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Conosciamo la Siria (3°Parte)

La contrapposizione interna al Baath

Nell’ultimo articolo aveva ci eravamo lasciati con l’ascesa del Partito Baath in Siria, in questo nuovo articolo illustreremo gli sviluppi di questo evento, comparandolo con le conseguenze del conflitto arabo-israeliano.

Gli esiti della Guerra dei sei giorni del 1967, misero a dura prova gli equilibri interni al Partito Baath, esasperando la contrapposizione tra la corrente socialista radicale, sostenuta dalla fazione civile, e la corrente panaraba più pragmatica, sostenuta dall’élite militare, sempre più preoccupata dall’approccio ideologico con cui la nuova leadership di Jadid si approcciava alla complicata politica regionale. Nel 1970, questa divergenza politica interna degenerò repentinamente in una frattura insanabile, in occasione della crisi del “Settembre Nero”, quando Jadid ordinò all’esercito siriano di supportare il tentativo dei fedayn palestinesi di rovesciare la vicina monarchia hashemita di Re Husayn.

La scelta di Jadid allertò il circolo degli ufficiali, in quanto questa mossa avrebbe esposto il paese ad una già paventata reazione americana, che verosimilmente avrebbe posto fine all’egemonia baathista in Siria, sicchè l’allora ministro della difesa Hafiz al-Assad decise bloccare il preventivato piano di intervento siriano in Giordania, assumendosi la responsabilità di aprire una crisi di governo. Tra le considerazioni che spinsero l’esercito a riconsiderare l’appoggio alla leadership radicale di Jadid, ci fu anche l’insofferenza verso il suo approccio estremamente ostile a paesi arabi reazionari come l’Arabia Saudita, da cui la Siria riceveva cospicui aiuti finanziari, erogati a tutti i paesi del fronte arabo impegnati nella lotta anti-sionista.

 

Hafiz Al-Assad

Il ministro della difesa Hafiz al-Assad, nato nel 1930 in una modesta famiglia di estrazione Alawita, residente nella regione di Latakia. A causa della la scarsa disponibilità economica, dovette rinunciare ad iscriversi alla facoltà di medicina, ripiegando sull’Accademia Militare, dove ebbe modo di distinguersi come uno dei piloti di punta dell’Aeronautica militare siriana, guadagnandosi persino un periodo di addestramento in Unione Sovietica a bordo dei Mig-17, uno dei primi aviogetto in dotazione alle forze armate siriane. Da pilota prese parte alla Crisi di Suez, effettuando alcune rischiose missioni di ricognizione a sostegno dell’alleato egiziano, guadagnandosi il rispetto dei suoi superiori e la promozione al rango di generale, posizione che gli permise di proiettarsi sulla scena politica, aderendo al Partito Baath.

( Il Presidente siriano Nureddin al-Atassi con Hafiz al-Assad e Salah Jadid )

La Rivoluzione Correttiva

Detto questo, a distanza di qualche settimana dalla crisi del Settembre Nero, Jadid convocò un Congresso Nazionale di Emergenza, da dove attaccò l’insubordinazione del generale Assad, disponendone l’estromissione da ogni carica governativa, tuttavia questa sua decisione, risultò comunque vanificata dall’infedeltà dell’esercito, risolutamente compatto sulle posizioni del ministro della difesa. Così al termine del congresso, Assad si pose a capo di una “rivoluzione correttiva”, disponendo l’arresto del generale Jadid e del Presidente Nureddin al-Atassi, avviando una fase di profonda epurazione del Partito Baath, ridimensionando la fazione radicale e costringendo alcuni dei suoi storici leader a fuggire in esilio, come nel caso di Michel Aflaq e Salah al-Bitar.

Successivamente alla rivoluzione correttiva, furono indette nuove elezioni, vinte dal Fronte Progressivo Nazionale, una coalizione di forze socialiste e nazionaliste, egemonizzata dal Partito Baath e guidata proprio da Hafiz al-Assad, da lì a poco eletto Presidente della Repubblica Araba di Siria. L’era Assad si aprì con l’approvazione di una nuova costituzione, strutturata sul modello socialista, pur se armonizzato con i principi della religione islamica, precedentemente marginalizzati dall’approccio laicista della fazione radicale vicina a Jadid. Tuttavia l’assenza del vincolo confessionale islamico all’interno della nuova carta costituzionale, suscitò le ire dei Fratelli Musulmani nel nord del paese, degenerate in vere e proprie rivolte nei centri di Hama e Homs, da dove i leader sunniti proclamarono una jihad nei confronti del nuovo presidente eretico.

A queste proteste Assad rispose con moderazione, emendando il progetto di costituzione, inserendo suo malgrado il vincolo di appartenenza islamica per l’accesso alla presidenza, confidando in una ricomposizione politica delle divergenze confessionali. In ogni caso queste sommosse, indussero il nuovo governo a non revocare lo stato di emergenza del 1963, che limitava la libertà di stampa e consentiva l’arresto arbitrario dei dissidenti potenzialmente lesivi dell’ordine pubblico. Sul piano istituzionale la nuova costituzione estendeva i poteri del Presidente della Repubblica Araba Siriana, rendendolo il fulcro dell’attività governativa del paese, sopperendo alla tradizionale instabilità politica del paese, emulando la struttura semipresidenzialista francese varata da De Gaulle, tuttavia ben presto l’istituzione presidenziale cominciò ad essere identificata nella persona di Assad, degenerando in un culto della personalità, che inasprì la già forte ostilità islamista.

Al netto della sua estrazione Alawita, il neo presidente Assad, pur favorendo l’ascesa politica di molti Alawiti, si avvalse di molti collaboratori sunniti, come nel caso del Premier al-Khatib, del suo ministro della difesa Mustafa Tlass o del capo dei servizi segreti (Mukhabarat) Hikmat al-Shishabi. Infatti la sua impostazione laica mirava essenzialmente a limitare il tradizionale istinto prevaricatore e totalitario della maggioranza Islamica Sunnita, nei confronti delle minoranze Sciite, Druse e Cristiane del paese. L’antica e complessa composizione confessionale siriana, venne inoltre smorzata, facendo leva sulla comune appartenenza araba, anche a costo di suscitare l’insoddisfazione della minoranza curda, residente nel nord est della Siria. Sul piano sociale Assad mantenne un approccio socialista, mantenendo un rigido controllo sull’economia del paese, vigilando sulla stabilità dei prezzi di mercato, specialmente in ambito alimentare, garantendo l’incremento del tenore di vita dei ceti popolari, inoltre promosse lo sviluppo di un efficace apparato scolastico, tra i migliori della regione araba.

Le Priorità Strategiche della Presidenza Assad

Sul piano internazionale, Assad consolidò le già solide relazioni con l’Unione Sovietica, ottenendo ulteriori forniture militari ed ingenti aiuti economici, essenziali per la costruzione di alcune infrastrutture strategiche, come la Diga di Tabqa e dell’adiacente centrale idroelettrica, con cui si riuscì ad elettrificare il nord-est della Siria, agevolandone al contempo lo sviluppo agricolo. Sul piano economico Assad promosse un modello di economia mista di derivazione socialista, dove parallelamente allo presenza dello stato si articolava anche un dinamico tessuto imprenditoriale privato. In ogni caso la vera priorità di Assad, rimaneva la riconquista delle strategiche alture del Golan, occupate dagli israeliani nel corso della Guerra dei sei giorni, ritenute essenziali in quanto consentivano all’artiglieria siriana di tenere sotto continuo scacco il nord-est di Israele. Questo proposito fu perseguito destinando gran parte della spesa pubblica al riarmo, importando dall’URSS crescenti quantitativi di nuovi e moderni mezzi militari un ingente quantitativo.

Parallelamente al potenziamento dell’esercito, la Siria cominciò a discutere col nuovo Presidente egiziano Sadat, una nuova strategia coordinata con cui strappare ad Israele i territori persi durante la disastrosa guerra dei sei giorni. Dopo alcuni mesi di approfondita analisi, Assad e Sadat, concordarono un attacco a sorpresa coordinato, simile a quello operato da Israele nel 1967. Nello specifico la nuova coalizione araba riuscì a spiazzare le difese Israeliane attaccandole nel giorno della festività ebraica dello Yom Kippur, approfittando del blocco festivo del paese. Gli Israeliani al netto della soffiata fatta pervenire da Re Husayn di Giordania, sottovalutarono questa prospettiva, giudicandolo non imminente a causa della concomitanza del mese sacro di Ramadan, tradizionalmente osservato dai musulmani.

La Guerra del Kippur

Così il 6 Ottobre del 1973, una semplice esercitazione ai confini si tramutò in un devastante attacco a sorpresa, che spiazzò le incredule difese israeliane, in particolar i siriani, forti di 1400 mezzi corazzati ed agevolati dal supporto di numerosi consiglieri militari sovietici, cominciarono ad avanzare faticosamente nell’irta regione del Golan, incontrando, a differenza degli egiziani, una tenace resistenza. Infatti lo stato maggiore israeliano, constatata la vulnerabilità dei propri confini nord-orientali rinforzarono questo quadrante strategico, giacché uno sfondamento siriano sul Golan avrebbe permesso all’esercito siriano di dilagare facilmente in Galilea, minaccia questa sicuramente prioritaria rispetto alla difesa dei desertici territori del Sinai egiziano. Ad ogni modo l’offensiva siriana dopo i primi successi cominciò a segnare il passo, nonostante la l’inferiorità numerica dell’avversario ed il sostanzioso supporto irakeno pervenuto, il tutto mentre la piccola marina militare siriana veniva annichilita da quella israeliana, agevolata dai sofisticati sistemi di contromisura elettronica.

( Il Ministro della Difesa Tlass con il Presidente Assad sul Golan )

Verosimilmente la strategia egiziana di non insistere nell’offensiva iniziale, affondando in pieno territorio israeliano, compromise l’efficacia dell’avanzata siriana sul Golan, permettendo agli israeliani di puntellare il quadrante nord-est, per poi riorganizzare una poderosa controffensiva generale, con cui ripristinò le sue posizioni originali. Il tentennamento strategico dell’Egitto di Sadat, fu probabilmente condizionato dalla sua intenzione di smarcarsi dall’URSS, in favore degli USA, sicché pur avendo la possibilità di avanzare risolutamente dentro i confini di Israele, mantenne una strategia conservatrice mirata al ripristino della sovranità sul Sinai, su cui successivamente costruire solidi negoziati di pace, in ogni caso, Sadat probabilmente temeva che l’occupazione egiziana di Israele avrebbe verosimilmente innescato l’’intervento americano e la sicura sconfitta egiziana, sicché preferì un approccio conservatore funzionale al consolidamento di una posizione di forza spendibile in futuri trattati di pace.

La strategia egiziana, tuttavia permise agli israeliani di riorganizzarsi, lanciando una micidiale controffensiva con cui si riproposero nuovamente sia nel Sinai che sul Golan, inducendo gli egiziani ed i siriani a subordinarsi al cessate il fuoco che l’URSS aveva promosso al Consiglio di Sicurezza Onu, in alternativa ad un suo possibile intervento nel conflitto a sostegno dei propri alleati Arabi. Nello specifico Assad in un primo momento pensò di continuare le ostilità, nel tentativo di respingere l’esercito israeliano, tuttavia quando cominciò ad intuire l’indirizzo negoziale di Sadat, cominciò a temere l’isolamento e una probabile invasione della capitale Damasco, sicché optò anch’egli per la tregua che Nixon e Breznev avevano concordato, al fine di evitare una pericolosissima, quanto indesiderata escalation internazionale del conflitto arabo-israeliano.

Una volta congelato il conflitto, gli Stati Uniti tentarono di organizzare una conferenza di pace, boicottata dalla Siria di Assad, a cui seguirono una serie di negoziati bilaterali mediati dall’allora Segretario di Stato americano Henry Kissinger, culminati con la firma degli Accordi di disimpegno tra Siria ed Israele, con cui i due nemici si vincolavano a rispettare una tregua, vigilata da una apposito contingente di osservatori internazionali (UNDOF), collocato su di una piccola porzione del Golan orientale, demilitarizzato in conformità con la risoluzione 350 del Consiglio di Sicurezza Onu. In ogni caso Damasco continuò a disconoscere lo Stato di Israele, definendolo a più riprese come “Entità Sionista”.

Nuovi Equilibri Geopolitici e Nuove Alleanze

Nel 1977, il nuovo Presidente americano Jimmy Carter, tentò di superare il precedente approccio bilaterale, sostenendo una soluzione negoziale multilaterale, da cui tuttavia il Presidente siriano Assad si defilò ancora una volta, pur mantenendo aperti i canali diplomatici con l’amministrazione americana. Ad ogni modo la linea oltranzista di Assad, venne vanificata dalla svolta filo-americana di Sadat, suggellata dai noti Accordi di Camp David, con cui ripristinò la sovranità egiziana sulla penisola del Sinai, in cambio di una pace definitiva con gli israeliani. Gli Accordi di Camp David, vennero accolti con disgusto da molti paesi arabi, in particolar modo dalla Siria e dalla Libia di Gheddafi, che non esitarono a bloccare l’iter federativo precedentemente concordato con l’Egitto di Sadat.

( Sadat, Gheddafi e Assad )

La svolta filo-occidentale egiziana, indusse Assad a discutere il progetto di una federazione araba con il vicino Iraq, facendo leva sulla comune appartenenza baathista. Il progetto panarabo siro-irakeno, dopo un iniziale concordia, cominciò a rallentare a causa della diffidenza reciproca sorta tra Assad ed il neo-presidente irakeno Saddam Hussein. Nello specifico Saddam Hussein sosteneva un’integrazione totale ed immediata dei due paesi, mentre Assad, timoroso del preponderante esercito irakeno, sosteneva un iter federativo progressivo. I negoziati saltarono definitivamente nel 1979, quando gli irakeni denunciarono l’esistenza di un complotto siriano finalizzato alla rimozione di Saddam Hussein, a cui seguì la reciproca chiusura delle relazioni diplomatiche. La diffidenza tra i due leader baathisti dopo questo episodio degenerò in una vera e propria guerra fredda, a cui il sunnita Saddam Hussein diede anche una certa valenza religiosa, contestando l’appartenenza sciita del Presidente siriano Assad.

L’Alleanza con l’Iran e l’URSS

La rottura con l’Iraq, indusse Assad a ricercare nella neonata Repubblica Islamica d’Iran un nuovo alleato regionale, sebbene l’allora Ayatollah Khomeini, giudicasse la laicità del regime di Damasco come una forma di corruzione della tradizione islamica. Ad ogni modo ben presto, l’estrazione Alawita (setta sciita) del Presidente Hafiz al-Assad e la complessa realtà geopolitica regionale, indussero gli iraniani a stringere un’alleanza strategica, con cui consolidare la propria influenza in Libano e Palestina, in funzione anti-israeliana, sostenendo l’ascesa politico-militare dell’organizzazione islamista sciita Hezbollah. Proprio in occasione dello scoppio della crisi libanese del 1976, i siriani ottennero dalla Lega Araba la guida di una Forza di Dissuasione con cui ristabilire l’ordine nel paese, ma sapientemente approfittata per imporre l’egemonia siriana in Libano, considerato alla stregua di una propria provincia della Grande Siria.

Allo scoppio della guerra Iran-Iraq del 1980, la Siria confermò il proprio sostegno all’alleato iraniano, anche a costo di ritrovarsi isolata dalla gran parte dei paesi arabi sunniti, solidali con l’Iraq, a cui Assad rimproverò l’inutilità di una guerra, funzionale al consolidamento dell’occupazione sionista, in quanto dirottava l’attenzione del mondo arabo dal comune nemico israeliano verso un potenziale alleato della causa palestinese come l’Iran. Il presidente Assad in realtà sostenendo l’Iran, contava di indebolire la leadership di Saddam Hussein aumentando la sua influenza in Iraq, sicché predispose l’invio di moderni sistemi militari di derivazione sovietica, come i missili Scud B, ottenendo in cambio ingenti quantitativi di petrolio a prezzo irrisorio. Durante la guerra Iran-Iraq, Assad riuscì a sfruttare l’ostilità di Baghdad verso la cospicua minoranza Kurda, fornendo asilo ai loro leader Jalal Talabani e Abdullah Ocalan, attirandosi tuttavia le ire della vicina Turchia, a cui si continuava a contestare la sovranità sulla provincia di Alessandretta, abitata prevalentemente da Siriani di estrazione Alawita.

Parallelamente all’alleanza con gli iraniani, Assad consolidò anche quella con l’URSS, concedendo alla marina sovietica l’allestimento di una base navale nel porto di Tartus, ricambiata con ingenti quantitativi di armi moderne, con cui tentò di tenere il passo dei vicini nemici israeliani. Nello specifico i siriani reagirono all’arsenale nucleare israeliano, sviluppando un vasto arsenale chimico, con cui strutturare una deterrenza strategica credibile. In ogni caso nonostante la retorica aggressiva, Assad rispettò meticolosamente la tregua stipulata con gli israeliani, discutendo con gli Stati Uniti persino la possibilità di avviare un negoziato di pace definitivo, subordinato alla restituzione del Golan, incontrando tuttavia la ritrosia di Israele, nel privarsi di una regione militarmente strategica e ricca di risorse idriche, oltre che funzionale allo sviluppo demografico interno.

La Rivolta Islamista di Hama

Parallelamente alla guerra Iran-Iraq, nel 1982 i Fratelli Musulmani, forti del sostegno irakeno e giordano, mobilitarono parte della comunità sunnita siriana, organizzando una serie di rivolte violente nel nord del paese, a cui il governo baathista reagì con un bando, che introduceva la pena capitale ai membri dell’organizzazione islamista. A questi provvedimenti gli islamisti risposero attentando alla vita del Presidente Assad, senza tuttavia riuscire ad ucciderlo, sicché questi decise di risolvere definitivamente la rivolta islamista, assediando la sua roccaforte di Hama, dove si trovava il loro leader Omar Jawwad, meglio noto sotto il nome di Abu Bakr.

La mobilitazione dell’esercito, fu anche dovuta all’esecuzione di tutti i responsabili baathisti presenti nella cittadina settentrionale, da dove il leader islamista proclamò una Jihad contro quello che considerava un regime apostata, governato da infedeli. Ad ogni modo, l’esercito guidato dal fratello del Presidente, Rifaat al-Assad, prima di lanciare l’attacco su Hama, intimò inutilmente la resa dei ribelli, ottenendo quanto meno l’evacuazione della popolazione civile, per poi lanciare un implacabile assedio che debellò definitivamente la rivolta islamista, facendo numerose vittime. Successivamente alla rivolta i reduci sodali della fratellanza musulmana, mantennero un basso profilo o optarono per l’esilio in Giordania o nel vicino Iraq. Alla sconfitta del fronte ribelle, inoltre seguirono alcune incursioni aeree siriane in Giordania, finalizzate alla distruzione di alcuni campi di addestramento islamista.

Successivamente alla crisi di Hama, Hafiz al-Assad cominciò a soffrire di alcuni problemi cardiaci che lo costrinsero a limitare il suo impegno politico, sicché dispose l’istituzione di un comitato governativo ausiliario, composto da sei fedelissimi baathisti, di estrazione sunnita. Questa scelta irritò considerevolmente l’establishment Alawita, che invece sosteneva la sostituzione del Presidente con suo fratello Rifaat al-Assad, trovando persino il placet sovietico. Ad ogni modo Hafiz al-Assad riuscì a ristabilirsi, inducendo suo fratello a desistere dai suoi propositi, convincendolo ad accontentarsi della vice-presidenza del paese. Tuttavia questa sfida al fratello pregiudicò irrimediabilmente la sua posizione, al punto da decidere di lasciare il paese, trasferendosi in Francia.

I Nuovi Equilibri Post-Guerra Fredda

Sul finire degli anni 80 l’instabilità sovietica dell’era Gorbachev, condizionò negativamente i rapporti con la Siria, soprattutto dopo l’invito a rimodulare le relazioni con Israele, limitando la spesa militare. Queste esortazioni sovietiche, infatti convinsero Assad dell’inaffidabilità dei partner sovietici, sicché cominciò a rimpiazzarli progressivamente, con nuovi fornitori militari cinesi e nord coreani. Questa crisi influì sulla politica internazionale siriana, tanto da indurre i siriani ad intrattenere relazioni sempre più proficue con i paesi dell’Unione Europea, sia sul piano economico che sul piano politico, riconoscendone addirittura un ruolo determinante per la risoluzione della disputa arabo-israeliana.

La successiva dissoluzione dell’URSS, contribuì ad avvicinare ulteriormente la Siria all’occidente, al punto da indurre Assad a condannare nettamente l’annessione irakena del kuwait, supportando la coalizione americana nella prima guerra del golfo del 1991. Questo nuovo corso, permise qualche anno dopo anche la rettificazione delle relazioni tra Siria e Turchia, a cui seguì l’espulsione del PKK dalla Siria, pur lasciando in sospeso la questione relativa allo sfruttamento idrico dell’Eufrate. Ad ogni modo il deperimento delle relazioni con la Russia Post-Sovietica, agevolarono il potenziamento delle relazioni con l’alleato iraniano, coordinando il proprio sostegno all’attività di Hezbollah in Libano, dove il dispositivo militare siriano della Forza di Dissuasione,continuò a condizionare pesantemente la vita politica del paese.

Sempre negli anni 90, la Siria godette di un importante fase di sviluppo economico, grazie alla profonda revisione del sistema economico socialista e alla progressiva apertura agli investimenti stranieri, che garantirono tassi di crescita dell’ordine del 7%. Il riassestamento degli equilibri regionali, nel 1996 indussero Assad a tentare di comare il gap nucleare con Israele, avviando con il sostegno di tecnici cinesi un proprio programma nucleare, tuttavia ben presto accantonato a causa della carenza di risorse tecniche ed economiche.

( Hafiz al-Assad e Mustafa Tlass )

Considerazioni Finali

L’egemonia baathista in Siria, seppur riconducibile al dominio dei militari, almeno in una prima fase fu espressione della fazione civile e radicale del Partito Baath, guidata dalla storica dirigenza di Aflaq e di al-Bitar, tuttavia la loro intransigenza rivoluzionaria, sommata all’avventurismo regionale indusse la fazione più pragmatica del partito ad intervenire, incanalando il paese su di un corso politicamente sostenibile, con cui consolidare efficacemente il nuovo regime. La fazione baathista uscita vittoriosa dallo scontro interno al partito, riuscì ad imporsi grazie al sostegno dell’establishment militare, riconoscendo la leadership della rivoluzione correttiva al pragmatico generale Hafiz al-Assad, vecchio amico del generale Jadid, ma risolutamente contrario alla sua intreprendente politica regionale che nel giro di qualche mese aveva isolato la Siria da tutti i vecchi alleati del fronte arabo, annoverandoli tra i nemici al pari degli israeliani. Il regime di Assad riuscirà a stabilizzare definitivamente il paese, ponendo fine alle tradizionali spinte centrifughe, anche a costo di prolungare indefinitamente la vecchia legge di emergenza, con cui si limitò l’attività politica all’interno del paese, a discapito dell’unica forza politicamente rilevante, ovvero quella dei Fratelli Musulmani, sconfitta nel 1982 ma risolutamente determinata a riproporsi sulla scena politica.

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