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CONOSCIAMO LA LIBIA (6° Parte)

Ripercorriamo gli ultimi turbolenti anni della Libia post-Gheddafi, governata da un caos discretamente polarizzato da paesi terzi.

I FERMENTI PRE-ELETTORALI

Contravvenendo alle premesse, nel dicembre 2013, il Congresso Nazionale Generale libico prorogherà di un anno le proprie funzioni, amplificando il clima di tensioni che da qualche tempo attraversavano la Libia post-Gheddafi, rimasta sostanzialmente sprovvista di un’organizzazione statale capace di mantenere l’ordine e la legge. Sviluppo politico particolarmente contestato dal generale Khalifa Haftar, che nel febbraio del 2014 terrà un accesissimo discorso televisivo in cui chiederà la sospensione del Congresso, e la sua sostituzione con un organo governativo provvisorio in grado di correggere la traiettoria della rivoluzione libica, garantendo il processo di rinnovo elettorale, a suo dire insidiato da un governo fin troppo contiguo al terrorismo internazionale islamista. Richiesta che, tuttavia, il Congresso ed il governo guidato dal premier Ali Zeidan ignoreranno, bollandolo come un estemporaneo tentativo di colpo di stato da censurare, spiccando un mandato di cattura per Haftar. L’appello del generale libico non riuscirà comunque a mobilitare le forze necessarie per rovesciare il governo sostenuto dal Congresso, avendo dalla sua le sole milizie di Zlintan, l’unica in grado di rivaleggiare con le altre forze presenti all’interno della capitale libica.

Ali Zeidan libia
( Il premier libico Ali Zeidan )

Qualche settimana dopo il passo falso di Haftar, il premier Zeidan verrà destituito sull’onda di uno scandalo relativo ad una nave petroliera partita dal porto di Sirte con a bordo un carico confiscato che non sarebbe riuscito a bloccare preventivamente. Sviluppo che lo porterà ad abbandonare precipitosamente il paese, rinunciando a guidare l’esecutivo che verrà affidato ad interim a Abdullah al-Thani, tra le cui prime iniziative ci sarà la riapertura parziale dei poli portuali petrolchimici, anche a costo di esporre la sua famiglia al pesante clima di intimidazione che nel mese di aprile lo porterà a minacciare le dimissioni che congelerà fino alla designazione di un suo successore da parte del Congresso. In quel frangente prenderà quota la nomina di Ahmed Maiteeq, il rampollo di una importante famiglia di Misurata legata alla precedente monarchia Senussi, con un curriculum di studi che comprendeva anche periodi di studio in Regno Unito e in Italia, presso l’Università di Parma. Il 4 maggio, il Congresso terrà la caotica sessione che certificherà, in un clima di incertezza e intimidazione, la nomina di Maiteeq, preferito allo sfidante Omar al-Hassi, nonostante alcune forze di opposizione sostenessero la necessità di mantenere la premiership di al-Thani, contestando irregolarità nel processo elettorale.

Dinnanzi allo stallo politico tripolino, il 16 maggio, il generale Khalifa Haftar raggrupperà una forza militare nel tentativo di sottrarre alle milizie islamiste il controllo della città di Bengasi, il capoluogo della Cirenaica, in quella che verrà definita “operazione dignità”. Iniziativa che incontrerà il supporto dell’ex-premier Zaidan e di molti altri ufficiali. Forte di questo consenso, Haftar tornerà a delegittimare apertamente il Congresso, accusandolo di avvalersi del supporto di organizzazioni terroristiche islamiste composte da miliziani provenienti dall’estero e contigue all’organizzazione dei Fratelli musulmani. L’iniziativa del generale Haftar verrà replicata due giorni dopo anche a Tripoli, senza tuttavia avere più fortuna del tentativo di mobilitazione precedente, scontando la mancanza di forze sufficienti ad avere ragione delle preponderanti milizie locali, peraltro puntellata dalle potenti milizie di Misurata. Nonostante queste turbolenze, il 20 maggio 2014, il Congresso fisserà la date delle elezioni che avrebbero portato all’elezione della Camera dei rappresentanti, organo titolare delle funzioni legislative.

Abdullah al-Thani Libia
( Il premier libico Abdullah al-Thani )

Il 3 giugno le milizie islamiste di Tripoli scorteranno Maiteeq alla cerimonia di insediamento ufficiale del nuovo governo libico, nonostante il suo predecessore al-Thani lo avesse esortato a desistere fino al pronunciamento della Corte Suprema circa le criticità procedurali contestate dall’opposizione. Il giorno successivo, le milizie islamiste di Ansar al-Sharia presenti a Bengasi prenderanno di mira le forze del generale Haftar, che nell’occasione scamperà ad un attentato esplosivo nei pressi della periferia della città. Il 5 giugno la Corte Suprema accoglierà le contestazioni procedurali relative all’elezione di Maiteeq, che, prendendone atto, si dimetterà lo stesso giorno, riconoscendo il ripristino della premiership di al-Thani. In forza della sua riconferma alla guida dell’esecutivo, al-Thani si farà promotore di un accordo di tregua finalizzato a garantire le elezioni parlamentari del 25 giugno. Accordo accolto anche da Haftar, ma che tuttavia non congelerà le ostilità con le formazioni islamiste presenti nella città di Bengasi, che il generale libico assocerà al supporto di paesi come il Qatar e la Turchia. Sempre a Bengasi, il 17 giugno, le forze speciali statunitensi cattureranno Abu Khattala, ritenuto uno dei responsabili dell’assalto islamista culminato con l’assassinio del diplomatico statunitense Stevens del 2012.

LE CONTROVERSE ELEZIONI DEL 2014

Al netto degli entusiasmi della vigilia, le elezioni verranno caratterizzate da un tasso di affluenza di appena il 18%, determinato dal pesantissimo clima di intimidazione perpetrato dalle varie milizie rivali che continuavano ad esercitare un controllo arbitrario sulle aree ritenute di propria pertinenza. Elezioni che sul piano politico vedranno la sconfitta delle forze islamiste riconducibili al “Partito Giustizia e Sviluppo”, la cui dirigenza avanzerà aspre critiche circa la legittimità del processo elettorale, ritenendolo viziato da subdole dinamiche favorite dall’establishment del vecchio regime di Gheddafi, intenzionato a riprendere il controllo del paese. Considerazioni che indurranno il fronte islamista a disconoscere l’esito delle elezioni, continuando a legittimare il Congresso presieduto da Nouri Abusahmain. Boicottaggio che comunque non impedirà alle forze uscite vincenti dalla tornata elettorale di riunirsi nella nuova Camera dei rappresentanti.

L’esito delle elezioni prefigurerà un drastico ridimensionamento politico delle forze islamiste, contribuendo ad esasperare il clima nella capitale, dove qualche settimana dopo le milizie a loro contigue assumeranno il controllo dell’aeroporto di Tripoli, sottraendolo ai rivali delle milizie di Zlinten. Iniziativa sostenuta pubblicamente dal Partito Giustizia e Sviluppo, e che il 29 luglio verrà replicata anche a Bengasi dalle milizie islamiste di Ansar al-Sharia, prendendo il controllo di una base militare in uso alle forze speciali del generale Haftar. Lo stesso giorno le milizie di Zlintan sequestreranno per alcune ore l’ex-vice-Premier Mustafa Abushagur, ritenuto il potenziale nuovo presidente della Camera dei Rappresentanti, perché considerato contiguo al fronte politico dei Fratelli Musulmani. Fermenti politici, amplificati da iniziative militari che indurranno gli Stati Uniti ad evacuare la propria ambasciata da Tripoli, trasferendone gli uffici nella vicina Tunisia. Il mese di luglio si concluderà con l’assunzione del controllo della città di Bengasi da parte delle forze islamiste aggregate nel Consiglio dei rivoluzionari della shura.

Parallelamente alle dinamiche militari, il 4 agosto verrà ufficializzata la costituzione della Camera dei rappresentanti in sostituzione del Congresso nazionale generale. Tra i primi atti della Camera dei rappresentanti ci sarà la rinuncia al potere di nomina del capo di stato, avviando la procedura di elezione diretta del capo dello stato. Iniziativa contestata dalle forze politiche islamiste che, facendo leva sulle potenti milizie a loro contigue, assumeranno il pieno controllo della capitale Tripoli. Il giorno successivo la Camera dei rappresentanti disporrà la delegittimazione di tutte le milizie sorte dopo la rivoluzione anti-Gheddafi, pianificandone il loro disarmo entro la fine dell’anno, confidando di disarmare quelle che tenevano sotto scacco la capitale. Il 23 agosto, successivamente al colpo di mano del fronte islamista a Tripoli, la Camera dei rappresentanti trasferirà la propria sede a Tobruch, in Cirenaica, mettendosi sotto la protezione del generale Haftar, che più avanti verrà riconosciuto come capo supremo delle forze armate libiche. Conseguentemente a questi sviluppi politici, il Congresso di Tripoli, egemonizzato dal Partito Giustizia e Sviluppo, promuoverà la composizione di un governo di salvezza nazionale, affidandone la guida a Omar al-Hassi, un accademico dell’università di Bengasi sostenuto dalle milizie islamiste più o meno radicali, oltre che dalla potente milizia di Misurata.

L’INIZIO DELLA SECONDA GUERRA CIVILE LIBICA

Il 6 novembre, la Corte Suprema annullerà l’elezione, disponendo lo scioglimento della Camera dei rappresentanti, accogliendo così il ricorso dei parlamentari che contestavano l’incostituzionalità del trasferimento del parlamento da Tripoli a Tobruch. Verdetto che la Camera dei rappresentanti rigetterà, considerandola viziata dallo stesso clima di minacce che aveva costretto i parlamentari a trasferirsi a Tobruch per motivi di sicurezza. Sviluppi a cui seguirà il ripristino del Congresso Nazionale di Tripoli, delineando lo scenario di una nuova guerra civile. Nel mese di dicembre, le potenti milizie di Misurata lanceranno un’offensiva finalizzata alla riconquista del polo petrolchimico di Ras Lanuf, in Cirenaica. Iniziativa che vedrà la National Oil Company mantenere una posizione neutrale, equidistante ai due governi contrapposti. Nel febbraio 2015, un gruppo islamista affiliato all’Isis assumerà il controllo della città di Sirte, ponendosi in aperta contrapposizione rispetto ai due governi paralleli. L’insidia dell’Isis sarà tale da indurre i due governi libici rivali ad attenuare le ostilità, al fine di fronteggiare una minaccia ritenuta comune. Nello specifico, le milizie dell’Isis si renderanno protagoniste di efferate esecuzioni sommarie, alcune delle quali perpetrate a danno di alcuni cittadini egiziani. Esecuzioni a cui il governo del Cairo, in accordo con le istituzioni di Tobruch, reagirà bombardando uno dei campi di addestramento dell’Isis a Derna, in Cirenaica. Raid che il governo di Tripoli, a cui farà eco il Qatar, condannerà come una violazione della sovranità libica. Il 14 marzo, le forze del governo di Tripoli prenderanno d’assalto Sirte, nel tentativo di strapparla al controllo dell’Isis, che il 25 marzo verrà assediato anche a Derna dalle forze di Haftar.

L’ONU MEDIA UN GOVERNO DI COMPROMESSO

Sul finire di marzo, il governo di Tripoli cambierà guida, sostituendo l’insoddisfacente Omar al-Hassi con Khalifa Ghwell, un ingegnere formatosi in quel di Bengasi, a cui verrà affidato la guida provvisoria dell’esecutivo. Dinamiche che si svilupperanno parallelamente al proposito del generale Haftar di prendere il controllo della città di Bengasi. Al culmine di un complicatissimo processo negoziale, le Nazioni Unite riusciranno a mediare un compromesso politico tra le due fazioni libiche, favorendo l’insediamento di un “Governo di accordo nazionale” (GNA), presieduto da Fayez al-Serraj, un noto esponente dell’oligarchia tripolina, ritenuto legato sia alla vecchia monarchia di Re Idris al-Senussi che all’era Gheddafi. La proposta prevedeva la legittimazione di un governo riconosciuto dal Consiglio di sicurezza dell’ONU e legittimato dai due parlamenti rivali, le cui delegazioni sottoscriveranno l’intesa in Marocco nel mese di dicembre, concordando di organizzare libere elezioni entro due anni. Nel febbraio 2016, le forze di Haftar riprenderanno le operazioni militari a Bengasi, riuscendo a riguadagnare il controllo di gran parte della città occupata dalle forze islamiste locali, capitalizzando il discreto supporto delle forze speciali francesi. E mentre la Francia stringeva la partnership con Haftar, l’Italia si distinguerà per il supporto a Serraj, scortato a Tripoli dalla Marina militare italiana il 7 aprile.

Fayez al-Serraj Libia
( Il premier libico Fayez al-Serraj )

L’ISIS AMPLIFICA IL CAOS LIBICO

All’inizio di maggio, il GNA lancerà un’offensiva su Sirte assistita da USA, Francia e Regno Unito, nel tentativo di liberarla dal controllo dell’Isis. Iniziativa militare che si svilupperà parallelamente alle operazioni con cui da lì a poco le forze di Haftar riusciranno ad espugnare Derna, sottraendola alle milizie del Consiglio della shura. Il 5 luglio giungerà, invece, la notizia dello scarceramento di Saif al-Islam Gheddafi, il figlio del colonnello, rilasciato in forza di un’amnistia dalle milizie di Zlintan, ritenuta contigua alle posizioni del generale Haftar.

Il 22 agosto, la Camera dei rappresentanti rigetterà il GNA di Serraj, sostenendo la necessità di organizzare rapidamente le elezioni che precedentemente si erano impegnati ad organizzare. Come se ciò non bastasse, il 14 ottobre 2016, il governo presieduto da Serraj verrà minacciato dal tentativo di golpe promosso da Khalifa Ghwell a Tripoli, dove all’inizio di dicembre verrà costituito anche un nuovo Consiglio della rivoluzione guidato dall’ex-premier al-Hassi. Tensioni che non impediranno alle forze del GNA di riassumere il controllo di Sirte, liberandola definitivamente dall’Isis. Il caos a Tripoli perdurerà fino all’inizio del 2017, quando Ghwell, continuando a sfidare il GNA di Serraj, organizzerà le milizie della Guardia Nazionale, godendo del supporto i alcune importanti formazioni islamiste dissidenti. Sfida, quella posta da Ghwell, che verrà archiviata definitivamente il 28 maggio, permettendo al GNA di riprendere il pieno ed esclusivo controllo della capitale libica.

Il 2017, si aprirà con la visita di Khalifa Haftar sulla portaerei russa Kuznetsov, in transito verso la Siria, evidenziando platealmente l’intenzione del generale di collaborare strategicamente con Mosca. Iniziativa a cui il governo di Serraj cercherà di fare eco, auspicando un ruolo negoziale costruttivo della Russia. Proposito che il GNA cercherà di concretizzare inviando il vice-premier Ahmed Maiteeq ad incontrare in Russia il ministro degli esteri Lavrov. All’inizio di maggio, Khalifa Haftar si recherà negli Emirati Arabi Uniti, rafforzando i legami con uno dei suoi più importanti sponsor internazionali. Poco prima della riconquista di Bengasi del luglio 2017 a scapito dell’Isis, Haftar rifiuterà la proposta del GNA di riconoscerlo quale unico legittimo governo della Libia, in cambio della sua nomina a comandante supremo dell’esercito. Sul finire dell’anno, Haftar tonerà a reclamare nuove elezioni, minacciando di autoproclamarsi presidente della Libia in caso contrario. Nel mese di giugno 2018 le forze di Haftar riusciranno ad assumere il pieno controllo della città di Derna, liquidando anche le ultime resistenze islamiste presenti nella città di Bengasi. Sull’onda dei successi militari ottenuti in Cirenaica, il generale Haftar chiederà, senza successo, alla Russia di sostenere la loro avanzata su Tripoli, confidando di poter replicare lo spartito siriano.

Khalifa Haftar Libia
( Il generale Khalifa Haftar )

Sul finire di agosto, la situazione a Tripoli precipiterà nuovamente nel caos sull’onda degli scontri tra le varie milizie legate a vario titolo al governo di Serraj, alle prese con le difficoltà derivanti dall’imporre la sua autorità attraverso un delicatissimo equilibrio strategico in cui rilevava in particolar modo il ruolo delle grandi milizie rivali di Zlinten e Misurata. Dissonanze che il governo di Serraj riuscirà ad armonizzare a settembre, facendosi promotore di una fragile intesa tra le parti. Fermenti che Khalifa Haftar sembrerà sul punto di capitalizzare, ventilando il proposito di marciare su Tripoli per rimuovere un governo in palese difficoltà. Il 12 novembre l’Italia promuoverà una conferenza internazionale sulla Libia a cui prenderanno parte 38 paesi, a cui si aggiungeranno le delegazione deille varie fazioni coinvolte nel conflitto libico. Tra gli ospiti della conferenza promossa dal Premier italiano Conte ci saranno sia il premier del GNA Fayez al-Serraj che il generale Khalifa Haftar, che in quell’occasione avrà modo di legittimare il proprio ruolo di interlocutore politico.

HAFTAR NON SFONDA A TRIPOLI

All’inizio del 2019, le forze di Haftar sfrutteranno la contrapposizione con le milizie dell’Isis per proiettarsi dalla Cirenaica verso le estreme regioni sudoccidentali del Fezzan libico, riuscendo a conquistare la città di Sabha, lasciata sguarnita dalle forze di Tripoli dall’inizio di febbraio. Ma nonostante il ritiro da Sabha, il GNA di Serraj riuscirà comunque a stringere un’alleanza con le locali milizie Tuaregh al fine di contrastare l’avanzata delle forze di Haftar, intenzionate ad assumere il controllo dei giacimenti petroliferi e delle infrastrutture idriche dell’area. Ai miliziani Tuaregh si aggiungeranno anche alcune milizie ribelli chadiane, ostili alla contiguità francese di Haftar. Alleanze che permetteranno al GNA di respingere progressivamente l’iniziativa delle forze di Haftar, le cui risorse verranno ridimensionate dal tentativo di assedio a Tripoli abbozzato nel mese di aprile, quando il generale confiderà di poter rovesciare il debolissimo governo presieduto da Serraj. Ma per quanto debole ed irrilevante, Haftar si ritroverà ancora una volta a fare i conti con il non indifferente potenziale delle milizie di Tripoli e Misurata.

L’assedio di Haftar su Tripoli continuerà nonostante la visita del Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a cui addirittura chiederà la rimozione dell’embargo internazionale sulle armi per combattere un governo ritenuto espressione del terrorismo islamista. Armi che gli alleati di Haftar non lesineranno, come nel caso della Francia, ma soprattutto degli Emirati Arabi Uniti e della Russia. Supporto controbilanciato dalle forniture che Qatar e Turchia garantiranno al GNA, supportato in maniera decisamente più discreta anche dall’Italia. Durante l’assalto a Tripoli, Haftar verrà ricevuto al Cairo dal presidente egiziano al-Sisi, mentre intanto il presidente turco Erdogan prendeva posizione netta a favore del GNA, inviando armi come i droni TB2 e facendo affluire un certo numero di mercenari provenienti dal teatro siriano. Particolarmente vicino alla Turchia sarà il ministro dell’interno Fathi Bashagha, uno degli esponenti politici di punta ritenuto contiguo alle milizie di Misurata e all’organizzazione dei “Fratelli musulmani”. Tra l’altro, Bashaga scamperà ad un attentato nel dicembre del 2019. All’inizio del 2020, il supporto turco al governo di Tripoli si rafforzerà al punto da indurre il parlamento di Ankara ad autorizzare il dispiegamento di soldati in Libia, proprio mentre le forze di Haftar strappavano a quelle del GNA il controllo della città di Sirte, avvalendosi del crescente supporto militare garantito dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Egitto.

Fathi Bashagha Libia
( Fathi Bashagha )

LA DELUSIONE DELLE ASPETTATIVE COME PRASSI

All’inizio di giugno, l’esercito del GNA riprenderà il pieno controllo della periferia di Tripoli, provando addirittura a proiettarsi alla riconquista di Sirte, dove le forze di Haftar si ritiravano, proprio mentre l’Egitto proponeva una nuova tregua, minacciando di intervenire a supporto del generale, puntellandone il controllo sulla strategica città di Sirte. In quel frangente, il governo di Tripoli, oltre a contestare il supporto egiziano ad Haftar, denuncerà anche la presenza di mercenari russi del gruppo Wagner. Nel mese di agosto, complice l’aggravarsi del clima socioeconomico e dalla crescente insoddisfazione popolare, i due governi rivali stipuleranno una tregua contestata solo dal generale Haftar. La situazione socio-economica peggiorerà talmente tanto da indurre alle dimissioni sia Abdallah al-Thani che Fayez al-Serraj. Instabilità che permetterà alle Nazioni Unite di riproporre una nuova tregua, esortando le controparti ad espellere le forze straniere integrate tra i propri ranghi. Il 30 ottobre, Serraj ritirerà le proprie dimissioni, accogliendo l’invito del parlamento locale e dell’ONU. Il 2020 si concluderà con la visita di una delegazione egiziana che avanzerà alla leadership del GNA la propria disponibilità a riaprire la propria rappresentanza diplomatica a Tripoli, chiusa dal 2014.

Abdul Hamid Dbeibah Libia
( Abdul Hamid Dbeibah )

Il 2021 si aprirà con una nuova iniziativa diplomatica delle Nazioni Unite finalizzata alla promozione di un nuovo governo di transizione, il cui mandato avrebbe dovuto accompagnare il processo elettorale da concludersi entro la fine dell’anno. La guida dell’esecutivo provvisorio promosso dall’ONU verrà affidata a Abdul Hamid Dbeibah, un’immobiliarista di Misurata le cui fortune risalgono all’era Gheddafi. Il 10 marzo, Dbeibah presenterà in qualità di premier il suo “Governo di unità nazionale” alla Camera dei rappresentanti riunitasi in quel di Sirte. L’insediamento di Bbeibah verrà accolto freddamente da Haftar, tanto da ostacolare l’ingresso di una sua delegazione a Bengasi, sebbene tale posizione divergesse da quella dei suoi sponsor francesi. Premesse che anticiperanno la mozione di sfiducia con cui il 21 settembre la Camera dei rappresentanti ritirerà la fiducia al governo di Dbeibah, che nel febbraio del 2022 verrà reso oggetto di un fallito attentato al proprio convoglio. Sul finire di febbraio, la Camera dei rappresentanti designerà Fathi Bashagha come nuovo Primo ministro, mettendolo a capo di un Governo di stabilità nazionale sostenuto da Haftar e contrapposto a quello di Dbeibha, secondo cui il suo successore avrebbe dovuto essere legittimato dalle elezioni previste per il mese di giugno. Elezioni che alla luce dei rinnovati fermenti, verranno rinviate, ancora una volta, a data da destinarsi. Elezioni a cui non ha fatto mistero di voler partecipare anche Saif al-Islam Gheddafi.

CONCLUSIONI

La cruenta decapitazione del regime di Gheddafi non spalancherà alla Libia le porte della democrazia, ma la trascinerà in una spirale di caos polarizzato da paesi terzi. Senza più il controverso colonnello ad unirli, il fronte ribelle libico paleserà tutte le proprie contraddizioni, a cominciare dall’inconciliabile rapporto tra forze islamiste e secolari del paese. Tensioni che il Congresso non riuscirà ad armonizzare, finendo per allungare la tabella di marcia verso le elezioni. Questo fragile quadro politico verrà turbato dall’intempestivo appello all’insurrezione del generale Khalifa Haftar, sostanzialmente ignorato dalle milizie presenti a Tripoli, in larga parte contigue all’islam politico. Ma se le milizie di Tripoli erano ben strutturate, lo stesso non poteva dirsi della posizione politica del premier Ali Zeidan, costretto a dimettersi poco dopo l’iniziativa di Haftar a causa della sua scarsa autorevolezza su di una realtà sostanzialmente in mano alle varie milizie post-rivoluzionarie. Senza più Zeidan, l’interim del fragile governo di Tripoli verrà affidato ad Abdullah al-Thani, in attesa della designazione di un premier capace di aggregare la fiducia di tutte le forze politiche, almeno per il periodo che li separava dalla tornata elettorale. Tra mille difficoltà, al-Thani garantirà il funzionamento dell’esecutivo libico, fino alla designazione di Ahmed Maiteeq, un’esponente dell’oligarchia di Misurata, città sede di una delle milizie rivoluzionarie più potenti. Ma nonostante i favori della sua città, Maiteeq si ritroverà a fare i conti con la contestazione di chi all’interno del Congresso avanzerà irregolarità circa la procedura culminata con la sua nomina a primo ministro. Irregolarità strumentali che celavano la paura di essere esautorati dalla controparte ancora prima della tornata elettorale.

L’impasse tripolino sarà tale da convincere il generale Haftar a forzare la nuovamente la mano per via militare, riuscendo tuttavia ad insidiare realmente solamente le milizie avversarie poste a presidio della città di Bengasi, prendendo atto che il rovesciamento di Tripoli era fuori dalla portata dei propri alleati locali. Tumulti che in ogni caso non impediranno al Congresso di fissare la data delle elezioni che da lì a poco avrebbero eletto la nuova Camera dei rappresentanti. Fermenti che caratterizzeranno le dinamiche politiche di Tripoli, dove il premier al-Thani esorterà il suo successore designato ad attendere il verdetto di legittimità della Corte suprema relativo al suo processo di nomina. Invito che Maiteeq ignorerà, insediandosi, per poi dimettersi due giorni dopo la sentenza che accoglieva le criticità formali contestate delle forze di opposizione. Sviluppo che confermerà la premiership di al-Thani, promotore di una tregua finalizzata alla stabilizzazione del paese in vista delle imminenti elezioni. Elezioni vinte dalle forze secolari, ma partecipate da appena il 18% degli aventi diritto, scatenando le contestazioni delle forze islamiste, con in testa il Partito giustizia e sviluppo. Recriminazioni che da lì a poco verranno seguite dalla mobilitazione delle milizie islamiste all’interno della capitale Tripoli, inducendo la Camera dei rappresentanti ad evacuare in quel di Tobruch, schermata dalle milizie di Haftar, che da quel momento in avanti godrà della legittimità politica che gli mancava. La fuga della Camera dei rappresentanti dalla capitale verrà censurata dal Congresso egemonizzato dal fronte islamista, che dopo aver disconosciuto la legittimità dell’istituzione rivale, certificata anche dalla Corte Suprema, promuoverà un governo di salvezza nazionale affidato ad Omar al-Hassi. Sviluppo a cui la Camera dei rappresentanti risponderà riconfermando al-Thani alla guida del governo. Dinamiche che sanciranno la divisione della Libia in due realtà parallele concorrenti, le cui divergenze saranno meno tribali di quello che si sarebbe portati a pensare, e decisamente più politiche, soprattutto alla luce dell’influenza che alcuni paesi stranieri eserciteranno sulle due fazioni libiche.

Quella che ben presto assumerà le sembianze di una vera e propria guerra civile, verrà ulteriormente complicata dalle milizie locali federate all’Isis, il cui contrasto sarà probabilmente l’unico punto di convergenza dei due governi rivali. E sarà proprio l’ingresso dell’Isis a permettere all’Egitto di coinvolgersi maggiormente nel conflitto libico, mantenendo una posizione decisamente contigua alle forze di Haftar. Ruolo, quello dell’Egitto di al-Sisi, controbilanciato strategicamente dalla Turchia di Erdogan, schierata a fianco delle forze islamiste di Tripoli. E probabilmente anche per via della necessità di disinnescare la minaccia costituita dall’Isis, i due governi rivali accetteranno l’iniziativa diplomatica dell’ONU che permetterà l’insediamento di un governo di riconciliazione nazionale presieduto da Fayez al-Serraj, a cui verrà affidato il compito di traghettare il paese verso una nuova tornata elettorale. Ma al netto dei propositi iniziali, il governo di Serraj incontrerà notevoli difficoltà interne, fronteggiando il difficile clima politico della capitale Tripoli, dove l’ostilità dei suoi predecessori limiterà parecchio i suoi margini di autonomia esecutiva, peraltro limitati dalla consolidata autonomia di cui godevano le milizie locali. Precarietà complicata anche dalla condotta arbitraria che il generale Haftar continuerà a tenere, soprattutto dopo la conquista di Bengasi, approfittando del supporto internazionale garantitogli a vario titolo da paesi come Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia e Russia. Contrapposizione che nemmeno la mediazione italiana riuscirà a ricomporre, rischiando addirittura di preludere ad una nuova resa dei conti alle porte di Tripoli, dove le forze di Haftar non riusciranno ad avere la meglio sulle potenti milizie di Misurata, rinforzate strategicamente dalla Turchia, che nell’occasione arriverà a minacciare l’intervento diretto a supporto dei propri alleati di Tripoli, in quello rischierà di innescare un confronto diretto con l’Egitto.

La situazione sembrerà ricomporsi con l’accordo che porterà al Governo di unità nazionale guidato da Dbeibah, accolto e ripudiato dalla Camera dei rappresentanti nel giro di qualche mese, promuovendo un nuovo governo concorrente presieduto dall’ex ministro degli interni Bashaga. Tensioni che perdurano tutt’oggi, in quest’estate del 2022, allontanando ancora una volta quelle elezioni democratiche di cui tutti parlano, ma che nessuno sembra volere veramente. Elezioni che, tra le altre cose, potrebbero sancire il ritorno sulla scena politica di Saif al-Islam Gheddafi, l’erede di una Libia che non c’è più, me che dopo un caotico decennio di guerra senza fine, potrebbe rappresentare una speranza  per la popolazione delusa dalla rivoluzione del 2011, ma anche una risorsa politica decisiva per chi come il generale Haftar sembra intenzionato a sfruttare i riflessi di una storia che la realtà dimostra non essere stata affatto archiviata.

( Saif al-Islam Gheddafi )

Finisce così questo lungo, e complicatissimo focus sulla Libia, di cui anche i più ferrati continuano a capirci ben poco. Confusione che ricalca la realtà caotica di un paese che dal 2011 ha smesso di essere tale, per colpe proprie, certo, ma non solo, essendo queste conseguenza delle dinamiche internazionali messe in moto nell’estate di quel particolare anno, quando insieme a Gheddafi verrà dilaniato anche lo stato che aveva messo insieme dal nulla, trasformando la Libia in qualcosa di ben più rilevante dello storico “scatole di sabbia”. Sabbia, certo, ma preziosa come le ricchissime riserve che cela ad un mondo che parla di vivere senza idrocarburi, ma non riesce ancora a farne a meno.