RATING GEOPOLITICO 2021
Quali rischi incombono sullo scacchiere internazionale? Anche quest’anno proviamo a scoprirlo insieme.
Come è nostro solito, prima di addentrarci nella nostra “analisi predittiva”, desideravamo porgere i nostri migliori auguri di Buon Natale e di felice anno nuovo a tutti i nostri utenti, e naturalmente anche alle loro famiglie, perché se ci conoscete voi, in fondo, è un po’ come se ci conoscesse la vostra famiglia, poiché la conoscenza che avete tratto da questo nostro piccolo e umile spazio sulla rete l’avrete sicuramente condivisa con i vostri cari all’interno delle vostre case. Ci piace ribadirlo, e dunque lo facciamo, Tu che leggi sappi di essere considerato parte di Torcia Politica, un fratello con una torcia idealmente animata dalla comune passione verso la politica, intesa come azione che nasce dalla conoscenza, e che ambisce a migliorare il mondo in cui viviamo, anche se ciò spesso si configura come una mera utopia. Ma da queste parti abbiamo la testa dura.
Chi conosce Torcia Politica saprà che il blog opera da circa 4 anni, e nel corso del 2020 abbiamo triplicato l’utenza del 2019, riscontrando circa 7.500 contatti. Numeri che rimangono irrisori se paragonati a quelli dei mass-media dei principali blog della rete, ma che continuano a lusingarci tantissimo, soprattutto alla luce delle limitate risorse economiche e temporali a nostra disposizione. Come saprete, continuiamo a non avere spazi pubblicitari all’interno del blog, e dallo stesso non ci guadagniamo nulla di monetizzabile. Gli unici soldi che riguardano il blog sono quelli che spendiamo per pagare l’hosting, e anche questi non ce li regala nessuno “sponsor interessato”, giusto per chiarezza. Anche se nel corso dell’anno non sono mancati gli stolti che ci hanno accusati di essere portavoce di questo o quell’altro, ricoprendosi di ridicolo ai nostri occhi. Siamo, e continueremo ad essere indipendenti, mantenendoci coerenti con i nostri principi, che riconfermiamo ribadendo di essere dalla parte del torto, pronti a controbilanciare la faziosità che trasuda dai cosiddetti “media indipendenti”. Tra noi e loro, naturalmente c’è la verità, che non siamo noi, ma nemmeno loro, uno spazio in cui conta ciò che credete voi alla luce delle informazioni che traete da queste due sfere di informazione antitetiche. Ritornando alla questione economica, una delle cose che ci differenzia dai mass-media, è che il nostro umile “lavoro” viene gratificato con una moneta diversa da quella a corso legale, e passateci il termine, sicuramente meno inflazionata, ovvero la vostra preziosa considerazione, a cui attribuiamo un grande valore. La passione per la politica e la vostra considerazione sono gli unici propellenti che mantengono accesa la fiamma di Torcia Politica. Il blog continuerà ad approfondire la realtà politica, riportando la nostra visione delle dinamiche che interessano i vari teatri di crisi, mettendola a disposizione di chi magari conosce poco le realtà da cui scaturiscono, e a cui spesso i mass-media dedicano poco tempo, distorcendo in non pochi casi il quadro della situazione, e di conseguenza anche i giudizi dell’opinione pubblica, polarizzandola a vantaggio di alcuni e a danno di altri.
Come saprete, i nostro contenuti vengono pubblicati con una cadenza temporale alquanto larga, ma come sapete si tratta di focus corposi in cui cerchiamo di sintetizzare in più parti il background dei principali teatri di crisi, fornendo interessanti spunti di riflessione, finalizzati a stimolare ulteriormente la curiosità dei lettori. Curiosità che speriamo abbia permesso a molti di voi di intraprendere un percorso di ricerca personale, dinamico e continuo, mettendo in dubbio tutto, perché solo così si riesce ad indagare le varie dimensioni della verità che taluni occultano per troppa ignoranza o troppa intelligenza. Per Torcia Politica ogni contatto è più che un numero, è una persona che apprezza la nostra visione del mondo, e a cui ci sentiamo legati pur senza conoscerla. A tal proposito, approfittiamo di quest’occasione per ringraziare i nostro followers che ci seguono su Twitter, che ci sostengono condividendo le nostre riflessioni, e con cui spesso abbiamo il piacere di scambiare opinioni in modo franco, ma rispettoso, eccetto qualche spiacevole caso che ci ha costretto a prendere misure restrittive, che cerchiamo sempre di evitare, laddove è possibile.
L’anno scorso ci siamo proposti di crescere, e lo abbiamo fatto grazie al vostro prezioso supporto. Aiuto che vi chiediamo di rinnovare per l’anno seguente, esortandovi a condividere i nostri contributi, così da permettere a questo blog di continuare a crescere, in modo da guadagnarsi spazio tra l’opinione pubblica. Aiutarci è gratis, basta condividere i nostri articoli o interventi sui nostri canali social, perché se è vero che da questo blog ci guadagniamo zero, rimettendoci pure, è anche vero che lasciare un like o un retweet è un modo semplice ed economico per gratificarci, palesando la vostra presenza, allontanando l’idea che l’impegno profuso sia stato tempo perso. Del resto, se ci seguite, è perché avrete sicuramente trovato in noi qualcosa che altrove non dicono, e che siamo sicuri vorreste sentire più spesso, ma ciò dipenderà da come vi spenderete per far diventare questo spazio all’altezza degli altri, dove le idee che condividete con noi sono marginalizzate se non proprio censurate. Dunque, un posto per le vostre idee oggi ce l’avete, è qui, se ci tenete, aiutateci a farlo crescere, facendo si che un giorno la nostra voce risuoni forte tra le altre.
Ma desso basta, torniamo a fare luce sul mondo della politica!
RATING DI RISCHIO GLOBALE
Anche quest’anno proviamo ad azzardare qualche previsione sull’intensità delle crisi che interesseranno i principali paesi del mondo nel prossimo 2021. Anche questa volta prenderemo in prestito dal glossario finanziario il concetto di rating, applicandolo alla politica internazionale, cimentandoci nell’elaborazione di una sorta di “rating geopolitico” finalizzato alla valutazione del grado di rischio di esposizione a fonti di instabilità dei vari paesi considerati. La nostra analisi prevedrà 3 classi di rischio (A,B e C), integrate dal loro grado di esposizione a ulteriori fattori degradanti della loro situazione vigente (outlook positivo) o a fattori stabilizzanti (outlook negativo). Nello specifico, tra i paesi con classe di rating A abbiamo incluso paesi in cui è in corso un conflitto, mentre tra i paesi con classe di rating B abbiamo incluso quelli con crisi politiche particolarmente esposte al rischio di un escalation militare, infine nella classe di rating C abbiamo incluso quei paesi stabili ma potenzialmente esposti al rischio di destabilizzazione politica.
Detto questo, l’anno scorso alcune nostre previsioni si sono concretizzate, altre parzialmente, altre ancora per nulla. Verrebbe da dire è la politica bellezza, ma nessun analista è veramente in grado di prevedere ogni cosa, e il 2020 è stato in grado di dimostrarlo con una pandemia che ha stravolto le nostre vite, ovunque nel mondo, spiazzando anche gli esperti più ferrati. Naturalmente confidiamo che il prossimo 2021 sia migliore del 2020, anche perché, in tutta onestà, è difficile immaginare un anno peggiore di quello che si appresta a concludersi. che Tuttavia, purtroppo si può ancora scavare, e a chi si chiede cosa possa essere peggio del 2020, noi rispondiamo un 2021 con le mèche bionde. Si, perché sebbene le elezioni americane si siano concluse da più di un mese, al netto della “vittoria elettorale” di Joe Biden, le recriminazioni di Donald Trump non sembrano affatto rientrare, esponendo gli Stati Uniti ad un margine di incertezza inedito, e talmente sostanziale da complicare, se non addirittura vanificare, le nostre previsioni, che pertanto andranno considerate alla luce di ciò che succedere nelle prossime settimane negli states, dove Trump potrebbe, in via ipotetica, riuscire a bloccare e stravolgere il risultato che abbiamo appreso dai media, o sul piano giudiziario o su quello delle piazze che potrebbero riempirsi di suoi sostenitori, aprendo scenari inediti per un paese come gli Stati Uniti, con ovvie e drastiche conseguenze sugli equilibri globali. Il 2021, dunque, potrebbe non essere scontato come dovrebbe essere, e potrebbe benissimo spiazzarci quanto o più del 2020, aprendo scenari inediti, che nessuno può prevedere, ma solo temere.
SIRIA
L’anno scorso, avevamo previsto lo sviluppo di un lungo e tortuoso processo di de-escalation, assegnando alla crisi siriana un rating A con outlook negativo, ed i fatti ci hanno dato ragione. L’esercito siriano continua a consolidare il controllo governativo sulla gran parte dei territori della Repubblica Araba di Siria. Addirittura, nel corso del 2020 l’esercito siriano è riuscito a riprendere il controllo dell’autostrada che permette di collegare la capitale Damasco con Aleppo, la città settentrionale liberata dopo un lungo periodo di assedio jihadista. Certamente alle forze di Damasco rimane da bonificare la “roccaforte islamista” di Idlib, la cui liberazione è subordinata alle complicate dinamiche negoziali tra russi e turchi, che vedono gli Stati Uniti alla porta, pronti a “garantire la stabilità del fronte ribelle” (o qaidista, fate voi) anche con la forza, pur di non restare tagliati fuori dalla questione siriana. Al netto delle promesse di Trump, l’occupazione illegale dell’est della Siria, in partnership con la filiale siriana dei terroristi curdi del PKK, è continuata, ufficialmente per “proteggere” i pozzi di petrolio a est del fiume Eufrate, dove di curdo non c’è nemmeno l’ombra. Petrolio siriano che anche quest’inverno pregiudicherà la qualità di vita dei civili siriani, vessati dal rinnovato “embargo umanitario” imposto dalla singolare coalizione liberal-comunista curdo-americana, promossa da Obama e confermata da Trump. Partnership che ha dissuaso i curdi siriani dall’intraprendere un serio dialogo con il governo di Damasco, illudendosi di poter continuare a conservare il precarissimo ordine nei territori siriani orientali a netta maggioranza araba, dove le tribù locali hanno manifestato in più occasione l’intenzione di tornare sotto l’autorità di Damasco, arrivando persino a minacciare l’insurrezione.
Gli sviluppi del prossimo sono difficili da prevedere, per via dell’incertezza che, ad oggi, avvolge la prossima amministrazione statunitense. L’archiviazione della sconfitta di Trump, permetterebbe ai curdi di trovare in Biden uno sponsor forte, e decisamente più amico, che potrebbe anche indurli a proclamarsi indipendenti o, quantomeno, porre le basi per una soluzione federale in stile iracheno. Inutile dire che entrambi gli scenari sarebbero fortemente osteggiati dalla Turchia che, a quel punto, potrebbe decidere di saldare la partnership con la Russia, occupando i territori in mano ai curdi, unilateralmente o in accordo l’esercito siriano, disinnescando definitivamente la minaccia curda. Una simile prospettiva costringerebbe Erdogan a cedere Idlib ai siriani, dirottando i suoi proxy jihadisti verso est. Proxy, che fino a questo momento, Erdogan non ha ancora ritenuto di cosmeticizzare, il che suggerisce che non sia ancora pronto a mandarli a trattare con Damasco e, francamente, la possibilità che non lo sarà mai rimane alta. Se invece, Trump riuscisse a rimanere, in qualche modo, al governo degli Stati Uniti la situazione continuerebbe con lo spartito attuale, con un ritiro progressivo delle forze americane propedeutico ad un accordo tra curdi e siriani, che lascerebbe il nodo Idlib irrisolto, lasciando in sospeso in una dimensione indefinita la partnership tra turchi e russi. Detto questo, l’amministrazione americana Biden farà di tutto pur di lasciare la Siria nella caotica situazione attuale, difendendo a spada tratta la roccaforte ribelle di Idlib, che potrebbe anche arrivare a difendere nel caso in cui l’esercito siriano provi a recuperarne il controllo. Probabilmente anche a costo di ingaggiare i russi.
Per quanto concerne i rapporti tra Siria e Israele, le incursioni aeree dei jet di Tel Aviv sono continuate, nonostante la consegna degli S-300 ai siriani, le cui regole di ingaggio imposte dai russi sono evidentemente subordinate alla difesa di obiettivi strategici non legati agli interessi strategici iraniani. I russi, infatti, continueranno a svolgere un ruolo neutrale nella contesa tra israeliani e iraniani, almeno fintanto che qualcuno li tirerà in mezzo. Tuttavia, come avevamo ipotizzato l’anno scorso, l’ipotesi che ad un certo punto gli S-300 si attivino contro obiettivi paganti, come ad esempio un F-35 israeliano, non va affatto scartata, giacché i russi non hanno dimenticato l’abbattimento del loro Il-20. Eventualità che umilierebbe gli Stati Uniti, mandando un segnale di allerta a Tel Aviv e uno di fiducia a Teheran. Infine, al netto della “situazione jolly americana”, che potrebbe far saltare gli equilibri consolidati nel corso degli ultimi anni, riteniamo di assegnare alla crisi siriana un rating A con outlook positivo.
RUSSIA
La crisi di confine con l’Ucraina sembra essersi stabilizzata dopo l’elezione di Zelensky, ma la strada per risolvere la questione è ancora lunga e irta di ostacoli. Ciò ha confermato la nostra previsione dello scorso anno che assegnava alla crisi russo-ucraina un rating B con outlook negativo. La tregua che ad oggi tiene impegnati Ucraina e i ribelli russofoni del Donbas lascia trasparire l’approccio conciliante con cui Trump e Putin hanno favorito il congelamento delle ostilità. Tuttavia, come abbiamo già detto, il prossimo 2021 sarà un anno particolare, e gli sviluppi della crisi russo-ucraina dipenderanno fondamentalmente da chi entrerà alla Casa Bianca. Una riconferma di Trump, riconfermerebbe lo spartito attuale, mentre l’ingresso di Biden potrebbe riacutizzare il conflitto. Trump ha faticato molto a interfacciarsi con il suo collega russo, per via degli strascichi del Russia gate, ma un nuovo mandato potrebbe permettergli di ridefinire gli equilibri strategici europei. La Russia ha anche altre vertenze strategiche che la impegneranno nel corso del 2021, come quella inerente il completamento del gasdotto Nordstream 2. Mentre l’altra vertenza è inerente la stabilizzazione del conflitto tra Armenia e Azerbaijan, in cui la Turchia ha messo piede, mettendo alla prova l’anomala partnership che Erdogan e Putin hanno strutturato in Siria prima e in Libia dopo. Alla luce di ciò assegniamo alla crisi tra Russia e Ucraina un rating B con outlook positivo.
YEMEN
L’anno scorso abbiamo assegnato alla crisi yemenita un rating A con outlook negativo, ed in sostanza il conflitto non è degenerato più di quanto non lo fosse già. Tuttavia, di passi per la de-escalation non se ne sono verificati molti, il che lascia la situazione più invariata che migliorata. I ribelli yemeniti continuano ad arginare ogni tentativo della coalizione araba di farli capitolare, e anzi con il trascorrere dei mesi Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno perso sempre di più la coesione iniziale. Certamente tra le due monarchie arabe quella che ha pagato il prezzo più alto nel corso dell’ultimo anno è stata sicuramente l’Arabia Saudita, più volte bersagliata dai droni e dai missili lanciati dai ribelli yemeniti. Attacchi che potrebbero intensificarsi, o addirittura estendersi, nel caso in cui sauditi e israeliani stabilizzassero le loro relazioni diplomatiche, coordinando una strategia yemenita, o nel caso in cui decidessero di cooperare ad un attacco contro l’Iran. Per questi motivi assegniamo alla crisi yemenita un rating A con outlook positivo.
LIBIA
L’anno scorso abbiamo assegnato alla crisi libica un rating B con outlook positivo, e gli sviluppi che ne sono seguiti ci hanno dato ragione. Addirittura, nel corso del 2020, Haftar sembrò sul punto di prendere d’assalto Tripoli, salvo arretrare dinnanzi alle tutt’altro che fragili milizie di Misurata, rinforzate dai turchi, a sostegno del sempre più debole governo di Serraj. Nel corso dell’anno appena trascorso si è fatto sempre più evidente il ruolo di Turchia ed Egitto nel conflitto, in cui hanno minacciato di intervenire direttamente a fianco dei rispettivi alleati libici. Scenario che potrebbe materializzarsi il prossimo anno nel caso in cui una delle due parti si ritrovasse prossima alla capitolazione. Lo stallo della situazione libica ha avvantaggiato anche i russi, che ne hanno approfittato per ripristinare l’antica influenza nel paese, accreditandosi presso la fazione cirenaica di Haftar, replicando l’intesa raggiunta con i turchi sul teatro siriano. Equilibri che hanno risentito della posizione sfumata tenuta dagli Stati Uniti, che continuano a tenere una posizione ambivalente alquanto equidistante tra i due poli di potere libici. Gli sviluppi del prossimo anno dipenderanno da come russi e turchi continueranno a rapportarsi, ma anche dalla posizione degli Stati Uniti. Biden potrebbe, infatti, rafforzare la posizione di Serraj, e mettere alle strette Haftar, costringendolo a stipulare un accordo di pace definitivo. Per questo motivo assegniamo alla crisi libica un rating A con outlook positivo.
ISRAELE
Anche per il prossimo anno è più che prevedibile che Israele continuerà a fronteggiare le sfide poste dalla resistenza palestinese con cui, del resto, gli attriti e le schermaglie sono al l’ordine del giorno, soprattutto sul versante Gaza. Tuttavia, come abbiamo evidenziato l’anno scorso, la minaccia più rilevante per gli israeliani è senza dubbio quella costituita dalla milizia libanese Hezbollah, soprattutto alla luce del vasto arsenale balistico accumulato ed aggiornato continuamente negli ultimi anni sotto la discreta supervisione dei consulenti militari iraniani. Missili che Hezbollah potrebbe utilizzare nel caso di un’aggressione diretta contro i propri centri di potere in Libano, o nel caso di un’aggressione contro l’Iran. Israele continua a tenere sul tavolo l’opzione di un raid preventivo contro le infrastrutture legate al programma nucleare iraniano, anche se tale prospettiva avrebbe un coefficiente di difficoltà elevatissimo per le sole forze israeliane, rendendo necessaria una qualche forma di supporto strategico americano, o quantomeno da parte di qualche paese arabo compiacente. E su ciò che ha lavorato alacremente l’amministrazione americana Trump che, prima di esaurire il proprio mandato, ha promosso una serie di accordi di riconciliazione tra i paesi arabi alleati del golfo e Israele. Accordi che, in realtà, hanno ufficializzato contatti preesistenti, ma che mettono Israele nelle condizioni di poter utilizzare lo spazio aereo arabo senza mettere in difficoltà di questi paesi dinnanzi alle loro opinioni pubbliche interne, che stanno già cercando di abituare alla prospettiva di un’alleanza aperta con gli antichi nemici israeliani.
L’amministrazione americana Trump ha dunque fornito a Israele le condizioni per poter agire autonomamente contro l’Iran, godendo di un corridoio aereo non ostile, dove far rifornire gli aerei di Tel Aviv del carburante necessario a coprire la distanza tra gli obiettivi iraniani, e a fare ritorno alle proprie basi. Prospettiva, divenuta meno remota, ma che l’amministrazione Biden potrebbe non essere disposta ad avallare prima di aver tentato di rinegoziare l’accordo JCPOA ripudiato da Trump. Ma dal canto suo, Israele potrebbe non essere disposto a fornire altro tempo all’Iran, prendendo l’iniziativa in modo unilaterale, prima che a Teheran riescano a sviluppare un loro arsenale nucleare, con cui si ritroverebbero ad agire sullo stesso piano strategico. Non va poi sottovalutata l’eventualità di un maggior coinvolgimento israeliano nel Mediterraneo, dove la crescente assertività turca sta alimentando un clima di tensione che potrebbe coinvolgere gli emergenti interessi energetici che Israele condivide con paesi come Cipro, Grecia ed Egitto, sul cui sfondo si intravede la crisi libica. Per queste ragioni riteniamo di confermare a Israele un rating B con outlook positivo.
TURCHIA
L’anno prossimo alla conclusione ha esasperato ulteriormente l’ostilità tra la Turchia e gli Stati Uniti, acuita dal risoluto sostegno che l’amministrazione Trump ha continuato a garantire alle milizie terroriste comuniste curde del PKK. Infatti, al netto dei proclami di Trump, le truppe americane che occupano illegalmente il nord-est della Siria non si sono ritirate dalla Siria, come più volte annunciato, continuando a spalleggiare le milizie curde YPG, notoriamente espressione del PKK. Le intenzioni di Trump, sono state verosimilmente corrette dell’establishment militare che ha continuato a presidiare i territori siriani con minori effettivi a disposizione, anche a costo di operare a stretto contatto con i russi, che nel corso dell’anno scorso hanno iniziato a pattugliare proprio con i turchi i confini siriani settentrionali, precludendoli alle milizie curde. Erdogan, infatti, ha continuato a consolidare l’opportunistica partnership con la Russia di Putin, trovando sempre un compromesso a tutte le crisi che si sono presentate in Siria, come altrove. Rapporto consolidato dalla volontà di attivare al più presto il sistema antiaereo russo S-400, soprattutto dopo le recenti sanzioni disposte dall’amministrazione Trump prima dell’esaurimento del proprio mandato. Sanzioni che sono state percepite da Ankara come un vero e proprio colpo di scimitarra all’alleanza NATO, da cui la Turchia sembra sempre più lontana. Dinamica che potrebbe addirittura aggravarsi con la nuova amministrazione Biden, che come abbiamo accennato, sarà decisamente più solidale con i curdi di quanto non lo sia stata quella Trump. Rapporto quello tra Turchia e USA che potrebbe portare a sviluppi drastici come la revoca dell’uso della strategica base aerea di Incirlik, se non addirittura l’abbandono della NATO da parte di Ankara. Prospettiva drastica, che a quel punto salderebbe l’alleanza tra la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin, peraltro messa alla prova su teatri strategici come quello libico e quello azero.
In particolar modo, la Turchia sta consolidando la propria influenza in Libia dove dinnanzi allo stallo militare degli ultimi anni potrebbe decidere di trovare una soluzione di compromesso con i russi con più di un piede in Cirenaica. Tuttavia, non va scartata l’eventualità di una resa dei conti con l’Egitto, con cui cresce l’ostilità nel Mediterraneo orientale, quadrante dove è lecito aspettarsi la riproposizione di scenari di crisi con Cipro e Grecia. Va poi tenuta in seria considerazione l’eventualità di una primavera colorata finalizzata alla rimozione di Erdogan, e propedeutica alla normalizzazione e reintegrazione della Turchia nel quadro strategico occidentale. Scenari di destabilizzazione che potrebbero provenire anche da un’intensificazione dell’insurrezione curda, dove l’insediamento dell’amministrazione Biden è stato più che auspicato. Infine, non va scartata la possibilità di contraccolpi siriani, dove i proxy jihadisti delusi dalla piega che ha preso il conflitto, potrebbero rivoltarsi prendendo l’iniziativa in Turchia, che nel prossimo futuro dovrà inevitabilmente impegnarsi con i russi a sgomberare la roccaforte ribelle di Idlib. E come abbiamo accennato più volte, lo sgombero di Idlib potrebbe essere anticipato da una drastica pulizia tra i ranghi dei proxy turchi, propedeutica alla creazione di un’opposizione politicamente spendibile da inviare a negoziare con Damasco. Per queste ragioni confermiamo alla situazione turca un rating B con outlook positivo.
LIBANO
L’anno scorso il Libano è stato attraversato dalle proteste popolari che hanno portato alle dimissioni del premier Hariri, che il 2021 rischia di riportare in auge. La crisi libanese è politica, ma anche economica, ma ci verrebbe di aggiungere soprattutto strategica, poiché gran parte delle dinamiche che riguardano questo paese mediorientale catalizza interessi stranieri che hanno come obiettivo prioritario quello di mettere in quarantena politica Hezbollah. La sola esistenza dell’organizzazione sciita, infatti, continua a terrorizzare i vicini israeliani, su cui incombe il loro immenso arsenale balistico, sviluppato grazie alla discreta assistenza iraniana. Potenza militare che, tuttavia, non si traduce in controllo politico, poiché la componente sciita è solo una delle tre componenti religiose da cui derivano gli equilibri di potere che governano il Libano. I nemici di Hezbollah, sono consapevoli di ciò, e cercano di ingaggiarli sul campo politico, in modo da isolarli ed indebolirli, sfruttando lo stato di crisi economica e politica in cui versa il paese. Tuttavia, l’isolamento di Hezbollah, più che aprire una nuova stagione politica rischierebbe di innescare una nuova guerra civile libanese, che permetterebbe a Israele di ingaggiare Hezbollah senza combatterli direttamente, lasciando l’onere del confronto alle altre componenti socio-politiche libanesi. Questa è la vera minaccia che continua ad incombere sul futuro del Libano, un rinnovato scontro tra le fazioni religiose prevalenti.
Nel prossimo anno è più che lecito aspettarsi l’intensificazione della pressione su Hezbollah, accompagnata dal serio rischio di un’iniziativa israeliana contro di loro, o anche solamente contro il loro leader Nasrallah. Eventualità che priverebbe l’organizzazione di una personalità che assicura la contiguità strategica con l’Iran. Inutile dire che una simile prospettiva basterebbe ad innescare una rappresaglia missilistica che potrebbe facilmente innescare un nuovo conflitto su larga scala con Israele. Minaccia balistica che potrebbe presentarsi anche nel caso di uno scontro diretto tra Iran e Israele, soprattutto in un periodo di transizione politica particolarmente complicato negli Stati Uniti. Per queste ragioni confermiamo alla situazione libanese un rating B con outlook positivo.
VENEZUELA
Il 2020 del Venezuela è trascorso relativamente liscio, senza che l’autoproclamato presidente golpista Guaidò riuscisse ad esercitare l’autorità che millantava sui media. Il supporto americano a Guaidò è rimasto una mera formalità retorica, poiché, nonostante tutto, la base di potere del governo presieduto da Maduro è rimasta più solida di quanto preventivato, sia sul piano popolare, ma soprattutto su quello militare, senza di cui, francamente, il successore di Chavez sarebbe crollato da un pezzo. Col trascorrere del tempo, Guaidò ha perso gran parte della propria credibilità, dividendo persino l’opposizione venezuelana, contrapposta tra chi vorrebbe ritornare a confrontarsi con il governo sul piano politico e chi invece vorrebbe continuare l’illusoria strategia golpista.
Detto questo, sul piano interno la situazione sociale sta degradando in maniera gravissima, a cause delle sanzioni internazionali che da anni stanno strangolando l’economia venezuelana. Situazione aggravata dalla pandemia Covid-19 che sta mettendo alla prova in particolar modo il Venezuela, al pari di altri paesi sudamericani non interessati dalle sanzioni internazionali che stanno cercando di sgretolare il consenso attorno il governo di Maduro. Situazione sociale talmente degradata da poter facilmente innescare una deriva caotica che l’opposizione potrebbe sfruttare per aprire una guerra civile. Tuttavia, anche in questo caso, le forze armate potrebbero mantenere il controllo della situazione, anche solo rimuovendo Maduro, perché, lo ribadiamo, il futuro del paese passa dalle loro mani, e ciò lo hanno capito anche gli americani che, soprattutto per quanto concerne la futura amministrazione Biden, potrebbe decidere di negoziare una soluzione alla crisi venezuelana proprio con loro. Tra l’altro, nel corso dell’anno, Maduro ha più volte evidenziato l’esistenza di contatti sia con l’opposizione che con la stessa amministrazione americana. Dinamiche che, con ogni probabilità, si intensificheranno nel corso del 2021, a condizione che la situazione sociale non varchi il punto di non ritorno, che la pandemia sta avvicinando giorno dopo giorno in maniera pericolosa. Alla luce di queste considerazioni assegniamo alla situazione venezuelana un rating B con outlook negativo.
ARABIA SAUDITA
L’Arabia Saudita continua a beneficiare del lungo periodo di transizione legato alle prospettive di vita di Re Salman, di cui continua ad approfittare il figlio Mohammad per consolidare la propria posizione di potere. La monarchia araba provata dall’inconcludente intervento nello Yemen, da cui ha rimediato persino alcuni umilianti colpi, nel corso del 2020 si è ritrovata a far fronte anche al collasso del prezzo del petrolio. Crisi che sta mettendo al rischio le finanze del regno, e con esse gli ambiziosi progetti di riforma del principe Mohammad, su cui, tra l’altro, incombono le trame politiche degli ambienti più conservatori. Ambienti conservatori che, alle giuste condizioni condizioni, potrebbero anche giocarsi la carta del golpe, soprattutto all’indomani dell’insediamento della nuova amministrazione americana Biden. La mancata elezione di Trump ha spiazzato profondamente i sauditi che adesso rischiano di ritrovarsi a fare i conti con la meno conciliante amministrazione Biden, che potrebbe riportare in auge il caso Kashoggi per costringerli a cambiare agenda, dalla strategia yemenita alle controverse relazioni con il Qatar. Venuto meno Trump, i sauditi potrebbero riconsiderare di abbandonare la strategia di pacificazione con Israele intrapresa precipitosamente dalle altre monarchie del golfo, attenuando persino la propria strategia iraniana, a cominciare proprio dal conflitto nello Yemen, da cui potrebbe iniziare a disimpegnarsi a partire dall’anno prossimo. Tuttavia, non va marginalizzata la possibilità che i sauditi perseverino nella strategia traccia da Trump, normalizzando i propri rapporti con Israele, permettendogli di solcare il proprio spazio aereo per colpire le infrastrutture nucleari iraniane. Prospettiva che, con ogni possibilità, potrebbe innescare una massiccia rappresaglia missilistica contro le infrastrutture petrolifere saudite, a cui potrebbe seguire anche il blocco dello strategico stretto di Hormuz. Sviluppi che, oltre a far tracollare il regno, potrebbe stravolgere gli equilibri economici globali. Per questi motivi assegniamo all’Arabia Saudita un rating B con outlook positivo.
IRAQ
All’inizio del 2020, l’Iraq ha rischiato di finire invischiato in un conflitto tra Iran e USA, dopo l’assassinio del generale delle IRGC Qasem Soleimani, a cui è seguito il bombardamento delle principali basi militari americane nel paese. L’Iraq è riuscito a superare l’instabilità del post-Mahdi che, ad un certo punto, sembrò prefigurare una guerra civile. Il nuovo governo iracheno del premier Khadimi sta cercando di stabilizzare il paese, arginando le spinte politiche centrifughe della coalizione che lo sostiene. Governo paradossalmente favorito dall’assassinio di Soleimani, che ha messo d’accordo il riottoso al-Sadr con le altre componenti politiche sciite, con cui continua ad intrattenere un rapporto difficile da decriptare. Accordo che, come già accennato, ha permesso di sventare la prospettiva di una guerra civile, che avrebbe potuto favorire il processo di indipendenza che i curdi sono stati costretti a congelare solo un anno fa. Khadimi sta faticosamente cercando di mediare il difficile rapporto venutosi a creare tra Iran e Stati Uniti all’inizio del 2020. L’Iran, infatti, sta pressando con forza il ritiro americano dal paese, dove il rapporto con le milizie sciite locali è arrivato al punto di rottura, rischiando di degenerare da un momento all’altro. Milizie che possiedono un potenziale balistico di derivazione iraniana, che rende la permanenza delle truppe americane nel paese sempre più insostenibile e soprattutto insicura, come dimostrano i reiterati lanci contro l’ambasciata americana registrati a Baghdad nel corso dell’anno scorso. Il ritiro delle forze americane in Iraq disposto da Trump, avanza in sordina, ma potrebbe essere congelato, o addirittura riconsiderato, da quella Biden, configurando uno scenario di frizione che potrebbe destabilizzare l’ordine iracheno, su cui, tra l’altro, incombe la riorganizzazione delle milizie dell’Isis. Alla luce di queste considerazioni assegniamo all’Iraq un rating B con outlook positivo.
COREA
Il 2020 è trascorso senza che la Corea del Nord effettuasse nuovi lanci di missili balistici intercontinentali, limitandosi a testare sistemi di artiglieria a lungo raggio. Evidentemente tra Trump e Kim Jong-Un vi era un accordo che il leader di Pyongyang ha rispettato, astenendosi dal turbare la campagna elettorale del tycoon. Il lancio di un ICBM nordcoreano, infatti, avrebbe affossato inevitabilmente la credibilità internazionale dell’amministrazione americana presieduta da Donald Trump, pregiudicandone drasticamente le chance di essere riconfermata. I negoziati erano comunque entrati in una fase di stallo che, in ogni caso, non ha scontentato poi tanto i nordcoreani, che così hanno avuto modo di consolidare il loro arsenale nucleare. Di certo è che ai nordcoreani non mancava di certo un’ICBM da testare, come hanno dimostrato sfoggiando il nuovo Hwasong-16 nel corso dell’ultima grande parata militare. Missile che, ad un certo punto, i nordcoreani non perderanno l’occasione di testare in modo plateale, per mettere pressione negoziale sugli Stati Uniti. Tuttavia, riteniamo che durante il prossimo anno, Kim Jong-Un cercherà di sondare le reali intenzioni della nuova amministrazione Biden, che dovrà decidere se continuare la strategia negoziale delineata da Trump, o tornare ad esigere la completa denuclearizzazione della penisola nucleare, ritornando alla retorica di confronto. Il secondo scenario sarà con ogni probabilità quello che l’amministrazione Biden realizzerà, anche se la solidità dell’arsenale nucleare nordcoreano potrebbe indurre gli americani ad abbandonare l’approccio del passato, inaugurandone uno più pragmatico in stile indo-pakistano. Per queste ragioni assegniamo alla Corea del Nord un rating B con outlook positivo.
IRAN
L’anno scorso l’Iran ha rischiato di ingaggiare un conflitto con gli Stati Uniti, non esitando a vendicare l’assassinio del generale Qasem Soleimani bombardando le basi militari americane in Iraq. Attacco “telefonato”, ma che per la prima volta nella storia degli Stati Uniti è rimasto senza risposta. Infatti, Trump, pur avendo dinnanzi a se l’occasione d’oro per ingaggiare un conflitto con l’Iran, ha preferito desistere, anche se non è noto sapere quanto ciò sia stato determinato dalla sua volontà o dall’establishment militare. Ad ogni modo, paradossalmente l’inizio del 2021, rischia di aprirsi nello stesso modo con cui si è aperto il 2020, ovvero la seria possibilità che l’amministrazione Trump lasci in eredità a Biden una guerra con l’Iran, o comunque una situazione abbastanza deteriorata da impedirgli di riportare gli Stati Uniti nuovamente dentro l’accordo sul nucleare JCPOA. Programma nucleare che l’Iran sta sviluppando a pieno regime, approfittando del regime di incertezza conseguente al ritiro americano dal JCPOA. Tempo e circostanze che potrebbero aver permesso, in via del tutto ipotetica, all’Iran di arricchire abbastanza uranio da destinare allo sviluppo di qualche esemplare di ordigno nucleare. Detto questo, anche nel caso in cui gli Stati Uniti si astenessero dal colpire l’Iran, va comunque evidenziato come l’amministrazione Trump abbia creato le condizioni ideali affinché Israele possa colpirli autonomamente, aprendogli lo spazio aereo di molti paesi arabi che in questo finale di 2020 si sono impegnati a normalizzare le relazioni diplomatiche con Tel Aviv. Dinamica che presto potrebbe completarsi con l’aggiunta dell’Arabia Saudita. Israele potrebbe, infatti, sfruttare l’incerta transizione americana per sferrare un attacco a sorpresa contro le infrastrutture nucleari iraniane, impedendo all’amministrazione Biden di rinegoziare i termini del JCPOA con Teheran. Aggressione che rischierebbe di innescare una rappresaglia che comprenderebbe tutti i paesi della regione, con pesanti ricadute per l’economia globale. Contrattacco che inesorabilmente colpirebbe Israele, esposto sia ai missili balistici iraniani che alle migliaia nelle disponibilità di Hezbollah, senza dimenticare quelli in mano alla resistenza palestinese, e potenzialmente anche quelli in mano ai ribelli Houthi dello Yemen.
Il prossimo sarà un anno fondamentale per l’Iran, anno in cui la possibilità di una resa di conti con i suoi antagonisti strategici potrebbe realizzarsi con estrema facilità. Tensioni che potrebbero iniziare a palesarsi in Iraq, dove il ritiro americano promesso da Trump potrebbe finire per essere congelato da Biden, lasciando le truppe di Washington in balia delle milizie sciite locali. Alla minaccia esterna, non vanno sottovalutate le circostanze interne, dalla minaccia curda a quella di una nuova serie di proteste antigovernative. Non dimentichiamo, infatti, che il 2021 sarà l’anno delle elezioni presidenziali iraniane, in cui le chance che possano essere vinte da un esponente conservatore radicale crescono giorno dopo giorno. Elezioni che si terranno in estate, lasciando pochi mesi a Biden per convincere il governo iraniano a tornare al tavolo negoziale, poiché in caso di vittoria dei conservatori, l’Iran virerà con decisione verso una formula nordcoreana, ovvero verso lo sviluppo di un proprio piccolo arsenale nucleare. Ma a quel punto, la scontata elezione di un’esponente conservatore potrebbe innescare una nuova tornata di disordini che potrebbero fornire agli Stati Uniti il movente perfetto per intervenire in Iran a sostegno dei manifestanti antigovernativi. Per tutte queste ragioni assegniamo all’Iran un rating B con outlook positivo.
INDIA-PAKISTAN
Come avevamo accennato già l’anno scorso, il quadrante prossimo ai territori del Kashmir continua ad essere quello più esposto alla possibilità di un conflitto che, vale la pena ricordare, avrebbe conseguenze rilevantissime, poiché coinvolgerebbe tre potenze nucleari come Cina, India e Pakistan. I tre paesi sono consapevoli dei rischi derivanti da un simile scenario, e al netto delle schermaglie di confine, hanno manifestato la volontà implicita di mantenere le ostilità sotto controllo, senza, tuttavia, dare l’impressione di essere deboli. La situazione, infatti, serve più che altro a ricordarsi a vicenda di non essere disposti a subordinarsi l’uno verso l’altro. Pertanto, è più che probabile che tale spartito si replichi anche nel 2021. Per tale ragione confermiamo il rating C con outlook positivo.
CINA
La Cina è sicuramente il paese che meglio si è ripreso dalla pandemia. Sviluppo che ha dato adito a sospetti e accuse che l’amministrazione americana, presieduta da Donald Trump, ha cercato di cavalcare, additando la Cina di essere la fonte originale responsabile della pandemia COVID-19, senza tuttavia allegare prove degne di nota alle sue accuse. Ostilità che negli anni precedenti si era sviluppata prevalentemente sul piano economico, e che nel corso del 2020 ha travalicato la dimensione politica e sanitaria. L’amministrazione Trump ha dunque identificato la Cina come il proprio principale avversario strategico, e nel farlo ha cercato inutilmente di sottrarre Mosca dall’alleanza strategica con Pechino, in cui è più che lecito immaginare verrà spinta dalla nuova amministrazione Biden. Con Biden alla guida degli USA, Cina e Russia cementeranno la loro partnership strategica, coprendosi le spalle a vicenda, configurando il peggior incubo strategico di Washington. Tuttavia, Pechino potrebbe beneficiare dall’intensificazione dell’ostilità occidentale nei confronti della Russia, e potrebbe anche riuscire a trovare quell’intesa commerciale che Xi Jinping non è riuscito a trovare con Trump. La mancanza di un’intesa potrebbe riattizzare la tensione ad Hong Kong, inasprendo il confronto con gli Stati Uniti, pronti a rafforzare le difese di Taiwan. Rapporto, quello tra Cina e USA, in cui, ad un certo punto, la Corea del Nord potrebbe fungere da cartina tornasole. In tutto, questo, non va sottovalutata l’eventualità di un confronto tra la marina cinese e quella americana nel Mar cinese meridionale. Per queste ragioni confermiamo alla Cina un rating C con un outlook positivo.
UNIONE EUROPEA
Il 2020 ha visto l’Unione Europa impegnata nel complicato processo conseguente alla BREXIT, e che ci consegna un’unione a trazione franco-tedesca. All’indomani delle elezioni europee, il sovranismo sembra in ritirata, soprattutto dopo la recente sconfitta di Trump. Senza Trump, l’UE potrebbe essere tentata dall’abbandonare le istanze autonomiste che paesi come la Francia hanno palesato, rivendicando a più riprese un maggior margine di manovra strategico da Washington. Ma il fatto che Trump abbia perso, non fa di Biden un leader abbastanza forte da impedire all’Unione Europea di continuare ad allontanarsi, lentamente e discretamente, dalle arrugginite catene atlantiche. Di certo, l’amministrazione americana Biden contribuirà a rilanciare le ostilità europee nei confronti della Russia, e se ciò si realizzerà basterà seguire gli sviluppi dell’affaire Nordstream 2, vera cartina tornasole del rapporto tra Europa e Russia. Contesa che potrebbe riattizzare le tensioni in Ucraina. Confronto che potrebbe svilupparsi parallelamente a quello con la Turchia, con cui è lecito aspettarsi frizioni di una certa rilevanza nel corso del prossimo anno, soprattutto sul versante mediterraneo. Infine, non va sottovalutato l’impatto che la pandemia potrebbe produrre in alcuni paesi dell’unione, alle prese con una situazione di impoverimento generalizzato che sicuramente metterà alla prova la coerenza e la sostenibilità del progetto europeo, ridando slancio alle istanze sovraniste, al momento messe all’angolo. Infatti, se l’Unione Europa non riuscirà a fornire risposte concrete alla disastrosa situazione che caratterizza molti dei suoi paesi membri potrebbe anche implodere, perché con piani come il recovery fund e green deal difficilmente si riuscirà a rimettere in pista paesi che sono sull’orlo del collasso socio-economico, su cui la pandemia sta agendo da detonatore di un sistema contradditorio che non riesce più a sfruttare il potenziale di porzioni di popolazione parcheggiate in uno stato di semi-povertà da ben prima del 2020. Alla luce di queste considerazioni assegniamo all’Unione Europea un rating C con outlook negativo.
STATI UNITI
L’anno scorso avevamo previsto che gli Stati Uniti avrebbero mantenuto un approccio cauto alle relazioni internazionali, così da agevolare la riconferma dalla Casa Bianca di Donald Trump. Cosa che, al netto dell’esito delle elezioni di Novembre, si è realizzata, garantendo una campagna elettorale ben schermata da crisi internazionali di un certo livello. E ciò si realizzato nonostante le poco entusiasmanti premesse di inizio anno, quando Trump ha rischiato di innescare un conflitto con l’Iran. Colpo di testa alquanto inspiegabile, che avrà contribuito a convincere molti suoi elettori a revocargli la fiducia accordatogli quattro anni prima. Delusione alimentata anche dal modo superficiale, a tratti negazionista, con cui ha affrontato la pandemia che continua a fare strage di suoi concittadini. Detto questo, la campagna elettorale americana è stata preceduta, come avevamo previsto l’anno scorso, da una serie di mobilitazioni sociali che hanno contribuito a polarizzare l’elettorato americano, dividendolo nettamente, come le elezioni di novembre hanno evidenziato nei loro risultati. Risultati controversi che, ad oggi, Trump continua a contestare, considerandoli fraudolenti. Posizioni che rischiano di mettere a dura prova l’ordine politico degli Stati Uniti, ponendo le condizioni per un conflitto civile, che potrebbe anche svilupparsi per mesi a bassa intensità. Eventualità che naturalmente azzardiamo come ipotesi remota, ma che non può non essere evocata, e tenuta in considerazione, in circostanze eccezionali come quelle a cui stiamo assistendo dal 3 novembre, soprattutto in un paese spaccato in due, e dove il possesso di armi da fuoco è così diffuso.
Per quanto concerne la dimensione esterna degli Stati Uniti, è più che lecito aspettarsi il ripristino dell’agenda neocon, con una presenza più assertiva degli Stati Uniti in tutti i principali teatri di crisi globali. E se durante l’amministrazione Trump il nemico americano è diventato la Cina, con Biden le attenzioni americane torneranno a privilegiare il confronto strategico con la Russia, anche se il rapporto con la Cina non potrà che essere attenzionato con particolare cura. Tuttavia, sarà la questione nucleare iraniana a dominare i primi mesi della nuova amministrazione americana, che avrà un ristretto margine di tempo per riprendere i negoziati con Teheran, prima che Israele predisponga un’iniziativa unilaterale che chiuderebbe definitivamente ogni possibilità di accordo. Alla luce di queste considerazioni assegniamo agli Stati Uniti un rating C con outlook positivo.
BIELORUSSIA
L’anno scorso avevamo accennato alla possibilità che la Bielorussia si ritrovasse esposta ad eventi destabilizzanti simili a quelli che hanno interessato l’Ucraina qualche anno fa. Tuttavia, in questo caso l’organizzazione delle forze di opposizione antigovernative sembra senza dubbio più blanda di quella ucraina. Le elezioni che hanno riconfermato Lukashenko al potere, sono state seguite da proteste che hanno lasciato il posto ad uno scenario vagamente venezuelano, con un’opposizione che rivendica un potere che nei fatti non è in condizioni di esercitare. Fino a alle elezioni americane, Lukashenko sembrava destinato a rimanere al potere, ma dopo la vittoria di Biden le possibilità che l’opposizione prenda forza, mettendolo alle strette, aumenteranno sensibilmente. A quel punto a Lukashenko non resterà che cedere all’opposizione, o cedere a Putin, agevolando il processo di integrazione con la Russia che ha a più riprese messo in discussione. Un eventuale rifiuto, potrebbe anche portare Putin a scaricare definitivamente Lukashenko, trovando un’intesa con l’opposizione che, tuttavia, dopo la vittoria di Biden potrebbe trovare la determinazione per intraprendere una deriva ucraina, che a Mosca vorrebbero assolutamente evitare. Dal canto suo, Lukashenko potrebbe decidere di approfittare della tensione tra Russia ed Europa, innescando una crisi ai confini occidentali che potrebbe trasformare una crisi politica in una crisi strategica che gli possa consentire di alleggerire la pressione interna contro di se. Per queste ragioni assegniamo alla Bielorussia un rating C con outlook positivo.
ALGERIA
Il 2020 è stato un anno di transizione per l’Algeria, alle prese con il post Bouteflika. Transizione che il nuovo governo fatica a guidare in un contesto caratterizzato da una profonda sfiducia popolare, e da un’economia strutturata sui generosi sussidi che la crisi del mercato degli idrocarburi rischia di rendere sempre meno sostenibili. Instabilità che va ponderata anche alla luce della minaccia jihadista che, tuttavia, le ben strutturate forze armate algerine continuano a tenere sotto controllo. Ad oggi, infatti, il conflitto libico non ha prodotto riflessi degni di nota in Algeria, anche se il contesto potrebbe mutare rapidamente. Ad ogni modo assegniamo alla situazione algerina un rating C con outlook positivo.
MESSICO
Piccola parentesi merita anche il Messico, dove la guerra tra i vari cartelli narcos continua a mietere vittime nel paese. Cartelli che stanno palesando un potenziale militare notevole, con cui in futuro potrebbero mettere alle strette persino le forze armate messicane, nel caso in cui provassero a stringere il controllo sulle aree riconducibili al loro controllo. Per queste ragioni confermiamo alla situazione messicana un rating C con outlook negativo.
REPUBBLICHE CENTRO-ASIATICHE
Come abbiamo avuto modo di accennare l’anno scorso, man mano che il progetto della “via della seta” si sviluppa, è più che lecito aspettarsi il fermento dei territori che ne sono interessati dal transito, a partire dalle repubbliche centro-asiatiche post-sovietiche. Paesi strategici ma alquanto deboli, ed esposti alle turbolenze del decennale conflitto afghano, e che potrebbero anche prestarsi ad insurrezioni propedeutiche a cambi di regime. Scenario dove Russia e Cina si confrontano in uno scontro strategico discreto e a bassa intensità, e che gli Stati Uniti potrebbero sollecitare per palesare le contraddizioni della partnership tra le due potenze euroasiatiche. Per queste ragioni assegniamo a questa regione un rating C con outlook positivo.