992, l’amministrazione Gaviria tornerà a cedere ai falchi, disponendo il trasferimento in Pablo Escobar dal suo sito di detenzione privilegiato in un carcere militare. Decisione a cui, tuttavia, il leader del Cartello di Medellin si sottrarrà, evadendo rocambolescamente insieme ai suoi luogotenenti, riuscendo ad eludere in modo incruento il cordone di sicurezza approntato dall’esercito. Fuga che, oltre a danneggiare l’immagine dell’amministrazione Gaviria, ripristinerà le attività terroristiche del Cartello di Medellin, sebbene fosse attraversato da una feroce contrapposizione interna determinata dall’epurazione della leadership che Escobar aveva avviato dopo l’assassinio di alcuni dei suoi soci proprio all’interno del sito penitenziario in cui era recluso. Eventi che, oltre a scatenare una nuova escalation terroristica, innescheranno una faida tra la fazione di Escobar e quella dei reduci scampati all’epurazione, che pur di avere la meglio sul loro vecchio leader, faranno fronte comune con le milizie paramilitari dei fratelli Castaño, alleandosi persino con gli avversari del Cartello di Cali, con cui daranno vita all’Organizzazione “Perseguidos Por Pablo Escobar” (Los Pepes), con cui si renderanno protagonisti di efferate stragi finalizzate a fare terra bruciata attorno al temuto narcotrafficante.

La rottura dell’alleanza tra il Cartello di Medellin ed il fronte paramilitare dei fratelli Castaño verrà determinata dall’approccio disinvolto con cui Escobar interagiva disinvoltamente sia con loro che con gli ambienti guerriglieri a loro invisi. La ferocia con cui i PEPES riusciranno a mettere alle strette Escobar, verrà favorita anche dalla discreta collaborazione che ampi settori della politica e delle forze armate garantiranno a quest’organizzazione criminale, che nel giro di un anno riuscirà ad annichilire il potenziale militare del Cartello di Medellin, disintegrandolo definitivamente nel dicembre del 1993, quando Escobar verrà individuato ed abbattuto in circostanze fosche da un reparto delle forze di sicurezza istituito appositamente per catturarlo. Assassinio che gli impedirà di portare a compimento il suo piano di organizzare un nuovo gruppo guerrigliero, con cui trovare legittimazione politica. Ad ogni modo, la fine di Escobar smantellerà il potente Cartello di Medellin, ma non il narcotraffico colombiano, passato sotto la leadership del ben più discreto Cartello di Cali, e dall’ascendente Cartello del Norte del Valle. Gli equilibri successivi alla fine di Escobar permetteranno anche ai paramilitari ed i guerriglieri di ritagliarsi una fetta del lucroso narcotraffico colombiano, da cui trarranno ingenti finanziamenti per sostenere le loro cause contrapposte.
IL “NARCO-GOVERNO” DI SAMPER
Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 1994, il Partito Liberale candiderà l’ambasciatore colombiano in Spagna, Ernesto Samper, una personalità espressione dell’oligarchia colombiana, già noto per aver guidato il Ministero dello sviluppo economico, e per l’essere scampato all’agguato con cui nel 1989 i paramilitari assassineranno il leader dell’Union Patriotica, Josè Antequera. Samper, vicino alla fazione liberale dell’ex-presidente Lopez, guiderà la fazione social-democratica del Partito Liberale, rivendicando la necessità di rimodulare lo stato sociale al fine di attutire gli effetti negativi derivanti dal corso neo-liberista inaugurato dall’amministrazione Gaviria. Candidatura a cui il fronte conservatore opporrà quella del Sindaco di Bogotà, Andres Pastrana, il figlio dell’ex-presidente Misael Pastrana, scampato al sequestro degli Estradabili di Escobar del 1988. Il fronte della sinistra contigua alla galassia guerrigliera convergerà invece sulla candidatura del leader del M-19, Navarro Wolff. L’esito del primo turno elettorale vedrà Samper e Pastrana conseguire entrambi il 45% dei consensi. Risultato piegato dal secondo turno a vantaggio del candidato liberale Samper, premiato con poco più del 50% dei consensi. Vittoria verosimilmente favorita dal supporto esterno dell’M-19, il cui candidato aveva raccolto al primo turno il 3.8% dei consensi. Elezione contraddistinta da un bassissimo tasso di partecipazione, del 33%, al primo turno, salito al 43% al secondo. Vittoria che più avanti si scoprirà essere stata favorita anche dagli ingenti finanziamenti illeciti messi a disposizione del leader liberale dal facoltoso Cartello di Cali guidato dai fratelli Rodriguez.

Poco dopo la vittoria di Samper, il candidato conservatore Pastrana consegnerà al presidente Gaviria alcune intercettazioni che riveleranno la contiguità tra la campagna elettorale di Samper ed il narcotraffico. Rivelazioni inizialmente arginate dal Procuratore generale Gustavo de Greiff, la cui figlia Monica era stata coinvolta proprio nella campagna elettorale di Samper, e divulgate l’estate dell’anno successivo dal suo successore, suscitando una clamorosissimo scandalo che travolgerà la nuova amministrazione liberale, delegittimandola sia in patria che all’estero. Scandalo da cui Samper prenderà le distanze, sostenendo di non essere consapevole dei legami finanziari intercorsi tra i coordinatori della sua campagna elettorale ed i narcotrafficanti. Posizioni fortemente contestate dall’opposizione, soprattutto dal leader conservatore Alvaro Gomez, assassinato nel novembre del 1995 in circostanze tutt’ora non chiarite, lasciando aperta l’ipotesi di un coinvolgimento dello stesso Samper. Accuse che indurranno persino gli Stati Uniti a revocare il visto di ingresso al presidente colombiano, considerato contiguo al narcotraffico. Situazione a cui l’amministrazione Samper cercherà di rimediare con l’arresto a stretto giro dei principali leader del Cartello di Cali. Sforzi che, tuttavia, verranno vanificati dall’inchiesta che porterà all’arresto del suo tesoriere della campagna elettorale Fernando Botero, il figlio del noto pittore colombiano, nel frattempo divenuto Ministro della difesa.
Ad ogni modo, malgrado il degrado politico della sua amministrazione, l’inchiesta che il Parlamento aprirà contro Samper verrà affossata dal Partito Liberale, che permetterà al governo di continuare ad operare fino alla successive elezioni, schermandolo dalle pesanti accuse che rischiavano di determinarne l’implosione. Dinamiche che si svilupperanno parallelamente ad una nuova ondata di violenza innescata dalla faida che contrapporrà l’indebolito Cartello di Cali, intenzionato a negoziare lo smantellamento del narcotraffico colombiano, e gli infidi alleati dell’ascendente Cartello del Norte del Valle. Mentre, intanto, le varie formazioni paramilitari, tra cui spiccava quella dei fratelli Castaño, si aggregheranno sotto le insegne delle “Autodefensas Unidas del Colombia” (AUC), con cui coordineranno la lotta ai guerriglieri delle FARC, protagonisti di una nuova serie di assalti predisposti con armi acquistate grazie ai proventi derivanti dalla campagna di sequestri di facoltose personalità notabili e politiche, che sfrutteranno per pressare il governo a riaprire le trattative di pace. Finanziamenti che sia la guerriglia, sia il movimento paramilitare integreranno significativamente con i proventi derivati dal narcotraffico. Parallelamente a queste dinamiche, il parlamento rimetterà mano alla questione estradizione, emendando la costituzione in modo da riapplicarla a partire dal 1997, riprendendo ad estradare i narcos dei vari cartelli.
IL PROCESSO DI PACE TRA PASTRANA E LE FARC
Alla vigilia delle elezioni presidenziali dell’estate del 1998, i liberali candideranno l’ex-ministro degli interni, Horacio Serpa, mentre i conservatori riproporranno la candidatura di Andres Pastrana, mettendo in minoranza la fazione interna che invece sosteneva la candidatura sovrapartitica di Naomi Sanìn. Il primo turno elettorale vedrà Serpa e Pastrana appaiati sulla soglia del 35%, con la Sanìn leggermente più staccata sul 26%. Il secondo round invece sancirà la vittoria del conservatore Pastrana, premiato con poco più del 50% dei consensi, a fronte di un tasso di partecipazione del 54% al primo turno, e del 62% al secondo turno. Vittoria preceduta da incontri preliminari con il leader delle FARC Manuel Marulanda, ma che più avanti le rivelazioni di importanti esponenti paramilitari ricondurranno al discreto, ma sostanzioso, sostegno dei paramilitari delle AUC. Ad ogni modo, una volta al governo, Pastrana promuoverà un nuovo processo di dialogo con le FARC, disponendo il ritiro dell’esercito da alcune aree oggetto di frizioni militari con i guerriglieri. Iniziativa che verrà tiepidamente accolta anche dalle AUC, che attraverso il loro leader Carlos Castaño annunceranno una tregua propedeutica alla loro integrazione nel processo di pace promosso dal governo, e che verrà contraddistinto da sviluppi alterni e contraddittori. Nel frattempo, le FARC proveranno a rilanciare un nuovo processo di politicizzazione, promuovendo il “Movimento Bolivariano per la Nuova Colombia”, sigla che evidenzierà la contiguità ideologica con il movimento socialista con cui Hugo Chavez aveva conquistato la presidenza del vicino Venezuela, e a cui si rivolgeranno in più occasioni per mediare col governo colombiano la risoluzione di molte contese. I negoziati tra il governo e le FARC continueranno a progredire faticosamente anche grazie alla mediazione di alcuni paesi come l’Italia, la Spagna e la Francia. Dinamiche che svilupperanno parallelamente al coinvolgimento dell’organizzazione nel narcotraffico, da cui trarrà notevoli risorse finanziarie. Dinamiche che accompagneranno il cosiddetto “Plan Colombia”, la strategia con cui l’amministrazione Pastrana coordinerà insieme agli Stati Uniti una soluzione idonea a risolvere il conflitto colombiano e la minaccia costituita dal narcotraffico. Strategia che Washington finanzierà con fondi secondi solo a quelli destinati a Israele, con cui rinforzerà le difese colombiane, parallelamente alla promozione di iniziative finalizzate a creare opportunità economiche alternative al narcotraffico. Strategia aspramente contestata dalle FARC, decisamente ostile all’influenza degli Stati Uniti nel paese.

Nel 2001, le FARC, per voce di Marulanda, chiederanno al governo di estendere le aree demilitarizzate, esortandolo a potenziare gli sforzi per disarmare le milizie paramilitari, avanzando la loro disponibilità a liberare alcuni degli ostaggi detenuti, in cambio della liberazione di alcuni guerriglieri arrestati. Negoziati che hanno impegnato personalmente sia Marulanda che il presidente Pastrana, e in cui il leader delle FARC ha ribadito la necessita di arginare i paramilitari. I negoziati faticheranno a progredire, a causa di un clima di violenza che non accennerà a diminuire, nonostante le numerose concessioni al movimento guerrigliero che Pastrana continuerà a concedere a costo di degradare l’autorevolezza del proprio governo. Negoziati che salteranno verso la fine dell’anno, quando le FARC denunceranno l’ingresso dell’esercito nelle aree demilitarizzate designate dal governo, con cui interromperanno ogni dialogo fino all’inizio del 2002, dopo una serie di colloqui non andati a buon fine.
LA LINEA DURA DI URIBE CONTRO LE FARC
Alla vigilia delle elezioni presidenziali dell’estate del 2002, il fronte conservatore, affossato dal degrado dell’autorevolezza di Pastrana, convergerà sulla candidatura di Noemi Sanìn, seppur fuori dai ranghi del Partito Conservatore da cui aveva preso le distanze, promuovendo un proprio movimento politico. Fibrillazioni che attraverseranno anche il fronte liberale, diviso tra le candidature del Ministro dell’interno, Horacio Serpa, dell’ex-sindaco di Medellin, Alvaro Uribe e di Julio Cesar Turbay Jr, il figlio dell’ex-presidente Turbay. Il navigato Serpa riuscirà successivamente a conquistarsi l’appoggio di Turbay, conquistando la nomination liberale. Tuttavia, la feroce retorica con cui Uribe si scaglierà contro il processo di pace promosso da Pastrana riuscirà ad attirargli i favori dell’opinione pubblica colombiana, convinta della necessità di disarmare la guerriglia con ogni mezzo. Posizione netta con cui Alvaro Uribe riuscirà ad acquisire ampi consensi tra l’opinione pubblica, superando persino il favorito Serpa sui sondaggi. La popolarità di Uribe catalizzerà persino il sostegno di parte del fronte conservatore, che sosterrà la sua candidatura presidenziale, formalizzata sotto la sua formazione politica Primero Colombia. Sempre dal fronte liberale proverrà Ingrid Betancourt, figlia dell’ex ministro dell’istruzione del governo Rojas, candidata per il partito Verde Oxigeno che, al contrario di Uribe, sosteneva la necessità di continuare i negoziati con la guerriglia avviati dall’amministrazione Pastrana. Posizioni che non dissuaderanno i guerriglieri delle FARC, che addirittura non esiteranno a sequestrarla in piena campagna elettorale, approfittando di una sua visita in una zona demilitarizzata. La campagna elettorale verrà condizionata da polemiche, come quella suscitata dal Presidente Gaviria, secondo cui numerosi candidati del movimento di Uribe fosse legato al movimento paramilitare. Paramilitari che abbozzeranno persino un progetto per conquistare il potere con la complicità di ambienti politici e militari, finanziato con i proventi del narcotraffico. Ad ogni modo, le elezioni presidenziali verranno vinte al primo turno, con il 54% dei consensi, da Uribe, contro il 32% del candidato liberale Serpa e lo 0.48% della Betancur, a fronte di un tasso di partecipazione alquanto basso, del 46%. L’insediamento di Uribe verrà “accolto” dalle FARC con un attacco nei pressi del palazzo di Nariño, colpendo alcuni ufficiali della Guardia Presidenziale.

L’attacco delle FARC rafforzerà i propositi di Uribe, convincendolo ad ingaggiare una lotta senza quartiere contro la guerriglia, potenziando gli strumenti a disposizione dell’esercito annunciati durante la sua aggressiva campagna elettorale. Per contrastare la guerriglia, Uribe non esiterà ad intensificare la cooperazione con gli Stati Uniti, integrando il conflitto colombiano nella strategia di guerra al terrorismo internazionale varata dal presidente americano George Bush. La nuova postura approcciata dal nuovo governo colombiano, declinata come “politica di sicurezza democratica”, si paleserà con alcune controverse iniziative come il fallito raid contro il covo dove le FARC detenevano alcuni ostaggi politici come il Governatore di Antioquia Guillermo Gaviria e l’ex-ministro della difesa Gilberto Echeverri, finiti esecutati dai guerriglieri. Approccio aggressivo che contraddistinguerà l’operazione Orion con cui le forze armate colombiane, supportate discretamente dalle milizie paramilitari delle AUC guidate da personaggi controversi legati al narcotraffico e ai Los Pepes come Diego Murillo, eradicheranno la presenza di FARC e ELN dalla città di Medellin, sequestrando, torturando e uccidendo centinaia di persone, successivamente occultati in fosse comuni. Al termine del primo anno dell’amministrazione Uribe si conteranno centinaia di morti e migliaia di detenuti, oltre che innumerevoli scomparsi, attirandosi le accuse di violazione dei diritti umani. Iniziative a cui le FARC risponderanno predisponendo numerosi, ma fallimentari, attentati, persino contro il presidente Uribe.
Nel 2003, i paramilitari delle AUC, guidati da Salvatore Mancuso e Vicente Castaño, concorderanno con il governo la loro smobilitazione, approfittando della legge di giustizia e pace, che gli garantiva benefici penali per i crimini pregressi. Iniziativa che l’anno successivo verrà seguita dal controverso assassinio di Carlos Castaño, il capo assoluto delle AUC, ucciso in circostanze fosche, presumibilmente su ordine di suo fratello Vicente. Il processo di smobilitazione delle AUC catalizzerà l’interesse di molti narcotrafficanti che, approfittando della loro contiguità con i paramilitari, ne approfitteranno per integrarsi alla loro organizzazione al fine di ottenere trattamento politico e benefici penali, confidando così di sfuggire all’estradizione negli Stati Uniti. Estradizione che il governo Uribe disporrà nei confronti dei fratelli Rodriguez, i due potenti leader del Cartello di Cali, e di molti altri narcotrafficanti emergenti.
Sul piano economico, l’amministrazione Uribe riuscirà a rilanciare l’economia colombiana, seppur in modo disaggregato rispetto all’occupazione che, invece, degraderà. Performance economiche condizionate dall’incremento della pressione fiscale, che Uribe giustificherà con la necessità di reperire le risorse finanziarie con cui contrastare la guerriglia. Tra gli ultimi atti dell’amministrazione Uribe ci sarà una nuova riforma costituzionale che gli permetterà di ricandidarsi per un secondo mandato presidenziale. Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2006, l’uscente Uribe verrà sfidato nuovamente dal liberale Serpa e dal candidato della coalizione Alternativa Democratica Carlos Gaviria, ritenuto dal presidente uscente in comunista sotto mentite spoglie. Elezioni che culmineranno con la rielezione di Uribe, con il 62% dei consensi, contro il 22% di Gaviria e l’11% di Serpa. Le elezioni, caratterizzate da un tasso di partecipazione, in calo, del 45%, registreranno un incremento dei consensi per Uribe, e che lo renderanno il presidente più votato nella storia colombiana. Vittoria che più avanti verrà ricondotta alla discreta collaborazione dei paramilitari delle AUC.
Una volta rieletto, Uribe continuerà le operazioni contro le FARC, ordinando al Ministro della difesa Juan Manuel Santos di predisporre i piani per la liberazione dell’ex-ministro degli esteri Perdomo. Tuttavia, verso la fine del 2007, Uribe prenderà contatti con il governo del Venezuela, chiedendogli di mediare con le FARC il rilascio di alcuni degli ostaggi, salvo interrompere la collaborazione poco dopo, contestando l’inopportunità dei rapporti diretti intrattenuti dal presidente venezuelano Chavez con il capo di stato maggiore colombiano, di cui verrà tenuto all’oscuro. Presa di posizione che susciterà l’irritazione di Chavez, che arriverà ad accusare Uribe di affossare il dialogo con le FARC solo per compiacere gli Stati Uniti. Ciononostante Chavez otterrà ugualmente dalle FARC la liberazione di alcuni ostaggi politici, allestendo un operazione umanitaria di evacuazione coordinata con il governo colombiano. Nel 2007, il governo colombiano si avvarrà della mediazione cubana e del premio Nobel Gabriel Garcia Marquez per abbozzare negoziati di pace con l’ELN che, tuttavia, si areneranno dopo i primi incontri. Nel marzo del 2008 Uribe ordinerà una nuova offensiva contro la principale roccaforte delle FARC, situata a ridosso dell’impervio confine con l’Ecuador, e localizzata intercettando una presunta telefonata intercorsa tra il comandante in seconda dell’organizzazione, Raul Reyes, ed il presidente venezuelano Hugo Chavez, con cui, precedentemente, il leader guerrigliero aveva avuto modo di incontrarsi segretamente a Palazzo Miraflores.

Nello specifico, il raid in cui perderà la vita lo stesso Reyes, si svilupperà attraversando i confini colombiani con l’Ecuador, innescando una crisi diplomatica tra i due paesi, che troverà eco anche in Venenzuela, dove il presidente Chavez reagirà mobilitando l’esercito lungo i confini, minacciando di rispondere nel caso in cui la Colombia provasse a replicare operazioni simili a ridosso dei loro confini. Le minacce di Chavez verranno seguite dal ritiro della delegazione diplomatica venezuelana in Colombia, e dalle accuse che il leader bolivariano rivolgerà contro il presidente Uribe, accusandolo di essere un narco-paramilitare intenzionato a trasformare la Colombia nell’Israele del Sud America. Accuse a cui Uribe risponderà, accusando il Venezuela e l’Ecuador di sostenere le FARC per fini espansionistici, sostenendo che il dispiegamento dell’esercito lungo ai confini servisse solo per proteggere Manuel Marulanda. La crisi diplomatica che ne deriverà susciterà persino l’intervento dell’Organizzazione degli Stati Sudamericani, che emanerà una risoluzione che condannerà l’operazione colombiana. Più avanti, Chavez manifesterà solidarietà al movimento guerrigliero colombiano, auspicando il riconoscimento delle FARC e dell’ELN come forze ribelli e non come organizzazione terroristiche, ritenendolo un passo necessario per risolvere il conflitto colombiano. Nonostante ciò, qualche mese dopo, l’amministrazione Uribe ordinerà un nuovo raid militare che culminerà con la liberazione di Ingrid Betancourt e di altre personalità sequestrate dalle FARC nel corso degli anni precedenti. Raid predisposto grazie all’intelligence israelo-americana, con cui le forze armate colombiane riusciranno a rintracciare il covo delle FARC, attraverso la triangolazione di una telefonata intercorsa tra esponenti delle FARC e un ONG fittizia.
La linea dura del governo Uribe condizionerà anche la condotta delle forze armate, stimolata da una politica di incentivi e promozioni associati al numero di vittime conseguite durante le operazioni che molti militari non esiteranno a svolgere rendendosi responsabili di eccidi ai danni di civili, solo per classificarli come vittime del conflitto colombiano. Pratica per cui Uribe rischia un processo per crimini contro l’umanità presso la Corte Penale Internazionale, che indaga su più di 2.000 omicidi sospetti. Persino Santiago Uribe, fratello del presidente, verrà indagato per aver collaborato con gruppi paramilitari. La spregiudicata condotta del governo Uribe susciterà persino l’irritazione degli ambienti democratici americani. Questione che ha anche polarizzato l’opinione pubblica colombiana, dividendola tra sostenitori e critici del presidente.
Nel 2008, Uribe ha disposto l’estradizione a sorpresa negli Stati Uniti dei principali leader paramilitari delle AUC, sospettati di continuare a delinquere nonostante la loro detenzione, gestendo le rotte del narcotraffico. Decisione che secondo alcuni analisti è stata in realtà indotta dalla volontà di impedire a questi controversi personaggi di collaborare con la giustizia, evidenziando le relazioni intercorse tra gli ambienti narco-paramilitari e l’establishment contiguo all’amministrazione Uribe, peraltro accusato di essere stato contiguo all’ormai smantellato Cartello di Medellin, proliferato proprio durante la sua amministrazione dell’aviazione civile dell’aeroporto del capoluogo di Antioquia.
L’INASPETTATA PACE DI SANTOS CON LE FARC
Malgrado le criticità conseguenti al suo secondo mandato, Uribe avanzerà il proposito di riformare la costituzione in modo da concorrere per un terzo mandato presidenziale. Proposito che, tuttavia, verrà affossato dal Congresso che ostacolerà l’iter referendario propedeutico ad approvare la riforma. L’impossibilità di ricandidarsi indurrà Uribe a sostenere il suo Ministro della difesa, Juan Manuel Santos, il rampollo di una nota famiglia dell’oligarchia colombiana, proprietaria del noto quotidiano “El Tiempo”, nonché pronipote dell’ex-presidente Eduardo Santos. La candidatura di Santos verrà sostenuto dal Partito Sociale di Unità Nazionale, una formazione liberale di centro-destra. La campagna elettorale di Santos verrà diretta dall’importante politologo, Juan Josè Rendon, che più avanti verrà accusato di aver ricevuto finanziamenti dai narcotrafficanti del Cartello dei Los Rastrojos, alla ricerca del supporto politico necessario a sottrargli alla prospettiva dell’estradizione negli Stati Uniti. Accuse che scateneranno uno scandalo che lo indurrà a lasciare la campagna elettorale di Santos. Il principale di Santos sarà Antanas Mockus, l’eccentrico ex-sindaco di Bogotà, sostenuto dall’Alleanza Verde, al suo ritorno da un’esperienza accademica negli Stati Uniti. Il Partito Liberale candiderà il governatore di Antioquia Rafael Pardo, mentre il Partito Conservatore ricandiderà Noemi Sanìn. Durante la campagna elettorale, la decisione di Santos di proseguire la politica di sicurezza democratica varata dal suo predecessore Uribe, verrà aspramente contestata dal presidente venezuelano Chavez, che lo accuserà di essere un’esponente dell’imperialismo americano, la cui elezione avrebbe destabilizzato tutta la regione. Chavez arriverà persino ad accusarlo di aver inviato un commando paramilitare ad assassinarlo. Posizioni aspramente contestate dal presidente Uribe, dallo stesso Santos e persino da Mockus, come un indebita ingerenza negli affari interni della Colombia. Le ultime fasi della campagna elettorale verranno segnate da una recrudescenza degli attacchi delle FARC contro l’esercito. Elezioni che nessuno dei contendenti riuscirà a conquistare al primo turno, in cui Santos acquisirà il 46% dei consensi contro il 21% di Mockus, a fronte di un tasso di influenza del 49%. Queste elezioni segneranno la crisi dei partiti tradizionali, con il tracollo dei conservatori e liberali, incapaci di oltrepassare la soglia del 6%. Elezioni che al secondo turno sanciranno la schiacciante vittoria di Santos, premiato con poco meno del 71% dei consensi, a fronte di un tasso di partecipazione in calo, del 44%.
All’indomani dell’elezione di Santos le FARC effettueranno alcuni attentati, proprio mentre il neo-presidente rilanciava il suo impegno contro narcos e guerriglia. Proposito concretizzato con il bombardamento di una delle basi delle FARC. Nonostante le premesse, poco dopo, Santos incontrerà il presidente venezuelano Chavez, impegnandosi a rilanciare le relazioni bilaterali esasperate durante l’amministrazione Uribe. Iniziativa che favorirà la ripresa del processo negoziale con le FARC, avvalendosi della mediazione di Cuba e della Chiesa Cattolica. Negoziati che sono progrediti faticosamente fino all’estate del 2016, quando il governo colombiano e le FARC firmeranno a Cuba un cessate il fuoco che il 26 settembre verrà trasformato in un vero e proprio accordo di pace definitivo. La ratifica ufficiale dell’accordo avvierà il processo di smobilitazione dei guerriglieri, con la consegna delle armi alle Nazioni Unite, sotto la garanzia di partecipazione degli appartenenti dell’organizzazione alla vita politica del paese. Nello specifico, le FARC si inseriranno nel sistema politico colombiano fondando un partito con lo stesso acronimo, denominato per l’appunto “Fuerza Alternativa Revolucionaria del Comun”. L’impegno negoziale di Santos verrà premiato con il Nobel per la pace del 2016. L’accordo verrà accolto dai paesi sudamericani e dalla gran parte della comunità internazionale, dalla Russia agli Stati Uniti, passando per l’Unione Europea e la Cina. Accordo che, invece, verrà aspramente contestato dagli ambienti politici conservatori più prossimi all’ex-presidente Uribe, irritati dalla possibile integrazione politica di guerriglieri responsabili di alcuni efferati delitti contro il paese. Il governo Santos riuscirà anche disarticolare i gruppi narcotrafficanti rastrojos e paisas, arrestando ed estrandando numerosi boss. Mentre alcuni piccoli gruppi dissidenti delle FARC riprenderanno la lotta armata, accusando il governo di disattendere gli accordi di pace, denunciando l’assassinio di numerosi ex-guerriglieri e esponenti sociali a loro vicini. Accordi che il governo Santos cercherà di rilanciare anche con l’ELN, a cui chiederà la liberazione degli ostaggi. Poco dopo la firma degli accordi pace tra il governo colombiano e le FARC, l’ELN accetterà la richiesta dell’Organizzazione degli Stati Sudamericani di proclamare una tregua unilaterale, come gesto distensivo propedeutico all’avvio di un processo negoziale, mediato da Ecuador e Venezuela, ma che, tuttavia, si bloccheranno nuovamente dalla ripresa delle ostilità da parte del movimento guerrigliero. Escalation terroristica che indurrà l’Ecuador a rinunciare ad agire da garante, delegando tale funzione a Cuba.

DUQUE RESTAURA LE TENSIONI REGIONALI
Alla vigilia delle elezioni del 2018, il Centro Democratico, fondato da Uribe, candiderà Ivan Duque, un senatore istruitosi negli Stati Uniti, nonché figlio dell’ex-governatore di Antioquia. Il suo principale sfidante sarà Gustavo Petro, l’ex-sindaco di Bogotà, con un trascorso nel M-19, organizzazione in cui ha svolto un ruolo attivo nel processo di smobilitazione del gruppo guerrigliero. Il primo turno elettorale verrà superato proprio da questi due candidati, Duque con il 39% e Petro con il 25%, a fronte di un’affluenza del 54%. Il secondo turno, invece, assegnerà la vittoria a Duque, premiato dal 54% dei consensi, contro il 41% di Petro. Elezioni in cui la formazione politica delle FARC raccoglierà meno del 2%, accedendo comunque in Parlamento in forza dei termini dell’accordo di pace che garantiva all’organizzazione cinque seggi per otto anni.
Una volta eletto, Duque considererà la ripresa dei negoziati con l’ELN, subordinando la ripresa dei negoziati all’interruzione delle azioni terroristiche e alla liberazione degli ostaggi detenuti dall’organizzazione. Richieste che l’ELN rigetterà, rilanciando l’escalation terroristica, inducendo il governo di Bogotà ad esigere da Cuba l’arresto della delegazione della delegazione negoziale dell’organizzazione per associazione terroristica. Estradizione che il governo cubano rigetterà, rivendicando il proprio ruolo di garante terzo, che l’amministrazione Duque criticherà accusando l’Havana di essere complice dell’organizzazione terroristica. Nel 2020 l’ELN ha chiesto al governo colombiano di siglare una tregua bilaterale che Duque rigetterà, accusando il Venezuela di fornire supporto all’organizzazione terroristica, non considerandolo più come un garante accreditato a mediare con l’ELN. I rapporti con il Venezuela degenereranno ulteriormente dopo la scelta di Duque di disconoscere il governo presieduto da Maduro, sostenendo attivamente l’autoproclamato presidente golpista Juan Guaidò. Maduro accuserà Duque di aver assoldato gruppi narco-paramilitari per ucciderlo, dopo aver denunciato la protezione che l’organizzazione criminale dei Rastrojos ha garantito a Guaidò durante uno dei suoi viaggi clandestini verso la Colombia. La linea ostile di Duque nei confronti del governo venezuelano di Maduro verrà incoraggiata dall’aperto sostegno aperto degli Stati Uniti, intenzionati a rovesciare il governo dello scomodo erede di Hugo Chavez, alle prese con una pessima situazione socio-economica. Crisi che attraverserà similmente anche la Colombia di Duque, alle prese con scioperi che destabilizzeranno la società colombiana, seppur in modo più discreto e meno mediatico di quella venezuelana. Oltre ai fermenti sociali, Duque sconta il degrado dell’autorevolezza del suo governo, destabilizzato da numerosi scandali legati alle forze armate e inerenti ad attività di spionaggio illegali.

CONCLUSIONI
L’Elezione di Cesar Gaviria coinciderà con una fase costituente con cui l’intero establishment colombiano intendeva riformare l’assetto istituzionale del paese, coinvolgendo tutti gli attori politici del paese, dai principali partiti passando per quelli afferenti alla galassia guerrigliera, financo quelli del mondo criminale. Processo che l’establishment militare, vicino agli ambienti conservatori più radicali, cercherà di sabotare, convincendo il neo-presidente Gaviria a prendere d’assalto una delle principali roccaforti delle FARC proprio durante la consultazione elettorale. Raid che, tuttavia, non riuscirà a travolgere l’organizzazione guidata da Manuel Marulanda, a cui non rimarrà che rilanciare le attività militari contro le forze armate colombiane. Il processo di riforma costituzionale che si articolerà successivamente a questi eventi verrà pesantemente condizionato dalla corruzione con cui tutto il gotha del narcotraffico colombiano riuscirà ad imporre le proprie istanze all’Assemblea Costituente, ottenendo l’abrogazione ed il categorico divieto di estradizione presso qualsiasi paese straniero. Risultato ottenuto attraverso la campagna di sequestri di personalità notabili, con cui l’organizzazione degli Estradabili, guidata da Pablo Escobar, riuscirà a costringere l’establishment politico colombiano a soddisfare le sue pressanti richieste, assecondando quella che si configurerà come una vera e propria trattativa stato-mafia, che avrà un esito decisamente più positivo di quello che Cosa nostra riuscirà solo ad abbozzare in Italia. Richieste che il governo Gaviria accoglierà negoziando con gli emissari politici di Escobar che, al culmine di questa trattativa, otterrà di essere recluso in un “sito penitenziario speciale”. Spregiudicata trattativa con cui l’ex-congressista Pablo Escobar si prenderà la rivincita contro l’establishment liberale, responsabile della fine della sua carriera politica, seppur sotto le vesti di quello che è largamente ritenuto come il criminale più grande di tutti i tempi. Personalità che approfondiremo in un prossimo articolo, in cui ripercorreremo le tappe della vita di una personalità controversa e contraddittoria, la cui conoscenza permetterà di comprendere meglio le dinamiche di questa stagione della storia colombiana.

Ad ogni modo, l’accomodamento con Escobar permetterà a Gaviria di porre fine all’escalation terroristica con cui stava sgretolando l’ordine socio-politico colombiano in modo ben più eclatante della guerriglia, dal momento che coinvolgeva i popolosi contesti urbani e non le aree rurali come le FARC. Inoltre, a differenza della guerriglia, gli Estradabili godevano di un immenso potenziale finanziario derivante dal narcotraffico che permetteva all’organizzazione di mobilitare un considerevole potenziale militare, oltre che le simpatie dei ceti popolari più poveri. I benefici dell’approccio negoziale convinceranno il presidente Gaviria a replicarlo anche con la guerriglia, salvo rinunciarci a causa dell’approccio aggressivo dell’ELN. Ad ogni modo, questo transitorio periodo di pace verrà utilizzato da Gaviria per varare alcune riforme economiche di stampo neo-liberista che metteranno a dura prova la coesione sociale del paese. Pace che, tuttavia, Gaviria vanificherà l’anno successivo, assecondando i falchi della sua amministrazione che premevano per la revoca dei “benefici penitenziari” precedentemente accordati ad Escobar. Iniziativa a cui il leader del Cartello di Medellin reagirà evadendo dal suo carcere speciale, riprendendo l’escalation terroristica a cui il governo colombiano riuscirà a porre fine solo assecondando discretamente la coalizione narco-paramilitare riunita sotto le insegne dei “Los Pepes”, patrocinata dall’establishment colombiano, e guidata dai paramilitari del clan Castaño. Coalizione che porrà fine alla vita di Pablo Escobar, impedendogli di costituire il fronte ribelle a cui stava lavorando in partnership con alcuni esponenti della guerriglia colombiana. Epilogo, quello di Escobar, che libererà la Colombia di uno scomodo personaggio, la cui fine favorirà l’ascesa dei cartelli nemici come quello di Cali, a cui presto si aggiungeranno sia le milizie paramilitari che quelle guerrigliere. La fine di Escobar, infatti, non segnerà la fine del narcotraffico colombiano, ma ne sancirà l’istituzionalizzazione con l’elezione del liberale, Ernesto Samper, la cui vittoria di misura sul conservatore Pastrana verrà permessa proprio dai considerevoli finanziamenti messi a disposizione del Cartello di Cali. Vittoria sancita da un elezione caratterizzata da un tasso di partecipazione del 33%, che rende l’idea della sfiducia che il popolo colombiano nutriva nei confronti di una classe dirigente profondamente corrotta. Corruzione svelata dalla divulgazione di alcune registrazioni che dimostreranno l’influenza dei narcos sulle istituzioni politiche e giudiziarie colombiane. Scandalo che pregiudicherà persino i solidi rapporti tra la Colombia e Stati Uniti, e a cui Samper cercherà di porre rimedio intensificando gli sforzi che porteranno all’arresto dei principali leader del Cartello di Cali, e alla reintroduzione dell’estradizione. Dinamiche che si svilupperanno parallelamente al rafforzamento della guerriglia e delle milizie paramilitari, riunite sotto le insegne delle AUC dai fratelli Castaño.
I fermenti conseguenti allo scandalo che travolgerà l’amministrazione liberale presieduta da Samper, pregiudicheranno la sua esperienza di governo, agevolando la successiva elezione del suo vecchio sfidante Andres Pastrana, sfidato al secondo turno da un altro esponente di estrazione conservatrice, come Noemi Sanìn. L’agenda del neo-presidente Pastrana rimetterà al centro la ripresa dei negoziati di pace con la guerriglia, impegnandosi a trattare direttamente con il leader delle FARC, Marulanda. Proposito intercettato anche dai paramilitari delle AUC, intenzionati a farsi amnistiare i crimini commessi nel corso degli anni precedenti. Negoziati che la guerriglia cercherà di coordinare sotto l’insegna del “Movimento Bolivariano per la Nuova Colombia”, formazione il cui nome evoca una certa contiguità ideologica con il movimento socialista con cui Hugo Chavez aveva conquistato poco tempo prima la presidenza del vicino Venezuela. Considerazioni strategiche che contribuiranno a indurre l’amministrazione Pastrana a rafforzare i propri legami con gli Stati Uniti, all’interno della logica del “Plan Colombia”. Ad ogni modo, malgrado i buoni propositi di Pastrana i negoziati con la guerriglia si bloccheranno, degradando la credibilità della sua amministrazione. Delusione che preparerà il clima politico per l’elezione del governatore di Antioquia, Alvaro Uribe, personalità capace di soppiantare sia il Partito Liberale che quello Conservatore.
Uribe conquisterà la presidenza in forza di un’agenda incentrata sulla necessità di porre fine all’insidia costituita dalla guerriglia, varando una linea di scontro dura e pura che incontrerà il sostegno sia dei conservatori più radicali che dei paramilitari delle AUC. Strategia, peraltro, avallata apertamente dagli Stati Uniti, che la integreranno nella loro strategia di guerra al terrorismo. Approccio talmente aggressivo con cui l’amministrazione Uribe opererà al limite di quanto legittimato dal diritto umanitario, rischiando addirittura l’incriminazione presso la Corte Penale Internazionale. Crimini che spesso vedranno l’esercito protagonista diretto, e non meno di rado complice delle atrocità perpetrate dalle AUC, a cui l’amministrazione Uribe offrirà un comodo processo di smobilitazione, integrato da un trattamento politico delle proprie responsabilità penali. Approccio che, al netto delle suddette criticità, verrà premiato dal popolo colombiano con un nuovo mandato, peraltro, suggellato da un altissimo indice di gradimento. Risultati che più avanti si scoprirà essere stati agevolati dalla mobilitazione politica delle AUC. La linea dura varata da Uribe metterà alle corde le FARC, predisponendo una serie di spregiudicate operazioni militari lungo i confini che finiranno per compromettere persino le relazioni diplomatiche con Ecuador e Venezuela, due paesi storicamente impegnati a mediare tra il governo colombiano e la guerriglia. Crisi che degraderà in particolar modo le relazioni con il governo venezuelano presieduto da Chavez, con cui Uribe si scontrerà platealmente, accusandolo di interessarsi alla crisi colombiana, schermando gruppi terroristici ideologicamente contigui, solo per trarne vantaggi strategici.

Situazione che si normalizzerà solo con l’elezione di Juan Manuel Santos. Infatti, al netto delle premesse iniziali, le relazioni tra Colombia e Venezuela si ristabilizzeranno poco dopo l’elezione di Santos che, al netto della sua contiguità con l’era Uribe, riuscirà persino a conseguire uno storico accordo di pace con le FARC, ponendo fine ad anni di conflitto che nemmeno il ben più conciliante pastrana era riuscito a conseguire. Successo che gli varrà il Nobel per la pace ed il plauso dell’intera comunità internazionale. Accordo che ha archiviato il principale dossier guerrigliero, permettendo alle FARC di smobilitarsi definitivamente, integrandosi a pieno titolo nel sistema politico colombiano, pur se con risultati politici marginali che evidenziano come col trascorrere degli anni la guerriglia abbia perso la capacità di rappresentare una società che nel frattempo era cambiata profondamente, rendendo la loro causa anacronistica, soprattutto dopo la fine della guerra fredda. Situazione di cui solo l’ELN e alcuni dissidenti delle FARC non hanno ancora preso atto, mantenendo aperto un conflitto fuori dal tempo, che fatica a trovare un senso strategico dopo la fine dell’URSS, il ridimensionamento della Cuba castrista e della crisi che attraversa l’esperienza bolivariana in Venezuela. Ad ogni modo, la resistenza dei piccoli gruppi dissidenti della guerriglia e gli assassini mirati contro esponenti ad essi legati continua a tenere banco in Colombia, seppur in modo meno urgente che in passato. Problematica che, infatti, continua a condizionare l’attuale amministrazione di Ivan Duque, caratterizzata da un approccio aggressivo decisamente simile a quello adottato da Uribe. Approccio che si rileva anche dall’ostilità con cui il suo governo si sta relazionando con il governo del vicino Venezuela, ritenuto il principale sponsor dell’ELN. Ostilità incoraggiata dal governo degli Stati Uniti che, proprio come ai tempi di Uribe, sta cercando di esasperare le relazioni tra i due paesi caraibici, facendo leva sulla contrapposizione ideologica. Strategia in cui rientra il disconoscimento del governo venezuelano presieduto da Maduro, a vantaggio del leader golpista dell’opposizione, Juan Guaidò. Tuttavia, al netto della retorica, la precaria situazione socio-politica che oggi attraversa la Colombia sotto l’amministrazione Duque non è poi così diversa da quella che attraversa il vicino Venezuela, con la differenza che la crisi sociale che da qualche anno fronteggia il governo di Caracas è amplificata da interferenze esterne, mentre quella che attraversa Bogotá è va addebitata esclusivamente a logiche e responsabilità puramente domestiche.
PS:
Vi raccomandiamo di consultare il prossimo articolo sui narcos colombiani, in cui potrete approfondire il senso di molte delle cose che avete letto in questo quarto e ultimo capitolo di questo focus dedicato alla conoscenza della Colombia.