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I NARCOS COLOMBIANI (7° Parte)

Riprendiamo l’analisi della parabola dei narcos colombiani, approfondendo le conseguenze della trattativa tra il  governo colombiano e l’organizzazione narco-terroristica degli Estradabili, guidata da Pablo Escobar.

LA CATEDRAL DI PABLO ESCOBAR

Nell’ultima parte ci eravamo lasciati con la “resa negoziata” di Pablo Escobar all’interno dell’istituto penitenziario “speciale”, altrimenti noto come “La-Catedral”: un “carcere” improvvisato nei pressi di Envigado, immerso tra le pittoresche montagne circostanti la città di Medellin. La scelta di questo sito di detenzione verrà determinata personalmente da Escobar che, conoscendo bene la zona, era ben consapevole dei vantaggi derivanti dalla fitta foschia che solitamente ammantava di notte e all’alba l’area in questione. Condizioni meteo poco favorevoli a qualsiasi tentativo di incursione aerea ostile. Carcere che, viste le tempistiche della resa del narcotrafficante, iniziò ad operare in regime extra-giudiziale, giacché il decreto di destinazione d’uso della struttura non verrà approvato in tempo dal Ministero di Giustizia colombiano per motivi di natura burocratica. Situazione che ha indotto alcuni reduci del Cartello di Medellin a considerarla per quello che originariamente era: una mera proprietà fittizia dello stesso Escobar, rapidamente trasferita al comune di Envigado, amministrato da politici contigui al narcotrafficante. Sempre al comune di Envigado si deve la selezione delle guardie penitenziarie municipali, cooptate attingendo a personalità più o meno legate al Cartello di Medellin, e che, tra l’altro, erano le uniche autorizzate ad entrare all’interno della struttura. Il negoziato che Escobar aveva concluso con il governo, infatti, escludeva la presenza di poliziotti e militari all’interno de la-Catedral. Nello specifico, all’esercito verrà affidato il compito di proteggere l’esterno della struttura, il cui perimetro di sicurezza era rinforzato da una rete a maglie elettrificate alimentate a 4.000 volts. Ad ogni modo, parallelamente alla protezione ufficiale dell’esercito, il carcere godeva anche di tre anelli concentrici di sicurezza occulti, discretamente gestiti dalla rete sicariale del Cartello di Medellin, agevolata dalla presenza di un’unica, e relativamente lunga, via di accesso sterrata al penitenziario. Condizioni che rendevano praticamente impossibile entrarvi in forze senza essere notati dall’intelligence dei sicari del cartello, che all’interno del carcere monitoravano costantemente la via attraverso un telescopio. Tra l’altro, a detta di alcuni reduci del cartello, lungo l’isolato percorso montano a senso unico sarebbe stato aperto persino un chiosco presidiato sempre da fiancheggiatori del cartello, agevolandone ulteriormente le procedure di sorveglianza.

La catedral carcere Pablo Escobar narcos colombia Envigado
( La-catedral, il “penitenziario” speciale di Pablo Escobar )

Come è noto, la resa di Pablo Escobar è stata seguita a stretto giro da quella di suo fratello Roberto e di molti dei suoi luogotenenti di fiducia. Detenuti che, fatta eccezione per il fratello, Escobar negherà di aver avuto modo di conoscere prima della sua reclusione. Ma queste non saranno le uniche bugie del “Patron” di Medellin, che dinnanzi ai giudici confesserà un solo reato, sebbene i decreti emanati dal governo gli garantissero la cumulazione agevolata delle condanne ai fini di una condanna minima, al pari dei fratelli Ochoa, reclusi in un padiglione di sicurezza privilegiato all’interno del carcere ordinario di Itagui. Nello specifico, Escobar, professandosi allevatore di bestiame, si prenderà gioco della giustizia colombiana, confessando la partecipazione ad un solo carico diretto in Europa, organizzato da suo cugino Gustavo Gaviria, ma di cui sostenne di non aver ricevuto alcun ritorno economico, giacché sarebbe andato perso prima di giungere in Francia, dove era stato condannato in contumacia a 20 anni di reclusione. Tra l’altro, Escobar approfitterà della fine di suo cugino Gustavo Gaviria, per identificarlo alla giustizia come il vero capo del Cartello di Medellin, a cui lui avrebbe partecipato solamente mettendo a disposizione la pista della sua Hacienda Napoles, di cui era cointestatario. Escobar rigetterà poi anche le accuse del faccendiere americano Max Mermelstein, bollandole come le speculazioni di un mitomane mai conosciuto che sperava di ottenere sconti di pena a suo discapito. Posizioni ovviamente respinte dagli Stati Uniti, peraltro delusi dal limitato numero di narcotrafficanti costituitisi in Colombia. Sfiducia che indurrà la DEA ad allestire una postazione di osservazione e intercettazione poco distante dalla Catedral, per monitorare strettamente le attività dei narcos di Medellin. Intercettazioni che, tuttavia, si riveleranno inutili, giacché Escobar aveva precedentemente provveduto a far installare una linea citofono con l’esterno, occultata sotto la fitta vegetazione delle montagne circostanti, così da discutere con i propri luogotenenti, libero dall’assillo delle intercettazioni telefoniche. Addirittura, la DEA avrebbe utilizzato il figlio di una importante narcotrafficante detenuta negli Stati Uniti per tendergli una trappola, facendolo entrare a la-Catedral con addosso una microspia che registrerà l’offerta di un lucroso carico verso gli states che, tuttavia, Escobar si guarderà bene di accettare, sostenendo beffardamente al suo ospite di essersi ritirato dal business del narcotraffico. Ad ogni modo, a prescindere da questi sviluppi, gli Stati Uniti reagiranno alla decisione dell’amministrazione Gaviria di scendere a patti con i narcos, ridimensionando drasticamente gli aiuti militari negli anni seguenti. E proprio per evitare di contrariare ulteriormente gli Stati Uniti, il capo negoziatore governativo, Luis Alberto Villamizar, avrebbe prospettato a Escobar una detenzione non inferiore ai 10 anni, accettando di mediare tra lui ed i futuri governi. Sintonia negoziale che Escobar avrebbe ricambiato facendo ritrovare al governo qualcosa come 10 tonnellate di esplosivo, stoccato nei covi a disposizione dell’ala armata dell’organizzazione degli Estradabili, soddisfatta dall’esito della loro efferata campagna terroristica.

Il rapporto fiduciario tra Escobar e l’amministrazione presieduta dal liberale Cesar Gaviria sarebbe stato in qualche senso garantito dal colonnello Josè Romero, il suo ex-capo della sicurezza, nominato direttore de la-Catedral, qualche mese dopo, nel gennaio del 1992. Lo stesso Romero responsabile della fatale revisione della scorta del candidato presidenziale liberale Luis Carlos Galan. Ma il negoziato tra Cesar Gaviria e gli assassini di Galan non sarà l’unico elemento umiliante per il presidente colombiano che, sempre nel 1991, in occasione di una visita di stato in Francia, si vedrà costretto a cambiare hotel, poiché la suite presidenziale risultava occupata da un colombiano più facoltoso del presidente del suo paese, ovvero Gustavito Gaviria, il figlio del cugino di Escobar ucciso solo qualche mese prima. Un episodio certamente banale, ma che contribuisce a rendere bene l’idea dei rapporti di forza tra la sfera istituzionale colombiana e quella criminale.

LA VITA NELLA CATEDRAL DEI NARCOS

La vita di Escobar e dei suoi accoliti all’interno de la Catedral, oltre agli indubbi vantaggi legati alla loro sicurezza, era scandita da una serie di privilegi ed eccentricità. Molto di più di quanto potessero godere i fratelli Ochoa nel loro “padiglione speciale” allestito all’interno del carcere di Itagui. Innanzitutto, Escobar soggiornava in una “cella” dotata di ogni comfort, con addirittura un ufficio all’interno di cui si trovava il controllo della rete elettrificata che circondava il penitenziario. Si narra che sulla scrivania del suo “ufficio”, con tanto di caminetto con vista sulla sua amata Medellin, Escobar tenesse un ritratto di Che Guevara, a rimarcare la cultura politica di estrazione socialista rivoluzionaria della sua gioventù. Tra le altre eccentricità della cella del boss ci stava anche un quadro raffigurante Pablo Escobar circondato da belle donne intento a guardare il presidente Gaviria in televisione. I bagni poi, a differenza dei classici penitenziari sudamericani, erano tutti arredati nel migliore dei modi, con quello personale di Escobar rivestito in marmo di importazione italiana. La lussuosa “cella” di Escobar, con tanto di vasca idromassaggio, sarebbe stata arredata e decorata sotto la direzione di sua moglie. Mentre all’interno della cucina, vicino al ritratto di Escobar ed il cugino Gustavo Gaviria in posa stile Gangstar, campeggiava la beffarda foto-segnaletica del Cartello di Medellin che fino a qualche settimana prima girava quotidianamente sulla tv colombiana. All’interno delle “celle dei detenuti ordinari”, tutte rivestite in moquette, non c’era alcuna sbarra a separarli dagli spazi comuni, ed erano corredate di maxischermo, hi-fi, lettori vhs, e quant’altro potessero desiderare per trascorrere le loro giornate.

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( L’ufficio di Pablo Escobar a la-Catedral )

All’interno della struttura, Escobar avrebbe fatto costruire persino uno stagno artificiale, dove i sicari erano soliti dilettarsi nella pesca alle trote d’allevamento in un clima di ilarità surreale. Solo per fare un esempio del clima surreale che si respirava a la-Catedral, in prossimità dello stagno, Escobar farà posizionare un cartello che minacciava una pallottola in testa a chi pescava più di una trota al giorno, dissuadendo così i suoi luogotenenti più ingordi. Ma il principale hobby che Escobar coltiverà nel suo “carcere” sarà il calcio, praticato regolarmente all’interno del campo illuminato e dotato di impianto di drenaggio all’avanguardia prima della sua resa, in previsione della stagione invernale particolarmente rigida in quella particolare zona. Secondo alcune fonti, sul campo de la Catedral, Escobar si sarebbe misurato con il direttore del penitenziario, il colonnello Romero. Campo su cui Escobar si sarebbe confrontato persino con importanti giocatori di fama internazionale, tra cui, secondo una legenda metropolitana, anche il campione argentino Diego Armando Maradona, sebbene questa storia non sia mai stata chiarita del tutto, alimentando miti presunti o verosimili. Partite che, a detta dei testimoni, si concludevano, anche dopo ore, solo con la vittoria della squadra capitanata da Escobar che, come abbiamo potuto constatare, a perdere non era affatto abituato. Durante queste partite, l’unico abbastanza temerario da contrastarlo efficacemente era Luis Carlos Aguilar (el-Mugre), uno degli storici sicari di sua fiducia che, tuttavia, non mancava di intimidire gli avversari ospiti più disinvolti che contrastassero con particolare decisione quello che rimaneva pur sempre il leader del Cartello di Medellin.

Gli ingressi non autorizzati a la Catedral avvenivano mediante un camion cabinato dotato di doppio fondo, capace di occultare una dozzina di persone alla volta, il cui ingresso veniva organizzato meticolosamente dall’esterno, dietro l’approvazione diretta dello stesso Escobar, da cui gli ospiti si potevano recare solo dopo essere stati sottoposti ad una rigorosa perquisizione con tanto di metaldetector. Secondo alcune tesi, grazie al blando controllo delle guardie municipali compiacenti, Escobar avrebbe avuto l’opportunità di uscire dal carcere a bordo del mezzo, per recarsi nella sua amata Medellin, anche se, in realtà, il boss non aveva affatto bisogno di uscire dalla sua prigione d’orata, dove organizzava regolari feste animate da procacissime modelle, più o meno note, che dopo essersi scatenate nella discoteca approntata da el-Mugre, erano solite trascorrere la notte all’interno del penitenziario come “ospiti” particolarmente gradite dai narcos del Cartello di Medellin detenuti. Quando non erano impegnati con i loro ospiti, i membri del cartello ingannavano il tempo tra l’attrezzatissima palestra e la fornitissima sala giochi allestita all’interno della struttura. Escobar, invece, trascorrerà molto tempo a leggere le numerose lettere inoltrategli da ammiratori di mezzo mondo, ma che apriva solo dopo averle fatte ispezionare, temendo possibili carte bomba. Quando non leggeva, il boss si cimentava nell’apprendimento di nuove lingue straniere, tra cui, pare, la lingua cinese. Tra l’altro, secondo alcune fonti, Escobar approfitterà della sua detenzione anche per riprendere gli studi universitari. All’interno del penitenziario si consumeranno anche lieti eventi, come il matrimonio di Tato Avendano, un membro del cartello, fratello del titolare della squadra di calcio di Envigado. Altri reclusi invece ne approfitteranno per procreare con le rispettive compagne. All’interno del carcere entreranno anche importanti politici, come Josè Obdulio Gaviria, cugino dei fratelli Escobar, divenuto braccio destro dell’allora senatore Alvaro Uribe, personalità che abbiamo avuto modo di approfondire in questo focus sui narcos colombiani. Roberto Escobar sostiene di aver rinfacciato al cugino Josè Obdulio di essere un ingrato che si ricordava di loro solo quando aveva bisogno di finanziamenti. Sui legami, veri o presunti, tra Obdulio e i fratelli Escobar si speculerà molto, anche in ambito politico, dove il futuro presidente Pastrana, precedentemente sequestrato dagli Estradabili, lo accuserà di essere stato un consulente politico di Escobar, criticando l’inopportunità del suo ruolo preminente all’interno della successiva amministrazione Uribe.

Poco dopo il suo ingresso a la Catedral, il figlio di Escobar, Juan Pablo, farà il suo rientro in Colombia, interrompendo il suo soggiorno negli Stati Uniti, dove il padre lo aveva fatto trasferire per schermarlo dalla fase più cruenta della campagna terroristica con cui aveva avuto ragione del governo colombiano. Juan Pablo Escobar tornerà dagli Stati Uniti con un carico di regali per il padre, tra cui il colbacco con cui il boss si farà immortalare beffardamente dietro le sbarre, e che avrebbe espressamente richiesto per fronteggiare il rigido clima invernale de la-Catedral. E sebbene fosse minorenne e incensurato, Juan Pablo Escobar trascorrerà molto tempo all’interno della prigione del padre, soprattutto in compagnia del suo gioviale capo scorta Luis Carlos Aguilar (el-Mugre), godendosi, insieme alla piccola sorella un raro e fugace periodo di relativa “normalità”, lontani dalle minacce dei nemici del padre. Durante la detenzione, el-Mugre metterà in stand-by le sue capacità criminali, cimentandosi in attività ludiche insieme ad Escobar Jr, sfidandosi regolarmente con le macchine radiocomandate importate dagli USA. Durante la detenzione Mugre avrà modo anche di approfondire la sue conoscenze informatiche ancora agli albori, alternandole a lavori manuali come la costruzione di nidi per colombe utilizzate per comunicare con l’esterno, così da non perdere le attitudini criminali. Juan Pablo Escobar avrà modo di trascorrere un periodo di tempo a la-Catedral, seppur per motivi di sicurezza, soprattutto dopo un tentativo di sequestro predisposto da un gruppo di poliziotti nel corso di una delle gare automobilistiche a cui era solito partecipare con le sue fuoriserie europee. Tentativo di sequestro a cui Escobar avrebbe reagito, costringendo i poliziotti a lasciare Medellin, facendogli recapitare l’invito dai suoi sicari, che in altri tempi, con ogni probabilità, avrebbero fatto strage dei malcapitati. Ma i tempi erano cambiati, ed Escobar intendeva rispettare i patti che aveva faticosamente sottoscritto con il governo, e che con buona probabilità tra i ranghi della polizia qualcuno auspicava di sabotare con iniziative simili.

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( Pablo Escobar insieme ai figli all’interno de la-Catedral )

Al quadro apparentemente idilliaco della vita nella Catedral narrato da Juan Pablo Escobar, rientrerà anche il canarino che quotidianamente si recava spontaneamente alla finestra della cella del padre per farsi alimentare. Situazione che superficialmente sembrerà confermare una blanda normalizzazione della vita dei criminali reclusi a la Catedral, intenti a scontare una condanna privilegiata, ma lontana dai clamori dell’inaudita escalation terroristica che avevano scatenato contro la Colombia nel corso degli anni precedenti. Clima di terrore letteralmente evaporato, con discreta soddisfazione della classe politica colombiana che, il 4 luglio, si apprestava a promulgare la nuova costituzione colombiana. La stessa costituzione che aveva accolto la richiesta dei narcotrafficanti di abrogare l’estradizione di cittadini colombiani all’estero. Il tutto mentre il Blocco di Ricerca della Polizia veniva smantellato dal governo Gaviria, destinando i colonnelli Hugo Martinez e Hugo Aguilar a curare la sicurezza delle ambasciate colombiane di Spagna e Argentina. Provvedimenti seguiti dalla rimozione del generale del DAS, Miguel Maza, congedato dal suo ufficio nel mese di settembre. Sempre a settembre, il governo del presidente Gaviria appalterà ad una società di sicurezza israeliana l’adeguamento della sicurezza de la Catedral, a cominciare dall’elettrificazione della rete metallica che separava i “reclusi” dal mondo libero, ed i cui lavori inizieranno nel marzo del 1992. Del resto, l’esistenza dei lussi e dei privilegi goduti dai reclusi de la Catedral inizierà ad irritare il Ministero di Giustizia colombiano, al punto da indurre Escobar a inviare una lettera in cui si giustificherà, sostenendo che al momento del suo ingresso nel “penitenziario” non ci fossero ne porte ne sbarre, ma un cantiere con lavori in corso, in cui molte delle comodità contestate fossero già presenti. Posizioni che si accordano alla tesi che volevano la Catedral una mera residenza dello stesso Escobar.

ESCOBAR RIORGANIZZA IL CARTELLO DI MEDELLIN

Al netto delle stravaganze dei reclusi de la-Catedral, la situazione era decisamente meno banale di quanto immaginabile, perché, in realtà, Escobar stava sfruttando quell’oasi di pace blindata per ristrutturare il Cartello di Medellin, le cui finanze erano state letteralmente prosciugate da un decennio di guerra trasversale che aveva ridimensionato significativamente i volumi delle loro esportazioni criminali, soprattutto dopo la fine di Gustavo Gaviria. Situazione da cui avevano tratto ingenti benefici i loro nemici del Cartello di Cali, e soprattutto il piccolo Cartello del Norte del Valle, rimasto sostanzialmente neutrale nella contesa tra i due maxi-cartelli. La strategia con cui Escobar programmerà il risanamento finanziario della sua organizzazione verrà affidata a Fernando “el-negro” Galeano e Gerardo “Kiko” Moncada, due soci di lunga data di Escobar, che grazie al loro basso profilo, erano rimasti fuori dalle indagini della polizia. La “promozione” dei clan Galeano e Moncada li metterà nelle condizioni di amministrare gli affari del Cartello di Medellin senza pagare dazio alla giustizia colombiana. Condizione che, tuttavia, non rimarrà priva di costi, giacché Escobar esigerà dai due soci il pagamento di mezzo milione di dollari al mese a titolo di indennizzo per la guerra che aveva condotto contro lo stato in prima persona, a nome di tutti gli altri boss “estradabili” che, come loro, erano rimasti comodamente nell’ombra. Vantaggi che Escobar era intenzionato a monetizzare, non tollerando l’idea che ci potesse essere qualcuno nella posizione di trarre giovamento a costo zero dalla sua strategia stragista. I narcos di Medellin erano finalmente liberi dall’assillo dell’estradizione negli USA, ma la libertà aveva un prezzo, e quel prezzo era la “tassa Escobar” con cui “el-Patron” inizierà ad estorcere i suoi soci liberi, a cui non rimaneva che pagare le pesanti rate di quella libertà. Escobar, infatti, nell’arco di un decennio era diventato più un terrorista che un narcotrafficante, rinunciando a considerevoli quote del lucroso narco-mercato globale, investendo gran parte della fortuna accumulata negli anni proprio nella sua lotta contro lo stato. Alla fine della sua contesa con lo stato, Escobar si ritroverà ad essere più armato che ricco, ecco perché il governo, come del resto i suoi soci, avevano deciso di assecondarlo. Solo per dare la misura della sua situazione economica, in un’occasione Escobar rimprovererà al figlio Juan Pablo il suo opulento tenore di vita, rivelandogli come la guerra lo avesse messo in crisi di liquidità, a cui stava sopperendo solo grazie al credito del suo vecchio socio e amico, Kiko Moncada, da cui avrebbe ricevuto un credito di 3 milioni di dollari per acquistare la casa dove contava di ritirarsi una volta scontata la propria condanna.

ESCOBAR METTE ALL’ANGOLO I PARAMILITARI

La resa negoziata di Pablo Escobar, come abbiamo visto, in realtà si configurerà come una vittoria schiacciante che costringerà molti dei suoi nemici a prendere atto della sua egemonia criminale, a cominciare dal leader paramilitare Henry Perez, costretto dalle circostanze ad annunciare la cessazione delle ostilità contro un avversario inattaccabile all’interno della sua prigione fortino. Sviluppo che condannerà senza possibilità di appello l’azzardo di Perez di svincolarsi dalla morsa del Cartello di Medellin, ritrovatosi isolato e in profonda crisi finanziaria. Situazione che getterà il leader paramilitare nella disperazione, ubriacandosi frequentemente, e iniziando a sospettare di chiunque. Paure ben fondate, perché al netto dei proclami e della sua nuova routine carceraria, Escobar aveva provveduto a commissionare il suo assassinio a suo cugino Hernan Henao. Proposito che i sicari del Cartello di Medellin realizzeranno il 20 luglio, con un’operazione kamikaze che bucherà il cordone di sicurezza di Perez, crivellandolo platealmente nel corso di una manifestazione pubblica nella sua città roccaforte. I reduci del cartello sostengono che Escobar sia stato informato dell’eliminazione di Perez nel corso di una delle sue consuete partite a calcio alla Catedral. All’agguato riuscirà a scampare rocambolescamente il suo vice Ariel Otero, che dinnanzi alle telecamere accuserà platealmente Escobar di essere il mandante dell’assassinio del suo comandante, senza tuttavia incontrare seguito, data la mancanza di prove. Accuse puntualmente respinte da Escobar, secondo cui la fine di Perez fosse da addebitarsi ad un regolamento di conti interno al fronte paramilitare. Presa di posizione ufficiale, dietro la quale tramava la fine di Otero, emettendo una taglia da 250.000 dollari sulla sua testa, suscitando l’interesse dei fronti paramilitari a lui avversi, attirati dalla possibilità di accaparrarsi la sostanziosa ricompensa, e con essa l’eredità paramilitare di Perez. Situazione che indurrà Otero a prendere le distanze dal movimento paramilitare, negoziando la sua resa con i militari, e ricercando la tutela del Cartello di Cali, a cui avrebbe conferito l’arsenale a sua disposizione. La fine di Perez, pur incrementando l’influenza di Ramon Isaza all’interno della galassia paramilitare, lo costringerà a trincerarsi tra le montagne del Magdalena Medio, giacché l’esporsi in un contesto urbano lo avrebbe reso un facile obiettivo per i sicari di Escobar. Secondo Juan Pablo Escobar, Isaza era considerato da suo padre alla stregua di un highlander, dato il numero di agguati a cui era sopravvissuto nelle circostanze più assurde, a differenza di molti altri suoi familiari caduti sotto i colpi dei sicari del cartello.

La fine di Perez darà, invece, ragione ai narco-paramilitari del clan Castaño, la cui strategia neutrale gli permetterà di incrementare il loro controllo sul movimento paramilitare colombiano. E sebbene Fidel Castaño considerasse una follia la resa di Escobar, non mancherà di visitarlo all’interno de la-Catedral, dove avrà anche modo di pernottare per due settimane. Ma gli intenti di Fidel Castaño erano tutt’altro che sinceri, perché, a quanto pare, il suo soggiorno nella prigione d’orata di Escobar sarebbe stato motivato dalla necessità di raccogliere informazioni inerenti la struttura planimetrica del penitenziario ed i suoi ospiti. Intenti comunque compresi da Escobar che, a detta di alcuni reduci del cartello, avrebbe iniziato a meditare la possibilità di liberarsi degli infidi fratelli Castaño. Proposito che, tuttavia, non riuscirà a concretizzare, perché consapevole della necessità di uccidere i due fratelli unitamente, così da decapitare simultaneamente la loro organizzazione paramilitare, evitando insidiosi colpi di coda. E non è un caso sei i due fratelli Castaño si guarderanno dal visitare insieme la Catedral. La guerra fredda tra Escobar e i Castaño continuerà ancora, tra le spinte radicali di Carlos Castaño, e l’approccio cauto del fratello maggiore Fidel, il vero capo del clan narco-paramilitare. A detta di Fidel Castaño, la decisione di rompere la partnership con Escobar, sebbene rimasta inattuata a causa di circostanze poco favorevoli, sarebbe stata presa ben prima della sua resa, a causa di un carico di armi che il boss di Medellin avrebbe inoltrato ai guerriglieri dell’ELN, e che, tra l’altro, gli avrebbe persino contestato personalmente, senza alcun esito. Del resto, Escobar non intendeva rinunciare al suo approccio trasversale al conflitto tra paramilitari e guerriglieri e, con buona probabilità, Escobar vedeva nella guerriglia lo strumento più idoneo per mettere in difficoltà strategica gli infidi alleati paramilitari, soprattutto dopo la fine del Mexicano. Carlos Castaño, invece, sostiene di aver rotto con Escobar all’inizio del 1992, dopo essere sfuggito insieme alla sua famiglia ad un tentativo di agguato predisposto da sicari ritenuti al soldo del boss di Medellin, anche se questo suo racconto rimane alquanto inverosimile. Ad ogni modo, queste divergenze strategiche divideranno le strade di Escobar da quella dei suoi soci narco-paramilitari, con il primo risoluto a continuare la collaborazione con la guerriglia, ed i secondi risoluti a combatterla con ogni mezzo possibile, perseguendo la loro vendetta personale.

ESCOBAR RIGETTA LA TREGUA CON CALI

La posizione di supremazia criminale di Escobar, sommata all’esecuzione di Henry Perez, intimorirà anche la cupola del Cartello di Cali, tanto da indurla a cercare un accomodamento con il boss di Medellin. Secondo alcuni reduci del Cartello di Medellin, i narcos di Cali avrebbero offerto ad Escobar 3 milioni di dollari a titolo di indennizzo per porre fine alla loro disputa. Proposta che Escobar sembrerà sul punto di accettare, salvo rilanciare sul prezzo richiesto, esigendo un indennizzo di 5 milioni. Il rilancio di Escobar si configurerà come il tentativo di dettare ai nemici il prezzo della loro sconfitta, anche se in realtà questo suo approccio negoziale radicale verrà influenzato dal microcosmo criminale venutosi a creare all’interno de la Catedral, dove il senso di sicurezza contribuiva, giorno dopo giorno, ad alimentare l’idea di egemonia incontrastata dei reclusi, convinti di poter piegare la loro nemesi caleña in modo più semplice di come erano riusciti a piegare lo stato colombiano. A detta di alcuni testimoni, sulla decisione di Pablo Escobar inciderà in particolar modo l’influenza del fratello Roberto, che addirittura nel corso di una telefonata con uno dei fratelli Rodriguez, gli avrebbe strappato la cornetta del telefono per insultarli e minacciarli, mandando a monte i negoziati di pace tra i due cartelli. Atteggiamento che indurrà i fratelli Rodriguez ad odiare Roberto Escobar più di quanto odiassero suo fratello Pablo, che di questa decisione avrà modo di pentirsi più avanti, un po’ come quando blocco i fucili dei suoi sicari puntati sulle teste dei boss di Cali, esigendone l’assassinio a mezzo autobomba. Ad ogni modo, successivamente a queste trattative, il 27 luglio, i sicari del Cartello di Medellin effettueranno un nuovo agguato contro i leader di Cali nei pressi di una località balneare, senza tuttavia riuscire nel loro intento.

Gilberto Miguel Rodriguez Orejuela Cartello Cali narcos Colombia
( i boss del Cartello di Cali, Gilberto e Miguel Rodriguez Orejuela )

UNO SCORCIO DEL CARTELLO DEL NORTE DEL VALLE

Mentre le trattative tra i Cartelli di Cali e Medellin naufragavano, Ivan Urdinola, uno dei boss del piccolo Cartello del Norte del Valle, disponeva l’assassinio del tenente Ricardo Petersson, un’ufficiale colombiano decorato con la medaglia al merito dalle forze armate statunitensi. Successivamente al suo rientro in Colombia, nel 1989, Petersson avrebbe abbandonato la sua brillante carriera militare, accettando la gestione della sicurezza di una facoltosa azienda di Cali legata a doppio filo al clan Urdinola, facendo rapidamente fortuna. L’errore che Urdinola non perdonerà a Petersson sarà la relazione che quest’ultimo avrebbe segretamente intrapreso con sua moglie Lorena Henao, la sorella di Orlando Henao, il capo assoluto del Cartello del Norte del Valle. Assassinio che le autorità colombiane riscontreranno il 12 agosto, dopo aver rinvenuto i resti del dell’ufficiale nei pressi del fiume Cauca, dove finivano regolarmente le vittime del cartello. La fine di Petersson contribuirà ad intensificare le attività di ricerca di Ivan Urdinola, che continuava a mantenere una condotta equidistante nella disputa tra i cartelli di Medellin e Cali. Approccio decisamente più sfumato da quello più netto tenuto da boss emergenti come Luis Hernando Gomez, il figlio di un sindaco locale, la cui ascesa nel mondo del narcotraffico verrà agevolata da Orlando Henao, di cui era stato a lungo autista e scorta personale. La simpatia di Gomez per la cupola del Cartello Cali lo indurrà ad intralciare i movimenti del Cartello di Medellin nella valle del Cauca, al punto da ricevere una minacciosa telefonata di Pablo Escobar. Minacce che Escobar, tuttavia, non attuerà mai, raccogliendo il consiglio di Hernando Restrepo, uno dei soci di spicco del Cartello del Norte del Valle, secondo cui l’assassinio di Gomez lo avrebbe inevitabilmente indotto a rinunciare alla neutralità, prendendo le parti di Cali. E sebbene il Cartello del Norte del Valle fosse piccolo e decisamente meno armato del suo, Escobar deciderà di non esasperare ulteriormente la situazione, giacché alcune delle sue rotte più redditizie passavano proprio dalla strategica valle del Cauca. Condizioni che lo indurranno a rinunciare al proposito di eliminare Gomez, sebbene quest’ultimo fosse coinvolto nell’organizzazione dell’attentato dinamitardo contro l’Edificio Monaco predisposto dal Cartello di Cali, a cui avrebbe messo a disposizione una propria proprietà per allestire l’autobomba utilizzata contro la residenza della famiglia Escobar.

Ivan Urdinola Cartello Norte del Valle narcos Colombia
( Ivan Urdinola )

Ad ogni modo, è proprio durante questa faida tra Cali e Medellin, che il Cartello del Norte del Valle, guidato dallo scaltrissimo Orlando Henao, riuscirà a svincolarsi dalla marginalità originaria, godendo degli indubbi vantaggi derivanti dallo status neutro, da cui si defilerà soltanto Gomez. Infatti, altri boss preminenti del Norte del Valle, come Ivan Urdinola, intratterranno un rapporto più che cordiale con Escobar e molti dei suoi luogotenenti. Addirittura, Urdinola abbozzerà persino una mediazione tra i cartelli di Cali e Medellin, arrivando a programmare una sua visita a la-Catedral, da cui, tuttavia, sarebbe stato dissuaso da Carlos Castaño, che gli farà temere la possibilità di finire sequestrato o assassinato. Nello specifico, Urdinola era legato da una profonda amicizia con i fratelli Castaño, con cui condivideva l’odio profondo nei confronti della guerriglia. Ad ogni modo, nonostante l’influenza di Castaño, Urdinola manterrà le relazioni cordiali con Escobar, mantenendo una corrispondenza mediata da uno dei suoi legali, in cui avrebbe garantito al leader del Cartello di Medellin la propria neutralità, pur evidenziando la propria simpatia personale, soprattutto in conseguenza dell’abrogazione del trattato di estradizione verso gli Stati Uniti, che gravava anche sulla testa di narcos medi come lui. Urdinola, infatti, era decisamente critico dell’approccio para-istituzionale con cui il Cartello di Cali aveva rischiato di far fallire gli sforzi del Cartello di Medellin per affossare l’estradizione, solo per mettere in scacco Escobar. Ma al netto delle simpatie, vere o presunte, Urdinola rimaneva un narcos infido, guidato, al pari di Orlando Henao, solo dal proprio tornaconto.

L’ANOMALO VIAGGIO DI “LA-QUICA” NEGLI USA

Tra gli eventi anomali accaduti poco dopo la resa di Escobar ci sarà l’improvviso arresto di Dandeny Muñoz (alias la-Quica), uno dei sicari di spicco del Cartello di Medellin, arrestato in circostanze alquanto singolari negli Stati Uniti. La singolarità dell’arresto di “Quica” negli states, avvenuto il 25 settembre, deriverà dalla concomitanza del suo arrivo con l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, dove il rafforzamento dei dispositivi di sicurezza aveva permesso di individuarlo rapidamente, secondo alcuni grazie alle indicazioni del Cartello di Cali. Muñoz verrà arrestato nei pressi di una cabina telefonica da una pattuglia della polizia, in possesso di una sua foto-segnaletica colombiana, per possesso di documenti falsi. Gli inquirenti americani sospetteranno che dietro il viaggio di uno dei più quotati sicari del Cartello di Medellin si potesse celare un disegno criminale di un certo rilievo. Sospetti che alimenteranno le speculazioni più disparate che vanno da quello di un agguato contro un esponente politico di rilievo a quello contro uno dei referenti americani del Cartello di Cali, passando per il tentato assassinio di un ufficiale della DEA o un collaboratore di giustizia come Max Mermelstein, il faccendiere americano la cui collaborazione aveva messo a rischio estradizione la cupola di Medellin. Prima del suo arresto a New York, Muñoz avrebbe viaggiato a Miami e Los Angeles, due importanti piazze che i Cartelli di Medellin e Cali si contendevano, avvalorando la tesi di un suo viaggio di supervisione. Tuttavia, in realtà alcuni reduci del cartello ritengono che il viaggio di “la-Quica” negli states fosse in realtà più un esilio accordatogli da Escobar in rispetto del fratello Brances Muñoz (Tyson), il capo dell’ala terroristica del cartello, che avrebbe ottenuto dal suo boss l’espulsione incruenta del fratello minore, accusato di taglieggiare uno dei boss medi dell’organizzazione. Ipotesi verosimile, soprattutto perché dopo la sua resa negoziata, un’eventuale iniziativa dimostrativa di Escobar negli Stati Uniti avrebbe faticato a trovare senso strategico. Ad ogni modo, al netto di queste speculazioni, quel che è certo che “la-Quica” verrà condannato per 6 anni per possesso di documenti falsi. Ma la sua storia non finirà qui, come avremo modo di raccontare più avanti.

LA GUERRA TRA CALI E MEDELLIN CONTINUA

Il 1991 di Escobar si concluderà con una grande festa all’interno de la-Catedral, in un clima di folle euforia che avrebbe indotto Johny Rivera (el-Palomo), uno dei sicari più efferati del cartello, ad uccidere sotto i fumi dell’alcol una delle guardie del penitenziario. Episodi impuniti che facevano parte della quotidianità surreale de la Catedral. Quello del “Palomo” sarà l’ultima delle 9.000 vittime mietute nel corso dell’anno dalla macchina criminale del Cartello di Medellin. Il 1992, invece, si aprirà con un comunicato, divulgato il 6 gennaio, in cui gli Estradabili torneranno a farsi sentire, accusando i leader del Cartello di Cali di proteggere il comandante paramilitare Ariel Otero. Accuse seguite dalla fine dello stesso Otero, rinvenuto senza vita il 10 gennaio nella regione del Magdalena Medio. I reduci del Cartello di Medellin sostengono che Otero sia stato ucciso dal Cartello di Cali, che ne avrebbe fatto ritrovare il corpo nei pressi dell’Hacienda Napoles nel tentativo di attirare i sospetti su Escobar. Episodio che evidenzierà una nuova fase della guerra tra i due cartelli. E se Escobar era risoluto ad aizzare le autorità colombiane contro i nemici di Cali, questi ultimi erano pronti a tutto pur di compromettere l’immagine di Escobar dinnanzi all’opinione pubblica. Guerra in cui si contenderanno i favori del fronte paramilitare, allo sbando dopo la fine del Mexicano. Ad ogni modo, sebbene consapevole della regia di Cali, Escobar pagherà la taglia di 250.000 dollari che aveva precedentemente emesso sulla testa di Otero al comandante paramilitare Ever Velosa (alias H.H), fingendo di credere che fosse stato lui ad uccidere il rivale, confidando così di sfruttarlo per espugnare anche i territori controllati da Ramon Isaza. Più avanti, Carlos Castaño sosterrà di aver collaborato all’eliminazione di Ariel Otero, allestendo il cartello con cui sarebbe stato ritrovato, in cui lo si accusava di essere un bandito e un traditore. Pratica, quella dei cartelli associati alle vittime, che più avanti diverranno una sua firma caratteristica.

La decisione di Escobar di non concludere la contesa con i nemici del Cartello di Cali produrrà inevitabilmente le sue conseguenze il 20 febbraio, quando Albeiro Areiza (alias el-Campeon), uno dei boss della vecchia guardia del Cartello di Medellin, verrà sequestrato poco dopo essere atterrato a Medellin a bordo del suo jet privato. La notizia del rapimento di Areiza arriverà rapidamente a la-Catedral, dove Pablo Escobar ordinerà alla rete sicariale agli ordini di suo cugino Hernan Henao di rintracciare il socio a qualunque costo, ventilando anche la disponibilità a riprendere le trattative di pace con il Cartello di Cali. Sforzi che verranno vanificati in serata, con il ritrovamento del del cadavere del “Campeon”. Le circostanze della fine del boss verranno chiarite poco dopo, quando i sicari del cartello, guidati da Carlos Alzate (el-Arete), individueranno uno dei responsabili che, sotto tortura, riveleranno le ingannevoli dinamiche dell’assassinio, perpetrato da sicari avversari camuffati da poliziotti. L’eliminazione di Areiza priverà Escobar di uno dei suoi soci più affidabili, complicando ulteriormente la ristrutturazione delle rotte del cartello.

L’eliminazione del “Campeon” non basterà ai narcos del Cartello di Cali, che incaricheranno il loro consulente per la sicurezza Jorge Salcedo di elaborare un piano di bombardamento de la-Catedral. Piano che Salcedo cercherà di attuare, corrompendo con 600.000 dollari un colonnello di El-Salvador, da cui otterrà quattro bombe Mk72, meglio note come bombe papaya, che i narcos di Cali pianificavano di lanciare contro la prigione di Escobar servendosi di un bombardiere A-37 Dragonfly procurato dal mercenario britannico Tompkins, ma che alla fine Salcedo scarterà temendo una trappola dell’intelligence americana, preferendo sondare la possibilità di corrompere un pilota dell’aeronautica militare colombiana. Delle quattro bombe acquistate dal Cartello di Cali, solo tre raggiungeranno la Colombia, giacché la quarta verrà inabissata in un fiume prossimo all’aeroporto salvadoregno a causa delle difficoltà nello stiparla nell’aereo noleggiato dai mercenari al loro servizio. Tuttavia, proprio il rinvenimento di questa quarta bomba susciterà un certo clamore mediatico nella regione centroamericana, giungendo fino in Colombia, costringendo il Cartello di Cali ad abbandonare il proprio proposito. Piano di cui, naturalmente, verrà a conoscenza anche Pablo Escobar, che riuscirà ad ottenere dal governo l’istituzione di una no-fly zone sulla Catedral, con tanto di contraerea dispiegata lungo il perimetro del carcere. Contraerea che in un’occasione arriverà persino ad esplodere una raffica di avvertimento contro un aereo avvicinatosi senza autorizzazione al penitenziario. Quel che è certo, è che dopo aver preso conoscenza di questi piani, Escobar farà costruire delle capanne di fortuna nel giardino esterno della struttura carceraria, dove lui ed i suoi luogotenenti prenderanno l’abitudine di dormire, mettendosi al sicuro da possibili bombardamenti notturni, salvo rientrare nella struttura ogni mattina. Tra l’altro, Escobar apprenderà da un ufficiale corrotto come gli americani avessero localizzato il posizionamento della sua cella, dopo aver analizzato la mappa planimetrica della Catedral. Informazioni, verosimilmente, fatte trapelare da Fidel Castaño successivamente al suo soggiorno di cortesia nel penitenziario.

L’ARRESTO DI IVAN URDINOLA

Nella seconda metà di marzo, la polizia colombiana riuscirà a risalire alle tracce di Ivan Urdinola, individuando il convoglio con cui si era recato in un noto hotel di Cali, dove si era recato per partecipare ad un summit, scortato da 15 addetti alla sua sicurezza. Due giorni dopo questo summit, il 26 aprile, una squadra composta da 300 poliziotti lo sorprenderà all’interno della sua abitazione, dove era scortato da soli due sicari. Dinnanzi all’ingente contingente della polizia, Urdinola accetterà di buon grado l’arresto, ottenendo persino di potersi cambiare e congedare dai suoi familiari prima di essere recluso nel carcere di Itagui, lo stesso carcere dove erano stati reclusi i fratelli Ochoa di Medellin. E sebbene il carcere di Itagui non fosse paragonabile alla Catedral di Escobar, Urdinola, al pari degli Ochoa, godrà di un trattamento a dir poco privilegiato, usufruendo di pasti raffinati, accompagnati da alcolici di lusso, spesso conseguenti alle ricorrenti partite a basket con Fabio Ochoa. A riguardo degli Ochoa va segnalato l’incontro con il funzionario dell’M-19 Otty Patino, che proverà a convincere a candidare la sorella Martha alle elezioni comunali di Medellin, senza, tuttavia riuscire a convincerlo. Episodio paradossale, visti i trascorsi tra Martha Ochoa e l’organizzazione guerrigliera che l’aveva sequestrata nei primi anni ottanta. Guerriglieri che, sotto la sigla delle FARC, sequestreranno la sorella di Josè Santacruz (Don Chepe), uno dei leader del Cartello di Cali, che riuscirà a liberarla poco dopo, rapendo a sua volta 20 esponenti dei partiti di sinistra, compresa la sorella di Pablo Catatumbo, costringendoli ad uno scambio di prigionieri. Nonostante queste dinamiche, la situazione in Colombia sembrava essersi stabilizzata, proprio mentre in Italia la strategia stragista di Cosa Nostra culminava con la strage di Capaci, ponendo fine alla vita di Giovanni Falcone. Ma ben presto, anche il clima colombiano inizierà a mutare. Ed il primo segnale di mutamento del clima politico colombiano sarà la nomina di Gustavo De Greiff alla Procura generale della nazione, il padre dell’ex-ministro di giustizia Monica De Greiff, integrante all’amministrazione Barco. Dinamiche che si svilupperanno mentre Escobar commissionava la stampa di un libro contenente le caricature, sue e dei suoi luogotenenti, pubblicate nel corso degli anni dai quotidiani colombiani.

GLI EVASORI DEL CARTELLO DI MEDELLIN

Ben presto l’idilliaca condizione di Pablo Escobar comincerà a venir meno, soprattutto quando Fernando “el-Negro” Galeano e Gerardo “Kiko” Moncada ridurranno bruscamente i conferimenti precedentemente pattuiti, da 500.000 dollari mensili a 50.000 pesos, adducendo a problemi finanziari conseguenti alla scoperta, da parte della DEA, della più proficua rotta del Cartello di Medellin. Parliamo della rotta meglio nota come “la Fanny”, il nome di una nave cargo adibita al trasporto di cereali che i narcotrafficanti caricavano al largo delle coste ecuadoregne con dei motoscafi partiti da Puerto Buenaventura, sulla costa pacifica colombiana, saldamente controllata dal Cartello del Norte del Valle. Dalle acque sudamericane, la Fanny si dirigeva verso il Messico, dove i cartelli locali provvedevano ad inoltrarla all’interno degli Stati Uniti. Ad ogni modo, i reduci del Cartello di Medellin sostengono che Escobar abbia rispedito ai mittenti i 50.000 pesos, sostenendo di non essere un mendicante. Dinnanzi alla sdegnata reazione di Escobar, “Kiko” Moncada si giustificherà inviando una lettera in cui sosterrà che la rotta della Fanny fosse stata scoperta dalla DEA, ma che fosse già al lavoro per rimpiazzarla. Dal canto suo, Escobar, pur rispondendo con comprensione alla lettera del suo vecchio socio, non mancherà di consultare la sua rete di intelligence nordamericana, apprendendo come in realtà il carico fosse stato regolarmente inoltrato negli Stati Uniti dai partner messicani del Cartello di Juarez, guidato da Amado Carillo, in combutta con il Cartello di Cali, e a quanto pare, anche con i suoi soci. Notizia peraltro confermata dalla staticità dei prezzi sulla piazza di Los Angeles. Escobar inizierà così a diffidare dei suoi soci.

Amado Carillo narcos Messico Cartello Juarez
( Amado Carillo )

Nello specifico, la menzogna di Moncada indurrà Escobar a riconsiderare anche l’episodio fortuito che qualche tempo prima aveva costretto il commando di sicari guidato da Brances Muñoz (Tyson) a ritirarsi precipitosamente dal loro covo di Cali, proprio alla vigilia di un attentato contro Josè Santacruz, uno dei boss del cartello locale. Piano che Escobar aveva revocato dopo aver scoperto che la residenza del soggetto in questione era quella del padre di Santacruz, che preferirà non colpire, temendo reazioni simmetriche contro la propria famiglia. Piano di cui Escobar e Tyson avevano discusso a la-Catedral proprio in presenza di “Kiko” Moncada. I sospetti di Escobar troveranno conferma dopo che uno dei suoi infiltrati interni al Cartello di Cali, pagato 100.000 dollari al mese, lo informerà della visita di Galeano e Moncada a Cali, dove i boss locali avrebbero convinto i due narcos di Medellin a ridimensionare il potenziale finanziario di Escobar, così da indebolirlo, in cambio della loro incolumità. Galeano e Moncada, infatti, erano rimasti liberi, ma esposti più di Escobar alle iniziative ostili del Cartello di Cali, per di più senza la garanzia di un apparato militare in grado di schermarli da possibili iniziative nemiche. Tra l’altro, i due boss si sarebbero avvantaggiati dall’eventuale eliminazione di Escobar, rispetto a cui prediligevano più gli affari che la strategia terroristica. Accordo che Escobar avrà modo di appurare ulteriormente ascoltando una serie di intercettazioni in cui alcuni esponenti del clan Moncada, come William Moncada, parlavano della necessità di ostacolare il risanamento finanziario della sua organizzazione sicariale, impedendogli di intraprendere nuove escalation terroristiche. Non è dato sapere quanto spontanea sia stata l’iniziativa di Galeano e Moncada di scendere a patti con la cupola di Cali, giacché, secondo Juan Pablo Escobar, il padre gli avrebbe rivelato che i due boss sarebbero stati sequestrati dal Cartello di Cali, e costretti a collaborare all’indebolimento finanziario del padre. Il tradimento di Galeano e Moncada sarebbe stato, pertanto, costretto dalla cupola di Cali, poiché Escobar avrebbe rivelato al figlio come solamente una simile circostanza avrebbe potuto indurre un vecchio e fidato amico come Gerardo “Kiko” Moncada a tradirlo. Ma ciononostante, Escobar farà buon viso a cattivo gioco, continuando ad approfittare dei benefici della Catedral, allontanando il rischio di attirare l’attenzione, evidenziato da alcuni membri della sua famiglia.

UNA RAPINA PROVOCA UN “COLPO DI STATO”

L’amministrazione controllata del tradimento dei soci deraglierà all’inizio dell’estate del 1992, a causa di un episodio casuale che cambierà repentinamente il fortunato corso degli eventi del Cartello di Medellin. Il protagonista di questo episodio fondamentale sarà John Jairo Posada (alias el-Titi), uno dei sicari di punta del cartello, responsabile della cruenta fine del colonnello Valdemar Franklin e del senatore Federico Estrada. Galeotta una serata in discoteca, Posada, rimasto a piede libero dopo la resa di Escobar, noterà una ragazza intenta a spendere un grande quantitativo di dollari americani in compagnia del suo fidanzato, soggetto colluso con la sua banda di sicari. In quel frangente el-Titi, si apparterà a lungo con i due giovani, apprendendo l’origine della loro ricchezza, ovvero il padre della ragazza che, tra l’altro, osteggiava la loro relazione, maltrattando la figlia. Approfittando della situazione, el-Titi avanzerà ai due giovani una soluzione al loro problema amoroso, proponendosi di uccidere il padre, per poi dividersi la sua ricchezza. Questa storia criminale, per quanto scellerata, non si configurava di certo come un anomalia per una città ad alto tasso di criminalità come la Medellin di inizio anni novanta, se non fosse che una volta ucciso il malcapitato el-Titi si ritroverà davanti molto più di quello che avrebbe mai potuto sperare di trovare, ovvero più di 20 milioni di dollari in contanti. Dinnanzi a quella somma astronomica, il sicario eliminerà anche i due amanti, organizzando insieme a Freddy Gonzalez (fratello di Otoniel Gonzalez, meglio noto come Otto, uno dei luogotenenti di fiducia di Escobar recluso alla Catedral) il trafugamento del maltolto. Posada ancora non lo sapeva, ma aveva appena rapinato il custode di uno dei depositi finanziari clandestini dei clan Galeano e Moncada, ed i soldi che la ragazza esibiva con disinvoltura erano quelli che scaltramente sottraeva alle innumerevoli mazzette che era solita ordinare insieme alla famiglia per conto dei due boss. E se è vero il detto che chi cerca soldi, trova problemi, allora Posada e Gonzalez ne avevano trovati a milioni. In realtà, Posada si renderà presto conto che l’unico in grado di detenere una simile ricchezza in contanti a Medellin non poteva che essere che Escobar. Prospettiva che rischiava di metterli in una bruttissima situazione.

Narcos Colombia dollari

Il giorno successivo alla rapina al deposito, Fernando Galeano si precipiterà a denunciare il furto a Carlos Alzate (el-Arete), il principale luogotenente di Escobar rimasto a piede libero, chiedendogli di rintracciare i responsabili. E poiché tutto ciò che di criminale avveniva a Medellin era inevitabilmente opera dell’apparato sicariale di Escobar, i due boss non faticheranno a risalire all’identità di Posada, chiedendo di essere ricevuti da Escobar a la-Catedral, così da discutere personalmente la situazione. Incontro in cui Escobar rassicurerà i due soci, garantendogli che se dietro il furto ci fossero stati effettivamente suoi sottoposti avrebbe provveduto a far restituire tutto senza problemi. L’incontro, in realtà, sarà più imbarazzante per Galeano e Moncada che per Escobar, dal momento che i due boss si ritroveranno a chiedere la restituzione di soldi che non poco tempo prima avevano sostenuto di non possedere, tanto da aver smesso di conferire quanto originariamente pattuito. I soldi che i due soci stavano chiedendo a Escobar erano, infatti, quelli che avevano smesso di conferirgli da qualche mese, adducendo a problemi con la rotta verso gli Stati Uniti. La stessa giornata, dopo la visita dei due boss, farà capolino alla Catedral anche Posada che, convinto di aver rapinato di uno dei depositi di Escobar, andrà direttamente ad informarlo, apprendendo come in realtà quelli fossero soldi dei Moncada e dei Galeano. Una volta appreso da el-Titi il taglio piccolo delle banconote rinvenute, Escobar prenderà atto che il deposito rapinato fosse solo uno dei più piccoli nella disponibilità dei due infidi soci, che in realtà occultavano un tesoro notevolmente superiore, sebbene facessero credere di essere in crisi finanziaria.

Poco dopo l’incontro con Posada, i due fratelli Escobar stimeranno in circa 400 milioni di dollari in contanti, escluse le proprietà, il potenziale finanziario complessivamente occultato da Moncada e Galeano, arrivando alla conclusione che i due soci si stessero arricchendo alle loro spalle, collaborando sottotraccia con i nemici del Cartello di Cali. Ma probabilmente, la cosa che più turbava i fratelli Escobar, era l’effetto disgregante che la notizia di una simile ricchezza, accatastata ad imputridire all’interno di fusti e balle insidiate dai topi che infestavano i bassi fondi di Medellin, avrebbe potuto avere sull’apparato militare rimasto a corto di denaro dopo la fine della stagione stragista. Il rischio di una rivolta sicariale era concreto e reale, al pari della prospettiva di una faida che avrebbe inevitabilmente determinato l’implosione del Cartello di Medellin. A la Catedral era giunto all’improvviso il momento delle decisioni: restituire i soldi a Galeano e Moncada, perdendo il rispetto dell’ala sicariale insieme alla leva finanziaria; o prendere provvedimenti drastici, provvedendo all’epurazione dei soci infedeli. Tra una rivolta dei sicari ed un ammutinamento dei soci, Escobar sceglierà la via del “colpo di stato”, preferendo la sua fedele ala militare agli infidi partner di minoranza del cartello. Soluzione con cui Escobar intendeva accentrare su di se ogni potere, assumendo la leadership assoluta sul Cartello di Medellin, che i quadri intermedi si erano illusi di poter insidiare.

LA STRAGE DE LA-CATEDRAL

Nel mese di giugno, Pablo Escobar convocherà lo “stato maggiore” dell’ala militare del cartello, discutendo la prospettiva dell’eliminazione dei suoi due soci infedeli, prospettandogli la spartizione del bottino a loro sottratto. E proprio perché si trattava di un “colpo di stato”, il 25 giugno, Escobar incaricherà il capo dei suoi sicari, Brances Muñoz (Tyson), di approntare una strategia per decapitare simultaneamente i clan Galenao e Moncada, prendendo in custodia i loro contabili, così da entrare in possesso delle loro considerevoli risorse finanziarie, accumulate dai due mentre lui dilapidava le sue per sostenere la sua strategia stragista per l’abrogazione dell’estradizione. Una volta allestita la strategia, Escobar convocherà Fernando Galeano e Gerardo Moncada a la-Catedral, informandoli di aver rinvenuto i loro soldi. Fu così che la mattina del 3 luglio i due improvvidi narcotrafficanti si recheranno all’appuntamento col destino. Nello specifico, dinnanzi ai due soci, Escobar comunicherà di aver ritrovato i loro soldi, approfittandone per metterli alla prova un’ultima volta, chiedendogli un terzo del totale come contributo da destinare al risanamento delle sue finanze. Proposta rigettata in malo modo da Fernando Galeano, che esigerà espressamente dal suo socio la restituzione di tutto, fino all’ultimo centesimo. Reazione spavalda che confermerà la decisione precedentemente presa da Escobar, che a sua volta reagirà freddamente, comunicando ai due soci la sua decisione di “confiscare” l’intera somma. Le parole di Escobar faranno gelare il sangue ai due soci, inducendoli a cambiare repentinamente approccio, percependo il clima di tensione alimentato dai sicari presenti, che pressavano Escobar per ucciderli. I due narcotrafficanti verranno presi in custodia dai sicari, che li porteranno nella cella di Roberto Escobar, dove verranno lungamente interrogati, per poi essere uccisi. A detta di uno dei sicari presenti a la-Catedral, la decisione di Pablo Escobar di salvare dall’esecuzione almeno il vecchio amico Gerardo “Kiko” Moncada arriverà troppo tardi, probabilmente a causa del fratello Roberto, che all’interno del microclima protetto del penitenziario aveva sviluppato in breve tempo una personalità particolarmente feroce, determinante nell’influenzare le scelte del fratello. Ad ogni modo, i due boss uccisi verranno smembrati all’interno del carcere, e sciolti nell’acido.

Come previsto dal piano di Escobar, la stessa sera, i sicari comandati da Tyson decapiteranno gli ignari clan Galeano e Moncada, sequestrando Mario Moncada e molti dei contabili della sua organizzazione, grazie alla cui collaborazione riusciranno a tendere una trappola anche a William Moncada, sequestrato da sicari camuffati da poliziotti, che lo uccideranno pochi giorni dopo. Il giorno dopo la strage della Catedral, Mario Galeano riceverà una telefonata per negoziare la liberazione del fratello Fernando, accettando di incontrarsi con i rapitori del fratello, ovvero i sicari di Escobar, che si offriranno ingannevolmente di accompagnarlo a liberarlo, salvo scoprire di essere stato sequestrato. Mario Galeano verrà ucciso poco dopo che la sua famiglia si rifiuterà di pagare 20 milioni di dollari per riscattarlo. Mentre queste dinamiche si sviluppavano, Escobar contatterà Rafael Galeano, facendogli credere di essere impegnato a raccogliere informazioni sull’identità dei rapitori dei fratelli. La telefonata, in realtà, servirà per agevolare la localizzazione ai sicari che gli davano la caccia, da cui tuttavia, riuscirà a sfuggire rocambolescamente grazie all’intuito della sua scorta. Eventi di cui i reduci dei clan Moncada e Galeano inizieranno a comprendere la regia di Escobar man mano che i suoi sicari sterminavano uno dopo l’altro circa 140 tra loro fiancheggiatori e parenti. Anche Rodolfo Ospina (el-Chapulin), il socio nipote dell’ex-presidente Mariano Ospina e della senatrice Berta Hernandez, verrà preso di mira a causa della sua amicizia con i Moncada e i Galeano, riuscendo, tuttavia, a sopravvivere all’agguato che i sicari gli tenderanno all’uscita di una discoteca, grazie alla sua auto blindata.

Quando era ormai chiaro che Escobar aveva assunto il pieno e assoluto controllo su Medellin, Rafael Galeano prenderà contatto telefonico con Escobar provando a negoziare il rilascio dei fratelli, da cui però apprenderà la loro eliminazione. Rafael Galeano riuscirà, tuttavia, ad ottenere almeno i corpi delle vittime della strage, sebbene i sicari di Escobar esigessero un riscatto di 10 milioni di dollari cadauno. Nel frattempo, i reduci della famiglia Galeano verranno evacuati precipitosamente da Medellin da Diego Murillo, altrimenti noto come “Don Berna”, il capo della sicurezza del clan, scampato alla mattanza de la-Catedral perché quel giorno scortava la moglie di Fernando Galeano. Murillo sostiene di aver tentato di convincere il suo boss a non recarsi a la-Catedral, temendo il temperamento di Escobar. Il giorno successivo alla strage, Don Berna avrebbe ricevuto la telefonata di Escobar, in cui gli intimava la consegna di Rafael Galeano, in cambio della sua incolumità all’interno del cartello, descrivendogli la sua iniziativa letteralmente come un “colpo di stato” interno al Cartello di Medellin. Inizialmente Don Berna sembrerà collaborare con Escobar, prendendo contatti con il suo capo sicario Carlos Alzate (el-Arete), ma in realtà prendeva tempo per nascondere il suo boss. El-Arete avrà modo di rinfacciare a Don Berna come mentre l’apparato sicariale scontava una profonda crisi finanziaria, i soldi del cartello imputridivano nei covi dei suoi boss. Don Berna proverà a chiedere ad Escobar almeno i corpi dei fratelli Galeano caduti, ma ciò sarà possibile solo per Mario, ritrovato giorni dopo, con segni di tortura. Il tutto, mentre i contabili dei due clan epurati dal Cartello di Medellin, verranno deportati a la Catedral, dove rendiconteranno il trasferimento dei loro beni a Escobar.

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( Diego Murillo “Don Berna” )

Parallelamente a questi eventi, la sorella di Fernando Galeano prenderà contatti con Luis Ramirez (alias Micky), uno dei più stretti collaboratori del fratello, in quei giorni a Cartagena, mettendolo al corrente di quello che stava succedendo a Medellin. Una volta intuita la situazione, Ramirez si precipiterà a Medellin, ottenendo di essere ricevuto da Escobar, il quale gli spiegherà i motivi dell’eliminazione dei due soci. In quella circostanza, Escobar metterà alla prova Ramirez chiedendogli se avesse debiti con Galeano, appurando con in mano i libri mastri dei contabili la sua sincerità, essendo suo debitore per 4,5 milioni di dollari. Debito che, in virtù della serietà dimostrata in quell’occasione, Escobar gli condonerà, offrendogli addirittura di assumersi la cogestione delle rotte del narcotraffico del Cartello di Medellin insieme a Diego Arcila (el-Tomate). Poco dopo, anche la sorella dei Galeano si sarebbe recata a la-Catedral, apprendendo direttamente da Escobar i motivi che lo avevano portato ad eliminare i suoi fratelli. Incontro che la donna avrebbe successivamente discusso con Rodolfo Ospina, grande amico dei due boss, che ne approfitterà per riprenderla segretamente, per poi girare il filmato dello sfogo al procuratore generale Gustavo De Greiff, che a sua volta lo girerà al Presidente Cesar Gaviria. Le notizie che arrivavano da Medellin verranno enfatizzate da alcuni esponenti politici contigui al Cartello di Cali, costringendo l’amministrazione Gaviria a prendere atto di quello che stava succedendo a la-Catedral. Da lì a poco, i familiari dei due narcotrafficanti sporgeranno denuncia alle autorità che, tuttavia, incontreranno difficoltà a farsi autorizzare l’ingresso alla Catedral per indagare sui fatti denunciati. Il tutto, mentre a Medellin alcuni aerei commissionati da Mauricio Restrepo (uno dei nemici di Escobar epurato qualche anno prima dal cartello) inizieranno a diffondere per via aerea migliaia di volantini in cui si accusava Escobar di essere un traditore che uccide i suoi amici. Iniziative che contribuiranno a catalizzare l’attenzione dei media sulla vicenda, elettrizzando il clima già teso nel sottobosco criminale della città. Nel frattempo, la casa di Dolly Moncada, la moglie di Gerardo Moncada, verrà saccheggiata dai sicari di Escobar, facendole pervenire un messaggio in cui il boss la esortava a scegliere tra il cedere i beni della sua famiglia all’organizzazione o fare la fine del marito.

IL GOVERNO ROMPE GLI ACCORDI CON ESCOBAR

L’idea che all’interno de la-Catedral i reclusi vivessero in una sorta dei paesi dei balocchi, in cui gli fosse addirittura consentito di consumare reati impunemente, comincerà a diventare insostenibile per l’amministrazione Gaviria. Pressione mediatica e politica che costringerà il Presidente Cesar Gaviria a prendere l’iniziativa, disponendo il trasferimento di Escobar da la-Catedral ad una struttura penitenziaria militare. Iniziativa discussa mentre in Italia Cosa Nostra eliminava barbaramente Paolo Borsellino. Proposito di cui il governo colombiano incaricherà l’esercito, comandato dal generale Pardo che, la mattina del 21 luglio, circonderà la prigione con un contingente militare trasportato da ben 10 mezzi. L’improvviso dispiegamento dell’esercito lungo il perimetro della Catedral, coinciderà con l’assenza del direttore della prigione Romero, spostatosi a Bogotá il giorno prima. L’improvviso arrivo dei militari spezzerà la solita routine della Catedral, costringendo la moglie dell’avvocato di Escobar a fuggire dalla prigione, dove si era recata per rassicurare il boss dell’impegno del marito nel rassicurare il governo. Esfiltrazione che i militari consentiranno, evitando di complicare ulteriormente la situazione. Ma per quanto la situazione fosse apparentemente semplice, la realtà era molto più complicata, giacché il generale Pardo sosteneva di essere stato inviato per prendere il controllo de la-Catedral, sostituendo le guardie carcerarie municipali, iniziando a montare due mitragliatrici Davi all’ingresso della struttura. La mobilitazione dell’esercito, indurrà Escobar ad ordinare la distribuzione delle armi ai suoi luogotenenti, grazie alla complicità delle guardie penitenziarie municipali compiacenti.

Nel primo pomeriggio, il vice-ministro di Giustizia Eduardo Mendoza, accompagnato, dal colonnello Navas, riuscirà a farsi ricevere da Escobar all’interno de la-Catedral. Tuttavia, una volta entrati nella struttura, i due ufficiali verranno presi in custodia dai sicari armati di Mini Uzi, e successivamente divisi per essere interrogati separatamente da Escobar. Il primo ad essere interrogato sarà il colonnello Navas, che sosterrà di essere stato incaricato di sostituire le guardie penitenziarie con propri soldati. Versione sconfessata dalla versione di Mendoza, che sosterrà di essere stato inviato dal governo per trasferirlo in una prigione militare. Le versioni contrastanti dei due ufficiali indurranno Escobar a credere di essere vittima di un complotto da cui non sarebbe uscito vivo, soprattutto dopo essere stato allertato della presenza di cecchini confusi tra la vegetazione. In quel frangente, Escobar esigerà da Mendoza di parlare con il presidente Gaviria, ma dalla Casa de Nariño il segretario presidenziale si limiterà ad informare l’ufficiale che il loro ingresso alla Catedral non era stato autorizzato, preannunciandogli il licenziamento prima di riattaccare il telefono. Così Cesar Gaviria romperà il patto che l’anno precedente aveva stretto con Pablo Escobar, mentre, intanto, da Bogotá arrivava un ulteriore contingente composto da 200 militari. La crisi che si configurerà, costringerà il presidente Gaviria a rinunciare a presenziare al vertice ispanoamericano ospitato dalla Spagna. Dinnanzi all’iniziativa del governo, Escobar telefonerà ai propri legali e alla propria famiglia, chiedendogli di attirare l’attenzione dei media su quello che stava accadendo a la-Catedral, temendo che il massiccio dispiegamento di militari preludesse un’imminente assalto a cui non sarebbe sopravvissuto. Parallelamente ai timori di un conflitto a fuoco, a la-Catedral arriveranno anche notizie di un presunto aereo della DEA atterrato a Medellin, pronto ad estradare Escobar negli Stati Uniti. La tensione salirà fino a tarda serata, quando Roberto Escobar deciderà di spegnere tutte le luci de la-Catedral, per paura di un possibile raid aereo, temuto dopo aver avvertito il rumore di un aereo in avvicinamento. Poco prima di interrompere l’elettricità all’interno della struttura, Roberto Escobar raccomanderà al figlio Nicolas di blindarsi all’interno di un’abitazione situata in un prestigioso quartiere di Medellin, lo stesso in cui viveva Alvaro Uribe, dove apprenderà a mezzo radio le indicazioni da passare alla loro rete di fiancheggiatori in vista di una loro evasione.

ESCOBAR EVADE DA LA-CATEDRAL

Dinnanzi all’indisponibilità di negoziare del governo, Pablo Escobar prenderà la decisione di evadere da la-Catedral, approfittando del favore delle tenebre e della foschia che interessava le montagne circostanti il penitenziario. Prospettiva che Escobar non aveva trascurato fin dal giorno della sua reclusione, preorganizzando numerosi piani di fuga, e approntando una serie di rifugi lungo tutti i possibili percorsi. Escobar fuggirà portandosi dietro solo il fratello e un piccolo manipolo di sicari, lasciando quelli con condanne minime all’interno del penitenziario. Fuga che i criminali effettueranno intorno le ore 23, rompendo una porzione di parete in cartongesso fatta posizionare previdentemente da Escobar sotto la maglia elettrificata perimetrale in caso di circostanze eccezionali come quella. La conoscenza della zona, permetterà a Escobar di fuggire silenziosamente tra le montagne circostanti la-Catedral, nonostante la visibilità non superasse i 5 metri. Pablo Escobar guiderà con il suo solito sangue freddo il gruppo di fuggiaschi in direzione della città di Envigado, sebbene il fratello Roberto preferisse addentrarsi nella foresta. Ma l’intuito criminale di Pablo Escobar gli farà preferire la città proprio perché consapevole che gli inquirenti si aspettassero che facesse quello che diceva il fratello, ovvero la cosa più ovvia. Ed effettivamente, sta in questo modo di ragionare la differenza abissale che contraddistingueva i due fratelli Escobar. Approccio disinvolto, con cui, secondo i reduci del cartello, interromperà addirittura la fuga per seguire alla radio l’esito di un rigore assegnato alla sua squadra del cuore. E mentre i militari che circondavano la-Catedral ignoravano l’evasione dei reclusi, dando credito all’intervista in cui cui Juan Pablo Escobar sosteneva che il padre si fosse trincerato all’interno di un bunker sotterraneo con provviste sufficienti a resistere per mesi, i fuggiaschi si avviavano verso la periferia del sobborgo di Envigado, che raggiungeranno prima dell’alba, riuscendo ad addormentarsi prima che i militari inviati da Bogotà prendessero d’assalto la-Catedral, liberando Mendoza e Navas, e uccidendo, in circostanze poco chiare, il sergente a cui il direttore carcerario aveva lasciato la responsabilità del penitenziario il giorno precedente. E mentre Escobar dormiva al sicuro nel suo covo urbano, l’esercito demoliva letteralmente la-Catedral, alla ricerca del fantomatico bunker in cui lo immaginavano asserragliato. Escobar avrà il tempo di cambiare nuovamente covo prima che i militari comprendessero di essere stati giocati dal suo scaltro figlio. I militari colombiani avranno modo di rilevare e documentare tutti gli eccentrici lussi e le comodità de la-Catedral, compreso alcuni documenti sugli Humwee americani che, secondo alcune fonti, il narcotrafficante stava considerando di acquisire in maniere poco lecite.

Una volta fatta mente locale, Escobar commenterà ai suoi luogotenenti come l’assassinio del sergente responsabile del penitenziario sarebbe servito come detonante per innescare uno scontro a fuoco a cui non sarebbero sopravvissuti. E mentre gli elicotteri della polizia aleggiavano sopra il suo covo urbano, Escobar non perderà tempo, prendendo i contatti con i mass-media, denunciando come il governo avesse ceduto ai suoi nemici, disattendendo gli accordi presi, costringendolo a fuggire per salvarsi la vita. Escobar intratterrà anche una lunga telefonata con alcuni giornalisti, come Enrique Santos, a cui, dopo aver raccontato le dinamiche della crisi de la-Catedral, avanzerà la disponibilità a ricostituirsi alle giuste condizioni di sicurezza, rimproverando il governo l’uso improprio dell’esercito anziché della polizia per il suo supposto trasferimento carcerario. Ascoltando l’intervista del generale Pardo, Escobar commenterà ai suoi, come tra tutte le eccentricità rilevate all’interno de la-Catedral, l’ufficiale avesse “dimenticato” di menzionare i 3 milioni di dollari in contanti detenuti all’interno della sua cella, lasciando intendere che fossero stati rubati dai militari, li stessi che avevano arrestato per complicità gli agenti penitenziari de la-Catedral. Ma i milioni rubati dall’esercito, non saranno i soli soldi che si vedrà costretto a rinunciare, perché durante i cambi di covo il narcotrafficante verrà rapinato da un gruppo di ladri comuni, che pagherà nonostante i suoi sicari fossero sul punto di uccidere gli inconsapevoli banditi, commentando al fratello Roberto come Medellin fosse diventata un posto insicuro da quando erano stati reclusi. In quella paradossale circostanza, secondo i testimoni, Escobar avrebbe dissuaso i suoi sicari dal massacrare i ladri per evitare uno scontro a fuoco che avrebbe inevitabilmente catalizzato le attenzioni della polizia. Ma le sorprese non termineranno qui, come dimostrerà la detonazione di una bomba all’interno di uno dei centri commerciali di proprietà del clan Moncada, di cui Escobar chiederà conto ai suoi luogotenenti, non avendola autorizzata. Bomba che, secondo i sicari del cartello, sarebbe stata piazzata da Carlos Castaño, su suggerimento del colonnello Danilo Gonzalez, nel tentativo di polarizzare l’opinione pubblica contro una possibile nuova intesa tra Escobar ed il governo. L’attentato, infatti, pregiudicherà il comunicato con cui Escobar ribadirà la propria disponibilità a ricostituirsi a la-Catedral.

LE CONSEGUENZE DELLA CRISI DE LA-CATEDRAL

La fuga di Pablo Escobar da la-Catedral metterà in crisi l’amministrazione Gaviria, suscitando uno scandalo che scuoterà anche le forze armate. Nello specifico, il generale Pardo rigetterà le accuse di aver agevolato la fuga di Escobar, sostenendo come il compito assegnatogli si limitasse espressamente alla sostituzione delle guardie penitenziarie, senza prendere il controllo del carcere. Scuse che, tuttavia, non gli eviteranno la destituzione. Il Direttore del carcere Romero, assente il giorno della fuga, verrà invece sospeso per aver autorizzato la costruzione di opere accessorie e per non aver vigilato sui lussi presenti all’interno del penitenziario. Non mancheranno poi sospetti sui motivi che abbiano realmente indotto il vice-ministro della giustizia Mendoza ad incontrare Escobar a la-Catedral, dove alcune teorie vogliono sia entrato per allertare il narcotrafficante delle intenzioni del governo. Ad ogni modo, la crisi de la-Catedral screditerà inevitabilmente il governo del Presidente Gaviria, tanto da costringerlo a ritornare sui suoi passi, riattivando il Blocco di Ricerca, richiamando dalle missioni diplomatiche estere i colonnelli Hugo Martinez e Hugo Aguilar. Forze di Polizia integrata da un contingente composto da 100 militari americani della Delta Force, che per dare la caccia ad Escobar si porteranno dietro alcuni elicotteri e numerose apparecchiature elettroniche per agevolare le attività di intercettazione. Sostegno militare che la Colombia chiederà ufficialmente all’ambasciata statunitense. A queste iniziative, il governo avanzerà benefici penali per chiunque fornisse informazioni utili a disarticolare il Cartello di Medellin. Sviluppi seguiti dalla rimozione del Ministro della giustizia Jaime Giraldo, sostituito da Fernando Carillo, a rimarcare il drastico mutamento di indirizzo dell’amministrazione Gaviria.

Escobar, dal canto suo, si ritroverà così in una situazione ben peggiore di quella dell’anno precedente, giacché, oltre all’organizzazione di una nuova stagione di guerra allo stato, si ritroverà costretto a riorganizzare il Cartello di Medellin, tenendo a bada le spinte centrifughe dei soci medio-piccoli, intimoriti dalla possibilità di fare la stessa fine dei Galeano e dei Moncada. Poco dopo l’assassinio del marito, la pressione dei sicari di Escobar indurrà sua moglie, Dolly Moncada, a ricercare la protezione della DEA, provando a negoziare la collaborazione in cambio di protezione negli Stati Uniti, avvalendosi della mediazione di Rodolfo Ospina. La trattativa tra la moglie del narcotrafficante verrà seguita dall’agente americano della DEA Javier Peña, anche se non si concretizzerà mai a causa del repentino mutamento di idea di Dolly Moncada, convinta dalla cognata Martha Moncada a collaborare discretamente con il Blocco di Ricerca della polizia colombiana.

I PERSEGUIDOS POR PABLO ESCOBAR (LOS-PEPES)

La cruenta fine di Galeano e Moncada getterà nel terrore i quadri intermedi del Cartello di Medellin, indispettendo soprattutto i fratelli Castaño, a cui i due boss erano legati dalla comune avversione alla guerriglia, tanto da finanziarne la loro organizzazione paramilitare. In particolar modo, Carlos Castaño riuscirà a sfruttare la strage de la-Catedral per convincere il fratello maggiore Fidel a rompere definitivamente con Escobar, approfittando della precarietà della sua situazione, evidenziando come i prossimi della sua lista nera potessero essere loro. In realtà, i due narco-paramilitari non aspettavano che una situazione come questa per liberarsi di Escobar, sottraendogli il controllo del cartello, tanto che, secondo le rivelazioni di Juan Pablo Escobar, anche i due fratelli avessero in programma di uccidere Kiko Moncada, così da incamerare il suo immenso patrimonio finanziario. Gerardo “Kiko” Moncada, infatti, era considerato il narcotrafficante più ricco del Cartello di Medellin, tanto che sempre il figlio di Escobar, durante la detenzione a la-Catedral il padre gli avrebbe raccomandato di moderare le sue spese, dal momento che erano finanziate proprio da Moncada. Sulla scelta dei Castaño, va poi considerata l’influenza che gli Stati Uniti hanno discretamente esercitato sui due leader paramilitari, fondamentali nella loro strategia di contrasto al movimento guerrigliero in Colombia.

Fidel Castaño paramilitari narcos Colombia Pepes
( Fidel Castaño )

Fu così che, tra il mese di agosto e di novembre, la fazione dissidente epurata dal Cartello di Medellin si coalizzerà contro Escobar, riunendosi sotto la sigla dei “Los-Pepes”, acronimo per “Perseguidos por Pablo Escobar”, ovvero i Perseguitati da Pablo Escobar. L’organizzazione verrà guidata da Fidel Castaño, e coordinata sul campo da Carlos Castaño, coadiuvato da Diego Murillo (Don Berna), che sebbene non fosse certamente un boss, riuscirà comunque a raccogliere strategicamente i cocci dell’organizzazione del clan Galeano. Don Berna riuscirà persino a convincere importanti luogotenenti ad abbandonare Escobar, come nel caso di Micky Ramirez, ridimensionandone drasticamente le entrate finanziarie derivanti dal narcotraffico. Attività che “el Patron” di Medellin aveva delegato troppo, perdendone il controllo, soprattutto dopo la fine di suo cugino Gustavo Gaviria. L’obiettivo dei Los-Pepes era quello di sopravvivere alla vendetta del loro leader, trovando la maniera di ucciderlo prima che potesse farlo lui. In questa lotta per la sopravvivenza non esiteranno a cercare alleati tra i ranghi dei loro nemici: dai rivali del Cartello di Cali, passando per la Polizia. Nello specifico, i contatti tra i Pepes ed il Cartello di Cali verranno presi da Fidel Castaño, la cui partnership si salderà nonostante la reciproca diffidenza iniziale, facendo leva sul loro comune nemico. Si narra che l’infido Fidel Castaño si sia recato discretamente a Cali, probabilmente usando i mezzi pubblici come del resto era solito fare, per evitare possibili imboscate, avvalendosi addirittura della mediazione dell’amico Ivan Urdinola. L’alleanza tra i Pepes ed il Cartello di Cali verrà progressivamente cementata da personalità come Rodolfo Ospina, Micky Ramirez, Don Berna, che dai boss di Cali riceveranno tutto il supporto finanziario di cui necessitavano per arginare e sconfiggere Escobar. Ad ogni modo, sulle reali origini dell’alleanza tra il clan Castaño ed i boss di Cali si conosce poco, tanto che alcuni sostengono che preesistesse la crisi della Catedral, giacché Myriam Rocio, la compagna di Gilberto Rodriguez, sostiene che Carlos Castaño lo avesse esortato a colpire la famiglia di Escobar, disattendendo l’accordo di non toccare le reciproche famiglie, ben prima della strage de la-Catedral. Rodriguez, infatti, aveva preferito evitare di colpire la famiglia Escobar, limitandosi a pressarla con i pedinamenti che li indurranno ad abbandonare precipitosamente la Svizzera nel 1990. Ma come accennato, i los-Pepes non si limiteranno ad allearsi con i nemici di Cali, coordinando molte delle proprie iniziative insieme ai poliziotti del Blocco di Ricerca del colonnello Danilo Gonzalez, che nella famigerata caserma Carlos Holguin avrebbe ospitato regolarmente Carlos Castaño e Don Berna.

ESCOBAR TORNA AD ESSERE UNA MINACCIA

Sebbene braccato dalla polizia, Pablo Escobar continuerà a circolare relativamente tranquillo per le strade della sua Medellin, facendo gelare il sangue nelle vene ai suoi sicari di scorta, che in un’occasione raccontano di aver assistito alla scena di lui che, pur non fumando, andò a chiedere da accendere a degli ignari agenti, ringraziandoli con tanto di pacca sulla spalla. Addirittura, Roberto Escobar sostiene che il fratello non si privasse nemmeno di frequentare lo stadio, dove si recava a vedere le partite del Deportivo Indipendiente di Medellin, colorandosi il viso con i colori della squadra. Ma al netto di questi episodi esplicativi della sua personalità temeraria, Escobar inizierà ad elaborare la sua strategia per costringere il governo a scendere nuovamente a patti con lui. Nello specifico, Escobar affiderà a Brances Muñoz (Tyson) la ripresa della campagna terroristica sia contro lo stato, che contro le componenti minoritarie del Cartello di Medellin che non si adeguavano alla sua leadership assoluta. Tra le prime vittime della nuova escalation terroristica ci sarà Myriam Rocio Velez, la procuratrice di Antiochia che indagava sulla regia di Escobar nell’assassinio del giornalista Guillermo Cano, uccisa il 18 settembre. Assassinio a cui la polizia colombiana reagirà colpendo l’apparato sicariale del Cartello di Medellin, abbattendo John Jairo Soto (el-Zarco), e arrestando Sergio Ramirez (el-Pajaro) al culmine di un cruento scontro a fuoco. Importanti colpi che spiazzeranno la rete sicariale del cartello, grazie soprattutto alle informazioni ventilate dai narco-ribelli dei los-Pepes. Pressione trasversale che indurrà importanti sicari come Luis Henao (el-Misil) e Luis Carlos Aguilar (el-Mugre) a costituirsi spontaneamente.

Il 2 ottobre, un razzo lanciato dai los-Pepes colpirà la residenza della madre di Escobar. La pressione crescerà talmente tanto da indurre Pablo Escobar ad acconsentire alla richiesta del fratello Roberto di costituirsi, anche perché al di fuori dalla Catedral il suo carattere era tornato ad essere quello pessimista di un tempo, intimorendo costantemente i membri dell’organizzazione che lo scortavano con la prospettiva di essere uccisi da un momento all’altro. Sarà così che, l’8 novembre, Roberto Escobar si costituirà in compagnia di due dei principali luogotenenti di fiducia del fratello che, un volta reclusi nel carcere di Itagui insieme ai fratelli Ochoa, proveranno a rilanciare i negoziati con le autorità governative per giungere ad una nuova resa negoziata del leader del Cartello di Medellin. La resa di Roberto Escobar irriterà in particolar modo gli Stati Uniti, che evidenzieranno come le auto blindate utilizzate per scortare i narcotrafficanti in carcere fossero state impiegate impropriamente per proteggere i criminali e non le loro vittime.

Roberto Escobar prigione narcos Colombia Cartello Medellin
( Roberto Escobar )

La fase di riassestamento del Cartello di Medellin si svilupperà parallelamente alla faida interna al Cartello della Costa, precedentemente guidato da Josè Rafael Abello (el-Mono), il boss estradato negli Stati Uniti. Nello specifico, l’ala guidata da Jairo Duràn, contigua al Cartello di Medellin, verrà ridimensionata dopo il suo assassinio, organizzato il 10 ottobre dalla fazione guidata da Alberto Orlandez (el-Caracol) e Salomon Camacho, più contigui all’ascendente Cartello del Norte del Valle. Iniziativa a cui il Cartello di Medellin reagirà il 18 novembre assassinando Josè Reinaldo e Sergio Gonzalez, due esponenti della fazione ostile.

I DODICI DEL PATIBOLO

Ben presto, gli insubordinati interni al Cartello di Medellin si ritroveranno costretti a prendere atto della loro incapacità nel fronteggiare il poderoso apparato sicariale di Escobar, certamente indebolito, ma non abbastanza da poterlo batterlo. Arrivati con le spalle al muro, e dinnanzi alla prospettiva di un sicuro massacro, i dissidenti del cartello non esiteranno a chiedere l’aiuto delle autorità: dalla polizia alla giustizia, mettendole nelle condizioni di localizzare i covi ed i depositi dell’organizzazione di Escobar. In particolar modo, Micky Ramirez guiderà una delegazione, composta da 12 boss di medio rango del Cartello di Medellin, con cui negozieranno con il procuratore generale Gustavo De Greiff lo smantellamento dell’organizzazione, fornendo preziosissime informazioni in cambio di sensibili sconti di pena. Il gruppo di collaboratori di giustizia prenderà il nome dei “dodici del patibolo”, a rimarcare il rischio che si stavano assumendo col denunciare Escobar. Ma i dodici non si limiteranno a collaborare con la giustizia, segnalando agli squadroni della morte extragiudiziali della polizia i covi operativi dei sicari di Escobar. Informazioni che permetteranno agli squadroni della morte della polizia di compiere vere e propri stragi in cui perderanno la vita moltissimi giovani dei quartieri popolari di Medellin, a prescindere dai loro effettivi legami con il cartello. Sempre grazie alla collaborazione dei dodici del patibolo, il 28 ottobre, il Blocco di Ricerca riuscirà a localizzare il covo di Brances Muñoz (Tyson), il capo dell’ala terroristica del Cartello di Medellin, uccidendolo mentre era insieme alla moglie al culmine di uno scontro a fuoco. L’eliminazione di Tyson metterà in seria crisi l’apparato sicariale di Escobar, anche per via della lista di obiettivi della sua campagna terroristica rinvenuti nell’abitazione presa d’assalto dalla polizia.

Il 23 novembre, il Cartello di Medellin perderà anche Guillermo Zuluaga (alias Cuchilla), uno dei luogotenenti più fedeli a Escobar, tradito con l’ausilio della sua fidanzata, e portato a Cali dove verrà torturato e ucciso al cospetto dei familiari reduci delle famiglie Galeano e Moncada, accompagnate per l’occasione da Carlos Castaño e Don Berna. Il giorno successivo, la polizia riuscirà ad arrestare a Cartagena Diego Arcila Henao (el-Tomate), che riuscirà a scampare al suo sicuro assassinio, sequestrando un supermarket per negoziare il suo arresto incruento. Fortuna che il 27 novembre non avrà Johny Rivera (el-Palomo), uno dei sicari più efferati al servizio di Escobar, subentrato a Tyson al comando dell’apparato sicariale. Anche el-Palomo verrà localizzato dalla polizia grazie alle indicazioni fornite dai los Pepes, ed ucciso al culmine di 40 minuti di scontro a fuoco a cui prenderà parte persino un blindato delle forze di sicurezza. Nonostante i duri colpi ricevuti, il 2 dicembre, il Cartello di Medellin tornerà a terrorizzare l’opinione pubblica, facendo detonare un autobomba nei pressi di uno stadio.

Il 4 dicembre i sicari di Escobar sequestreranno Lisandro Ospina, il fratello di Rodolfo Ospina (el-Chapulin), nonché nipote dell’ex-presidente Mariano Ospina e della senatrice conservatrice Berta Hernandez. Atto con cui Escobar cercherà di costringere Rodolfo Ospina a ritrattare l’accusa di essere il regista dell’assassinio di Luis Carlos Galan. Ospina, tra l’altro, successivamente alla strage della Catedral, oltre a fornire agli inquirenti moltissime informazioni contro Escobar, si distinguerà per il suo ruolo di facilitatore dell’intesa tra i dissidenti del Cartello di Medellin, i narco-paramilitari del clan Castaño ed i narcos del Cartello di Cali, tenendo personalmente i contatti con Miguel Rodriguez. Successivamente, Ospina diverrà anche un collaboratore della DEA, entrando in un programma di protezione negli Stati Uniti, da dove continuerà a fornire informazioni contro Escobar.

ESCOBAR CALCA LE STRADE DI MEDELLIN

Sebbene braccato, e privato di molti dei suoi luogotenenti di fiducia, Pablo Escobar non esiterà a galvanizzare la sua organizzazione, scendendo personalmente con loro per le strade di Medellin, dove organizzerà numerosi posti di blocco notturni con cui proverà a ribadire il suo controllo criminale sulla città. I testimoni dell’epoca sostengono che Escobar interrogasse i malcapitati, esortandoli a comunicare ai media la loro esperienza. Iniziative finalizzate a diradare le teorie dei suoi nemici che lo volevano nascosto e impaurito. E mentre Medellin ripiombava nuovamente nel caos, la famiglia di Escobar continuerà a condurre la solita bella vita, organizzando feste come quella che la polizia interromperà in un prestigioso condominio della città. In quella circostanza i poliziotti irromperanno ad armi spianate nella residenza degli Escobar, ammanettando gli ospiti, e perquisendo brutalmente il giovane Juan Pablo Escobar, provando a condurlo nella famigerata caserma Carlos Holguin, dove si crede che gli ufficiali del Blocco di Ricerca, coadiuvati dai los-Pepes, torturassero i membri del Cartello di Medellin. Prospettiva a cui il figlio di Escobar verrà sottratto dall’intervento dell’ex-governatore di Antioquia Alvaro Villegas, residente nello stesso palazzo, la cui chiamata alla procura lo salverà da una probabile tortura, costringendo gli agenti a rispettare la legge.

Dinnanzi ai ricorrenti soprusi delle forze di polizia e degli squadroni della morte extra-giudiziali, Escobar reagirà prendendo di mira il capitano Fernando Posada, accusato di uccidere e torturare brutalmente i giovani dei quartieri roccaforte del cartello. Posada che, il 14 dicembre, scamperà ad un’autobomba piazzata dai sicari del cartello, che lascerà a terra alcuni passanti. Fortuna che, tuttavia, non assisterà il capitano la notte del 20 dicembre, quando un convoglio composto da un centinaio di sicari, guidato personalmente da Pablo Escobar, demolirà la sua abitazione, con lui stesso all’interno. I testimoni sostengono che dopo aver demolito l’abitazione con l’ausilio di dinamite, Escobar abbia fatto scavare tra le macerie dell’abitazione per recuperare il capitano, ed ucciderlo personalmente. Addirittura, secondo alcune fonti, al fianco del padre, che avrebbe diretto la demolizione dell’edificio con tanto di megafono, ci sarebbe stato anche il figlio Juan Pablo, sebbene quest’ultimo abbia sempre negato di aver mai partecipato alle attività criminali del padre. A questo macabro episodio si aggiungeranno gli attentati che il 28 dicembre ed il 30 dicembre prenderanno di mira le forze di polizia. Polizia che, tuttavia, sempre grazie alle indicazioni dei los-Pepes, riuscirà ad arrestare prima della fine dell’anno John Jairo Posada (el-Titi), il sicario che con la sua rapina al deposito dei Moncada e dei Galeano aveva innescato la faida interna al Cartello di Medellin. Notizia che Escobar apprenderà mentre trascorreva le festività insieme alla famiglia. Le ultime che avrebbero trascorso insieme.

CONCLUSIONI

Come abbiamo avuto modo di ripercorrere in questa 7° parte, la strategia terroristica con cui Pablo Escobar riuscirà ad abrogare il trattato di estradizione verso gli Stati Uniti gli consentirà anche di godere di condizioni carcerarie al dir poco privilegiate. Il “carcere” in cui otterrà di scontare la sua condanna, in realtà, non era altro che un fortino in cui vivere blindato, al sicuro dai suoi numerosi nemici, in un clima idoneo alla ristrutturazione della sua organizzazione. Si, perché, al netto dei suoi proclami, Escobar non penserà mai di ritirarsi effettivamente dal crimine, giacché ciò lo avrebbe reso un semplice colombiano arricchito, e quindi facilmente eliminabile. Del resto, l’accesso ai privilegi ha sempre un costo, ed il prezzo delle rate si definisce in potere: merce che si deteriora rapidamente per una persona che non si cura di perpetuarlo. Logiche di potere che condizioneranno anche l’amministrazione presieduta da Cesar Gaviria che, andando contro l’establishment liberale, preferirà bloccare la spirale terroristica scatenata dagli Estradabili, anche a costo di scendere a patti con chi solo l’anno prima aveva provato a riservargli la stessa sorte del collega di partito, Luis Carlos Galan. La responsabilità di Gaviria nel negoziato con Escobar è evidenziata dall’affidamento della direzione de la-Catedral al suo capo-scorta, Josè Romero, personaggio invischiato nelle trame correlate alla fine di Galan. Così Gaviria spererà di concludere uno dei capitoli più bui della storia colombiana, accettando di negoziare quell’accordo che l’amministrazione Barco aveva ostinatamente rigettato. Scelta pragmatica, ma non certo unanime, come dimostrato dalla durata dell’accordo trovato. E con ogni probabilità, suggerito dalla necessità di indebolire Escobar, a vantaggio della fazione narco-paramilitare contigua agli ambienti conservatori.

Presidente Colombia Cesar Gaviria Luis Carlos Galan
( Il Presidente Cesar Gaviria con il leader neoliberale Luis Carlos Galan )

Per Escobar, la reclusione a la-Catedral non era solo una questione di comodità, ma soprattutto di sicurezza, giacché vivere in un carcere ordinario, come quello in cui erano stati reclusi i fratelli Ochoa, avrebbe agevolato sicuramente i piani di chi voleva liberarsi della sua ingombrante presenza. Perché, come abbiamo avuto modo di raccontare, il numero di nemici di Escobar non era minimante paragonabile a quello dei relativamente bonari fratelli Ochoa. La nostra meticolosa descrizione de la-Catedral poteva anche essere saltata o abbreviata sensibilmente, ma facendolo non avremmo potuto rendere bene l’idea della portata del negoziato portato a casa da Escobar. Essere reclusi dove si vuole, e protetti, con tanto di contraerea, da chi fino a qualche settimana prima gli dava la caccia era, ed è, semplicemente qualcosa di assurdo. Ma gli effetti di questo scellerato negoziato travalicheranno le maglie elettrificate de la-Catedral, determinando lo scioglimento del Blocco di Ricerca della polizia che, volendo, avrebbe potuto procedere continuare ad operare dando la caccia dei boss dei cartelli di Cali e del Norte del Valle. Ma evidentemente, l’amministrazione Gaviria aveva abdicato al narcotraffico, permettendogli di risommergersi. Scelta che gli Stati Uniti contesteranno aspramente, temendo che l’immenso potere aggregato da questa ascendente élite criminale potesse assumere connotazioni marcatamente politiche, destabilizzando la loro principale baluardo strategico nella regione sudamericana.

Recludendo Escobar, il governo si illudeva di poterne ridimensionarne il potere, controllandolo meglio, per poi eliminarlo agevolmente. Ma tale proposito entrerà in conflitto con la strategia del narcotrafficante, che sfrutterà questo periodo di tregua per riorganizzare il Cartello di Medellin, rimettendo in sesto le disastrate finanze, messe alla prova da una campagna terroristica decennale. Guerra che, tra l’altro, aveva ridimensionato sensibilmente la esportazioni criminali del Cartello di Medellin, a vantaggio dei nemici di Cali, e del piccolo Cartello del Norte del Valle. E sebbene recluso, Escobar riuscirà comunque a risanare le sue finanze, imponendo ai suoi soci di minoranza un pesante tributo economico come gratificazione per averli sottratti ad una sicura estradizione negli Stati Uniti. E per quanto i clan Moncada e Galeano fossero decisamente più ricchi di Escobar, il suo poderoso apparato sicariale basterà a convincerli della necessità di cedere a quello che è forse uno dei primi tentativi posti in essere da un criminale per estorcere altri criminali. Escobar era recluso, ma al netto dei suoi proclami pacifisti, continuava ad esercitare il suo potere criminale senza astenersi dal perseguitare i suoi nemici, come dimostrato dall’assassinio del leader paramilitare Henry Perez. Assassinio che metterà in fermento un po’ tutto il fronte paramilitare, senza, tuttavia, convincere il clan Castaño a rompere con Escobar, sebbene i suoi rapporti con la galassia guerrigliera continuassero imperterriti. Paura condivisa anche dalla cupola del Cartello di Cali che, addirittura, proverà ad offrire un corposo indennizzo per porre fine alla narco-guerra. Offerta, tuttavia, rifiutata da Escobar, il cui giudizio verrà sicuramente influenzato dalla percezione di invulnerabilità fornita da la-Catedral. La differenza tra la sua richiesta e l’offerta di Cali era, infatti, esigua, soprattutto alla luce del volume di affari dei due cartelli. Sicché è più che lecito pensare che i due milioni di differenza tra l’offerta e la richiesta dei due cartelli fossero in realtà un banale pretesto per continuare un conflitto di cui Escobar si sentiva già vincitore. Del resto, il Cartello di Cali non aveva la forza militare di Medellin, e per colpire Escobar avrebbe dovuto superare il cordone di sicurezza garantito dall’esercito colombiano posto a presidio de la-Catedral. Anche se i tentativi di organizzare il bombardamento del penitenziario dimostreranno la volontà di Cali di venire a capo del problema. Dal proseguimento della guerra fredda tra i cartelli di Cali e Medellin trarrà inevitabilmente vantaggio il piccolo Cartello del Norte del Valle guidato da Orlando Henao, abile nel mantenersi equidistante, rubando quote di mercato ad entrambe le organizzazioni, guadagnando silenziosamente potere, come avremo modo di trattare prossimamente.

Le sicurezze di Escobar verranno meno nel giro di un anno, quando i suoi soci cesseranno il conferimento di quanto pattuito. Scelta che non è chiaro se i Moncada e i Galeano abbiano intrapreso autonomamente o indotti dal Cartello di Cali. Ma a prescindere dal reale movente, la loro scelta li metterà nel mirino di Escobar che, tuttavia, cercherà di amministrare la situazione, almeno fino al furto del deposito dei soci. Sviluppo imprevisto che metterà Escobar dinnanzi alla prospettiva di una rivolta, e tra i due infidi soci ed i suoi sicari, el-Patron sceglierà i secondi, disponendo l’epurazione dei clan Moncada e Galeano. In ogni caso, qualsiasi cosa avesse scelto, Escobar, si sarebbe ritrovato comunque dinnanzi ad una crisi drastica, che dal suo punto di vista avrebbe potuto governare solo grazie ai suoi sicari, da qui la logica della sua scelta. Un po’ come il classico dilemma dell’uovo e della gallina, i criminali si interrogano se siano le armi a fare i soldi o il contrario, ed evidentemente Escobar prediligeva la prima opzione. Opzione con cui opererà quello che definirà un “colpo di stato” interno al Cartello di Medellin che, volendo fare un paragone politologico, da regime autoritario si trasformerà in regime totalitario a guida carismatica. Ma come la storia insegna, ad ogni regime corrisponde una resistenza disposta a tutto pur di rovesciarlo, anche scendere a patti con quelli che fino ad ieri erano considerati nemici.

L’assassinio di Moncada e Galeano non verrà ignorato dal governo, giacché i due narcotrafficanti rappresentavano l’ala più pragmatica del Cartello di Medellin, e soprattutto vicina agli ambienti conservatori contigui alla galassia paramilitare. Ambienti che temevano seriamente la possibilità di che Escobar assumesse il controllo del fronte paramilitare, riconciliandolo con quello guerrigliero. Ricetta strategica con cui Escobar avrebbe potuto aggregare abbastanza potere da rottamare l’oligarchia colombiana, perché in un mondo tridimensionale, gli ordini costituiti si rovesciano solo coalizzando due realtà nemiche contro una terza egemone. Escobar, dunque, non poteva essere classificato come una semplice minaccia criminale, giacché assumeva i tratti di una vera e propria insidia strategica, capace di sfidare l’ordine costituito. In un clima altamente polarizzato come quello colombiano, l’idea di mediare la riconciliazione tra conservatori e guerriglieri costituiva un vero pericolo per l’ordine costituito, e a cascata per gli equilibri geostrategici sudamericani. La storia ci dice che Escobar andava fermato perché era un criminale, ma il non detto e la logica suggeriscono che chi perseguiva questo scopo lo faceva soprattutto perchè aveva osato aggregare soldi, armi e strategia per strutturare una formula strategica che l’establishment colombiano, e non solo, non poteva di certo permettersi di tollerare.

Questi elementi strategici ci permettono di comprendere i motivi che abbiano indotto l’amministrazione Gaviria a recedere dagli accordi presi con Escobar solo un anno prima, decidendo di spostarlo da la-Catedral ad un sito di detenzione militare, anche se, nonostante tutte le ipotesi del caso, non è ben chiaro con quale intento. Così come non è chiaro che ruolo abbiano avuto il vice-ministro di giustizia Mendoza, ed il generale Pardo nelle ore antecedenti la clamorosa evasione di Pablo Escobar, convinto di essere vittima di un complotto da cui non sarebbe uscito vivo. Fuga che metterà in crisi il governo Gaviria, la cui autorevolezza, affossata dalla trattativa con Escobar, verrà definitivamente disintegrata dalla sua incredibile evasione. Situazione che costringerà il governo a ripristinare il Blocco di ricerca della polizia, e a chiedere addirittura assistenza agli Stati Uniti, sebbene il trattato di estradizione fosse stato abrogato per via costituzionale solo un anno prima. Ma evidentemente, come Escobar capirà presto, la cooperazione tra Colombia e Stati Uniti non era finalizzata alla sua estradizione, ma bensì alla sua eliminazione, e verosimilmente, i motivi reali potrebbero non essere poi così lontani da quelli che qui azzardiamo ad ipotizzare. Ad ogni modo, questa volta Escobar non avrebbe lottato per non farsi estradare, ma per non farsi eliminare. Proposito a cui presteranno collaborazione anche i dissidenti del Cartello di Medellin, sia sul piano giudiziario che su quello meramente criminale. Dissidenti che affidandosi alla leadership dei narco-paramilitari del clan Castaño, daranno vita all’organizzazione “Perseguidos por Pablo Escobar” (Los-Pepes), con cui collaboreranno a vario titolo sia i narcos del Cartello di Cali, che i settori deviati della politica e della polizia colombiana, passando per gli Stati Uniti. Tutte realtà che per motivi diversi si ritrovavano disposte a tutto pur di eliminare una singola persona: Pablo Escobar, divenuto un incubo strategico trasversale. Questa alleanza trasversale fornisce la misura della pericolosità raggiunta da questo individuo, non certo a torto definito il più grande criminale di tutti i tempi. Storia la cui parabola si esaurirà nel 1993, come avremo modo di raccontare nel nostro prossimo capitolo di questo focus, probabilmente dilungatosi troppo, ma che siamo sicuri che chi legge troverà quantomeno interessante, soprattutto per gli elementi ed i dettagli inediti divulgati in questo singolare focus sui narcos colombiani.