AmericaColombiaGenerale

I NARCOS COLOMBIANI (4° Parte)

Nel maggio del 1986, la Colombia eleggerà il suo nuovo presidente, sostituendo il conservatore Belisario Betancur con il liberale Virgilio Barco, l’ex-ambasciatore colombiano negli Stati Uniti, responsabile del negoziato del trattato di estradizione tanto osteggiato dai narcotrafficanti. A detta della giornalista, ed amante di Pablo Escobar, Virginia Vallejo, Barco era uno dei pochi politici dell’epoca a non prendere soldi dai narcos, dal momento che apparteneva ad un importante famiglia benestante dell’oligarchia colombiana, tradizionalmente legata all’industria petrolifera. Alle conseguenti elezioni legislative farà il suo ingresso in parlamento anche il sindaco ultra-conservatore di Medellin, Alvaro Uribe, lo stesso che aveva diretto l’aviazione civile durante l’exploit del Cartello di Medellin.

OCHOA E RODRIGUEZ SONO ESTRADATI IN PATRIA

Il 14 luglio, le autorità spagnole disporranno l’estradizione di Jorge Ochoa e Gilberto Rodriguez Orejuela verso la Colombia, dove l’organizzazione narco-terrorista degli “Extraditables” (Estradabili) aveva minacciato di uccidere i giudici responsabili dell’eventuale estradizione di Ochoa negli Stati Uniti. Non è chiaro se questi sviluppi siano stati in qualche modo influenzati dall’esito delle elezioni colombiane, ma poco importava ai due boss, che così riusciranno a sfuggire alla tanto temuta estradizione. La pressione americana sui due narcos durante la loro detenzione spagnola si era intensificata talmente tanto da indurre la DEA ad offrire a Jorge Ochoa una serie di benefici penali nel caso in cui avesse cooperato, associando le attività del Cartello di Medellin ai sandinisti nicaraguensi, senza tuttavia riuscire a persuaderlo a collaborare alla loro strategia, giudiziaria sì, ma anche, e soprattutto, geopolitica. In quel frangente, infatti, Ochoa, che all’epoca poteva contare sulla cugina ambasciatrice in Spagna, si fiderà della macchina corruttiva dei suoi soci, grazie a cui riuscirà a farsi estradare in patria con la ridicola accusa di traffico illecito di tori da corrida; mentre Gilberto Rodriguez verrà estradato nonostante la ben più grave accusa di narcotraffico. In quest’occasione, i cartelli di Cali e Medellin riusciranno a cooperare proficuamente, portando a casa due figure chiave delle loro organizzazioni criminali. Tuttavia, già in quella circostanza, Pablo Escobar inizierà ad osteggiare Gilberto Rodriguez, sospettando che dietro il suo viaggio spagnolo insieme a Jorge Ochoa si celasse una strategia finalizzata ad estrometterlo dal narcotraffico, possibilmente consegnandolo al governo in cambio di un accomodamento giudiziario, agevolato dalla rimozione dalla sua ingombrante figura dai politica.

Ad ogni modo, una volti ritornati in patria, i due boss riusciranno a corrompere agevolmente i rispettivi giudici, concordando addirittura la sincronizzazione dello scarceramento, così da rassicurarsi reciprocamente circa la possibilità che l’uno potesse vendere l’altro agli americani. Accordo che, tuttavia, più avanti Ochoa non rispetterà, facendosi scarcerare prima di Rodriguez, contrariandolo parecchio. La fretta di Ochoa verrà giustificata da una situazione giudiziaria più delicata di quella di Rodriguez che, scontando una condanna per narcotraffico in Colombia, riuscirà ad opporsi alla richiesta di estradizione americana per il semplice fatto di non poter essere condannato due volte per lo stesso reato. Ad ogni modo, il giorno dopo l’estradizione in Colombia dei due boss, l’organizzazione degli Estradabili assassinerà Roberto Camacho, il corrispondente regionale dell’Amazzonia dell’Espectador, il quotidiano che aveva guidato la campagna mediatica che costringerà Pablo Escobar a dimettersi dal Congresso. Escobar, infatti, non rinunciava a vendicarsi dei suoi nemici, al pari dei suoi amici più riottosi, a cui riservava lo stesso destino, come nel caso della sua prima guardia del corpo, Ruben Londoño, meglio noto con l’alias di “la-Yuca”. Londoño, un efferato sicario con trascorsi da consigliere comunale, poco a poco inizierà ad insubordinarsi a Escobar, rivendicando un maggiore ruolo nella sua organizzazione criminale, per di più in maniera talmente arrogante da arrivare a minacciarlo platealmente con una stecca di biliardo. Affronto che sul momento Escobar gli perdonerà, calmandolo, salvo ordinarne l’assassinio proprio il giorno dopo l’assassinio del giornalista dell’Espectador.

LA CAMPAGNA TERRORISTICA DEGLI ESTRADABILI

Verso la fine del mese di luglio, gli Estradabili riprenderanno l’iniziativa terroristica, commissionando a Jorge Pabon (el-Negro) l’assassinio del giudice pro-estradizione Hernando Baquero, crivellato dai temibili sicari della banda dei “los Priscos”. Assassinio per cui, nel 1994, lo stato Colombiano verrà condannato per non aver garantito la sua incolumità, per via della mancata fornitura di un auto blindata che ne avrebbe rafforzato la sicurezza personale. La tragica fine di Baquero mobiliterà l’intera magistratura colombiana, inducendola ad organizzare uno dei primi scioperi della categoria, con cui denunceranno il pesante clima di intimidazione in cui si ritrovavano ad esercitare le loro funzioni. Clima divenuto talmente pesante da indurre l’ex-ministro della giustizia Enrique Parejo a trasferirsi in Europa per scampare alle minacce degli Estradabili, che gli contestavano la sua netta linea pro-estradizione. Proposito di cui Escobar avrebbe discusso con Rodolfo Ospina Baraye (el-Chapulin), il nipote narcotrafficante e doppiogiochista dell’ex-presidente colombiano Mariano Ospina che, tenendo fede al suo alias della “Cavalletta”, avrebbe allertato Parejo, spingendolo a chiedere il suo trasferimento all’ambasciata colombiana in Ungheria. Questi eventi precederanno l’insediamento ufficiale della nuova amministrazione liberale guidata da Virgilio Barco del 7 agosto, fornendogli la misura della complessità della situazione con cui avrebbe dovuto fare i conti nel corso del suo mandato. Inaugurazione del mandato seguita, due giorni dopo, dal misterioso assassinio del mercenario israeliano Isaac Guttnan Estenberg, l’addestratore della famigerata banda di sicari dei “los-Priscos”, in forza al Cartello di Medellin. Pochi giorni dopo, a cadere sotto i colpi dei sicari degli Estradabili sarà anche il capitano della polizia di Bogotá, Luis Macana.

Enrique Parejo Ministro giustizia Colombia narcos Cartello Medellin attentato Europa Ungheria
( Il Ministro della giustizia colombiano Enrique Parejo )

Parallelamente all’escalation narco-terroristica degli Estradabili, i boss paramilitari affiliati al Cartello di Medellin, Josè Gonzalo Rodriguez (el-Mexicano) e i fratelli Fidel e Carlos Castaño, intraprenderanno una vera e propria campagna di sterminio contro gli esponenti di spicco dell’Union Patriotica (UP), il partito espressione politica dei guerriglieri comunisti delle FARC. Campagna inaugurata alla fine del mese di agosto del 1986 con l’assassinio del parlamentare Leonardo Posada, la prima vittima della vendetta che i boss paramilitari erano risoluti a voler consumare per regolare i conti in sospeso con i guerriglieri, di cui abbiamo ampiamente parlato nei precedenti capitoli di questo focus. Proposito che i narco-paramilitari replicheranno il giorno successivo assassinando anche il senatore dell’UP, Pedro Jimenez. A detta di Carlos Castaño, il Mexicano avrebbe deciso di scatenare una vera e propria campagna di sterminio contro gli appartenenti dell’UP al fine di ridimensionare il potere politico delle FARC all’interno dell’arco politico istituzionale colombiano. Nel mese di settembre, a cadere sarà invece Raul Echavarria, un altro giornalista scomodo, ucciso in circostanze fosche nella città di Cali, dando adito a speculazioni circa una possibile regia del Cartello di Cali che, non aderendo all’organizzazione degli Estradabili, aveva preferito mantenere una condotta discreta e meno aggressiva di quella predisposta dal ben più aggressivo Cartello di Medellin.

BARCO NON SCENDE A PATTI CON I NARCOS

L’escalation terroristica lanciata dagli Estradabili contro giudici e giornalisti si intensificherà giorno dopo giorno nel tentativo di condizionare il dibattito sull’estradizione che in quel frangente stava catalizzando l’opinione pubblica colombiana a livello giuridico e politico. L’enorme pressione esercitata dai narcotrafficanti colombiani sulla giustizia colombiana, indurrà persino la Corte Suprema a contestare la legittimità del trattato di estradizione con gli Stati Uniti che, nel 1980 il presidente dell’epoca Julio Cesar Turbay aveva fatto firmare al Ministro German Zea, probabilmente nel tentativo di fondarlo su presupposti giuridici facilmente scardinabili in sede di revisione costituzionale. Tuttavia, le criticità evidenziate dalla Corte Suprema verranno rapidamente recepite dal neo-presidente Virgilio Barco che, firmando personalmente un nuovo decreto attuativo, provvederà a riapplicare rapidamente quel trattato di estradizione che aveva personalmente contribuito a negoziare a Washington nel 1979, all’epoca in cui ricopriva le funzioni di ambasciatore colombiano negli Stati Uniti. Queste dinamiche indurranno gli Estradabili ad intensificare il clima di terrore, assassinando il giudice Gustavo Zuluaga, il titolare del caso dei due agenti uccisi nel 1977 da Pablo Escobar e suo cugino Gustavo Gaviria. Escobar che, stando a testimonianze dell’epoca, nel novembre del 1986 sarebbe stato addirittura arrestato casualmente da una pattuglia di poliziotti che, tuttavia, si lasceranno corrompere, rilasciandolo in cambio di una mazzetta da 300.000$. Evento fortuito che verrà seguito, il 16 novembre, dalla formale incriminazione negli Stati Uniti dei principali boss del Cartello di Medellin, che da quel momento in avanti vivranno nella consapevolezza che il loro arresto li avrebbe portati ineluttabilmente in una cella negli states, dove avrebbero scontato condanne nemmeno lontanamente paragonabili a quelle che molti dei loro colleghi erano abituati a scontare in Colombia, tra mille comodità e privilegi.

Presidente Colombia Virgilio Barco
( Il Presidente colombiano Virgilio Barco )

Braccati e assillati dalla prospettiva di finire i loro giorni in una cella americana, i boss del Cartello di Medellin si vendicheranno il giorno dopo, assassinando il colonnello della polizia Jaime Ramirez, il responsabile del raid che aveva smantellato il maxi-laboratorio di Tranquilandia. Ramirez, convinto che i narcotrafficanti avessero desistito dal proposito di ucciderlo, finirà così crivellato a Bogotà dai sicari coordinati da John Jairo Arias (Piniña) e Jorge Pabon (el-Negro), secondo alcuni, persino supportati da un commando composto dai guerriglieri del Fronte Ricardo Franco, che già in precedenza era stato sospettato di pianificare l’assassinio dell’ufficiale. Iniziativa che sortirà l’effetto sperato dai narcos, contribuendo a terrorizzare ulteriormente i giudici della Corte Suprema che, tra l’altro, secondo alcuni reduci del cartello, sarebbero stati persino corrotti con 2 milioni di dollari per trovare il modo di affossare il trattato di estradizione. Escamotage che la Corte Suprema riuscirà a trovare il 14 dicembre, sancendo l’illegittimità della legge applicativa del trattato di estradizione con cui il presidente Barco aveva cercato di ovviare alla mancata firma dell’ex-presidente Turbay. Il verdetto della Corte Suprema verrà appreso in serata dai boss del Cartello di Medellin, appositamente riuniti nella residenza di Jorge Ochoa per festeggiare l’evento. Festa che, tuttavia, i narcos saranno costretti ad interrompere bruscamente dopo l’arrivo della notizia che annunciava l’intenzione di Barco di aggirare il verdetto della Corte Suprema con l’emanazione di una nuova legge applicativa con cui ovvierà a tutte le criticità sanzionate dai giudici dell’alta corte. Iniziativa pesantemente influenzata dalla campagna mediatica pro-estradizione intensificata dalla linea editoriale varata dal direttore del quotidiano el-Espectador, Gullermo Cano, lo stesso che aveva organizzato la campagna mediatica con cui solo qualche anno prima era riuscito ad affossare la carriera politica di Pablo Escobar, costringendolo a dimettersi dal Congresso. Questo inatteso sviluppo politico convincerà Escobar a consumare la sua vendetta personale e politica nei confronti di Cano, che ben prima di questi sviluppi politici era pedinato a Bogotà da Jorge Pabon, uno dei suoi sicari di fiducia, che aveva avuto tutto il tempo necessario per studiare la routine del giornalista. L’intelligence raccolta da Pabon agevolerà l’agguato con cui il 17 dicembre i sicari motociclisti dei “los Priscos” assassineranno Cano a bordo della sua auto immersa nel traffico della stessa capitale colombiana, dove due anni prima era stato ucciso il Ministro della giustizia Rodrigo Lara. Agguato, la cui ricompensa susciterà alcune dispute all’interno dei los Priscos, innescando persino una breve faida tra i sicari coinvolti nell’azione criminale, che più avanti verrà classificata dal governo colombiano come crimine contro l’umanità.

Gullermo Cano el espectador narcos Colombia Cartello Medellin Escobar
( La prima pagina del quotidiano El Espectador dedicata a Gullermo Cano )

Il 1987 si aprirà con due arresti eccellenti, quello di Jose Rafael Abello, detto “el Mono” (la Scimmia), uno dei boss del Cartello di Medellin, particolarmente attivo nella regione costiera caraibica; e quello del narcotrafficante Evaristo Porras, lo stesso che aveva invischiato l’ex-Ministro Lara nello scandalo dell’assegno con cui Escobar tentò di screditarlo dinnanzi al Parlamento prima di dimettersi. Tuttavia, i poco conosciuti Abello e Porras riusciranno a sfruttare il loro basso profilo e le loro influenti amicizie politiche per ottenere un rapido scarceramento, sebbene gli Stati Uniti ne richiedessero con forza l’estradizione. Parallelamente a questi sviluppi, gli Estradabili consumeranno un’altra vendetta, quella contro l’ex-Ministro della giustizia Enrique Parejo, divenuto Ambasciatore della Repubblica di Colombia in Austria e Ungheria, dove il 13 gennaio verrà raggiunto dai colpi esplosi da un sicario legato a Cosa Nostra, che qualche mese dopo verrà arrestato in Italia. In quell’occasione, Parejo verrà gravemente ferito al volto, riuscendo comunque a salvarsi la vita. Il clamoroso attentato contro l’ambasciatore Parejo in Europa verrà seguito due mesi dopo da un pacco bomba contro il quotidiano el-Colombiano, su cui, tuttavia, non si è mai fatta luce sugli effettivi mandanti.

IL CRIMINE NON PAGA NEMMENO IN COLOMBIA

Mentre il narcotraffico colombiano si ritrovava alle prese con la minaccia costituita dall’estradizione, i traffici illeciti progredivano come e meglio di prima, al pari dei loro intrighi criminali trasversali. Uno di questi intrighi ha interessato Hernan Valencia, un noto narcotrafficante attivo tra la città di Cali e la regione del Norte del Valle, meglio noto come “el-Ciclista”, data la sua passione per il ciclismo. Di Hernan Valencia non si conosce molto, se non che fosse molto ricco, proprietario di un kartodromo, amico del boss dell’allora piccolo Cartello del Norte del Valle Diego Urdinola e, soprattutto, che fosse un donnaiolo. E pare che proprio la sua passione per le donne gli sia costata l’ostilità del potente boss del Cartello di Cali, Miguel Rodriguez Orejuela, contrariato dal suo interesse per una donna di cui era invaghito. Secondo alcune rivelazioni, Miguel Rodriguez avrebbe chiesto Pablo Escobar di eliminare Valencia mentre si trovava a Medellin per partecipare ad una gara ciclistica, dove soggiornava nei pressi della residenza di Mauricio Restrepo, un altro boss locale, suo amico di vecchia data. Tuttavia, altre rivelazioni sostengono che, invece, la richiesta sia stata avanzata dagli altri due leader del Cartello di Cali, Gilberto Rodriguez e Josè Santacruz (alias “Don Chepe”), con cui Valencia sarebbe entrato in attrito per ragioni ignote. Ad ogni modo, quel che è certo, è che i boss di Cali avrebbero offerto a Escobar una ricompensa in cambio di questo suo “favore”, che il leader del Cartello di Medellin deciderà di accordargli senza chiedere alcun compenso, in ossequio delle buone relazioni che, almeno fino a quell’epoca, intercorrevano tra i due cartelli colombiani. Decisione che, con buona probabilità, sarà stata determinata dalla prospettiva di incamerare il consistente patrimonio finanziario di Valencia. Proposito che il boss di Medellin realizzerà incaricando il suo capo dei sicari, John Jairo Arias “Piniña“, di sequestrare Hernan Valencia, per poi provare ad estorcere un riscatto alla sua famiglia prima di ucciderlo. Dinamica che abbiamo avuto modo di appurare all’inizio di questo focus, quando Escobar era ancora un delinquente “comune”.

Ad ogni modo, la notizia del sequestro di Valencia allarmerà l’ignaro amico Mauricio Restrepo, che si attiverà immediatamente per rintracciarlo, contattando Jorge Ochoa e Pablo Escobar che, tuttavia, non esiteranno a mentire al loro socio, sostenendo di non sapere nulla di quanto accaduto, pur garantendogli supporto nella ricerca dell’amico sequestrato. Restrepo, infatti, riuscirà persino a rintracciare alcune delle chiamate estorsive dirette alla fidanzata di Valencia che, sotto pressione, deciderà di assecondare parte delle richieste dei sequestratori, nonostante l’avesse esortata a non farlo, perché convinto che una volta ottenuti i soldi non avrebbero esitato ad uccidere l’amico. Gli sforzi di Restrepo gli permetteranno di localizzare con un largo margine di errore l’area da cui partivano le telefonate estorsive, rilevando in zona, con sorpresa, la sospetta presenza di alcuni sicari riconducibili all’organizzazione sicariale di Escobar. Coincidenza che lo indurrà a sospettare la possibilità del coinvolgimento del suo potente ed infido socio nel sequestro. Sospetti avvalorati da una telefonata con cui Escobar lo esorterà a rinunciare a ricercare Valencia perché, a suo dire, sarebbe finito in mano a gente pericolosa che avrebbe potuto ucciderlo insieme all’amico se avesse perseverato nel suo proposito di rintracciarlo. L’iniziativa di Escobar, oltre a insospettire Restrepo, finirà anche per irritare i boss del Cartello di Cali, indispettiti dal modo in cui stava traendo vantaggio economico dalla loro disputa con Valencia. Rimostranze che convinceranno Escobar dell’opportunità di chiarire la situazione con i boss di Cali, informandogli dell’intenzione di consegnargli Valencia per farne quello che ritenevano più appropriato. Intenzione che, tuttavia, Escobar non riuscirà a concretizzare perché Piniña, dinnanzi all’eventualità che Valencia venisse liberato, deciderà di sventare una sua possibile vendetta, uccidendolo all’inizio di aprile, facendo passare l’assassinio per un incidente. Storia, quella di Valencia, apparentemente marginale, ma i cui strascichi contribuiranno a degradare irrimediabilmente i rapporti tra i cartelli di Medellin e Cali nell’arco di qualche mese. Successivamente a questi eventi, il sequestro di altri narcos come Alfonso Cardenas e Rodrigo Murillo, convincerà Mauricio Restrepo a proporre Jorge Ochoa l’assassinio di Escobar, temendo di essere i prossimi della sua lista nera, senza tuttavia riuscire a persuaderlo a tradire il suo sempre più pericoloso socio. Addirittura Ochoa informerà della proposta Escobar, che reagirà ordinandone l’assassinio, costringendolo a fuggire precipitosamente dal paese, rifugiandosi a Panama.

NARCOS DI BASSO PROFILO E STRAGI PARAMILITARI

Pochi giorni dopo l’assassinio di Valencia, il Cartello di Medellin verrà scosso dall’arresto di Leonidas Vargas, fermato dalla polizia per possesso di arma da fuoco. Accusa leggera che gli permetterà di farsi scarcerare rapidamente, un po’ come avvenuto per il “Mono Abello”, con cui condivideva il basso profilo che, al contrario di altri suoi soci, gli permetteva di godere di una minore pressione mediatica e giudiziaria. Infatti, Pablo Escobar e Josè Rodriguez si assumeranno l’onere di esporre pubblicamente la loro persona nella guerra contro l’estradizione a nome di tutti gli altri soci minori del cartello, che li finanziavano e sostenevano discretamente, ricoprendo un ruolo decisamente più defilato, continuando a condurre una vita relativamente tranquilla. Ad ogni modo, nel mese di luglio, la polizia colombiana riuscirà a conseguire un importante successo operativo, individuando e uccidendo a Bogotà Rodolfo Prisco, uno dei capi della famigerata banda di sicari in forza al Cartello di Medellin. Assassinio che manderà a monte una serie di attentati pianificati dalla banda, e prossimi ad essere implementati per destabilizzare il clima politico nella capitale colombiana.

Gonzalo Rodriguez el Mexicano Leonidas Vargas Cartello Medellin paramilitari narcos Colombia
( Josè Gonzalo Rodriguez “el-Mexicano” e Leonidas Vargas )

Ad agosto, saranno i narco-paramilitari a riprendere l’iniziativa terroristica, uccidendo l’attivista Hector Abad, assassinato personalmente da Carlos Castaño, che lo considerava un esponente della guerriglia dell’EPL. Nel mese di settembre, il pesante clima di intimidazione che ammantava la giustizia colombiana indurrà la giudice Martha Gonzalez a rimettere il proprio mandato e a lasciare il paese, rinunciando a portare avanti le indagini inerenti la cooperazione tra i narcos ed i paramilitari, in cui erano coinvolti a vario titolo Escobar, Josè Rodriguez, il clan Castaño ed il paramilitare Henry Perez. Incarico che verrà preso in carico dalla giudice Maria Elena Diaz. Queste dinamiche precederanno la nomina di Enrique Low alla guida del Ministero della giustizia, avvenuta nei primi di ottobre. Nomina seguita dal clamoroso assassinio del leader dell’Union Patriotica, Jaime Pardo Leal, ucciso l’11 ottobre da un commando narco-paramilitare al soldo del Mexicano mentre viaggiava a bordo della sua auto. Pardo, sebbene fosse stato più volte minacciato dai paramilitari, aveva rinviato in più occasioni il suo previsto trasferimento a Cuba, esponendosi al rischio di diventare obiettivo della feroce campagna di sterminio che i boss paramilitari avevano scatenato contro gli esponenti politici della galassia guerrigliera comunista, i cui narcotraffici diventavano sempre più determinanti per il finanziamento della loro causa. Ad ogni modo, l’odio paramilitare nei confronti della guerriglia sarà talmente acuto da turbare persino le esequie del leader dell’UP con un falso pacco bomba, con cui intendevano avvelenare il clima politico nel paese, dove nel mese di novembre i paramilitari si renderanno autori di un brutale massacro nei pressi della città di Santander. Iniziative che catalizzeranno l’attenzione mediatica su Josè Rodriguez, accusato direttamente dal Ministro della giustizia Enrique Low di essere il mandante dell’assassinio di Jaime Pardo. Retorica che il ministro Low rafforzerà con una serie di iniziative con cui intensificherà la pressione sulla Corte Suprema, spronandola a snellire le procedure di estradizione dei narcotrafficanti verso gli Stati Uniti.

Gustavo Gaviria Cartello Medellin narcos Colombia
( Gustavo Gaviria )

E proprio negli Stati Uniti, nel mese di novembre, le autorità sequestreranno una serie di beni mobili ed immobili riconducibili a Pablo Escobar e al suo fidato cugino Gustavo Gaviria, con cui aveva investito una cospicua quota dei suoi proventi criminali proprio negli states. Malgrado ciò, a differenza di Escobar, Gustavo Gaviria non si priverà i piaceri che la loro immensa fortuna criminale consentiva loro, viaggiando spesso all’estero insieme alla sua famiglia, grazie all’ausilio di documenti contraffatti, trascorrendo molto tempo tra Europa e Medio Oriente, dove gestiva molti dei fondi neri del Cartello di Medellin, di cui era considerato la vera mente finanziaria. Addirittura, mentre mezzo mondo gli dava la caccia per estradarlo, Gaviria girava come un turista qualsiasi in Egitto facendosi immortalare davanti alle piramidi con tanto di kefiah araba insieme a Nicolas Escobar, il figlio del cugino Roberto.

RODRIGUEZ INGANNA OCHOA

Sul finire di Novembre, la notizia del nuovo arresto di Jorge Ochoa spiazzerà nuovamente il Cartello di Medellin. Ochoa, infatti, verrà arrestato nei pressi della città Cali a bordo di una Porsche con targa diplomatica intestata al colonnello William Thomas Said Sbeer, l’attaché dell’ambasciata honduregna in Colombia. Giusto per la cronaca, Said Sbeer era stato inviato in Colombia per impedirgli di effettuare un golpe militare in patria, la stessa del potente narco-broker Juan Matta-Ballesteros. Per quanto concerne Jorge Ochoa, il suo viaggio a Cali era motivato dall’intenzione di risolvere il malinteso che si era venuto a creare con Gilberto Rodriguez a causa del loro mancato scarceramento sincronizzato. Gesto che, apparentemente, il boss di Cali apprezzerà molto, ospitando e festeggiando insieme all’amico presso l’Hotel Intercontinental, salvo vendicarsi il giorno della sua partenza, denunciando alla polizia l’auto con cui Ochoa stava facendo il suo ritorno a Medellin, confidando nella sicurezza derivante dal circolare con una targa diplomatica. Trama con cui Rodriguez terrà fede al proprio alias de “el-Ajedrecista” (lo scacchista). Un’altra tesi vuole la trappola confezionata da Rafael Cardona Salazar, il suo vecchio socio rientrato dagli Stati Uniti che, secondo alcune speculazioni, si sarebbe vendicato del presunto flirt tra Ochoa e sua moglie, passando informazioni a Cali. Su questa ultima tesi si hanno poche evidenze, ma il mese successivo Cardona verrà assassinato nella sua concessionaria automobilistica di Envigado da un commando di sicari in divisa, dando adito a speculazioni che passano dalla vendetta del clan Ochoa alla regia di Jorge Gonzalo, un altro piccolo narcos suo rivale che, successivamente, Escobar avrebbe fatto uccidere, punendo la sua iniziativa autonoma.

Ad ogni modo, al netto delle effettive dinamiche, l’arresto di Jorge Ochoa lo esporrà alla temutissima prospettiva di una rapida estradizione verso gli Stati Uniti, tanto auspicata dal Ministro della giustizia Low e dal sempre più popolare leader neo-liberale Luis Carlos Galan. Dinnanzi a questa prospettiva, il 21 novembre, gli Estradabili proveranno a sequestrare Juan Gomez, l’allora direttore del quotidiano el-Colombiano, in corsa per la poltrona di Sindaco di Medellin. Sequestro a cui Gomez riuscirà a sottrarsi, barricandosi nel bagno della sua abitazione col suo revolver, mettendo in fuga il commando degli Estradabili che, tuttavia, troveranno il tempo di lasciargli una lettera in cui minacciavano di scatenare una guerra senza quartiere in caso di estradizione di Jorge Ochoa negli Stati Uniti. Il clan Ochoa spenderà ogni possibile risorsa per corrompere le autorità e per mobilitare i propri legali, ingaggiando un vero e proprio braccio di ferro giudiziario che si concluderà il 30 dicembre con la scarcerazione di Jorge Ochoa. Scarcerazione che riuscirà ad ottenere grazie ad una rivolta carceraria orchestrata da Escobar finalizzata a distrarre il direttore del suo istituto penitenziario, impedendogli di prendere atto della circolare con cui il Ministro della giustizia Low aveva prolungato in extremis i termini di custodia di Ochoa, che grazie a questo astuto espediente riuscirà a riconquistare la libertà per darsi definitivamente alla macchia.

CALI E MEDELLIN ENTRANO IN CONTRASTO

L’anomalo arresto a Cali di Jorge Ochoa desterà più di qualche semplice sospetto tra i narcos di Medellin, il cui rapporto con il Cartello di Cali inizierà a degradarsi proprio successivamente a questo controverso episodio, alimentando un clima di reciproco sospetto, amplificato da interessi contrastanti ed equilibri di forza non ben definiti, soprattutto per quanto concerne il controllo delle piazze di spaccio negli Stati Uniti, dove si riteneva che Cali controllasse New York e Medellin la Florida, lasciando l’area della California terreno conteso. Infatti, al netto della comune avversione al trattato di estradizione, il Cartello di Cali non condivideva affatto la guerra allo stato scatenata dal Cartello di Medellin, a cui rifiuterà di partecipare, negando i finanziamenti che Escobar esigeva un po’ da tutti i narcotrafficanti colombiani. Approccio autonomo, con cui il Cartello di Cali si era precedentemente rifiutato di cooperare al progetto del sequestro di Mauricio Gomez, il figlio del leader conservatore Alvaro Gomez, perché considerata un’iniziativa controproducente ai fini della comune causa anti-estradizione. Il modo in cui i narcos di Cali si sfileranno dalla guerra allo stato verrà interpretata dai boss di Medellin come una sfida alla loro leadership, inducendo Escobar a cercare il modo di assoggettarli al loro strapotere economico e militare.

Gilberto Rodriguez Orejuela narcos Cartello Cali
( Gilberto Rodriguez Orejuela )

Questo clima di sospetto e di diffidenza reciproca varcherà il punto di non ritorno per una questione banale che vedrà coinvolti due luogotenenti dei rispettivi cartelli: Aleo Piña e Jorge Pabon. I due sicari, stringeranno amicizia in carcere, e quando Piña verrà scarcerato accetterà di prendersi cura della moglie di Pabon che, tuttavia, una volta scarcerato apprenderà che nel frattempo l’amico e la moglie avevano intrapreso una relazione alle sue spalle. La notizia del tradimento spingerà Pabon a cercare vendetta, ma ancora una volta il suo vecchio amico riuscirà a precederlo, organizzando un agguato che pur ferendolo, non riuscirà ad ucciderlo. A dicembre, Pablo Escobar, una volta appresa la notizia dall’amico ferito, deciderà di approfittarne per chiedere a Gilberto Rodriguz di ricambiargli il favore che gli aveva precedentemente concesso, uccidendogli Hernan Valencia, chiedendo a sua volta la consegna di Piña. In quel frangente, i fratelli Rodriguez, pur non osteggiando a priori la richiesta di Escobar, decideranno di respingerla su impulso del socio alle cui dipendenza operava Piña. Scelta con cui, in realtà, intendevano ribadire l’indisponibilità ad assoggettarsi all’aggressiva leadership del Cartello di Medellin. Decisione esplicitata nel corso di una turbolenta telefonata in cui Gilberto Rodriguez rigetterà la consegna del loro sicario, suscitando la dura reazione di Escobar che metterà in chiaro che dal quel momento in avanti non l’avrebbe più considerato come un suo amico, evidenziando come chi non lo fosse venisse associato ai suoi nemici. L’inimicizia di un’associazione criminale con un potenziale militare come quello in forza al Cartello di Medellin convincerà la cupola del Cartello di Cali ad investire pesantemente sul potenziamento del loro piccolo apparato di sicurezza, incrementando il tasso di corruzione delle forze di polizia di Cali, da cui ricavava regolari informazioni d’intelligence. Da quel momento in avanti, i raffinati boss di Cali saranno costretti ad abbandonare la leggerezza della bella vita a cui erano abituati, iniziando a girare meno e con una sostanziosa scorta sempre a loro seguito. Addirittura, i fratelli Rodriguez riusciranno ad ottenere dal Ministero della difesa la licenza per costituire un corpo di vigilanza privata composta da 150 addetti autorizzati a girare armati sotto il comando dall’ex-generale Raul Martinez.

I MERCENARI DEI NARCO-PARAMILITARI

Il 1987 si concluderà con una riunione della cupola del Cartello di Medellin che, su iniziativa di Josè Rodriguez, concorderà sulla necessità di potenziare ulteriormente la propria infrastruttura militare, commissionando l’addestramento dei propri sicari e paramilitari all’ex-colonnello israeliano delle forze speciali Yair Klein, coinvolto nell’invasione del Libano del 1982. Grazie a Klein, con cui si interfacciavano mediante un traduttore, il Mexicano e i fratelli Fidel e Carlos Castaño riusciranno a strutturare un vero e proprio esercito composto da migliaia di paramilitari, con cui coltivavano l’ambizione di riuscire ad espugnare la roccaforte delle FARC di la-Uribe. Per espugnare la-Uribe, Josè Rodriguez avrebbe addirittura assoldato David Tompkins, un mercenario britannico che, tuttavia, declinerà l’incarico a causa delle conseguenze politiche che ne sarebbero inevitabilmente derivate su scala geopolitica. Secondo alcune fonti, Klein sarebbe stato informalmente catapultato all’interno del conflitto colombiano dagli Stati Uniti, coinvolgendolo nella loro strategia anti-comunista sudamericana, avvalendosi della tacita complicità delle forze armate colombiane, che coprivano le iniziative paramilitari contro i comuni nemici guerriglieri. Ad ogni modo, la prima tornata di addestramento coordinata da Klein inizierà nel gennaio 1988, seguita dalle altre due che seguiranno nel corso dei mesi successivi. Secondo Yair Klein, che oggi vive in Israele, l’incapacità dello stato colombiano nell’imporre la legge sulla guerriglia legittimava la lotta paramilitare che, tra l’altro, tutt’oggi non rimpiange di aver contribuito ad addestrare, ritenendo necessario supportare le strategie dell’esercito colombiano attraverso stragi di cui i militari non avrebbero voluto assumersi le responsabilità politiche e giuridiche. Milizie paramilitari che sarebbero state armate con armi acquistate sul mercato nero dal trafficante saudita Adnan Kashoggi, lo zio del tristemente noto giornalista dissidente Jamal Kashoggi, assassinato nel 2018 in circostanze controverse all’interno del consolato saudita di Istanbul. Ad ogni modo, forte di questo suo poderoso potenziale militare, Josè Rodriguez riuscirà a guadagnarsi il rango di ministro della guerra del Cartello di Medellin, godendo di importanti coperture politiche conservatrici, che vedevano nella sue milizie un argine alla guerriglia comunista. Tuttavia, va specificato che l’apparato paramilitare del Mexicano era concentrato nelle aree rurali del paese, a differenza di quello sicariale di Escobar, fortemente radicato nel contesto urbano. E mentre Escobar curava la sfera politica dell’organizzazione, Rodriguez amministrava quella con la sfera militare, godendo della tolleranza di molti degli ufficiali dell’esercito e dell’intelligence, che sorvolavano sui loro traffici illeciti. Attività coordinate a livello finanziario da Gustavo Gaviria, considerato la vera mente finanziaria del Cartello di Medellin.

Carlos Castaño leader paramilitare Colombia narcos mercenari guerriglia
( Carlos Castaño )

LA NARCO-GUERRA TRA I CARTELLI DI CALI E MEDELLIN

Sempre ad inizio gennaio, il Cartello di Cali invierà un proprio emissario a Medellin per tentare di trovare un’intesa con Pablo Escobar, che lo riceverà nel suo lussuoso quartier generale, meglio noto come Edificio Monaco, un complesso di 7 piani localizzato nell’esclusivo quartiere del Poblado, dotato di una maxi antenna parabolica con cui il boss amava seguire i principali network internazionali. Tuttavia, al netto del gesto distensivo, il reale intento dei boss di Cali era raccogliere intelligence sul loro potente avversario, così da colpirlo prima che potesse farlo lui. Informazioni preziose che confermeranno il domicilio di Escobar, permettendogli di piazzare un autobomba con centinaia di chili di tritolo che faranno detonare all’alba del 13 gennaio proprio dinnanzi all’edificio fortino del leader del Cartello di Medellin. Autobomba assemblata da alias “Miguelito”, il terrorista basco dell’ETA che Gilberto Rodriguez aveva conosciuto durante la sua detenzione in Spagna. L’attentato devasterà la residenza della famiglia Escobar, ferendo anche la giovanissima figlia Manuela, senza tuttavia riuscire a colpire Pablo, che quella notte aveva preferito dormire altrove, nell’Hacienda el-Bizcocho, di proprietà del suo socio Gustavo Upegui. Escobar, apprenderà dell’attentato direttamente dalla chiamata di Gilberto Rodriguez che, con l’inganno, solidarizzerà col nemico, sincerandosi della sua salute. Telefonata che insospettirà Escobar che, non poco tempo dopo, riuscirà a risalire alla regia di Cali, sequestrando “Miguelito”, e costringendolo a istruire i suoi sicari all’assemblaggio degli ordigni esplosivi. L’uso degli esplosivi verrà accolto con particolare soddisfazione dal Mexicano, esaltato dalla possibilità di esasperare la loro campagna terroristica contro l’estradizione. L’esplosione del 13 gennaio 1988 cambierà fragorosamente il corso della storia colombiana, incanalandola su di un corso terroristico paradossalmente innescato dai narcotrafficanti di Cali, fino a quel momento considerati i meno aggressivi del panorama criminale colombiano. Tuttavia, va anche evidenziata l’esistenza di una tesi alternativa che vuole “Miguelito” cooptato da Jorge Ochoa che, come Gilberto Rodriguez, aveva vissuto un periodo di detenzione in Spagna. Ad ogni modo, quel che è certo, è che il primo studente di Miguelito sarà Josè Zambala, meglio noto come “Cuco”, un semplice studente cooptato da Piniña, e che nel corso degli anni diventerà il principale responsabile della gran parte degli attentati esplosivi predisposti dagli Estradabili in Colombia. E sempre a Piniña, Escobar affiderà l’incarico di raccogliere l’intelligence necessaria all’eliminazione della cupola del Cartello di Cali. Parallelamente a queste iniziative, Escobar corromperà anche gli addetti della compagnia telefonica locale, ordinando il monitoraggio di tutte le chiamate sospette provenienti da Cali, alla stregua delle macchine con targa caleña in entrata a Medellin.

Edificio Monaco Pablo Escobar Cartello Medellin narcos Colombia attentato ETA
( L’Edificio Monaco di Pablo Escobar situato nell’esclusivo centro di Medellin )

LA STRATEGIA DEI SEQUESTRI ECCELLENTI

Nonostante la sonora batosta dell’inaspettato attentato dinamitardo predisposto dai suoi nemici caleñi, Pablo Escobar non cancellerà la sua agenda terroristica, dando inizio alla strategia dei sequestri di personalità notabili, con cui cercherà di costringere il governo a scendere a patti con gli Estradabili. Il primo di questi rapimenti eccellenti verrà realizzato il 18 gennaio, sequestrando Andres Pastrana, il figlio dell’ex-presidente conservatore Misael Patrana. Pastrana verrà sequestrato da uno dei sicari di fiducia di Escobar attraverso una sofisticata operazione con cui riuscirà ad inoltrarsi all’interno della sua sede elettorale di Bogotà alla guida di un commando tattico camuffato con le insegne dei guerriglieri dell’M-19, al fine di depistare gli inquirenti. Curiosamente, durante i pedinamenti preliminari di Pastrana, il commando degli Estradabili avrà anche la possibilità di sequestrare agevolmente il figlio del leader conservatore Alvaro Gomez, individuato senza scorta all’interno di un locale pubblico. Tuttavia, in quel frangente i sicari desisteranno dopo aver telefonato a Escobar, che avrebbe risposto ironicamente che era interessato a sfruttare solo personalità politiche che avevano reali possibilità di diventare presidenti. Ad ogni modo, successivamente al suo sequestro, Pastrana verrà spostato rapidamente a bordo di un elicottero da Bogotá a Medellin, dove verrà nascosto all’interno dello stesso covo dove non poco tempo prima era stato ucciso Hernan Valencia. A detta del sicario incaricato del sequestro, poco dopo il sequestro, Escobar sarebbe stato raggiunto dall’ex-Ministro della giustizia Alberto Santofimio, che si sarebbe congratulato con lui per il buon esito dell’operazione, esortandolo addirittura ad uccidere Pastrana, togliendo di mezzo un possibile futuro presidente. Pressioni che avrebbe esercitato insistentemente, sebbene non poche ore prima avesse contattato il padre Misael Pastrana per esprimergli tutta la sua solidarietà. Tuttavia, in quel frangente, Escobar ribatterà al suo “consulente politico” che Pastrana gli era più utile da vivo che da morto. Anni dopo, Pastrana incontrerà in carcere il sicario che lo aveva sequestrato, il quale prima di chiedergli perdono gli dirà di essere stato fortunato a sopravvivere, perché, a suo dire, erano molti i suoi colleghi dell’epoca a volerlo morto in quel frangente.

Ad ogni modo, il giorno dopo il sequestro, Escobar si recherà personalmente ad incontrare Andres Pastrana insieme a suo cognato Mario Henao, con cui, suo malgrado, si sarebbe reso protagonista di un involontario siparietto. Infatti, sebbene i due soci si fossero presentati con cappuccio per non farsi riconoscere dall’ostaggio, il maldestro Henao chiamerà per nome Escobar dinnanzi a Pastrana, che a quel punto capirà di non essere nelle mani dei guerriglieri dell’M-19, ma dinnanzi ai due narcotrafficanti che, pur indispettiti l’uno con l’altro, decideranno di togliersi i passamontagna, confrontandosi apertamente con il loro illustre ostaggio. Escobar si intratterrà a lungo a parlare con Pastrana, rimproverandogli il ruolo poco costruttivo del padre nella gestione del dossier estradizione. I due parleranno tutta la notte, della sua vita da narcos e del recente attentato subito dalla sua famiglia, discutendo anche dell’intenzione degli Estradabili di sequestrare a breve il Procuratore generale della nazione Carlos Mauro Hoyos, e altre influenti personalità politiche per indurre il governo a negoziare l’abrogazione del trattato di estradizione. Il procuratore Hoyos, infatti, era stato identificato come prossimo obiettivo degli Estradabili dopo che aveva rigettato sdegnosamente il tentativo di corruzione avanzatogli da uno degli avvocati del Cartello di Medellin. A detta di uno dei sicari del cartello, Hoyos era inoltre accusato dai boss di Medellin di aver ricevuto soldi dalla DEA per agevolare l’estradizione dei narcotrafficanti verso gli Stati Uniti, dove credeva la giustizia fosse in grado di sopperire alla strutturale inadeguatezza del sistema giudiziario colombiano.

Pastrana, dal canto suo, otterrà di parlare al telefono con suo padre, esortandolo a pressare il governo ad abbandonare l’adozione del trattato di estradizione, e designando come suo mediatore il giornalista Enrique Santos, appartenente alla famosa famiglia editrice del quotidiano el-Tiempo, nonché fratello del futuro presidente colombiano Manuel Santos. Pastrana trascorrerà il periodo della sua detenzione leggendo il libro del guinness dei primati, sotto la costante minaccia di un sicario che lo intimidiva costantemente con il suo fucile, temendo che gli scarsi progressi della trattativa potessero costargli la vita. Tuttavia, fortunatamente per lui, il 25 gennaio, il suo covo verrà localizzato dalla polizia, che riuscirà a convincere il sicario posto a sua guardia a prendere in ostaggio un poliziotto con cui lasciare il covo, permettendogli di risolvere il sequestro in modo incruento, riprendendo la campagna elettorale. Tuttavia, proprio mentre Pastrana riconquistava la libertà, lo stesso commando degli Estradabili crivellerà l’auto su cui viaggiava il procuratore Carlos Mauro Hoyos che, pur fingendosi morto, verrà sequestrato dai sicari degli Estradabili. Sequestro che si interromperà dopo che Escobar ordinerà ai suoi sicari di giustiziarlo in rappresaglia per la liberazione di Pastrana. Nello specifico, il sicario incaricato dell’assassinio sostiene di aver letto al Procuratore una “sentenza di condanna” degli Estradabili in cui veniva accusato di aver tradito i propri compatrioti, consegnandoli alla giustizia di un paese straniero. Successivamente all’assassinio di Hoyos, la Procura generale nazionale passerà per un periodo di tempo al senatore liberale Horacio Serpa.

TRA POLIZIA, PARAMILITARI E LA GUERRA VERDE

Il 2 febbraio del 1988, gli Stati Uniti decideranno di liquidare il presidente panamense Manuel Noriega, incriminandolo ufficialmente per legami con i narcos colombiani. Sviluppo con cui archivieranno anni di altalenante cooperazione informale, simile a quella con cui supportavano le iniziative anti-guerrigliere dei narco-paramilitari dei fratelli Castaño, agli ordini del Mexicano, che tra febbraio e marzo perpetreranno due veri e propri massacri. Sempre a marzo, in un clima sempre più esasperato, il popolare quotidiano el-Colombiano verrà reso oggetto di un attentato esplosivo. Il 22 marzo, la polizia riuscirà a localizzare Pablo Escobar all’interno dell’Hacienda el-Bizcocho, dove si trovava insieme alla sua famiglia. Tuttavia, la tempestiva segnalazione di un colonnello corrotto, permetterà ad Escobar di dileguarsi rapidamente insieme al socio Albeiro Areiza “el-Campeon” ed alcuni dei suoi sicari di fiducia. Addirittura, durante la fuga riuscirà persino a prendersi gioco di uno degli ignari agenti che circondavano l’Hacienda, convincendoli di essere agenti dell’intelligence in borghese coinvolti nell’operazione contro se stesso, riuscendo ad esfiltrare agevolmente dal perimetro, facendosi addirittura fotografare da un reporter che solo dopo aver sviluppato i negativi realizzerà di aver immortalato una delle clamorose fughe di Escobar, degne delle migliori storie tratte dalla nota serie Lupin III. Tuttavia, malgrado la beffa, all’interno del ranch la polizia troverà numerosi documenti relativi ai piani di vendetta contro i boss di Cali a cui Escobar stava lavorando, con tanto di foto delle loro abitazioni, intercettazioni ambientali e video dei pedinamenti predisposti dai suoi sicari in loco. Notizia a cui Gilberto Rodriguez reagirà formando un commando composto da 5 ex-poliziotti da inviare a Medellin per eliminare definitivamente Escobar.

Pablo Escobar fuga rifugio el bizcocho foto inganna polizia
( Foto che immortala l’ingannevole fuga di Escobar dal suo covo )

Nell’aprile del 1988, la DEA predisporrà una sofisticatissima operazione con cui riuscirà a sequestrare in Honduras il narco-broker Juan Matta-Ballesteros, l’anello di congiunzione tra i cartelli colombiani e messicani, sospettato di essere coinvolto nell’assassinio del loro agente Enrique Camarena, e di aver accumulato un tesoro di oltre 2.000 milioni di dollari, con cui si sarebbe persino offerto di ripagare il debito pubblico del proprio paese, dove, al netto del suo background criminale, era largamente considerato alla stregua di un benefattore della gente povera. La notizia delle poco ortodosse dinamiche dell’arresto di Matta-Ballesteros, torturato prima di essere deportato per acquisire informazioni sulla sua rete criminale, innescherà un assalto alla locale ambasciata degli Stati Uniti, dove più avanti verrà condannato all’ergastolo. Così verrà ricompensata la cooperazione nell’affaire Iran-Contras di Juan Matta-Ballesteros, la stessa con cui, all’epoca, gli americani continuavano a sostenere le attività dei narco-paramilitari che, proprio nel mese di aprile, si renderanno protagonisti di altri due massacri contro la popolazione civile considerata solidale con la guerriglia comunista. Il tutto, mentre Josè Rodriguez si ritrovava invischiato nella fase più acuta della cosiddetta “guerra verde”, che vedeva contrapposti tutti i principali impresari attivi nella campo dei famosi smeraldi colombiani: da Victor Carranza, a Luis Murcia, passando per Gilberto Molina, l’ex-patron del Mexicano. Molti di questi imprenditori minerari, in realtà, erano discretamente collusi nel narcotraffico, anche se in misura sicuramente minore del Mexicano, che infatti prevaleva per forza economica e militare su tutti gli altri suoi antagonisti, contraddistinti da uno modus operandi decisamente più discreto. Si stima che nel corso della guerra verde per il controllo dei territori in cui erano localizzate le miniere di smeraldi più redditizie della Colombia perderanno la vita più di 4.000 persone. L’interesse del Mexicano per questi territori, oltre che per le ricche miniere era, tuttavia, anche giustificato dalla necessità di garantirsi un corridoio verso le strategiche coste caraibiche del paese, da dove partivano molte delle sue narco-rotte. Nel maggio del 1988, sarà il leader conservatore Alvaro Gomez a ritrovarsi nel mirino dei sequestratori, anche se dell’M-19, che al contrario di Escobar lo ritenevano un bersaglio politicamente pagante ai fini del rilancio dei negoziati di pace con il governo e dell’istituzione dell’Assemblea Costituente che si sarebbe convocata da lì a poco. Nel corso della sua detenzione, Gomez avrà modo di scambiare alcune lettere con il leader dell’M-19 Carlos Pizarro, grazie al cui impegno verrà liberato nel mese di luglio.

Victor Carranza smeraldi Colombia guerra verde Gonzalo Rodriguez Mexicano Molina
( Victor Carranza, uno degli zar dei famosissimi smeraldi colombiani )

LE PRIME FASI DELLA GUERRA TRA CALI E MEDELLIN

Nel corso dell’estate del 1988, il commando di ex-poliziotti inviato a Medellin dal Cartello di Cali verrà neutralizzato e sequestrato dai sicari di Pablo Escobar, prontamente allertato da uno dei colonnelli al suo soldo. Escobar utilizzerà i 5 ex-poliziotti sequestrati per costringere la cupola di Cali a negoziare una soluzione alla loro contesa, esigendo il pagamento di 5 milioni a titolo di indennizzo per l’attentato subito, più la consegna del socio per cui lavorava Piña. Offerta che Gilberto Rodriguez rigetterà, e a cui Escobar reagirà facendo assassinare i 5 sicari caleñi, radicalizzando la guerra tra i due cartelli. Sempre nel corso dell’estate del 1988, il Cartello di Medellin vedrà arrestati i fratelli Brances (detto Tyson) e Dandeny Muñoz (detto la-Quica) che, sebbene appartenenti ad una famiglia di predicatori religiosi, faranno carriera nel mondo del crimine, diventando due dei sicari di punta dell’organizzazione. I due sicari erano considerati talmente essenziali da Escobar, da indurlo ad organizzarne una spettacolare evasione dalla prigione dove erano detenuti attraverso un elicottero camuffato con le insegne della polizia con cui i due efferati criminali riusciranno a fuggire agganciandosi ad una fune lanciata dai loro compagni intenti a sparare raffiche per dissuadere le guardie penitenziarie dall’intervenire. Nello specifico, Tyson era uno dei leader dell’ala terrorista del cartello che godeva della piena fiducia di Escobar; mentre per quanto concerne la-Quica, basta dire che era un disertore dell’esercito colombiano, dalla personalità particolarmente infida, aggressiva e provocatoria. Entrambi i fratelli ricopriranno un ruolo chiave anche nella guerra contro il Cartello di Cali. Pochi giorni dopo la fuga dei fratelli Muñoz, nei primi di agosto, il Ministro della giustizia Low lascerà il suo incarico a Monica De Greiff, il cui padre, negli anni a seguire, ricoprirà un ruolo importante per la giustizia colombiana e la parabola dei narcos. Il 19 agosto, mentre i sicari di Escobar faranno esplodere uno dei supermarket “La Rebaja” di proprietà dei fratelli Rodriguez Orejuela, a Medellin un nuovo gruppo di sicari inviati dal Cartello di Cali verrà, ancora una volta, intercettato e massacrato dall’apparato di sicurezza di Escobar. Il mese di agosto si concluderà con una nuova strage paramilitare contro la popolazione contadina sospettata di collaborare con i guerriglieri. Addirittura, l’11 novembre, i paramilitari dei fratelli Castaño si renderanno responsabili di una nuova strage nel comune di Segovia, solo per punire la recente vittoria elettorale dell’UP.

IL RAPPORTO DI ESCOBAR CON I MEDIA

L’ultimo evento degno di nota del 1988 sarà l’intervista che Pablo Escobar concederà alla giornalista Yolanda Ruiz. Nel corso dell’intervista, il boss prenderà le distanze dai massacri paramilitari e dalla campagna di sterminio scatenata contro gli esponenti dell’Union Patriotica, attribuendo le accuse di un suo coinvolgimento a soggetti che avevano interesse ad invischiarlo in una causa che non condivideva. Escobar, puntualizzerà di non essere di sinistra o destra, ma di condividere quanto di buono entrambe le ideologie avevano da offrire al paese, nel rispetto delle idee di tutti. Escobar lamenterà poi il fallimento dei negoziati con il governo a Panama del 1984, che a suo dire avevano pregiudicato il dialogo, la cui mancanza ha scatenato la spirale di violenza che attraversava la Colombia. Secondo Escobar, il paese condivideva la sua lotta all’estradizione, evidenziando come i criminali americani non fossero soggetti al medesimo trattamento riservato ai colombiani. A riguardo della sua attività di narcotrafficante, Escobar si rappresenterà come un criminale provvisorio di quel determinato contesto storico, prefigurando un futuro in cui il suo core business sarebbe stato legalizzato, considerandolo una questione di educazione civica simile all’uso dell’alcol. A detta di Escobar, i narcotrafficanti sono gli unici attori economici che stavano investendo i loro proventi nell’economia colombiana, dando lavoro e pagando imposte attraverso le attività legali in cui riciclavano i loro immensi capitali, a differenza degli oligarchi che continuano a depredare le ricchezze del paese, depositandole all’estero. Ricchezze con cui i narcos corrompevano molti dei politici ipocriti che facevano a gara per ottenere il loro supporto, mentre pubblicamente li condannavano. Alla domanda sulle sue ricchezze elencate dalla popolare rivista Forbes, Escobar risponderà che le persone valgono per quello che sono e non per quello che possiedono, rivendicando l’appartenenza alle classi sociali più umili dove era nato, e di cui continuava a sentirsi parte, sostenendo che il suo successo derivasse dalle difficoltà che aveva dovuto superare nel corso della sua vita, ricorrendo alla forza di volontà, al senso civico e alle sue doti di leadership. L’intervista si concluderà preferendo non rispondere alla domanda inerente i motivi del conflitto che aveva ingaggiato con il Cartello di Cali. A questa intervista, ne seguiranno altre, come quella che Escobar concederà insieme al suo socio Jorge Ochoa ad una testata francese all’interno del ranch del capofamiglia Don Fabio Ochoa, ufficialmente rimasto fuori dai loschi affari dei suoi figli, sebbene alcuni reduci del Cartello di Medellin lo considerassero il vero boss occulto della cupola di Medellin.

Pablo Escobar Jorge Ochoa Cartello Medellin intervista narcos Colombia
( Pablo Escobar e Jorge Ochoa rispondono alle domande dei cronisti francesi )

CONCLUSIONI

L’avvento della nuova amministrazione liberale configurerà sviluppi contraddittori, perché l’elezione dell’ex-ambasciatore negli Stati Uniti, Virgilio Barco coinciderà con l’estradizione in Colombia di Jorge Ochoa e Gilberto Rodriguez. Sviluppi che si articoleranno parallelamente all’insediamento di una figura controversa come quella del conservatore Alvaro Uribe, che negli anni avvenire ricoprirà un ruolo fondamentale, e alquanto controverso, nel corso politico colombiano. Il ritorno in patria dei due narcotrafficanti, segnerà una vittoria dei due cartelli, ma traccerà anche una crepa nei loro rapporti, divaricati dalla mancata condivisione del Cartello di Cali della strategia terroristica impostata unilateralmente dal Cartello di Medellin, verso di cui non si sentivano subalterni. Linea terroristica con cui i boss di Medellin intendevano costringere il governo ad abrogare il trattato di estradizione, scatenando il loro poderoso apparato militare contro i principali esponenti delle istituzioni, della politica e dell’editoria. Potenziale militare sviluppato grazie al determinante contributo di mercenari israeliani, a cui si deve l’inquadramento tattico del famigerato gruppo di sicari dei “los Priscos”. Mercenari che affineranno in modo certosino anche l’addestramento delle truppe paramilitari al servizio del Mexicano e dei fratelli Castaño, permettendogli di scatenare una brutale guerra contro i referenti politici della guerriglia rappresentati nell’Union Patriotica, come nel caso di Jaime Pardo, e successivamente estesa in modo sommario contro la popolazione civile accusata di esserne complice. Guerra in cui i narco-paramilitari incontreranno più di un tacito sostegno da parte degli ambienti militari e conservatori del paese, oltre che degli Stati Uniti. Tuttavia, va considerato che per quanto i paramilitari di Rodriguez fossero risoluti a combattere senza esclusione di colpi i guerriglieri delle FARC, dovranno recedere dal proposito di espugnare la loro roccaforte di la-Uribe, da cui sarebbero inevitabilmente derivate conseguenze geopolitiche di grande rilievo che dissuaderanno persino i mercenari britannici precedentemente contrattati dal Mexicano a tal fine. Logiche che palesano un certo grado di corrispondenza tra la sfera criminale e quella geostrategica, sebbene sembrino realtà apparentemente antitetiche. Logiche che lasciano intravedere la dimensione grigia e criminale della politica internazionale, dietro cui spesso si celano eventi ed ostacoli alla risoluzione di crisi internazionali, che vanno aggravate o risolte solo in circostanze volute a tutti i livelli, da quelli istituzionali a quelli decisamente meno leciti. Dinamiche che si sommavano a quelle non meno feroci della guerra verde per il controllo delle miniere di smeraldi colombiani. Guerra che i tanti estimatori dei famosissimi smeraldi colombiani non hanno idea del costo che hanno imposto alla popolazione delle aree urbane circostanti.

All’inizio degli anni ottanta, il potere militare dei narcos di Medellin, sommata alla solidarietà politica garantita da pezzi compiacenti dell’élite colombiana, sembrerà favorire una soluzione negoziale al dossier estradizione, convincendo addirittura la Corte Suprema a sanzionarne l’illegittimità, rilevando un vizio procedurale dell’amministrazione conservatrice Turbay, che non è chiaro fino a che punto sia stata effettivamente causale o in qualche misura voluto. Tuttavia, al netto delle congetture, l’amministrazione liberale presieduta da Barco non esiterà ad aggirare il verdetto della Corte Suprema, manifestando fattivamente la volontà di recepire le esigenze che la Casa Bianca aveva evidenziato durante il suo mandato da ambasciatore negli Stati Uniti. Barco, del resto, oltre ad essere un fedelissimo di Washington, era un liberale come l’ex-ministro della giustizia Lara, e soprattutto apparteneva ad una facoltosissima famiglia dell’oligarchia colombiana che gli rendeva superflua qualsiasi forma di connivenza con il mondo del narcotraffico, anche se Virginia Vallejo ha evidenziato l’esistenza di un certo legame con il clan Rodriguez di Cali. In ogni caso, la linea di Barco era rafforzata anche dal risoluto sostegno di giornali come l’Espectador, guidato da Alfonso Cano. Ad ogni modo, al netto dei propositi di Barco, il resto della Colombia non era affatto nelle medesime condizioni di poter respingere le persuasioni derivanti dal potere corruttivo dei narcos che, come capitato a Escobar, riuscivano agevolmente a corrompere gli ufficiali a cui spettava il compito di arrestarli. E a quei pochi ufficiali immuni, spettava la tragica fine che la cupola del Cartello di Medellin ha riservato al colonnello Jaime Ramirez. Inoltre, va considerato anche l’approccio blando con cui narcos meno in vista riuscivano a sfruttare per farsi scarcerare, come nel caso Josè Abello, Leonidas Vargas ed Evaristo Porras, che beneficeranno lungamente dell’attenzione che i mass-media concentravano essenzialmente su Escobar ed il Mexicano. Tuttavia, la strategia terroristica varata dai due boss non sarà condivisa da tutto il sostrato politico-criminale che ammantava il Cartello di Medellin, giacché, solo per fare un esempio, Rodolfo Ospina non esiterà ad allertare il Ministro della giustizia Parejo, permettendogli di fuggire in Europa, dove più avanti riuscirà incredibilmente a scampare all’agguato di un sicario.

Colombia Leader FARC Manuel Marulanda Jaime Pardo e Jacobo Arenas Union Patriotica UP
( I leader delle FARC Manuel Marulanda e Jacobo Arenas con al centro il leader delll’UP Jaime Pardo )

I tradimenti e le ambiguità configureranno un po’ la prassi nei rapporti nella galassia narcos colombiana, contribuendo a cementare o indebolire partnership come quella tra i cartelli di Cali e Medellin nel caso della controversa eliminazione di Hernan Valencia. Dinamiche che, fino a quel momento, pur indebolendo i vincoli criminali all’interno dell’organizzazione di Medellin, non riusciranno a mutare gli equilibri di forza. Del resto, erano decisamente in pochi ad essere abbastanza forti, e soprattutto folli, da osare contraddire la condotta di boss del calibro di Pablo Escobar, e chi ci proverà, come Mauricio Restrepo, sarà costretto all’esilio per sfuggire all’inevitabile vendetta. Occasioni come questa, pur ponendo le condizioni per un ammutinamento, non innescheranno fermenti degni di nota, poiché, come dimostra l’atteggiamento tenuto dal clan Ochoa, mantenere pragmatiche relazioni con Escobar o il Mexicano garantiva indubbi vantaggi in termini finanziari, politici e di sicurezza, che da soli sarebbe stato pressoché impossibile da ottenere. Cooperazione che, in occasione del suo secondo arresto, si rivelerà fondamentale per Jorge Ochoa, caduto nella trappola tesa dall’amico Gilberto Rodriguez, e che se isolato avrebbe potuto condurlo in una cella negli Stati Uniti. Sgarbo che incrinerà inevitabilmente i rapporti tra i cartelli di Cali e Medellin, palesando l’intenzione dei primi di non voler sottostare alla leadership dei secondi, sebbene questi ultimi godessero di un temibile apparato militare. Rapporto che degraderà rapidamente in una faida mortale che, sebbene sia stata ufficialmente innescata in conseguenza di una disputa tra luogotenenti di medio rango, in realtà configurerà l’inevitabile sviluppo di una lotta per l’egemonia sul narcotraffico colombiano. Anche se in realtà i propositi egemonici erano più alla portata del Cartello di Medellin, mentre quello di Cali era più che altro intenzionato a conservare la propria autonomia, prendendo le distanze dall’escalation terroristica scatenata contro lo stato colombiano, con cui preferivano negoziare in maniera meno eclatante. Proposito che, tuttavia, derogheranno nel rapportarsi con gli antagonisti del Cartello di Medellin, facendo saltare in aria la residenza della famiglia Escobar all’inizio del 1988. Iniziativa con cui la cupola di Cali contava di liberarsi platealmente del loro più grande nemico, lanciando un’opa ostile sulla leadership del Cartello di Medellin sul narcotraffico colombiano.

Ma ben presto i sogni di una guerra lampo lasceranno il campo ad una lunga ed estenuante guerra senza quartiere, a cui i boss di Cali, al pari del resto della Colombia, non erano affatto preparati. Paradossalmente, la prima bomba ad esplodere nel paese verrà collocata da quello che era considerato come il cartello più moderato e istituzionale. E ancora più paradossale sarà il fatto che i numerosi esplosivi confezionati dal Cartello di Medellin saranno assemblati da sicari istruiti dallo stesso terrorista basco dell’ETA contrattato dal Cartello di Cali. L’incursione sudamericana di questo esponente dell’ETA renderà l’organizzazione terroristica basca ben più letale in Colombia che in Spagna. Ad ogni modo, nonostante l’attentato subito, il Cartello di Medellin reagirà subito, portando la guerra contro lo stato ad un nuovo livello, quello politico-negoziale, impostando la strategia dei sequestri di personalità notabili come quella di Andres Pastrana, rapito da un commando degli Estradabili sotto le insegne del movimento guerrigliero dell’M-19. Strategia che assumerà anche una dimensione mediatica, portata avanti dal rapporto speciale che Pablo Escobar coltiverà con particolare attenzione con la stampa nazionale, avanzando la sua tesi inerente la futura legalizzazione del narcotraffico che, col senno di poi, verrà effettivamente adottata da molte formazioni liberali moderne, la cui cui distorta agenda è stata, in un certo senso, preconizzata dal più grande narcotrafficante di tutti i tempi. Sintonia politica che nella Colombia di fine anni ottanta faticherà a trovarsi, ponendo le condizioni per un biennio di inaudita ferocia e caos, che avremo modo di approfondire nel prossimo capitolo di questo focus sui narcos colombiani.