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I NARCOS COLOMBIANI (8° Parte)

Il 1993 si aprirà con una serie di attentati contro alcuni giudici colombiani, bersagliati dai sicari del Cartello di Medellin. Sempre a gennaio, la polizia arresterà Leonidas Vargas, uno dei soci preminenti di Josè Gonzalo Rodriguez Gacha (el-Mexicano), individuato all’interno di un casinò della località turistica di Cartagena. Il 12 gennaio, i poliziotti del Blocco di Ricerca riusciranno ad uccidere Juan Carlos Ospina (alias el-Enchufe), uno dei principali sicari rimasti leali a Pablo Escobar. Il 16 gennaio, saranno invece Fredy e Oscar Gonzalez, i fratelli di Otoniel Gonzalez (Otto), uno dei principali luogotenenti di Escobar, a cadere sotto i colpi dai sicari dei “los-Pepes” (Perseguidos Por Pablo Escobar). Durante questo turbolento periodo, Pablo Escobar vivrà cambiando continuamente rifugio, portandosi dietro la sua famiglia. Addirittura, alcune fonti sostengono che, in un’occasione, il narcotrafficante abbia persino bruciato due milioni di dollari solo per scaldare la famiglia all’interno di uno dei suoi covi di fortuna, anche se quest’episodio è ritenuto da alcuni come una leggenda metropolitana esplicativa della condizione contraddittoria vissuta dal boss di Medellin. E sempre rimanendo in ambito di leggende, si narra di come Escobar sia scampato più volte all’arresto, occultandosi all’interno dei rifugi bunker allestiti all’interno dei suoi covi, condividendo lo stesso tetto con gli ignari ufficiali che li perquisivano. Ma per quanto Escobar fosse ricco, ed i suoi covi fossero ricolmi di armi e denaro, in realtà scontava una grave crisi di liquidità, avendo gran parte delle sue ricchezze collocate all’estero o investite in bene di alto valore come abitazioni, terreni, automobili, gioielli ed opere d’arte. Beni peraltro intaccati dai suoi nemici, come nel caso della sua prestigiosa collezione di auto d’epoca e sportive, dal valore di svariati milioni di dollari, bruciate nel corso di un raid dei los-Pepes.

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( Pablo Escobar gareggia con una delle sue Porsche )

ESCOBAR DIALOGA CON LA PROCURA

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( Pablo Escobar )

Il 15 gennaio, mentre in Italia veniva arrestato Toto Riina, Pablo Escobar inviava una lettera al Procuratore generale della nazione, Gustavo De Greiff. Lettera in cui evidenzierà la propria disponibilità a ricostituirsi, ma a condizione di essere recluso nel carcere di Itagui, il penitenziario vicino alla sua Medellin dove erano reclusi i fratelli Ochoa, prospettando la disponibilità a collaborare allo smantellamento del narcotraffico in Colombia. Nella lettera, Escobar non mancherà di contestare al procuratore la parzialità con cui le autorità perseguivano il Cartello di Medellin, marginalizzando i suoi nemici del Cartello di Cali che, a differenza sua, non apparivano nelle locandine dei ricercati in cui lui ed i suoi accoliti apparivano regolarmente in televisione. Sempre nella lettera, il boss di Medellin contesterà aspramente la mancata persecuzione dei fratelli Castaño, sebbene fossero responsabili di numerose stragi ai danni di campesinos e politici considerati contigui al partito filo-guerrigliero dell’Union Patriotica. Escobar accuserà i Castaño di aver collaborato attivamente all’assassinio di importanti personalità politiche in collaborazione con apparati deviati dello stato, denunciando la loro intenzione di uccidere il leader liberale Ernesto Samper, considerato troppo aperto al dialogo con le forze di sinistra. Tra le sue accuse, Escobar non mancherà di evidenziare come la polizia sorvolasse sistematicamente sui crimini e le torture commesse dai suoi ufficiali, calpestando impunemente ogni norma etica e umanitaria. Nella lettera, Escobar esprimerà la propria stima per l’impegno umanitario del presidente americano Bill Clinton, auspicando un suo impegno per accogliere la sua famiglia negli Stati Uniti, in cambio di una sua collaborazione nel processo di pacificazione colombiano. Escobar, infatti, proverà in tutti i modi a convincere il governo colombiano a negoziare una sua nuova resa, riprendendo i contatti con Luis Alberto Villamizar, nel frattempo nominato ambasciatore colombiano in Olanda, il quale, tuttavia, metterà a conoscenza Escobar dell’indisponibilità categorica del presidente Cesar Gaviria a trattare nuovamente con lui, rimarcando come anzi pressasse i militari per ucciderlo, anziché arrestarlo.

L’ALLEANZA TRASVERSALE ANTI-ESCOBAR

E proprio grazie allo schermo politico dell’amministrazione Gaviria che i poliziotti del Blocco di Ricerca continueranno a pressare con ogni mezzo possibile, sia lecito che non, l’organizzazione del Cartello di Medellin. Mandato a carta bianca che permetterà agli ufficiali Hugo Martinez, Danilo Gonzalez e Hugo Aguilar di condurre una lotta senza quartiere e senza riserve contro l’infrastruttura militare di Escobar. Le attività del Blocco di ricerca, infatti, si alterneranno tra una dimensione legale ed una decisamente meno. Per quanto concerne la sfera legale, basta considerare le meticolose attività di intercettazione, agevolata anche da tecnici e costosissime attrezzature fornite dagli Stati Uniti, ma che alcune fonti sostengono fossero state finanziate e indirettamente fornite dal facoltoso Cartello di Cali. A tal proposito, Gilberto Rodriguez sostiene di aver raccolto circa 500 cassette di intercettazioni riconducibili a Pablo Escobar, condividendone i contenuti con le autorità, salvo limitarne la condivisione dopo che le fughe di notizie con cui le talpe del Cartello di Medellin indurranno l’organizzazione di Escobar a comunicare tramite pizzini.

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( Il colonnello Danilo Gonzalez )

La dimensione meno legale verrà, invece, amministrata in particolar modo dal colonnello Danilo Gonzalez, fautore di una spregiudicata, ma discreta, strategia di collaborazione con i los-Pepes. Il colonnello Gonzalez, infatti, si incontrerà regolarmente con Carlos Castaño e Diego Murillo (Don Berna), grazie alle cui informazioni riuscirà a fare terra bruciata attorno alla cerchia di potere di Pablo Escobar. Nonostante il loro background criminale, Castaño e Don Berna frequenteranno assiduamente la caserma “Carlos Holguin”, la base operativa del Blocco di Ricerca, dove in più di un’occasione avrebbero partecipato alle agghiaccianti torture riservate agli esponenti del Cartello di Medellin catturati nel corso di operazioni di polizia congiunte con i los-Pepes. Addirittura, alcune fonti parlano di veri e propri voli della morte al culmine dei quali i luogotenenti di Escobar venivano scaraventati dai poliziotti fuori dagli elicotteri all’interno della giungla colombiana. Per tal ragione, i los-Pepes verranno un po’ considerati alla stregua di un Blocco di Ricerca occulto, autorizzato informalmente a partecipare alle pattuglie della polizia, assumendosi l’onere di tutto quello che era sconveniente operare a chi indossasse una divisa, a cui spesso capitava di assistere al compimento di reati che avrebbero avuto il dovere di prevenire ed impedire.

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( Il generale Hugo Martinez )

Questa scellerata alleanza tra poliziotti e criminali sarà alla base dei numerosi successi con cui il Blocco di Ricerca riuscirà a scardinare con successo e rapidità l’infrastruttura sicariale di Escobar, peraltro provata da una crisi finanziaria e organizzativa aggravata dall’eliminazione del Mexicano, di Gustavo Gaviria, di John Jairo Arias (Pinina) e dei los-Priscos, oltre che dalla faida con i los-Pepes che aveva determinato l’implosione del Cartello di Medellin. Queste violazioni dei diritti umani verranno denunciate da Pablo Escobar nel corso di un’intervista alla radio, in cui accuserà il generale Hugo Martinez di essere un terrorista di stato colluso con i los-Pepes, e che non mancherà di minacciare, ipotizzando di piazzare un’autobomba contro la sua famiglia. Accuse di collusione con i Pepes peraltro evidenziate come verosimili da un cablo del responsabile locale della DEA, Joe Toft. Dinamiche riportare anche dagli agenti della DEA, Javier Peña e Steve Murphy, i cui movimenti a Medellin sarebbero stati garantiti in più di un’occasione da Don Berna, da cui, in una delle ricorrenti circostanze, Peña , avrebbe persino ricevuto un costoso orologio d’oro che, tuttavia, pare abbia accettato solo per non contraddire il temuto boss, consegnandolo successivamente ai propri superiori. Tra l’altro Alfonso Martinez, il fratello di Hugo Martinez, pare sia stato una vecchia conoscenza di Carlos Castaño, che avrebbe conosciuto durante il suo periodo di addestramento in Israele. Per la cronaca, Alfonso Martinez verrà ucciso dai sicari di Escobar molto tempo prima, rendendo così Hugo Martinez uno dei suoi nemici più risoluti.

LO PERSECUZIONE DELLA RETE DI ESCOBAR

La collaborazione tra polizia e los-Pepes contribuirà a strutturare in Carlos Castaño la convinzione di essere un vero e proprio ufficiale sotto copertura dell’esercito colombiano, guidando personalmente, spesso insieme a Don Berna, le operazioni dei los-Pepes alla stregua di operazione condotte da forze speciali, mentre il fratello Fidel preferirà esercitare la propria leadership sull’organizzazione dalla sua roccaforte di Cordoba, ben lontano dalla pericolosa Medellin. I testimoni dell’epoca sostengono che Carlos Castaño persuadesse i membri del Cartello di Medellin ad abbandonare Escobar ponendo la perentoria domanda: “con Pablo o contro Pablo?”. Filosofia che lo ha indotto a sostenere che dal Presidente Gaviria in giù, tutta la Colombia fosse parte dei los-Pepes. E mentre i sicari di Escobar venivano decimati dai los-Pepes, sul piano giudiziario venivano spiccati mandati di cattura anche contro i suoi ultimi faccendieri, come i fratelli Londoño, gli storici referenti politici del Cartello di Medellin.

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( Carlos Castaño )

Le continue operazioni della Polizia colombiana si estenderanno anche contro Alberto Orlandez, il boss del Cartello della Costa, fautore dell’allineamento con l’ascendente Cartello del Norte del Valle, arrestato il 27 gennaio 1993. Ad ogni modo, malgrado le iniziative della Polizia, il Cartello di Medellin continuerà la propria strategia terroristica, rendendosi responsabile dell’attentato che il 30 gennaio scuoterà la capitale Bogotà, provocando numerose vittime civili. Il giorno successivo, saranno invece i los-Pepes a prendere l’iniziativa, demolendo una delle residenze della madre di Escobar. Attacco a cui il Cartello di Medellin reagirà a sua volta con una nuova ondata di attentati terroristici che, ancora una volta, faranno strage di civili. Ma la crescente pressione della polizia, ben indirizzata dalle frequenti delazioni dei los-Pepes, metterà sempre più alle strette l’ala militare di Escobar, inducendo Carlos Alzate (el-Arete), l’esponente di punta dell’apparato sicariale del Cartello di Medellin, a costituirsi il 16 febbraio, seguito pochi giorni dopo da Guillermo Diaz, uno degli esplosivisti dell’organizzazione. Malgrado questi arresti, la polizia colombiana continuerà a temere le iniziative del Cartello di Medellin, prendendo in seria considerazione l’ipotesi dell’uso di un aereo carico di dinamite da parte dei sicari di Escobar.

Pressione divenuta così intensa da indurrà i figli di Pablo Escobar ad abbandonare il paese, provando a rifugiarsi nuovamente negli Stati Uniti. Il 19 febbraio, il giovane Juan Pablo Escobar, accompagnato dalla fidanzata, proverà ad imbarcarsi su un volo diretto a Miami, finendo, tuttavia, per essere bloccato all’aeroporto dalla polizia, coadiuvata dall’agente della DEA Javier Peña. In quella circostanza, solo la presenza delle telecamere della stampa riuscirà a moderare l’aggressività dei poliziotti, che riusciranno ad impedire l’imbarco del figlio del narcotrafficante sul volo diretto negli Stati Uniti, esigendo la presenza di entrambi i genitori per lasciare il paese, illudendosi di poter stanare così il leader del Cartello di Medellin. Il timore che tra la folla dell’aeroporto si fossero infiltrati esponenti dei los-Pepes, indurrà i sicari di scorta ai due giovani a noleggiare un elicottero per dileguarsi rapidamente in tutta sicurezza, raggiungendo in tutta sicurezza uno dei covi di Escobar. I giorni successivi al mancato espatrio di Juan Pablo Escobar, i luogotenenti del padre continueranno a cadere vittime dei raid del Blocco di Ricerca o dei los-Pepes. Iniziative a cui il Cartello di Medellin reagirà, il 26 febbraio, con un nuovo attentato terroristico. Due giorni dopo, saranno i los-Pepes a riprendere l’iniziativa, prendendo d’assalto, dandola alle fiamme, l’abitazione di Diego Londoño, uno dei faccendieri politici di spicco del Cartello di Medellin, fuggito direttamente a costituirsi presso una caserma militare, preferendola ad una della polizia, dove il rispetto dei diritti umani era decisamente meno garantito. Il 28 febbraio, si costituirà Josè Posada, uno dei faccendieri finanziari del Cartello di Medellin, responsabile del pagamento dei sicari e dell’organizzazione delle rotte narcos. Il 1 marzo, invece, i los-Pepes riusciranno a prelevare dalla sua abitazione Luis Londoño, il fratello di Diego, ritrovato poco dopo senza vita con addosso uno dei soliti cartelli con cui l’organizzazione rivendicava l’assassinio dei propri nemici, in modo da terrorizzare i luogotenenti rimasti leali a Escobar.

Il 2 marzo, Pablo Escobar invierà una lettera all’ambasciata degli Stati Uniti, in cui prenderà le distanze dall’attentato delle torri gemelle di New York del 26 febbraio. L’inizio di marzo sarà fatale per Hernan Henao (H.H), il cugino della moglie di Escobar, divenuto il capo dell’apparato sicariale dopo l’abbattimento di Brances Muñoz (Tyson). H.H verrà ucciso nei pressi della sua abitazione nel corso di un blitz del Blocco di Ricerca, secondo alcune fonti, discretamente coadiuvato dai los-Pepes. Notizia che indurrà altri importanti sicari a costituirsi, sentendosi ormai braccati. Altri, invece, verranno arrestati, come nel caso di Hugo Jaramillo, uno dei faccendieri al servizio di H.H, bloccato nella città di confine di Cucuta mentre tentava di fuggire nel vicino Venezuela. Altri ancora verranno uccisi, come Raul Zapata, uno dei legali al servizio del Cartello di Medellin, raggiunto dai sicari dei los-Pepes. Colpi a cui l’organizzazione di Escobar risponderà il 15 marzo con un nuovo attentato terroristico. Ma non mancheranno i caduti anche tra le fila dei los-Pepes, come nel caso di Pablo Correa, uno dei soci storici di Escobar, il cui tradimento verrà punito con un agguato che il 5 marzo porrà fine alla sua vita. Il 31 marzo a perdere la vita sarà Lisandro Ospina, il nipote dell’ex-presidente colombiano Mariano Ospina e della senatrice Bertha Hernandez, ucciso dai sicari di Escobar all’interno del covo in cui era detenuto al culmine di un blitz con cui la Polizia intendeva liberarlo. Epilogo che vanificherà il negoziato con cui suo fratello Rodolfo Ospina (el-Chapulin) stava trattando a ribasso il riscatto per la sua liberazione, sperando di sottrarlo ai problemi conseguenti alla sua collaborazione giudiziale. El-Chapulin, (traduzione per la-Cavalletta), esponente dell’ala dissidente del Cartello di Medellin, pur chiedendo senza successo alla DEA il permesso di tornare in patria per vendicarsi di Escobar, non mancherà di suggerire ai suoi sodali criminali la necessità di smantellare la sua rete finanziaria, uccidendone gli avvocati, i commercialisti ed i familiari.

I PIANI GUERRIGLIERI DI ESCOBAR

Il 29 aprile, Pablo Escobar manderà una nuova lettera al Procuratore generale della nazione, Gustavo De Greiff, in cui lo esorterà a perseguitare i los-Pepes al pari della sua organizzazione, segnalandone l’indirizzo del loro quartier generale all’interno del palazzo di Motecasino di Medellin, la lussuosa e macabra residenza dei fratelli Castaño, all’interno di cui si torturavano e uccidevano i suoi luogotenenti. Escobar annuncerà poi anche l’intenzione di costituire un proprio gruppo guerrigliero anti-oligarchico denominato “Antioquia Rebelde”, con cui intendeva rilanciare i sentimenti autonomisti della regione. Proposito politico che Escobar stava valutando insieme ad un guerrigliero meglio noto con l’alias di Lucio “el-miliciano”, grazie alla cui mediazione pianificava di integrarsi alla guerriglia, organizzando una propria milizia tra le montagne colombiane con cui confidava di ottenere dal governo trattamento politico. Tesi confermata anche da Diego Murillo (Don Berna), secondo cui Escobar avrebbe incontrato anche Milton Hernandez, un noto esponente dell’ELN, per strutturare un movimento guerrigliero nell’oriente antioqueño. Più avanti, Escobar concederà anche un’intervista telefonica in cui prenderà le distanze dai massacri paramilitari, sostenendo di non avere interessi economici nelle aree dove avvenivano. Nel corso dell’intervista rivendicherà la sua equidistanza politica, rigettando le categorie di destra e sinistra, ed evidenziando come le buone idee siano tali a prescindere dall’estrazione politica di chi le avanza. Al giornalista sosterrà poi di essere stato sempre aperto al dialogo con il governo per evitare conflitti che, a suo dire, derivavano dalla mancanza di un dialogo privo di precondizioni. Infine, a riguardo del suo status di narcotrafficante, ribadirà come il suo fosse un business criminale transitorio che prima o poi le autorità avrebbero legalizzato.

LA FEROCE PERSECUZIONE DEI LOS PEPES 

E mentre il 14 aprile in Italia si registrava il fallito attentato di via Fauro, il giorno successivo il Cartello di Medellin tornerà a colpire la città di Bogotá. Attentato a cui i los-Pepes risponderanno, sequestrando uno degli avvocati di Escobar, ucciso brutalmente insieme al figlio minorenne, facendoli ritrovare all’interno del bagagliaio di un’auto con addosso il solito macabro cartello di rivendicazione. L’efferatezza con cui i los-Pepes torturavano i consulenti di Escobar, indurrà molti dei suoi legali a rimettere il mandato, notificando pubblicamente la loro decisione. Anche all’interno dei penitenziari colombiani il clima muterà parecchio, come il 7 maggio, quando Jorge Velasquez (el-Navegante), il traditore responsabile della fine del Mexicano, scamperà ad un tentativo di assassinio commissionato da Leonidas Vargas, intenzionato a vendicare il socio, intascando la taglia da un milione di dollari emessa sulla sua testa. Attentato che indurrà le autorità colombiane a trasferirlo in un penitenziario di Cali, al sicuro dai suoi nemici.

Il 17 maggio, un commando dei los-Pepes sequestrerà, all’interno di un ristorante di Medellin, Nicolas Escobar, il figlio di Roberto Escobar. Nicolas Escobar sostiene che durante il suo rapimento l’auto su cui verrà caricato a forza attraverserà impunemente un posto di blocco della polizia, agevolando la realizzazione del suo sequestro. Nicolas Escobar sostiene di essere stato portato a Montecasino, la sfarzosa villa dei fratelli Castaño, al cospetto dei quali sarebbe stato torturato per alcune ore con scariche elettriche, assistendo alla brutale eliminazione delle sue scorte. Attraverso la tortura i Castaño, coadiuvati da Don Berna e un agente corrotto della polizia non meglio identificato, avrebbero cercato di strappare informazioni utili alla localizzazione di Escobar. Una volta appresa la notizia del rapimento, Pablo Escobar avrebbe contattato i suoi intermediari governativi, minacciando di estendere la guerra ai familiari dei politici e degli alti ufficiali in caso di mancato rilascio del nipote. Minacce che avrebbero sortito l’effetto sperato, portando all’immediata liberazione di Nicolas Escobar, condotto poco dopo al suo cospetto dove, prima di congedarsi per l’ultima volta, verrà interrogato su quanto successogli. Liberazione che, a detta di Juan Pablo Escobar, lascerà molto perplesso il padre, dal momento che nessuno di quelli che finivano tra le mani dei los-Pepes era mai riuscito a tornare indietro per raccontare l’esperienza.

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( Diego Murillo “Don Berna” )

Il 25 maggio, due giorni prima della strage di via dei Georgofili in Italia, Escobar attraverserà a cavallo le montagne di Medellin, aggirando i posti di blocco della polizia solo per festeggiare per l’ultima volta il compleanno dell’amata figlia Manuela. Incontro irto di pericoli, come dimostrato dai numerosi agguati perpetrati dai los-Pepes, come quello che il 3 giugno porrà fine alla vita di Carlos Henao, uno dei fratelli della moglie di Escobar, ucciso sebbene fosse ritenuto estraneo ai suoi traffici criminali. Sempre a giugno, i fratelli di Pablo Escobar, Luz e Argemiro, riusciranno ad espatriare rifugiandosi in Costa Rica insieme alle rispettive famiglie, mentre il nipote Nicolas Escobar riuscirà a rifugiarsi in Cile, da dove, tuttavia, verrà espulso poco dopo, su pressioni statunitensi, riuscendo a spostarsi prima in Germania, e dopo in Spagna, dove si stabilirà insieme alla sua compagna. Via di fuga che, invece, verrà preclusa alla famiglia di Pablo Escobar, il cui tentativo estivo di raggiungere il Perù verrà frustrato dal governo di Lima presieduto da Alberto Fujimori.

L’AMBIGUO RUOLO DEL PROCURATORE DE GREIFF

A luglio, Roberto Escobar attiverà un canale negoziale informale con il Procuratore generale della nazione, Gustavo De Greiff, con cui discuterà la possibilità di recludere il fratello Pablo all’interno del penitenziario di Itagui, in cui egli stesso era detenuto insieme ai fratelli Ochoa. Negoziato che progredirà timidamente a causa della reciproca ritrosia a fidarsi l’uno dell’altro. Tuttavia, va segnalata la nota che in quel periodo De Greiff invierà all’ambasciatore americano, evidenziando il possesso di prove sufficienti a giustificare l’arresto del generale Hugo Martinez e degli altri ufficiali del Blocco di ricerca, sulle cui teste si addensavano pesantissime accuse che andavano dalla corruzione alla violazione dei diritti umani, passando per reati come la tortura, l’assassinio ed il favoreggiamento del narcotraffico. Accuse gravissime che, se ufficializzate, avrebbero inevitabilmente travolto il governo colombiano, sul cui tacito assenso poggiava la scellerata alleanza tra i poliziotti del Blocco di Ricerca e i los-Pepes. Dal canto suo, il Presidente Cesar Gaviria si scontrerà risolutamente contro il procuratore De Greiff, continuando a schermare il Blocco di Ricerca, giacché l’eventuale arresto di Martinez, oltre a favorire l’immagine di Escobar come perseguitato, avrebbe inesorabilmente suscitato uno scandalo che avrebbe delegittimato il suo governo, alienandogli il supporto delle forze armate e dell’oligarchia. In quel frangente, gli sforzi di Gaviria riusciranno a bloccare l’arresto del generale Martinez, ottenendo da De Greiff di posticipare le indagini sul suo conto. Decisione su cui inciderà parecchio l’influenza dell’ambasciata statunitense, che in Martinez vedeva l’unico ufficiale in grado di contrapporsi senza mezze misure alla minaccia costituita da Pablo Escobar. Da lì in avanti, gli Stati Uniti inizieranno a diffidare di De Greiff, soprattutto dopo la sua partecipazione ad un convegno universitario sulla depenalizzazione dell’uso degli stupefacenti, tenutosi nel mese di maggio. Posizioni discutibili che metteranno in imbarazzo l’amministrazione Gaviria, che su pressione americana prenderà le distanze, subito dopo la mozione di censura avanzata dal Parlamento colombiano. L’approccio ambiguo di De Greiff nei confronti dei narcos verrà evidenziato anche dal blocco delle indagini contro Orlando Henao, il boss del Cartello del Norte del Valle, disposto nel mese di novembre per mancanza di prove.

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( Il Procuratore generale colombiano Gustavo De Greiff )

Il degrado del suo potenziale sicariale, indurrà Escobar a rimodulare la propria strategia, emulando quella dei propri avversari, iniziando a denunciare alle autorità le loro condotte criminali. Il 2 luglio, infatti, il recluso Carlos Alzate (el-Arete) muoverà pesantissime accuse contro i fratelli Castaño, evidenziando il loro background narco-paramilitare e le loro responsabilità nella campagna di sterminio scatenata contro le personalità politicamente contigue alla guerriglia. In particolar modo, Alzate si autoaccuserà di aver collaborato proprio con i Castaño all’organizzazione della strage del volo Avianca-203.

LA NEUTRALITA’ DEL CLAN OCHOA 

Ben presto, i livelli di efferatezza raggiunto dal conflitto tra il Cartello di Medellin e i los-Pepes indurranno Jorge Ochoa, detenuto nel carcere di Itagui, ad intervenire per tentare di raggiungere un compromesso tra le parti. Nello specifico, verso la fine di agosto, Jorge Ochoa prenderà contatti con Fidel Castaño, sostenendo che l’imbarbarimento del confronto non avrebbe fatto altro che inasprire inutilmente il conflitto. Ma nell’assumere questa posizione, Ochoa non mancherà di rimarcare la propria neutralità, proclamandosi estraneo all’iniziativa con cui Escobar aveva deciso di eliminare Fernando Galeano e Gerardo Moncada, arrivando a sostenere di essersi salvato dalla mattanza solo perché già recluso. Dal canto suo, Fidel Castaño, pur condividendo con il suo vecchio socio l’idea che il conflitto andasse a vantaggio del governo e a loro detrimento, evidenzierà come sostenere la strategia stragista di Escobar fosse stato un errore che lui, a contrario suo, aveva capito bene, prendendo le distanza dalla sua organizzazione. Fidel Castaño non mancherà poi di contestare a Jorge Ochoa le denunce che il suo clan aveva mosso contro di lui, intimandogli di ritirarle, se non voleva essere trattato alla stregua di Escobar. Fidel Castaño, inoltre, contesterà al clan Ochoa il sostegno finanziario e logistico che continuava a garantire ad Escobar, mettendo in dubbio la loro posizione neutrale nel conflitto. Neutralità che nei fatti sarà effettiva, perché se è vero che il clan Ochoa continuerà a finanziare sottotraccia Escobar, non mancherà comunque di fornire altrettanto discretamente informazioni ai los-Pepes, mantenendo un precario equilibrio tra le due parti. Addirittura, secondo Nicolas Escobar, i rapporti tra lo zio e gli Ochoa si sarebbero degradati dopo aver appreso come la famiglia dei suoi vecchi soci passasse sporadicamente informazioni circa i suoi spostamenti a Medellin. Ad ogni modo, l’incolumità degli Ochoa verrà garantita soprattutto da vecchi soci epurati dal Cartello di Medellin come Mauricio Restrepo, secondo cui uccidere i loro vecchi amici non li avrebbe resi poi così diversi da Escobar. E sempre su mediazione di Restrepo che le donne del clan Ochoa verranno ricevute dai nemici del Cartello di Cali, per ribadire il loro status neutrale nel conflitto. Dinamiche di cui verrà a conoscenza lo stesso Escobar, che in un comunicato contesterà il tentativo del clan Castaño di strumentalizzare persone leali come Jorge Ochoa. E del resto, persino Carlos Castaño riteneva che i fratelli Ochoa fossero delle persone bonarie che in passato avevano più volte provato a moderare la condotta di Escobar. Tra l’altro, a detta di Juan Ochoa, suo fratello Jorge avrebbe provato fino all’ultimo di mediare una nuova resa di Escobar.

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( Pablo Escobar e Jorge Ochoa )

ESCOBAR NEGOZIA LA SICUREZZA DELLA SUA FAMIGLIA

Il 6 ottobre l’organizzazione di Escobar perderà Alfonso Puerta (el-Angelito), l’ultimo suo luogotenente di peso rimasto a piede libero. A Puerta era stato, infatti, affidato l’incarico di riorganizzare l’apparato sicariale del Cartello di Medellin, pianificando una nuova serie di sequestri eccellenti. Incarico che “el-Angelito” non riuscirà a portare a termine perché intercettato dalla polizia mentre consegnava del denaro al fratello, sebbene Escobar lo avesse esortato a limitare gli spostamenti non necessari. Quel giorno, al netto della taglia da 20 milioni di dollari che gravavano sulla sua testa, Pablo Escobar si riscoprirà solo, vulnerabile, e soprattutto, per la prima volta, nelle condizioni di non poter nuocere a nessuno. In quella nuova condizione, Escobar abbozzerà un ultimo tentativo di resa negoziata, accettando di essere recluso in un carcere ordinario, a condizione di poter incontrare la propria famiglia due volte a settimana e di godere di una cucina dove prepararsi i suoi pasti, per non rischiare di essere avvelenato dai suoi nemici. Condizioni che, tuttavia, il governo rigetterà categoricamente, esigendo la sua resa incondizionata, sebbene il procuratore generale Gustavo De Greiff avesse lasciato aperti alcuni margini di trattativa. De Greiff, infatti, continuerà a contestare all’amministrazione Gaviria l’eccessiva indulgenza della Polizia nei confronti dei los-Pepes, e l’aver trasformato la cattura di Escobar in una campagna di assassini mirati.

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( Pablo Escobar in compagnia della sua famiglia )

I negoziati informali tra Escobar e la procura generale si svilupperanno mentre il narcotrafficante si nascondeva a Medellin insieme alla sua famiglia. Il 5 settembre, gli Escobar festeggeranno, come un po’ tutto il paese, la storica vittoria della Colombia sull’Argentina, valevole per la qualificazione ai mondiali di calcio USA 94. Vittoria che festeggeranno in un tenore distantissimo dai fasti di qualche anno fa, poiché, a detta di Juan Pablo Escobar, pur avendo a disposizione con loro ben 4 milioni di dollari in contanti, spesso si ritrovavano con la credenza vuota, giacché nella loro condizione di ricercati fare regolarmente la spesa poteva rivelarsi fatale. Addirittura, Juan Pablo Escobar sostiene che per andare ad incontrare il padre venisse bendato per non apprendere l’indirizzo dei suoi covi, così da non essere nelle condizioni di rivelarlo sotto tortura. Ad ogni modo, giorni dopo quest’episodio, il 18 settembre, la routine di Escobar verrà spezzata dall’arrivo di una lettera in cui uno dei suoi legali gli riportava la disponibilità della procura a prendere in custodia la propria famiglia, garantendole un’abitazione costantemente scortata dalla polizia. Escobar ottenne così la possibilità di schermare la propria famiglia dalla guerra totale in cui si era cacciato, anche se faticherà non poco a convincere la moglie a lasciare il covo, evidenziandole come la loro quotidianità potesse essere interrotta da un momento all’altro da un assalto nemico. Escobar rinuncerà suo malgrado alla sua famiglia, istruendo la moglie ad approfittare delle circostanze per espatriare, autorizzandola addirittura a sposarsi con uno straniero per ottenere la cittadinanza del paese ospitante, garantendole l’intenzione di riunirsi a lei nel caso fosse riuscito a sopravvivere a quella situazione disperata. Quella stessa sera, un costernato Escobar si congederà per l’ultima volta dalla sua famiglia, accompagnandola fino a pochi isolati dall’edificio in cui sarebbe stata presa in custodia dalla Polizia. Insieme alle ultime raccomandazioni, Escobar consegnerà alla moglie Maria Victoria Henao anche una lista delle basi operative dei los-Pepes da fornire alla procura, che così non avrebbe potuto più dire di non sapere da dove iniziare a perseguirli. I negoziati permetteranno così ad Escobar di mettere in salvo la cosa più cara che aveva, ovvero la sua famiglia, anche a costo di esporsi al rischio di essere intercettato. Cosa che avverrà il 12 ottobre, quando rischierà di essere arrestato dal Blocco di Ricerca che, tuttavia, non riuscirà a triangolare bene una sua telefonata intercettata, prendendo d’assalto l’edificio sbagliato.

Malgrado il drastico ridimensionamento dell’apparato militare di Escobar, i suoi ultimi sicari riusciranno comunque ad abbattere i traditori passati tra le fila dei los-Pepes, come nel caso Guillermo Blandon, ucciso a Bogotà il 26 novembre. Nonostante la ricerca di Escobar monopolizzasse le attenzioni del Blocco di Ricerca e dei los-Pepes, il 26 novembre avranno modo di organizzare un raid congiunto contro Camilo Zapata, un brutale ed efferato narcotrafficante di Bogotá, colluso con la fazione del Cartello di Medellin del Mexicano. La fine di Zapata verrà commissionata dal suo acerrimo nemico Leonidas Vargas, che per uccidere l’assassino della figlia avrebbe versato 3 milioni di dollari al commando misto Polizia-Pepes, coordinato dal clan Castaño. La cooperazione tra Vargas e i los-Pepes pur avendo fondamento economico, in realtà celava anche un accomodamento che avrebbe sottratto a Escobar un altro importante socio. Secondo alcune fonti, i 3 milioni di taglia verranno incassati da Fidel Castaño, senza, tuttavia, redistribuirli né ai suoi sottoposti, né ai poliziotti del Blocco di Ricerca. L’avarizia di Fidel Castaño era infatti proverbiale all’interno del Cartello di Medellin, e ciò era motivo d’attrito con il fratello minore Carlos.

Leonidas Vargas Cartello Medellin narcos Colombia
( L’arresto di Leonidas Vargas )

LA FAMIGLIA ESCOBAR OSTAGGIO DELLE ISTITUZIONI

Una volta presa in custodia dalla Polizia, la famiglia di Escobar si adopererà per lasciare la Colombia, individuando nella Germania la località ideale dove rifugiarsi. Intento che gli Escobar concretizzeranno il 27 novembre, imbarcandosi su di un volo diretto a Francoforte, su cui, tuttavia, si imbarcheranno discretamente anche alcuni agenti colombiani in borghese. Il governo di Bogotá, infatti, era ben consapevole di come la sicurezza della sua famiglia fosse diventato motivo di forte condizionamento per il narcotrafficante, e per tale motivo farà di tutto per mantenerla all’interno del paese, esercitando, insieme agli Stati Uniti, tutta la pressione necessaria a convincere la Germania a rimpatriarli per direttissima. E sebbene gli Escobar si fossero recati in Germania con visto turistico, dopo essere stati bloccati ed interrogati per un giorno intero dall’Interpol, verranno espulsi dal paese come “personae non gratae”, nonostante avessero evidenziato il pericolo di essere perseguitati in caso di ritorno in Colombia. Ufficialmente la Germania si giustificherà sostenendo di non voler diventare un rifugio per narcotrafficanti. Notizia a cui Escobar reagirà facendo pervenire all’ambasciatore della Germania in Colombia un audio in cui gli contesterà il mancato ingresso della sua famiglia nel paese, nonostante fossero incensurati e a rischio rappresaglia, arrivando a rinfacciargli come il Sud America abbia accolto molti suoi concittadini imparentati con criminali di guerra nazisti, senza associarli indiscriminatamente alle loro condotte. Il minaccioso comunicato di Escobar allerterà l’ambasciata della Germania al punto da emettere una nota in cui segnalava il rischio di rappresaglie per i propri concittadini presenti in Colombia.

Ad ogni modo, una volta rimpatriata, la famiglia di Escobar verrà ricondotta dalla Polizia nel residence Taquendama in cui erano stati presi in custodia dalla Procura generale. Sviluppo che indurrà gli Escobar a prendere atto di essere reclusi in una prigione tappezzata di cimici, sotto stretta sorveglianza di nemici disposti a tutto pur di mettere alle strette il leader del Cartello di Medellin. Infatti, subito dopo il rimpatrio della sua famiglia, Escobar telefonerà frequentemente al Residence Taqunedama, istruendoli sui loro diritti e su come comportarsi. Telefonate brevi, ma ricorrenti, che il narcotrafficante effettuerà mediante telefono mobile, spostandosi a bordo di un taxi per non essere triangolato dai tecnici della Polizia. Dal canto suo, il Procuratore Gustavo De Greiff contribuirà ad incrementare la pressione sulla famiglia del narcotrafficante, minacciando di revocare la protezione in caso di mancata resa di Escobar. Juan Pablo Escobar, a rinforzo della tesi del “sequestro istituzionale” della sua famiglia, sostiene che tra gli ufficiali di scorta della Polizia ci fosse un emissario di Carlos Castaño che, più che proteggerli, aveva il compito di sorvegliarli. Tra l’altro, al fine di pressare Pablo Escobar, i los-Pepes riusciranno a costringere il sicario John Jairo Posada (el-Titi) a denunciare la partecipazione di Juan Pablo Escobar nel raid in cui perderà la vita il capitano Fernando Posada, accusandolo di aver aiutato il commando a piazzare l’esplosivo con cui demoliranno la sua abitazione. E sebbene Juan Pablo Escobar abbia sempre rigettato le accuse, al netto della denuncia forzata di el-Titi, altri luogotenenti sosterranno come anch’egli fosse un criminale come loro, avendo partecipato alla tortura di molti dei nemici di suo padre.

L’EPILOGO DI PABLO ESCOBAR

Braccato, isolato e scortato da un’unica scorta, Alvaro Agudelo (el-Limon), l’autista del camion che solo qualche anno prima trasportava i suoi ospiti a la-Catedral, Pablo Escobar trascorrerà le giornate scrivendo lettere alla sempre più ristretta cerchia di fiancheggiatori rimasti a piede libero. E proprio in favore dei suoi luogotenenti detenuti spenderà uno dei suoi ultimi ordini criminali, disponendo l’eliminazione di un sergente penitenziario accusato di aver inoltrato armi utilizzate per uccidere i propri accoliti reclusi nel carcere di Itagui. E sarà proprio la scarsa sicurezza dei penitenziari colombiani a convincerlo a desistere dal costituirsi, temendo di essere facile bersaglio dei suoi nemici. Tra gli ultimi fedelissimi di Escobar rimasti a piede libero ci sarà Gustavito Gaviria, tornato dall’Europa per riprendere la gestione degli affari di del padre Gustavo Gaviria, ucciso dalla polizia nel 91. Gaviria Jr. avrà modo di incontrare Escobar nel suo ultimo covo, ma la mancanza di disciplina e discrezione finirà per esporlo alle attenzioni indesiderate dei los-Pepes.

Il 1° dicembre, Pablo Escobar, trascorrerà il suo ultimo compleanno in compagnia della madre Hermilda Gaviria, a cui avrebbe consegnato anche alcune lettere da consegnare alla propria famiglia. Il giorno successivo, Escobar dopo essersi svegliato a mezzogiorno, come sua abitudine, salirà a bordo del taxi con cui era solito girare per le trafficate strade della sua Medellin per telefonare alla famiglia senza l’assillo di essere triangolato. Al centralino del residence Taquendama, il narcotrafficante si identificherà come un giornalista, senza, tuttavia, ottenere risposta dalla propria famiglia, per nulla disposta a perdere tempo con i cronisti. E dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto, mentre Escobar si apprestava a tornare nel suo covo, un commando dei los-Pepes sequestrerà il nipote Gustavito Gaviria, portandolo nella residenza di Carlos Castaño che, secondo alcune fonti, lo avrebbe inizialmente accolto con liquore, raccontandogli aneddoti sull’amicizia con il padre e lo zio, e dei suoi ricorrenti viaggi in Europa. Incontro che, tuttavia, prenderà una brutta piega, quando Castaño presserà Gaviria a collaborare con i los-Pepes, fornendo informazioni utili alla localizzazione di Escobar, esortandolo a non perdere la vita per una battaglia ormai persa. Su quello che succederà durante quest’incontro si conosce veramente poco, se non che si concluderà con l’assassinio di Gustavito Gaviria. Secondo Aura Rocio, la compagna di Gilberto Rodriguez, Gaviria Jr. sarebbe stato torturato a morte da Castaño, rivelando l’indirizzo del covo in cui si nascondeva lo zio.

Queste dinamiche avvenivano mentre Escobar riusciva finalmente a mettersi in contatto con la sua famiglia, sebbene consapevole del rischio che la polizia riuscisse a triangolare queste telefonate, seppur brevi e cadenzate. Rischio reale, perché dopo giorni di analisi gli investigatori della Polizia erano riusciti a restringere il campo di ricerca ad un paio di quartieri di Medellin che pattugliavano a bordo di un anonimo furgone dotato di un sistema di intercettazione telefonica all’avanguardia. Nel corso di queste brevi telefonate, Pablo Escobar dettava al figlio Juan Pablo le risposte alle domande fattegli pervenire da un giornalista, sebbene avesse passato tutta la vita ad istruirlo a considerare ogni telefonata alla stregua di un appuntamento con la morte. Scenario che si realizzerà proprio nel corso di una di queste telefonate, quando i poliziotti del Blocco di Ricerca, dopo aver triangolato il segnale, prenderanno d’assalto il covo del narcotrafficante, costringendolo a riattaccare precipitosamente la cornetta, per cercare una via di fuga al secondo piano dell’abitazione in cui si ritrovava. Durante lo scontro a fuoco interno all’abitazione i poliziotti del Blocco di Ricerca riusciranno ad abbattere il suo guardaspalle, Alvaro Agudelo (el-Limon), mentre Escobar rispondeva al fuoco dal secondo piano, dove cercherà la finestra che dava sul tetto su cui verrà raggiunto dal colpo fatale che porrà fine alla sua vita, conclusasi all’età di 44 anni.

 

Pablo Escobar abbattuto epilogo
( Pablo Escobar abbattuto )

LE LEGGENDE SULLA FINE DI ESCOBAR

La versione ufficiale sostiene la tesi che ad esplodere il colpo che ucciderà il leader del Cartello di Medellin sarà il colonnello Hugo Aguilar, che dal posto avrebbe informato i colleghi via ricetrasmittente con un’eloquente “Viva Colombia!”. Tuttavia, su quel tetto del barrio de los olivos si affolleranno altre teorie antitetiche e trasversali tra loro, come quella che vuole Escobar colpito da un cecchino della Delta Force statunitense. Un’altra tesi vuole invece che la pallottola d’argento sia stata esplosa dai los-Pepes, che sarebbero arrivati per prima nel covo di Escobar, dopo averla estorta con la forza a Gustavito Gaviria. Teoria avvalorata anche da Juan Pablo Escobar, convinto che il padre sia stato individuato da un commando guidato da Carlos Castaño, ma a cui avrebbe negato la possibilità di ucciderlo, eliminandosi da solo, giacché era solito consigliare a chiunque, compresi i suoi familiari, di non farsi catturare vivi per evitare di farsi torturare. Del resto anche, la moglie sosterrà a più riprese come Escobar non intendesse farsi catturare, per non essere trattato da trofeo. Secondo il figlio di Escobar, anche la fuga senza scarpe del padre evidenziava tale proposito, giacche era solito ripetergli di indossare sempre le scarpe, così da essere nelle condizioni di scappare rapidamente. Inoltre, era solito ripetergli di avere 14 colpi in canna da riservare ai nemici e un ultimo per se stesso. Ad ogni modo, Juan Pablo Escobar è anche convinto che insistendo al telefono, il padre avesse voluto andare incontro al suo destino, per liberarli dalla morsa che i suoi nemici avevano stretto contro la sua famiglia, tenendola a tiro nel residence Taquendama, dove sostiene fossero ostaggio dei loro nemici.

Carlos Castaño ammetterà di aver ucciso Gustavito Gaviria, ma non di aver partecipato al raid contro Pablo Escobar, a cui invece avrebbe partecipato Rodolfo Murillo (alias Semilla), il fratello di Don Berna, che avrebbe lasciato l’abitazione poco dopo l’arrivo del colonnello Aguilar, permettendo alla Polizia colombiana di assumersene i meriti dinnanzi alla stampa, come avrebbero concordato all’inizio della loro discreta collaborazione. Altri ancora sostengono che Carlos Castaño e Don Berna abbiano semplicemente seguito il raid sintonizzandosi sulle frequenze della Polizia, e che si siano recati sul posto solo dopo l’abbattimento di Escobar, informando in tempo reale i fratelli Rodriguez Orejuela della dipartita del loro acerrimo nemico. Impossibile confermare la veridicità di tutte queste versioni, e di certo ci sono solo le macabre foto con cui l’esultante colonnello Hugo Aguilar si farà immortalare con il cadavere di Escobar in compagnia degli agenti della DEA Steve Murphy e Javier Peña, che in quell’occasione taglieranno un pezzo dei baffi del narcotrafficante per confermarne l’identità in patria. Secondo Nicolas Escobar, in quel clima di euforia generale, i poliziotti si impossesseranno del denaro contante che lo zio era solito portassi dietro, un po’ come avevano fatto con quelli rinvenuti all’interno de la-Catedral. Una volta diffusasi la notizia, tra le ali di curiosi giunti nel barrio los-olivos si farà largo Hermilda Gaviria, la madre dell’ormai ex-leader del Cartello di Medellin. Notizia a cui, a freddo, il giovane Juan Pablo Escobar reagirà minacciando dinnanzi ai cronisti di uccidere i responsabili della fine del padre. Presa di posizione pubblica che indispettirà i nemici del padre, convincendoli della necessità di uccidere anche il figlio del loro nemico, come avrà modo di apprendere qualche giorno dopo nel corso della visita di cortesia di Don Fabio Ochoa Sr.

Hugo Aguilar Blocco ricerca Colombia Narcos
( Il colonnello del Blocco di Ricerca Hugo Aguilar )

LA VITTORIA DEL FRONTE ANTI-ESCOBAR

La notizia della caduta di Escobar farà esultare l’intera Colombia, finalmente libera da un decennio di narco-terrorismo, come avrà modo di commentare il Presidente Cesar Gaviria nel suo discorso alla nazione. Nel clima di euforia generale, il governo colombiano esalterà l’operato del Blocco di Ricerca della Polizia, trattandone i comandanti alla stregua di eroi, a cominciare dal generale Hugo Martinez, passando per il colonnello Hugo Aguilar. Addirittura, il colonnello Danilo Gonzalez verrà decorato personalmente dal capo DEA, Joe Toft, con un onorificenza, a riconoscimento del suo prezioso impegno nella lotta al narcotraffico. L’epicentro dell’euforia sarà comunque la città di Cali, dove Gilberto Rodriguez improvviserà una mega festa in cui stempererà anni di tensione e terrore tra urla e champagne. Si narra che la festa assumerà una portata talmente esagerata da suscitare un’incursione delle forze di sicurezza, a cui Rodriguez, in pieno stato d’ebrezza, riuscirà a scampare solo grazie alla prontezza della sua scorta che, simulando una rissa per distrarre gli agenti, riuscirà ad occultarlo all’interno del bagagliaio di una delle sue auto. La compagna di Gilberto Rodriguez sostiene che i baccanali del marito continueranno fino a capodanno, ma che già l’indomani della fine di Escobar avesse iniziato a comprendere di aver ereditato il titolo di personaggio più ricercato di Colombia. Ad ogni modo, sempre secondo Aura Rocio, Rodriguez avrebbe omaggiato i poliziotti del Blocco di Ricerca con una mazzetta di 1.200 milioni pesos. Rodriguez risparmierà invece sui suoi luogotenenti, con cui precedentemente aveva assunto l’impegno di comprare un auto nuova a ciascuno di loro il giorno in cui Escobar fosse stato eliminato, comprandogli delle economicissime Fiat Uno, deludendo le aspettative della sua cerchia. Spilorceria indegna per il boss multimiliardario di un cartello accreditato del controllo di più dell’80% del narcotraffico colombiano. Ma non tutta la Colombia si accorderà a questo clima euforico, soprattutto nei sobborghi popolari di Medellin, dove la beneficienza di Pablo Escobar contribuirà a renderlo un personaggio quasi mitologico, a tratti idolatrato come ben rilevabile tutt’oggi nel quartiere “La-Paz”, anche noto come “barrio Escobar”, uno di quelli costruiti dal narcotrafficante all’inizio della sua parabola criminale, quando era ancora ritenuto un “Robin Hood” in ascesa politica. La popolarità di Escobar tra gli strati popolari di Medellin indurrà le autorità a rinviarne le esequie, senza tuttavia riuscire a precluderne la partecipazione di una grande folla.

Presidente Colombia Cesar Gaviria
( Il Presidente colombiano Cesar Gaviria )

L’eliminazione di Pablo Escobar verrà commentata poco tempo dopo sul periodico colombiano Semana da Fidel Castaño, sostenendo che senza le metodiche brutali dei los-Pepes non si sarebbe riusciti a sconfiggerlo facilmente. Fidel Castaño evidenzierà poi il ruolo dell’oligarchia di Medellin nel finanziamento dei los-Pepes, ritenuti indispensabili per arginare la minaccia costituita da Escobar. Appoggio da cui sottrarrà i narcos del Cartello di Cali, di cui anzi negherà persino l’esistenza. Tuttavia, ben presto, Fidel Castaño comincerà a comprendere come l’alleanza anti-Escobar che aveva stretto con l’oligarchia poggiasse su fragili fondamenti, giacché il governo non sembrava disposto a rinunciare a processarlo per i crimini commessi dalle sue milizie paramilitari ai danni della popolazione civile considerata contigua alla guerriglia. I paramilitari al soldo del clan Castaño rischiavano, infatti, l’incriminazione per crimini contro l’umanità, dal momento che i loro crimini non erano meno rilevanti di quelli perpetrati da Pablo Escobar, e anzi in più di un’occasione si riveleranno al di poco efferati nella loro brutalità. Situazione che, probabilmente, lo convincerà di essere stato utilizzato come un utile idiota da quell’oligarchia che Escobar aveva odiato e sfidato apertamente per un decennio. A tal proposito, c’è chi sostiene che Fidel Castaño abbia persino abbozzato un dialogo con le FARC per controbilanciare l’establishment colombiano. Se ciò sia vero o meno non si saprà mai, soprattutto alla luce di quella che sarà la sua parabola. Ad ogni modo, la fine di Pablo Escobar metterà Fidel Castaño nelle condizioni di acquisire un’egemonia pressoché assoluta sul Cartello di Medellin, ereditandone sia il potere che i problemi. E proprio per recuperare rapidamente quel che rimaneva del cartello si prodigherà a far pervenire ai reduci della fazione leale a Escobar delle lettere in cui garantirà l’incolumità a coloro i quali si fossero costituiti, esortando tutte le parti a congelare la spirale delle vendette che imperversava a Medellin.

IL CLAN ESCOBAR ALLO SBANDO

A dispetto delle premesse, con l’eliminazione di Pablo Escobar, le redini di quello che restava del Cartello di Medellin non passeranno al fratello Roberto, recluso nel penitenziario di Itagui. Infatti, come abbiamo avuto modo di accennare precedentemente, l’infido e timoroso Roberto Escobar era un narcotrafficante solo di nome, avendo seguito le orme del fratello solo negli ultimi anni della sua parabola criminale, mollando la sua carriera di ciclista per vivere dei riflessi della fortuna criminale del fratello. Non a caso, all’interno del carcere, Roberto Escobar verrà addirittura picchiato dai luogotenenti del fratello per le decisioni che, suo malgrado, gli toccava prendere a nome di tutto il cartello, che stremato, e senza più risorse, non vedeva l’ora di siglare un accordo di pace che archiviasse il conflitto con i los-Pepes. La resa aveva un prezzo, e tra le richieste dei nemici e quelle dei sicari, Roberto Escobar si ritroverà a fronteggiare una situazione complicatissima, come dimostrerà la carta bomba che gli esploderà in faccia il 18 dicembre, ferendolo gravemente. Bomba probabilmente inviata dai los-Pepes, ma che , visto e considerato il difficile rapporto venutosi a creare con i sicari del fratello, avrebbe potuto ricevere anche da questi ultimi. Ad ogni modo, il nipote Juan Pablo Escobar sostiene che dopo averlo visitato in ospedale sarebbe stato sorpreso dall’esortazione dello zio a recarsi all’ambasciata statunitense, associando a diplomatici americani il suo nome al codice “AAA”. Codice che a suo dire gli avrebbe permesso di incontrare il direttore della DEA, Joe Toft, da cui avrebbe ricevuto la garanzia dell’ingresso in un programma di protezione testimoni in cambio di informazioni sull’organizzazione del padre che, tuttavia, il giovane figlio di Pablo Escobar non sarà in grado di fornire. Quella circostanza indurrà Juan Pablo Escobar a sospettare che lo zio fosse un collaboratore della DEA, e probabilmente anche coinvolto nella tragica fine del padre. Sospetti aggravati da alcune dispute finanziarie che degraderanno irrimediabilmente il rapporto tra i due Escobar, messi alle strette dalle pressanti richieste dei sicari del cartello.

Ivan Urdinola Cartello Norte del Valle narcos Colombia
( Ivan Urdinola )

Pablo Escobar era finito, ma le conseguenze delle sue azioni erano ben lungi dall’essersi esaurite, così come si renderà conto sua moglie, Maria Victoria Henao. La signora Escobar verrà illusa e ingannata più volte, anche da politici come il liberale José Vives che, sostenendo di aver incontrato il marito prima della sua dipartita, si offrirà di agevolare il diritto di asilo a Cuba in cambio di un compenso. La Henao farà il giro delle ambasciate di Bogotá senza, tuttavia, ottenere asilo. Richiesta di asilo che il 7 gennaio 1994 rinnoverà persino in un’intervista concessa al quotidiano russo la-Pravda, in cui chiederà di sottrarre la sua famiglia dalla vendetta dei nemici del marito. A tal scopo, non esiterà a contattare persino l’ex-presidente conservatore Julio Cesar Turbay, nonostante il marito avesse sequestrato la figlia Diana solo qualche anno prima, esponendola al suo tragico destino. Le fibrillazioni della Henao derivavano dalla condanna a morte che i nemici del marito avevano comminato al figlio Juan Pablo dopo la sua maldestra minaccia di vendetta a mezzo stampa. Infatti, così come Roberto Escobar veniva considerato solo per essere il fratello del boss, Juan Pablo si ritroverà a prendere atto di essere solo il figlio del boss, un ragazzino dal cognome pesante, soprattutto dopo aver sondato l’indisponibilità dei sicari del padre a continuare la lotta contro i suoi nemici. L’unica cosa che lo manteneva in vita era il cospicuo patrimonio ereditato dal padre. Condizione che indurrà alcuni luogotenenti del Cartello di Medellin reclusi a mediare, con l’ausilio di alcuni boss preminenti del Cartello del Norte del Valle, un accordo di riconciliazione con i nemici del padre che archiviasse definitivamente le ostilità. Queste premesse permetteranno A Juan Pablo Escobar e Maria Victoria Henao di essere ricevuti in carcere da Ivan Urdinola, da cui avrebbero ricevuto l’invito a recarsi ad incontrare la cupola del Cartello di Cali, subito dopo aver ritirato le denunce contro loro, relative alla responsabilità dell’attentato esplosivo contro l’edificio Monaco del 1988. E malgrado le titubanze a recarsi nella tana del lupo, Juan Pablo Escobar finirà con l’assecondare l’invito, soprattutto dopo che Urdinola gli rivelerà di essere un morto che camminava protetto da ufficiali di scorta al soldo del Cartello di Cali in attesa dell’ordine di ucciderlo, evidenziandogli come recarsi a Cali rappresentasse l’unica possibilità di salvarsi la vita. Prima di ritrattare le accuse contro i fratelli Rodriguez e di recarsi a Cali, Juan Pablo Escobar visiterà assiduamente il penitenziario di Urdinola, da cui riceverà sia consigli che uno dei costosissimi orologi Philippe Charriol della sua “collezione carceraria”, dal valore di 100.000 dollari. Opulenza che strideva parecchio con la condizione di carcerato di Urdinola, che in carcere non aveva rinunciato a portarsi dietro la sua collezione di orologi di prestigio, tra cui uno dal valore di oltre un milione di dollari, regalatogli dal socio Diego Montoya.

GLI ESCOBAR ALLA CORTE DI CALI

L’incontro tra i reduci Escobar ed il Cartello di Cali verrà patrocinato da un incontro preliminare dei loro legali, agevolato dalla mediazione della famiglia Ochoa, che avranno così modo di esplorare i presupposti di un possibile accordo di pace tra i due cartelli. Il primo incontro tra i nemici di Escobar e la sua famiglia si terrà nella sede della squadra di calcio dell’America di Cali, dove Maria Victoria Henao verrà condotta personalmente da Miguel Rodriguez ad un summit partecipato da tutti i nemici del marito. Maria Victoria Henao verrà messa alla prova dagli strali e le reiterate offese dei nemici del marito. Tra i tanti, spiccherà il feroce monologo di Carlos Castaño, che non mancherà di rivelare all’Henao come la fine di suo marito gli avesse evitato la fatica di trovarla, massacrarla insieme ai suoi figli, e recapitarne i pezzi. Clima di piombo stemperato solo dal moderato intervento di Miguel Rodriguez, che considererà la Henao un esempio per le loro mogli, giacché pur convivendo fedelmente col marito, senza lamentarsi delle privazioni derivanti dal fuggire continuamente da un covo all’altro, proverà sempre a moderarlo, facendo riferimento alle numerose intercettazioni a loro disposizione, in cui spesso si lamentava degli attentati che organizzava. Intervento che allenterà l’astio di Gilberto Rodriguez che, dal canto suo, si dirà disposto a pacificarsi con la famiglia Escobar, pur continuando ad esigere la testa di Juan Pablo Escobar, temendo la possibilità che una volta cresciuto potesse realizzare il suo proposito di vendicare il padre. Ciononostante, Maria Victoria Henao riuscirà ad ottenere clemenza per suo figlio, prima scrivendo una lettera a Fidel Castaño, e soprattutto grazie all’intervento di Miguel Rodriguez che in occasione dell’incontro con Juan Pablo Escobar, lo ammonirà dal seguire le orme del padre. Proposito che i leader del Cartello di Cali si assicureranno, esigendo il conferimento di gran parte delle loro risorse finanziarie, ammontanti a centinaia di milioni di dollari. Fortuna a cui il giovane Escobar rinuncerà di buon grado, rinunciando a subentrare agli affari del padre, sostenendo ai contrariati boss di Cali di farlo con piacere, giacché quella vita era costata numerose sofferenze e la perdita della libertà. Juan Pablo Escobar si congederà dai leader di Cali, seguendo il consiglio di Miguel Rodriguez di lasciare la Colombia, per scampare all’imprevedibile istinto di vendetta di vendetta di Carlos Castaño.

Miguel Rodriguez Orejuela narcos Cartello Cali
( Miguel Rodriguez )

A quel summit ne seguiranno altri, in cui Maria Victoria Henao presenterà l’inventario dei beni del marito da distribuire a titolo di indennizzo ai suoi numerosi nemici. Fidel Castaño, in passato invaghito dalla moglie di Escobar con cui condivideva la passione per l’arte, proverà ad favorirla, ordinando al fratello Carlos di restituirle il quadro “Rock & Roll” dipinto da Salvador Dalì. Offerta che, tuttavia, la Henao declinerà, sorprendendo Carlos Castaño, a cui addirittura farà pervenire i certificati di autenticità. Quadro che, per la cronaca e gli amanti dell’arte, qualche anno dopo ricomparirà nella collezione di un magnate giapponese. Ad ogni modo, le risorse residue di Escobar impressioneranno i suoi nemici, convinti che avesse dato fondo a tutte i propri fondi nel corso della guerra. Risorse che contrapporranno la famiglia di Pablo Escobar con quella del fratello Roberto, con i boss di Cali nel paradossale ruolo di mediatori terzi. In quel frangente, Miguel Rodriguez prenderà le parti della famiglia di Pablo Escobar, esortandone la moglie a non chiedere nulla per i suoi infidi parenti, accusati di aver influenzato il marito ad esasperare il conflitto durante le prime fasi, impedendo il raggiungimento di un accordo di pace. Opinione confermata da alcuni luogotenenti del Cartello di Medellin, secondo cui Miguel Rodriguez considerasse Roberto Escobar il peggiore di tutti, sostenendo di aver declinato la sua proposta di uccidere la famiglia del fratello per dividersi la loro cospicua eredità. A supporto di questa teoria, Juan Pablo Escobar sostiene che suo padre lo abbia messo in guardia dallo zio, perché in mancanza di denaro sarebbe stato capace di sequestrare persino sua figlia Manuela, pur di averne. Dal canto suo, il cugino Nicolas Escobar sostiene che gran parte dei beni del clan Escobar non siano stati versati tanto a vantaggio del Cartello di Cali, quanto ai dissidenti del Cartello di Medellin, ai paramilitari e persino ai poliziotti corrotti. Infatti, Diego Murillo (Don Berna) sostiene che i los-Pepes abbiano speso qualcosa come 50 milioni di dollari per uccidere Escobar, e altre risorse significative fossero state spese autonomamente dal Cartello di Cali. Altri debiti verranno, infine, saldati anche nei confronti dei vecchi soci come Leonidas Vargas, che Juan Pablo Escobar soddisfarà cedendogli un jet privato della flotta del padre. Al culmine di questo processo, la famiglia di Pablo Escobar riuscirà a lasciare il paese, soprattutto grazie alla garanzia di Ivan Urdinola e sua moglie Lorena Henao, convincendo i fratelli Rodriguez e Carlos Castaño a desistere dal vendicarsi.

L’ANOMALA FINE DI FIDEL CASTANO

A nemmeno un mese dall’eliminazione di Pablo Escobar, i los-Pepes accuseranno l’inaspettata perdita del loro leader Fidel Castaño, ucciso, il 6 gennaio del 1994, in circostanze misteriose, e non del tutto chiarite. Il mancato ritrovamento dei suoi resti, infatti, sembrerà avvalorare il mito della simulazione della morte del leader paramilitare, con cui avrebbe cercato di sottrarsi all’incriminazione per crimini contro l’umanità, assumendo una nuova identità con cui rifarsi una vita lontano dalla Colombia, probabilmente in Israele, paese in cui “alias Rambo” aveva iniziato la propria formazione militare. Ad ogni modo, la versione prevalente lo dà per assassinato da un cecchino guerrigliero nel corso di un operazione in piena giungla colombiana. Tuttavia, esiste anche una versione, accreditata da personalità come Ivan Urdinola, che vuole Fidel Castaño ucciso dal fratello minore Carlos. Il rapporto tra i due fratelli, infatti, non era proprio dei migliori, soprattutto a causa dell’estrema avidità con cui lo stratega Fidel Castaño amministrava il patrimonio del clan nella relativa tranquillità, marginalizzando il truce Carlos, abituato a condurre personalmente le iniziative dei los-Pepes a Medellin. L’infido Fidel Castaño preferirà guidare i los-Pepes dalla sua roccaforte di Cordoba, che abbandonava raramente, e solo a bordo di taxi o mezzi pubblici, così da non fornire riferimenti ai propri nemici. Secondo Ernesto Baez, un altro importante leader paramilitare, il rapporto tra i due fratelli Castaño sarebbe stato compromesso irrimediabilmente dalla relazione che Carlos avrebbe intrapreso con una delle amanti di Fidel. Contrapposizione che avrebbe indotto Carlos Castaño ad organizzare l’assassinio del fratello.

Fidel Castaño paramilitari narcos Colombia Pepes
( Il leader narco-paramilitare Fidel Castaño )

Nonostante la schiacciante vittoria sulla fazione del Cartello di Medellin fedele a Escobar, i los-Pepes continueranno a colpirne gli esponenti più rilevanti, come nel caso di Josè Gaviria, il fratello di Gustavo Gaviria, ucciso il 22 gennaio. Dinamiche che contribuiranno ad indurre i luogotenenti leali a Escobar ad accelerare il processo di pacificazione con i loro nemici, accettando di ritirare le denunce contro di loro. Come nel caso di Carlos Alzate (el-Arete), il capo sicario del Cartello di Medellin, che il 3 febbraio scagionerà i fratelli Castaño dalla strage del volo Avianca-203, inviando al Procuratore generale De Greiff una lettera in cui giustificherà le sue false accuse, addebitandole ad una strategia elaborata da Escobar per danneggiare la posizione dei suoi nemici. Oltre che della attentato al volo Avianca, Alzate si autoaccuserà di altre stragi, a cominciare dall’attentato contro la sede del DAS del 1989, fornendo molte informazioni chiave sulla strategia terroristica adottata dell’organizzazione degli Estradabili, ottenendo in cambio consistenti sconti di pena che ridurranno la sua condanna a soli 8 anni di carcere. Tuttavia, qualche anno dopo il suo arresto, Luis Hernando Gomez, uno dei boss del Cartello del Norte del Valle, sosterrà di aver pagato el-Arete per scagionare dalla strage dell’Avianca Eugenio Garcia (alias el-Tasista), uno dei suoi soci, scaricandone la responsabilità su Dandeny Muñoz (la-Quica). Secondo alcuni collaboratori di giustizia, la ritrattazione di Alzate sarebbe stata incoraggiata finanziariamente anche da Carlos Castaño, il clan Ochoa e John Freydell, il padre della fidanzata del noto pilota colombiano di formula 1, Juan Pablo Montoya, al fine di scagionarli dalla strage a cui avrebbero partecipato più o meno indirettamente. Tra l’altro, Freydell, accusato di aver partecipato anche alla congiura che porterà all’assassinio del candidato neoliberale Luis Carlos Galan, si è più volte giustificato, sostenendo di essere vittima di querele conseguenti al suo rifiuto di cedere a tentativi di estorsione da parte di criminali intenzionati a screditarlo sui media. Freydell, pur confermando di essere legato da una vecchia amicizia con il clan Ochoa, pranzando frequentemente nel ristorante di famiglia e acquistando anche alcuni cavalli, sostiene di essere stato sempre estraneo al narcotraffico, senza, tuttavia, nascondere di aver goduto della protezione di Fabio Ochoa prima di lasciare Medellin.

Le ostilità tra il Cartello di Cali e la fazione vincente del Cartello di Medellin cesseranno il 16 febbraio 1994, nell’ufficio della giudice Aguilar, dove luogotenenti di Escobar come Carlos Alzate e Luis Aguilar (el-Mugre) sigleranno un accordo di pace insieme ad esponenti dei los-Pepes come Guillermo Angel Restrepo. L’incontro riconciliatorio, benché riservato, sarebbe stato tuttavia filmato dall’intelligence colombiana, riprendendo un clima di convivialità, in cui el-Arete verrà ripreso mentre mangiava e scherzava con la giudice Aguilar, che conosceva dai tempi della scuola. Video la cui pubblicazione verrà ostacolata dal procuratore Gustavo De Greiff, che successivamente si giustificherà, sostenendo di aver autorizzato la riunione al fine di agevolare la collaborazione giudiziale dei soggetti interessati. La posizione ambigua di De Greiff verrà confermata anche dall’incontro in cui avrebbe messo in contatto la moglie di Escobar con una contessa che avrebbe avanzato la propria disponibilità a mediare presso lo stato del Mozambico la concessione del diritto di asilo per la sua famiglia, in cambio di supporto finanziario per la sua fondazione umanitaria.

IL GOVERNO DEL CARTELLO DI CALI 

Nel mese di marzo, al culmine di un lungo processo negoziale, Julio Urdinola, il fratello del boss del Cartello del Norte del Valle si costituirà. Cosa che invece non riuscirà a fare suo fratello Luis Urdinola, ucciso nello stesso mese nella città di Cali. Eventi seguiti a stretto giro da quelle elezioni presidenziali che Escobar attendeva per provare a ribaltare, ancora una volta, la situazione a proprio vantaggio, negoziando la sua resa con un nuovo governo. Scenario di cui, invece, approfitteranno i suoi nemici del Cartello di Cali, che sotto la regia del meticoloso Miguel Rodriguez e di suo figlio William investiranno notevoli risorse finanziarie per propiziare l’elezione del liberale Ernesto Samper, candidato su cui Escobar sembrava confidare molto, e su cui convergeranno un po’ tutti i narcotrafficanti del paese. Nello specifico, i fratelli Rodriguez avrebbero finanziato la campagna elettorale di Samper con ben 10 milioni di dollari, occultati, secondo la compagna di Gilberto Rodriguez, all’interno di scatole di scarpe fatte recapitare ai politici loro compiacenti. Fondi neri che favoriranno Samper rispetto all’avversario conservatore Andres Pastrana, il figlio dell’ex-presidente Misael Pastrana, sopravvissuto al sequestrato dagli “Estradabili” di Escobar del 1988. Malgrado ciò, Nel corso della campagna elettorale, Pastrana entrerà in possesso di alcune registrazioni compromettenti che dimostravano la corruzione di Samper, passandole al Presidente Cesar Gaviria, che a sua volta le passerà al Procuratore generale De Greiff. Registrazioni che, tuttavia, lo scaltro procuratore secreterà, perché coinvolgevano anche sua figlia, integrata nell’organizzazione della campagna elettorale di Samper. Trama che permetterà a Samper di battere al secondo turno Pastrana, conquistando così la presidenza della Repubblica di Colombia. L’oro del Cartello di Cali riuscirà così a conseguire ciò che non era riuscito il piombo del Cartello di Medellin. Ma come Escobar aveva compreso, un potere privo di fondamento militare viene eroso rapidamente, come avrà modo di apprendere rapidamente la sua nemesi di Cali. Infatti, il denaro di Cali non servirà a controllare la Colombia, ma solo ad ottenere del tempo con cui i fratelli Rodriguez confidavano di negoziare termini di reclusione agevolati. Ma nonostante questi presupposti, ben presto anche i fratelli Rodriguez avranno la stessa impressione di Fidel Castaño di essere stati utilizzati come utili idioti dal governo per eliminare Escobar, di cui avrebbero presto o tardi condiviso la fine. Ciononostante, la compagna di Gilberto Rodriguez sostiene che il narcotrafficante le avesse garantito che sarebbe uscito dal mondo della criminalità, pur evidenziandole come ciò avrebbe richiesto un processo progressivo per convincere i suoi soci di minoranza a seguirlo.

Presidente Colombia Ernesto Samper
( Il presidente colombiano Ernesto Samper )

IL CLAN ESCOBAR E LE TRAME GEOPOLITICHE USA

Nel mese di marzo, la famiglia Escobar lascerà la residenza protetta di Taquendama, prendendo in affitto un appartamento, ma non prima di aver saldato il salatissimo conto dei mesi di soggiorno, loro e dei numerosi agenti di scorta, che in quel lungo periodo non si erano privati dei loro stessi loro lussi. Spese che, secondo Juan Pablo Escobar, li avrebbero indotti a chiedere allo zio Roberto Escobar i 3 milioni di dollari che il padre gli aveva ordinato di occultare e consegnare loro nel caso in cui fosse stato eliminato. Denaro di cui, a quanto sembra, la famiglia di Pablo Escobar non riuscirà ad entrare in possesso per una serie di peripezie e trame familiari che contribuiranno a degradare irrimediabilmente la coesione del clan Escobar. Juan Pablo Escobar, infatti, sostiene di essere stato ingannato e defraudato proprio dai suoi familiari, dopo aver rivelato alla zia Alba l’indirizzo di uno dei depositi del padre.

A tal proposito, Juan Pablo Escobar sostiene di essere stato informato dalla zia Alba Escobar dell’iniziativa con cui suo zio Roberto stava lavorando alla possibilità di ottenere un visto per gli Stati Uniti, dove avrebbero potuto trasferirsi, portandosi dietro anche del denaro. Prospettiva che Roberto Escobar avrebbe subordinato alla pubblicazione di un libro in cui avrebbe dovuto associare il padre al presidente peruviano Alberto Fujimori e al capo della sua intelligence Vladimiro Montesinos, facendo passare il messaggio che fossero collusi con i narcos del Cartello di Medellin, al fine di delegittimarli. Proposta che la famiglia di Pablo Escobar rifiuterà, evitando di farsi coinvolgere in una crisi internazionale, calunniando gente sconosciuta, correndo il rischio di aggravare ulteriormente la loro situazione. Accuse che, invece, Roberto Escobar non esiterà a lanciare a mezzo stampa poco dopo. Juan Pablo Escobar sostiene che successivamente a questa insolita richiesta, la zia Alba Escobar e la nonna Hermilda Gaviria siano riuscite a recarsi negli Stati Uniti, da dove lo avrebbero contattato per chiedergli se desiderasse qualcosa di particolare. Recentemente, Nicolas Escobar ha sostenuto che il visto dei suoi parenti negli Stati Uniti fosse stato una ricompensa per aver mediato per conto loro con il generale haitiano Raoul Cedras, convincendolo a ritirarsi in esilio a Panama, evitando così l’invasione del suo paese. Ricompensa a cui, tuttavia, avrebbero rinunciato in cambio della liberazione del fratello di Josè Santacruz, uno dei boss di Cali che li avrebbe sottratti alla vendetta dei los-Pepes. Dinamiche che hanno convinto Juan Pablo Escobar a credere che i parenti del padre abbiano collaborato discretamente con i suoi nemici per salvarsi la vita. Addirittura, sostiene che la liberazione di suo cugino Nicolas Escobar dalle mani dei los-Pepes sia stata ottenuta dallo zio Roberto in cambio di supporto nelle attività di ricerca del padre, spiegando così il motivo per cui i fratelli Rodriguez avessero desistito ad ucciderlo, sebbene lo odiassero anche più del fratello Pablo.

Roberto Escobar prigione narcos Colombia Cartello Medellin
( Roberto Escobar )

Il 28 marzo, farà discutere la presa di posizione del Procuratore De Greiff di scagionare Dandeny Muñoz (la-Quica) dall’accusa di aver partecipato all’organizzazione della strage del volo Avianca, esortando gli Stati Uniti a liberarlo, sottraendolo all’ergastolo a cui era stato condannato nell’agosto del 1992, per la morte di 3 cittadini americani uccisi nella strage. Nonostante ciò, il governo colombiano non avanzerà alcuna richiesta di estradizione per il sicario di Escobar, paradossalmente condannato per uno dei pochi reati di cui, secondo alcuni luogotenenti del Cartello di Medellin, era effettivamente estraneo. Nello specifico, alcuni testimoni di giustizia del Cartello di Medellin sostengono la tesi che Muñoz sia stato incastrato da testimoni falsi pagati da Carlos Castaño, come il faccendiere americano del Cartello di Medellin, Jimmy Ellard. Dal canto loro, gli Stati Uniti reagiranno alla presa di posizione di De Greiff, revocandogli il visto, e minacciando di sospendere la cooperazione giudiziale con la Colombia, accusando il Procuratore generale di essere socio di una compagnia aerea messicana legata al boss del Cartello di Cali, Gilberto Rodriguez.

LA STRATEGIA NEGOZIALE DEL CARTELLO DI CALI

Messi sempre più alle strette dalle autorità che ne esigevano la resa, i fratelli Rodriguez decideranno di emulare la strategia impostata da Pablo Escobar, tentando di acquisire legittimità politica da spendere sul piano negoziale con il governo, proponendosi come mediatori di un accordo di riconciliazione nazionale tra stato colombiano, guerriglia e paramilitari. Proposito concretizzato nel marzo del 1994, quando Miguel Rodriguez informerà Carlos Castaño dell’intenzione di prendere contatti con i guerriglieri delle FARC. Strategia che, nonostante le sue ovvie riserve, Castaño agevolerà mettendo a disposizione dei Rodriguez i propri canali di dialogo con la guerriglia. I paramilitari di Castaño supervisioneranno anche la sicurezza del viaggio che porterà Gilberto Rodriguez ad incontrare alcuni importanti leader delle FARC, tra cui, a quanto sembra, ci sarebbe stato anche Raul Reyes. Tuttavia, malgrado la simpatia nei confronti di Gilberto Rodriguez, successivamente al vertice con i guerriglieri, Carlos Castaño cambierà idea, esortandolo a lasciarlo fuori dalle sue macchinazioni, probabilmente recependo l’indirizzo strategico dei suoi influenti sponsor politici conservatori. Tra l’altro, Carlos Castaño, nonostante il suo background narcos, almeno a parole, prenderà sempre più le distanze dal narcotraffico, sebbene quest’attività lo avesse reso quello che era. Traffici che, tuttavia, al netto delle sue rivendicazioni, continueranno ad essere amministrati da suo fratello Vicente Castaño per finanziare l’egemonia della loro organizzazione paramilitare. Ad ogni modo, così come si opporranno alla strategia politica di Escobar, i paramilitari del clan Castaño si opporranno anche a quella avanzata dai fratelli Rodriguez, evidenziando la ritrosia dell’establishment conservatore a riconoscere legittimità politica ai narcos, soprattutto se intenzionati a mediare un accordo di pace con le FARC. Indirizzo che indurrà la Polizia a mettere sotto pressione il Cartello di Cali, arrestando, l’8 luglio, Guillermo Pallomari, l’amministratore finanziario di fiducia dei fratelli Rodriguez. L’arresto di Pallomari anticiperà di un mese l’insediamento ufficiale del neo-presidente Samper, i cui legami con il Cartello di Cali verranno messi in luce proprio in conseguenza della scelta di Pallomari di collaborare sia con la giustizia colombiana che con quella degli Stati Uniti, dove alla fine entrerà in un piano di protezione dalla DEA. I narcos di Cali faranno di tutto per bloccare la collaborazione di Pallomari, arrivando ad uccidergli la moglie, senza tuttavia riuscire nel loro intento.

Gilberto Rodriguez Orejuela narcos Colombia Cartello Cali Aura Rocio
( Gilberto Rodriguez e la compagna Aura Rocio )

CONCLUSIONI

Il 1993 concluderà la parabola criminale di Pablo Escobar, la cui infrastruttura di potere si sgretolerà sotto i colpi congiunti e coordinati della Polizia e dei suoi vecchi soci riuniti sotto la sigla dei “los-Pepes”. Alleanza tanto scellerata, quanto efficace nel ridimensionare il potente apparato sicariale del Cartello di Medellin, impedendogli di continuare ad operare, permettendo ai cartelli rivali, come quello di Cali, e concorrenti, come quello del Norte del Valle, di sottrargli gran parte della sua quota sul narcotraffico colombiano. Ma nonostante il drastico ridimensionamento delle entrate finanziarie, le risorse residue dell’organizzazione di Escobar basteranno comunque a mantenere la pressione sui suoi avversari, almeno per la prima metà del 1993. La pressione terroristica del Cartello di Medellin sarà tale da costringere il Procuratore generale della nazione, Gustavo De Greiff, ad intrattenere una discreta corrispondenza per vagliare le condizioni di una possibile nuova resa negoziata che prevedesse la reclusione del narcotrafficante all’interno di un penitenziario ordinario, ma a condizioni idonee a schermarlo dai sicuri attacchi dei suoi numerosi nemici. Nel corso di questi negoziati, Escobar non esiterà a denunciare sia i nemici del Cartello di Cali, che i suoi vecchi soci, evidenziando, in particolar modo, il ruolo del clan Castaño in molte delle stragi a sfondo politico degli anni precedenti. Accuse che, tuttavia, la procura ignorerà al pari delle denunce avanzate contro le sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze di sicurezza colombiane, adeguandosi all’approccio strategico disinvolto con cui l’amministrazione Gaviria fornirà carta bianca agli ufficiali del Blocco di Ricerca, che non esiteranno a cooperare attivamente con i los-Pepes. Approccio che convincerà Escobar della risolutezza con cui l’amministrazione Gaviria intendeva liquidarlo definitivamente, escludendo categoricamente ogni possibilità di una nuova resa negoziata. E del resto, Escobar aveva ben chiaro che le forze che lo avevano spinto ad evadere da “la-Catedral” di certo non gli avrebbero permesso di tornare al punto di partenza. Ma sebbene fosse evidente che il governo puntasse alla sua eliminazione, Escobar confidava di poter resistere fino all’esaurimento del mandato di Gaviria, negoziando con il suo successore. Strategia ben chiara anche ai suoi nemici che intensificheranno tutti i loro sforzi per eliminarlo prima delle elezioni presidenziali del 1994. Ma la strategia di Escobar comprendeva anche un piano B, che, data l’ostilità del fronte paramilitare riconducibile al clan Castaño, prevedeva la costituzione di un proprio gruppo guerrigliero con cui costringere il governo a negoziare nuovamente con lui, offrendogli in cambio l’opportunità di avviare un processo di pace che ponesse fine al decennale conflitto colombiano.

Ma malgrado Escobar fosse pronto a resistere ad un clima di guerra totale fino alle successive elezioni, l’eventualità di una rappresaglia asimmetrica contro la sua famiglia ne condizionava pesantemente la quotidianità. I los-Pepes, infatti, avevano iniziato una vera e propria campagna di sterminio estesa alle famiglie dei suoi più stretti collaboratori, spesso uccisi in modo barbaro e plateale al fine di demoralizzare la cerchia dei fedelissimi al leader del Cartello di Medellin. Condizione che il governo colombiano farà di tutto per perpetuare, impedendo alla sua famiglia di lasciare il paese. Linea non del tutto condivisa dall’establishment colombiano, che attraverso la Procura generale evidenzierà al governo la discutibile condotta dei poliziotti del Blocco di Ricerca, avanzando addirittura la prospettiva di arrestarne gli ufficiali al comando. Criticità, tuttavia, respinte in blocco dall’amministrazione Gaviria, supportata a spada tratta dagli Stati Uniti, con cui riusciranno ad arginare l’ambigua linea del procuratore generale Gustavo De Greiff. E proprio a De Greiff si deve la presa in custodia della famiglia di Pablo Escobar all’interno di un residence presidiato da poliziotti, alcuni dei quali sarebbero stato legati a doppio filo con i los-Pepes. La presa in custodia della famiglia di Escobar, pur schermandola dalle minacce dei nemici, ben presto si configurerà come una strategia di pressione con cui costringere il narcotrafficante a fare un passo falso che permettesse all’intelligence colombiana di rintracciarlo. Prospettiva che si realizzerà il 2 dicembre 1993, quando il covo di Pablo Escobar verrà preso d’assalto, ponendo fine alla sua parabola criminale. Fine certa, ma dalle dinamiche fosche, come i legami intercorsi tra polizia e los-Pepes, ed il ruolo della DEA e dei parenti dello stesso boss di Medellin, la cui parabola criminale è durata poco più di un decennio, di cui la maggior parte trascorsa più a scappare tra rifugi e tuguri, che a godere dell’incommensurabile ricchezza accumulata in un arco temporale relativamente breve.

La vita di Pablo Escobar continua ad affascinare il mondo, in particolare i giovani, soprattutto per via delle serie televisive che negli ultimi anni hanno contribuito ad romanzarne l’immagine di bandito alla “Robin Hood”, capace di ribellarsi e affrancarsi dalla povertà, sfidando apertamente la vecchia e corrotta oligarchia colombiana, fino ad insidiare il potere costituito. Narrazione popolare che ben si accorda con l’impalcatura valoriale della moderna società capitalista, in cui ricchezza e potere vengono generalmente considerati dalle giovani generazioni come i punti di riferimento fondamentali per realizzare le proprie esistenze. E per certi versi, la parabola di Escobar è una conseguenza indiretta dell’insostenibilità del modello capitalista occidentale, che negli anni settanta, dinnanzi alla perdita dei valori tradizionali, ci consegnava una società nuova, individualmente più libera, ma collettivamente più povera. Contesto che indurrà molti individui illusi di poter bastare a se stessi a colmare questa nuova forma di povertà socio-culturale attingendo al traffico di stupefacenti, emulando le non meno frastornate star del jet set. L’illusorio progresso conseguente a questa nuova realtà mercificata farà la fortuna di persone come Escobar, capaci di intercettare una nuova domanda economica alimentata da una crescente schiera di giovani individui storditi da stili di vita nuovi e insostenibili. L’impalcatura valoriale della moderna società capitalistica, dove ogni cosa è misura del suo valore intrinseco, metterà personalità come Escobar di strutturare con successo un nuovo mercato mortale globale, diventando imprenditori della disperazione. Disperazione non adeguatamente messa in luce dalle serie tv, e che addirittura una crescente porzione della politica odierna ritiene doveroso classificare come libertà personale, avanzando la necessità di legalizzare questo mercato della morte, come del resto auspicato dallo stesso Escobar.

L’ingannevole narrativa mediatica del fenomeno Escobar continua ad ingannare l’opinione pubblica, soprattutto quella più giovane, alimentando un mito fatto di lussi sfrenati che, se ponderati su scala temporale, rivelano un prezzo altissimo in termini umani, e non ci riferiamo solo alle innumerevoli vittime interne, esterne e collaterali al narcotraffico. Si, perché anche volendo cedere ad una percezione egoistica del fenomeno narcotraffico, i suoi impresari si sono assunti l’onere di una scelta di vita che, oltre ad essere incivile, si è rivelata statisticamente troppo breve, imponendo costi personali difficilmente quantificabili a livello monetario. Pablo Escobar, al pari di altri narcos, ha paradossalmente dimostrato che si può essere poveri persino da ricchi, e che non si può godere di tutto ciò di cui si è nominalmente proprietari, soprattutto se l’esistenza propria e delle persone più care risulta costantemente minacciata dalle conseguenze trasversali della proprie scelte di vita. La Libertà si confermerà sempre il tesoro più grande di cui gode ogni essere umano, e la storia di Escobar evidenzia come questa sia inversamente proporzionale alla ricchezza accumulata. Conclusione condivisa da alcuni luogotenenti reduci del Cartello di Medellin, secondo cui le cospicue risorse finanziarie accumulate rapidamente perdano di valore quando non si è nelle condizioni di poter uscire tranquillamente in compagnia per andarsi a prendere qualcosa da bere, senza l’assillo di poter morire provandoci, o nella migliore delle ipotesi sognarla per anni recluso in un carcere in cui dilapidare quanto guadagnato solo per schermarsi dai propositi di vendetta dei propri avversari. Considerazioni che tuttavia, all’epoca dei fatti, molti dei sicari del Cartello di Medellin non si ponevano assolutamente, essendo per lo più motivati da dinamiche di natura extra-economica come la ricerca di un frenetico stile di vita adrenalinico con cui approcciarsi ad una società che li manteneva ai margini e in costante stato di bisogno. Approccio che tutt’oggi continua a catalizzare l’attenzione di molti giovani convinti di poter fare una scelta di questo tipo, illudendosi di poter sfuggire al destino ricorrente di chi li ha preceduti. E se è vero che chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, più che di illusione riteniamo che la perpetuazione su scala generazione di questi errori sia più conseguenza dell’ignoranza della storia che caratterizza le giovani generazioni, convinti di poter dominare il presente e conquistare il futuro senza aver cognizione del passato. Ignoranza di cui sono responsabili le istituzioni incaricate di socializzare le giovani generazioni al progresso, quello vero però, non quello che da quasi mezzo secolo sta mandando al macero generazione dopo generazione, illudendole di poterle liberare da loro stessi.

Ad ogni modo, la fine di Escobar coinciderà con il disfacimento del Cartello di Medellin, ripudiato dal discreto e scaltro clan Ochoa, e in balia dell’inadeguata leadership di Roberto Escobar e del giovane Juan Pablo Escobar, che all’indomani della fine di Pablo Escobar si riveleranno essere dei meri signor nessuno caratterizzati solamente dal possesso di un cognome ingombrante come l’eredità che si accingevano a spartirsi. Ma al netto del loro limitato background criminale, i due reduci Escobar riusciranno a sopravvivere alle conseguenze derivanti dall’eliminazione del loro parente, seppur in modo diametralmente opposto. E mentre Juan Pablo Escobar avrà modo di rifarsi una vita all’estero, Roberto Escobar continuerà a vivere a Medellin, verosimilmente grazie a garanzie guadagnate a prezzo elevato dai nemici di suo fratello Pablo. Sopravvivenza che avrà il significato di una vittoria per due personalità sulle cui teste pendeva più di una spada di Damocle, allontanata a suon di dollari.

Sul piano politico, la fine di Escobar permetterà un po’ a tutta la Colombia di archiviare una stagione di terrore, liberando in particolar modo l’oligarchia dalla prospettiva di una nuova campagna di sequestri eccellenti a cui il narcotrafficante stava lavorando. L’eliminazione di Escobar permetterà poi al presidente Cesar Gaviria di rettificare il negoziato del 1991, anche se a costo di altre forme di compromesso, come quello che permetterà alle forze di polizia di cooperare discretamente con il gruppo criminale dei los-Pepes. Alleanza compromettente agevolata dal ruolo determinante dei narco-paramilitari del clan Castaño, legati a doppio filo all’oligarchia conservatrice e agli Stati Uniti che vedevano nel proposito di Escobar di mediare un accordo di riconciliazione tra guerriglia e stato colombiano una minaccia strategica da sventare ad ogni costo. Insidia quella posta da Escobar che avrebbe potuto assumere una portata politica non indifferente, soprattutto alla luce del consolidamento dell’intesa con esponenti guerriglieri dell’ELN. Al netto del suo background criminale, non si può infatti negare la rilevanza politica di Pablo Escobar, le cui capacità strategiche gli hanno consentito di strutturare una base di potere capace di proiettarlo sull’arena politica che conta, e di metterlo nelle condizioni di costringere l’establishment politico a negoziare con lui un pezzo di costituzione, arrivando addirittura a compromettere il rapporto di subordinazione che legava la Colombia agli Stati Uniti. Base di potere fatta essenzialmente di soldi e armi, ma anche di una sensibilità sociale che gli ha permesso di conquistarsi il consenso popolare delle masse emarginate dei quartieri più poveri di Medellin. Ed è proprio questa sua sensibilità di estrazione socialista, integrata da un indubbio pragmatismo strategico, a permettergli di intrattenere rapporti con due realtà antitetiche come la guerriglia ed il paramilitarismo, tanto da ipotizzare prima di tutti la prospettiva di un accordo di pace nazionale, da cui, naturalmente, confidava di poter riguadagnare quella legittimità politica persa nel 1984, quando l’allora parlamentare Escobar accarezzava il sogno di poter divenire il Presidente del suo paese. Ambizione politica che trasformerà il narcotraffico colombiano, conferendogli una connotazione politica che il governo colombiano arriverà a riconoscere pochi anni dopo ai narco-paramilitari, indubbiamente strumento di proiezione strategica dell’élite conservatrice colombiana e degli Stati Uniti. E proprio dalla fine di Escobar i narco-paramilitari del clan Castaño riusciranno a conseguire un duplice vantaggio strategico: ridimensionare l’ascesa dell’ELN e assumere il controllo delle rotte dell’ormai ex-Cartello di Medellin.

Alberto Santofimio Pablo Escobar politica liberale Colombia
( Pablo Escobar durante la sua ascesa politica in compagnia dell’ex-Ministro Alberto Santofimio )

Tra i beneficiari della fine di Pablo Escobar ci sarà sicuramente anche la cupola del Cartello di Cali, finalmente liberata dall’assillo di una guerra da loro stessi scatenata con l’autobomba fatta esplodere nel 1989 dinnanzi la residenza della loro nemesi di Medellin. L’oro del Cartello di Cali aveva vinto il piombo del Cartello di Medellin, finanziando a suon di milioni la coalizione che riuscirà ad archiviare la minaccia costituita da Escobar. Vittoria strategica sapientemente organizzata dai fratelli Rodriguez, che nel corso della guerra riusciranno ad erodere la quota di narcotraffico del Cartello di Medellin, acquisendo risorse finanziarie che reinvestiranno per guadagnarsi la compiacenza della classe politica. Strategia che integreranno in corso d’opera emulando quella con cui Escobar stava provando ad intestarsi un processo negoziale per pacificare il conflitto colombiano, e con cui confidavano di poter negoziare con il governo una resa agevolata, in cambio del loro impegno a smantellare il narcotraffico in Colombia. Si, perché, per quanto vittoriosi, i fratelli Rodriguez comprenderanno presto come uccidendo Escobar ne avessero ereditato la condizione di ricercati numeri uno. Condizione a cui i loro alleati politici non saranno nelle condizioni di sottrarli, a causa della pressione politica degli Stati Uniti, che non tarderà a palesarsi indirettamente inducendo i paramilitari del clan Castaño a prendere le distanze dai tentativi del Cartello di Cali di dialogare con la guerriglia, impedendogli di scardinare gli equilibri strategici regionali. A tal proposito, non sorprende di certo che l’amministrazione liberale Samper, finanziata e sostenuta da tutti i narcos colombiani, sia stata pesantemente compromessa da uno scandalo orchestrato dai conservatori. Contrapposizione strategica che permetterà al piccolo Cartello del Norte del Valle di incunearsi, approfittandone per ridimensionare il controllo del Cartello di Cali sul narcotraffico, rigettando la prospettiva di rinunciare ai loro lucrosi affari criminali. Dinamica che evidenzierà ai fratelli Rodriguez di non essere nelle condizioni di imporre la propria volontà alla miriade di narcos in ascesa, per nulla disposti a subordinarsi agli ordini di un’organizzazione sprovvista del potenziale militare con cui Escobar era riuscito a dominarli per oltre un decennio. Di questo e di molto altro parleremo nel prossimo articolo conclusivo di questa storia, che si è dilungata man mano che la battevamo, arricchendola di dettagli utili a comprendere meglio questo fenomeno criminale, evidenziandone le sue dimensioni socio-politiche ed umane. Il prossimo articolo illustrerà la stagione del post-Escobar, mettendo in evidenza il rapido declino del Cartello di Cali, l’ascesa del Cartello del Norte del Valle, l’effimera egemonia dei narco-paramilitari e l’implosione del sistema dei maxi-cartelli. Epilogo in cui riepilogheremo anche la fine che faranno gli altri soggetti di questa storia criminale globale di cui la Colombia è stata tristemente teatro locale.