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I NARCOS COLOMBIANI (Epilogo)

Ripercorriamo le fasi che porteranno all’epilogo della stagione dei maxi-cartelli narcos colombiani.

L’EPILOGO DELLA COALIZIONE ANTI-ESCOBAR

Nonostante gli auspici di Pablo Escobar, la vittoria del candidato liberale, Ernesto Samper, andrà a vantaggio dei suoi nemici del Cartello di Cali, usciti vincitori dello scontro mortale ingaggiato alla fine degli anni ottanta. E se il 1993 era stato l’anno della vittoria della cupola di Cali su Escobar, il 1994 sembrerà metterli nelle condizioni di esercitare un’egemonia totale sulla Colombia, dal narcotraffico alla politica, patrocinando, per l’appunto, l’elezione di Samper. Ma come spesso accade, non tutto quello che sembra scontato sulla carta trova conferma in realtà, soprattutto in una terra ricca di colori e contraddizioni come lo è certamente la Colombia. Ben presto, infatti, all’ombra dell’effimera apoteosi del Cartello di Cali inizieranno ad imporsi due insidiosi concorrenti come i narco-paramilitari del clan Castaño ed il Cartello del Norte del Valle. L’eliminazione di Pablo Escobar aveva ridato pace ai suoi nemici, e alla Colombia tutta, dando ragione alla tesi di Carlos Castaño che considerasse tutto il paese dal presidente Gaviria in giù aggregato ai los-Pepes, la coalizione di interessi trasversali che riunì tutti i nemici del fu leader del Cartello di Medellin. Ma purtroppo per la Colombia, Carlos Castaño non aveva affatto ragione, giacché la pace da poco riguadagnata verrà spezzata nuovamente proprio dai paramilitari del clan Castaño il 9 agosto 1994, con l’assassinio di Manuel Cepeda, uno dei senatori di spicco dell’Union Patriotica (UP), il partito di riferimento dei guerriglieri. Assassinio che i sicari paramilitari consumeranno spavaldamente proprio all’indomani dell’insediamento ufficiale del neo-presidente Samper. Atto con cui il clan Castaño segnalerà alla guerriglia l’intenzione di proseguire la strada della vendetta, assecondata strategicamente dagli ambienti militari più conservatori e dai servizi deviati del DAS, intenzionati a punire l’assassinio di uno dei generali di punta delle forze armate, caduto vittima di un assalto delle FARC solo pochi giorni prima.

E proprio l’approccio con cui relazionarsi alla guerriglia allontanerà progressivamente il Cartello di Cali dai suoi vecchi alleati paramilitari. E mentre i paramilitari continueranno ad esplicitare la volontà dell’oligarchia conservatrice di proseguire le ostilità con la guerriglia, in modo ancora più netto che in passato, il Cartello di Cali, invece, sembrerà intenzionato a sondare la possibilità di mediare un accordo di riconciliazione con cui guadagnarsi una legittimità politica da spendere sul piano negoziale con il nuovo governo colombiano, da cui i narcos contavano di ottenere condanne minime, o quantomeno agevolate. La divergenza strategica tra i narcos di Cali ed i narco-paramilitari del clan Castaño inizierà così a compromettere i fondamenti di un’alleanza fondata dalla necessità di eliminare un nemico irriducibile del calibro di Pablo Escobar. E sebbene la potenza finanziaria del Cartello di Cali fosse impareggiabile, i paramilitari dei Castaño si ritroveranno nelle condizioni di esercitare un potere ben più concreto, facendo valere il loro indiscutibile potenziale tattico-militare, peraltro ben coperto da ambienti politici conservatori espressione dell’oligarchia colombiana. Inoltre, al netto dei proclami di Carlos Castaño, la loro organizzazione incrementerà la propria posizione all’interno del narcotraffico, da cui continuerà a trarre ingenti finanziamenti, sebbene questi sostenesse di aver tentato inutilmente di convincere i narcos a costituirsi, abbandonando i loro affari criminali.

I NARCO-PARAMILITARI

E proprio grazie alle considerevoli risorse derivanti dal narcotraffico che i paramilitari del clan Castaño diventeranno una vera e propria potenza, il cui inquadramento tattico verrà curato e disciplinato da personalità come Carlos Garcia (alias Rodrigo Doble Cero), un’ex-militare colombiano addestratosi negli Stati Uniti tra i ranghi dei berretti verdi, specializzandosi nell’uso di esplosivi, oltre che nelle tattiche di contro-guerriglia e intelligence. Garcia, al pari di molti altri leader paramilitari, abbandonerà l’esercito colombiano perché deluso dall’approccio moderato con cui, a suo dire, il governo di Bogotá si misurava con la guerriglia, subordinando le potenzialità delle forze armate al rispetto dei diritti umani. Posizione che, nel caso di Garcia, verrà sviluppata all’indomani dell’assalto al palazzo di giustizia predisposto nel 1985 dall’M-19, in cui perderanno la vita alcuni suoi vecchi amici di famiglia. L’ingresso di Garcia tra i ranghi del paramilitarismo verrà favorito dalla famiglia Castaño, tanto da diventare il segretario personale di Fidel Castaño, ucciso in circostanze fosche proprio all’inizio del 1994, e delle cui singolari trame abbiamo avuto modo di accennare precedentemente.

Parallelamente alla figura di Carlos Garcia, all’interno della galassia paramilitare si imporranno anche personalità come quella di Salvatore Mancuso (alias “el-Mono”, ovvero la Scimmia), il figlio di immigrati italiani stabilitisi nella cittadina di Cordoba, la roccaforte del clan Castaño. Mancuso, con formazione ingegneristica sviluppata tra Colombia e Stati Uniti, inizierà ad osteggiare la guerriglia dopo essere stato sequestrato dai guerriglieri dell’EPL. Prima di riacquisire la libertà, Mancuso dibatterà a lungo con i suoi aguzzini sull’ingiustizia della pratica dei sequestri, apprendendo dai guerriglieri come questi fossero parte di una strategia indispensabile per liberare la Colombia dall’oligarchia corrotta che la governava. Paradossalmente, al netto dei proventi finanziari ottenuti, la strategia dei sequestri imporrà ai guerriglieri il pagamento di un prezzo strategico altissimo, giacché, come abbiamo avuto modo di trattare, i Castaño inizieranno a contrastarli ostinatamente proprio in conseguenza di episodi simili alla disavventura di Mancuso. Senza queste controverse campagne di sequestro, probabilmente, la guerriglia non avrebbe suscitato l’origine della sua nemesi, così come sostenuto anche dai Castaño, che prima del sequestro e assassinio del loro padre non nutrivano particolare ostilità per la loro causa, anzi, alcuni erano persino loro simpatizzanti come nel caso di Manuel Castaño, che in gioventù avrebbe frequentato molti guerriglieri, leggendo opere comuniste e ascoltando la radio cubana. A riprova di ciò, Carlos Castaño ha sostenuto che avrebbe potuto perdonare tutto alla guerriglia, meno che l’assassinio del padre, che lo ha costretto a combattere tutta la vita per vendicarlo. Scelta di vita che evidenzia, ancora una volta, come spesso dietro scelte di natura politica si celino motivazioni personali difficili da sradicare.

Salvatore Mancuso paramilitari AUC Colombia narcos
( Salvatore Mancuso )

Ad ogni modo, ritornando a Mancuso, anche lui, come i Castaño, reagirà alle intimidazioni dei guerriglieri, fronteggiandoli spavaldamente fino a contrastarli apertamente insieme ad altri soggetti esasperati con cui riuscirà a sottrargli armi utilizzate per strutturare quello che considerava un nucleo di autodifesa, grazie a cui riuscirà ad assumere il progressivo controllo sulle località rurali prossime alla costa atlantica colombiana. Risultati agevolati da una personalità estremamente fredda e temeraria, ma anche abbastanza carismatica da guadagnarsi il rispetto delle truppe al suo comando. Doti grazie a cui Mancuso riuscirà a conquistarsi la fiducia di Fidel Castaño, con cui farà fronte comune nella lotta anti-guerrigliera. Anche, Mancuso, come del resto i Castaño, finanzierà la propria organizzazione paramilitare con i proventi del narcotraffico, non esitando a sfruttare le propri origini calabresi per instaurare proficui rapporti con la Ndrangheta. L’avanzata delle milizie di Mancuso verso la costa atlantica colombiana verrà supportata dal contributo di quelle afferenti a Rodrogo Tovar (Jorge 40), grazie a cui riusciranno a ridimensionare il controllo del Cartello della Costa, nonostante lo scarceramento del suo leader, Alberto Orlandez, avvenuto nell’ottobre del 1994.

L’ascesa dei narco-paramilitari coinciderà, per certi versi, con l’ascesa politica di Alvaro Uribe, eletto alla carica di governatore di Antioquia, dove solo qualche anno prima dirigeva l’aviazione civile, proprio nello stesso periodo dell’exploit del Cartello di Medellin, la cui storia, come abbiamo precedentemente avuto modo di rilevare, si interseca in maniera più che sospetta proprio con le vicissitudini della famiglia Uribe. Oltre a quanto evidenziato nei precedenti focus, va segnalata la contiguità e le amicizie che Santiago Uribe, il fratello di Alvaro Uribe, avrebbe intrattenuto con narcotrafficanti del calibro di Jorge Ochoa, Josè Rodriguez e Pablo Escobar. Tra l’altro, Santiago Uribe è stato anche accusato di aver partecipato alla fondazione di una banda armata anti-guerrigliera. Ostilità anti-guerrigliera intensificatasi dopo l’assalto guerrigliero del 1983, in cui perderà la vita suo padre Alberto, e nel corso del quale verrà ferito lo stesso Santiago. Va poi segnalato come Alvaro Uribe sia stato tra i pochi ad aver contestato al presidente Cesar Gaviria l’essere sceso a patti con i los-Pepes pur di eliminare Pablo Escobar Gaviria, il cui cugino Josè Obdulio Gavira diverrà uno dei suoi collaboratori politici più stretti.

L’OFICINA DE ENVIGADO

Successivamente all’eliminazione di Pablo Escobar Gaviria, e la conseguente implosione del Cartello di Medellin, alcuni reduci, per lo più appartenenti alla fazione vincente dei los-Pepes, proverranno a ricomporne i pezzi. Tra questi emergeranno le figure di Diego Murillo (alias Don Berna) e Gustavo Upegui, che al netto del loro limitato background criminale, riusciranno a guadagnarsi un ruolo primario nella riorganizzazione della  cosiddetta “Oficina de Envigado”, l’organizzazione che amministrava i traffici correnti del cartello, grazie a cui Escobar era riuscito a controllare per più di due decenni tutte le dinamiche del microcosmo criminale di Medellin, dalla criminalità spiccia alla corruzione dei funzionari pubblici, passando, ovviamente, per il narcotraffico. E mentre Upegui continuerà a curare i rapporti con la sfera politica, funzione che esercitava fin dai tempi del suo vecchio amico Pablo Escobar, alternandola alla sua passione per il mondo sportivo, Don Berna cercherà di imbrigliare il caos e le faide post-Escobar, cooptando le bande di sicari più collaborative, ed eliminando quelle che non intendevano rispettare la nuova leadership dell’Oficina de Envigado. Processo che si rivelerà più complicato del previsto, come dimostrerà il sequestro del figlio di Gustavo Upegui, rapito nel gennaio 1996, e liberato solo dopo l’intervento di un commando di Don Berna nel mese d’aprile, culminato con l’assassinio dei responsabili. L’Oficina de Envigado riprenderà così a funzionare, anche se il suo peso nel narcotraffico colombiano non tornerà mai più ad essere quello dei tempi di Escobar, amministrando un giro di affari nemmeno paragonabile a quello gestito dai cartelli di Cali e del Norte del Valle. Nonostante i suoi trascorsi da guerrigliero EPL, Don Berna riuscirà comunque a conservare buoni rapporti con Carlos Castaño, al punto da integrarsi al suo movimento paramilitare, facendovi convergere l’Oficina de Envigado, ridenominandola “Bloque Cacique Nutibara”, che da lì in avanti si configurerà come un presidio paramilitare urbano anti-guerrigliero garante degli interessi dell’oligarchia conservatrice di Medellin. Don Berna sostiene che, senza l’assenso dell’Oficina di Envigado, nessun politico era in grado di organizzare un comizio a Medellin, facendo l’esempio eclatante del Ministro degli interni Horacio Serpa, che in un’occasione lo avrebbe fatto contattare prima di poterne organizzare uno nel capoluogo antioqueno.

Gustavo Upegui Oficina Envigado Cartello Medellin narcos Colombia sport
( Gustavo Upegui )

LA STRATEGIA NEGOZIALE DEL CARTELLO DI CALI

Nonostante gli sforzi profusi, la strategia politica con cui il Cartello di Cali puntava ad accreditarsi come soggetto mediatore di un processo di pace con la guerriglia non riuscirà a concretizzarsi, soprattutto dopo la presa di distanze di Carlos Castaño. La freddezza dei paramilitari rifletterà l’indisponibilità dell’establishment conservatore contiguo agli Stati Uniti a scendere a patti con la guerriglia, soprattutto in un momento storico in cui questa si ritrovava a fare i conti con le conseguenze strategiche derivanti dal collasso dell’Unione Sovietica. La presa di distanze dei paramilitari del Castaño evidenzierà ai fratelli Rodriguez come la loro egemonia fosse più nominale che sostanziale, così come dimostreranno le difficoltà incontrate nel convincere gli altri narcos della necessità di smantellare il narcotraffico in Colombia come condizione per negoziare con il governo una soluzione per uscire dalla loro condizione criminale, scontando condanne minime, conservando i proventi economici derivanti dai loro traffici illeciti. Prospettiva non condivisa da molti narcos emergenti, per nulla disposti a rinunciare agli ingenti proventi derivanti da un business altamente redditizio, abbandonandolo proprio nel momento migliore, per di più avendo accumulato somme decisamente inferiori a quelle aggregate nell’arco di due decenni dai fratelli Rodriguez Orejuela. Opposizione capeggiata dal Cartello del Norte del Valle guidato da Orlando Henao Montoya, a cui si aggregheranno molti altri narcos del Cartello di Cali per nulla disposti ad abbandonare i loro lucrosi affari criminali.

Le difficoltà dei fratelli Rodriguez nell’imporre la loro egemonia sui narcos colombiani, convinceranno gli Stati Uniti ad intensificare la pressione sul governo Samper, esigendo il cambio dei comandanti del Blocco di Ricerca, perché considerati troppo compromessi con i boss di Cali, in larga parte gli stessi con cui avevano discretamente collaborato all’eliminazione di Pablo Escobar. Nello specifico, gli Stati Uniti inizieranno a diffidare dai Rodriguez, ritenendoli inaffidabili, probabilmente credendo che dietro la loro incapacità nello smantellare il narcotraffico, sommata al tentativo di dialogo con la guerriglia ed il finanziamento dell’elezione di Samper, si celasse una spregiudicata strategia che potesse riproporre la parabola di Pablo Escobar. Minaccia a cui a Washington risponderanno radicalmente, esigendo dal governo colombiano l’immediato smantellamento del Cartello di Cali. Dinnanzi alla crescente pressione statunitense, il governo colombiano promuoverà una misura finalizzata ad alleggerire la situazione dei paramilitari, legittimandone le attività all’interno degli enti “Convivir”, classificandoli alla stregua di gruppi di vigilanza privata, autorizzati a detenere e utilizzare le armi per integrare le forze di sicurezza nella difesa dei proprietari terrieri insidiati dalla guerriglia.

LE TRAME DIETRO L’ARRESTO DELLA CUPOLA DI CALI

Il primo boss di Cali a finire ammanettato sarà Jorge Rodriguez, arrestato il 4 marzo del 1995. Arresto seguito da quello dell’ex-colonnello Luis De Vasto, il capo della sicurezza dei Rodriguez, arrestato nel giugno del 1995, dopo essere stato tradito dal suo collaboratore Jorge Salcedo, che nel frattempo aveva iniziato a collaborare sottotraccia con gli ufficiali americani della DEA. La pressione politica, sommata all’insubordinazione dei narcos aggregatisi sotto la leadership del Cartello del Norte del Valle, spiazzerà i boss di Cali, convincendoli ad accelerare i termini della loro resa alle autorità. Proposito che la polizia colombiana realizzerà il 6 giugno, arrestando Gilberto Rodriguez all’interno del covo in cui si nascondeva, dove supplicherà gli agenti del Blocco di Ricerca di non ucciderlo, rassicurandoli sulla sua indole pacifica. Ed effettivamente, Gilberto Rodriguez era ben lontano dall’efferatezza dei suoi rivali di Medellin, avendo più il piglio del businessman. Ad ogni modo, alcune speculazioni sostengono che l’arresto di Rodriguez sia stato pianificato, tanto che, secondo la sua compagna Aura Rocio, gli agenti avrebbero “dimenticato” sul posto una valigetta contenente suoi documenti, prontamente recuperata dai suoi luogotenenti. L’arresto di Gilberto Rodriguez non verrà seguito, come auspicato dalle autorità, da quello del fratello minore Miguel, dando adito a speculazioni che lo volevano intenzionato a rimanere libero e, soprattutto, alle redini del cartello.

Gilberto Rodriguez Orejuela narcos Cartello Cali
( Gilberto Rodriguez )

La prospettiva di uno spregiudicato Miguel Rodriguez alla guida del Cartello di Cali, per di più spalleggiato da un governo compiacente, convincerà gli ambienti conservatori ad incrementare la pressione politica sul presidente Samper, pubblicando, il 20 giugno, le registrazioni, ottenute da Andres Pastrana, che dimostravano i lauti finanziamenti erogati dai narcos a sostegno della sua campagna elettorale. Intercettazioni divulgate dall’emittente TG24, dove, giusto per la cronaca, aveva lavorato per un certo periodo anche Virginia Vallejo, la giornalista amante di Pablo Escobar, e secondo alcune fonti, anche dei fratelli Rodriguez. Ma l’elemento più rilevante, era che l’emittente in questione era controllata dal leader conservatore Alvaro Gomez, il figlio dell’ex-presidente Laureano Gomez, rovesciato nel 1951 da un golpe militare conservatore, ad appena un anno dalla sua elezione. E a tal proposito, Alvaro Gomez non avrà più fortuna del padre, perdendo prima il confronto presidenziale con il liberale Alfonso Lopez nel 1974, e successivamente le primarie conservatrici con Belisario Betancur del 1978, finendo sconfitto anche dal liberale Virgilio Barco nel 1986. Nonostante questi risultati poco esaltanti, Gomez rimarrà comunque una personalità di primo piano all’interno del panorama politico colombiano, candidandosi ancora una volta nel 1990 come indipendente, sostenuto da esponenti dissidenti trasversali ai partiti conservatore e liberale, appena dopo due anni dopo il suo sequestro attuato dall’organizzazione guerrigliera M-19. In quest’ultima occasione, Gomez metterà da parte la sua antica ostilità nei confronti della guerriglia, che in passato lo aveva visto tra i più risoluti sostenitori della linea dura, contribuendo a radicalizzare il conflitto colombiano. Cambio di linea politica dettato dall’intenzione di giungere ad una soluzione pacifica dell’annoso conflitto, che avrà modo di discutere persino con Jacobo Arenas, uno dei leader delle FARC.

Dopo Escobar, ed i fratelli Rodriguez, anche un’esponente conservatore del calibro di Gomez sembrava intenzionato a promuovere un processo di pace tra stato e guerriglia, anche se non è dato sapere fino a che punto questi propositi trasversali celassero una regia comune. Ad ogni modo, al netto di queste mere congetture, l’Assemblea costituente del 1991 sembrerà amalgamare questi ambienti trasversali, tanto che la presidenza della stessa verrà affidata ad un triumvirato composto proprio dal conservatore Alvaro Gomez, dal liberale Horacio Serpa e dal guerrigliero Navarro Wolff. Assemblea costituente che, come abbiamo precedentemente avuto modo di accennare, è stata soggetta a pesanti infiltrazioni, soprattutto provenienti da ambienti politici contigui al mondo dei narcos, che in quell’occasione riusciranno addirittura ad abrogare il trattato di estradizione con gli Stati Uniti. Equilibri che, tuttavia, sono saltati poco dopo, innescate dalla crisi conseguente all’evasione di Escobar dalla sua “Catedral”, indebolendo il fronte liberale che governava la Colombia dal 1986, rendendosi protagonista di un approccio fin troppo ambiguo nei confronti dei narcos, passando dalla linea dura di Galan a quella negoziale del suo erede Gaviria. Approccio contraddittorio esasperato dalla condotta elettorale del presidente Samper, che pur di battere il fronte conservatore rappresentato da Andres Pastrana non esiterà ad attingere alle risorse finanziarie messe a disposizione dal Cartello di Cali. Grazie a questa utile premessa digressiva, è possibile comprendere i motivi che hanno indotto i conservatori, e di converso i loro importanti sponsor statunitensi, a mettere sotto scacco mediatico l’amministrazione Samper, considerata fin troppo compromessa con i narcos, ed i loro propositi di sfruttare il conflitto colombiano come strumento negoziale. Scandalo che pregiudicherà seriamente l’autorevolezza della nuova amministrazione Samper, ritenuta dagli Stati Uniti fin troppo compromessa con i narcotrafficanti ed i loro propositi di sfruttare un processo di pace con la guerriglia per fini negoziali, ed i cui riflessi avrebbero potuto compromettere seriamente i delicati equilibri strategici su cui si fondava la Colombia. Prospettiva che indurrà gli Stati Uniti a delegittimare l’amministrazione Samper, sostenendo tacitamente il fronte conservatore, peraltro legato a doppio filo con la galassia paramilitare, altrettanto rapida nell’allontanarsi dai vecchi alleati del Cartello di Cali. In quel torrido mese di luglio 1995, gli Stati Uniti arriveranno addirittura a revocare il visto al presidente colombiano Samper, contribuendo ad isolarlo a livello internazionale. E come se ciò non bastasse, Samper si ritroverà anche a fare i conti con i piani di un presunto attentato commissionato dal narcotrafficante Leonidas Vargas, a sua volta scampato ad un attentato dinamitardo all’interno del carcere in cui era stato precedentemente recluso.

La pressione mediatica conseguente allo scandalo narco-politico verrà seguita dall’arresto di Jorge Santacruz (alias Don Chepe), uno dei luogotenenti di punta del Cartello di Cali, “sorpreso” il 4 luglio dagli agenti della polizia mentre pranzava seraficamente all’interno di un noto ristorante di Bogotá. Circostanze certamente anomale per un ricercato del calibro di “Don Chepe”, tanto da dare adito alla tesi che vuole il suo arresto concordato. A tal proposito, Nicolas Escobar, il nipote del leader del Cartello di Medellin, sostiene di aver incontrato Jorge Santacruz, non molto tempo prima, in un centro commerciale di Medellin, dove il boss di Cali si sarebbe recato per guardare un film al cinema, cosa che gli sarebbe verosimilmente costata la vita solo qualche mese prima. Attitudini che, ad ogni modo, un ricercato di rilievo non avrebbe certamente potuto mantenere in mancanza di coperture criminali (vedi los-Pepes) e soprattutto istituzionali. Di certo, darà molto a pensare l’approccio cordiale che Nicolas Escobar intratterrà con quelli che erano stati i più irriducibili nemici mortali dello zio Pablo, avvalorando i sospetti di una possibile collaborazione della famiglia di Roberto Escobar con i nemici del fratello. Infatti, va considerato che non tutti i reduci del Cartello di Medellin riusciranno a vivere tranquillamente come Nicolas Escobar, giacché, solo per fare un esempio, Enrique Urquijo, nonno materno del capo-sicario Carlos Alzate (el-Arete), nonché suocero di Roberto Escobar, verrà assassinato insieme ai suoi figli all’interno del loro deposito di materiale edile nel mese di maggio. A tal proposito, Nicolas Escobar sostiene di aver provato a mediare un accordo di pace tra la famiglia di el-Arete ed i los-Pepes, avvalorando ulteriormente la tesi che lo vuole legato con i nemici di suo zio Pablo Escobar.

Ad una settimana dall’arresto di Don Chepe, i poliziotti del Blocco di Ricerca riusciranno a localizzare il covo dove si nascondeva Miguel Rodriguez, sempre grazie alle discrete indicazioni del suo responsabile della sicurezza, Jorge Salcedo. Tuttavia, in quella circostanza, il boss del Cartello di Cali riuscirà comunque a farla franca, nascondendosi all’interno di una botola occultata dentro il bagno del suo covo, all’interno della quale riusciva a respirare mediante l’ausilio di una bombola d’ossigeno. E sebbene i poliziotti avessero iniziato a smantellare il bagno in questione, arrivando persino a ferire inavvertitamente Miguel Rodriguez con uno dei trapani utilizzati, non riusciranno ad individuarlo perché interrotti da un ufficiale corrotto che esigerà un mandato per smantellare l’abitazione, riuscendo così ad espellerli dall’edificio il tempo necessario a permettere al boss di dileguarsi rapidamente, lasciandosi dietro un asciugamano insanguinato che certificherà agli agenti la sua presenza nel covo. Circostanze che confermeranno come Miguel Rodriguez fosse braccato, ma non ancora del tutto isolato dalla sua rete di fiancheggiatori para-istituzionali. La fuga di Miguel Rodriguez farà saltare molti equilibri politici, seguendo di due soli giorni la decisione del nuovo Procuratore generale, Alfonso Valdivieso, di pubblicare tutte le registrazioni che provavano la corruzione del presidente Samper, che il suo predecessore Gustavo De Greiff aveva deciso di secretare per schermare la figlia Monica, all’epoca dei fatti coinvolta nella campagna elettorale del candidato liberale. Registrazioni talmente pesanti da dar luogo ad un’inchiesta culminata con il cosiddetto “Processo 8000”, i cui strascichi susciteranno un gravissimo scandalo che delegittimerà un po’ tutta l’amministrazione Samper, sebbene quest’ultimo continuasse a rigettare fermamente qualsiasi legame con i fratelli Rodriguez. E sarà proprio nel bel mezzo di questa bufera mediatica che il 6 agosto la Polizia arresterà Miguel Rodriguez, l’ultimo boss di punta del Cartello, paradossalmente messo alle strette da quell’oligarchia politica di cui aveva favorito l’ascesa.

Miguel Rodriguez Orejuela narcos Cartello Cali
( Miguel Rodriguez )

Malgrado gli arresti, la cupola di Cali, pur reclusa all’interno di un penitenziario ordinario, godrà di un trattamento al dir poco privilegiato, scontando le loro condanne all’interno di celle dotate di ogni confort, dalla tv alla biblioteca, passando per i mini-bar ai pasti quotidianamente preparati da uno chef di loro fiducia, per evitare possibili avvelenamenti. E se alcune fonti sostengono che i boss di Cali riuscissero persino ad uscire dal penitenziario, le loro condizioni carcerarie non saranno comunque lontanamente paragonabili a quelle godute da Pablo Escobar all’interno de “la-Catedral”, dove a suo tempo si era costituito senza manette, a bordo di un elicottero con tanto di scudi umani al seguito. I Rodriguez non erano Escobar, e non avevano avuto la forza per negoziare con il governo condizioni detentive migliori, ma perlomeno erano sopravvissuti ad un decennio di guerra i cui pronostici iniziali li davano assolutamente per sfavoriti. Più avanti, la giustizia colombiana condannerà Gilberto Rodriguez a 15 anni di reclusione, successivamente ridotti a 7 per buona condotta, grazie anche agli studi filosofici intrapresi nel frattempo. Ad ogni modo, i fratelli Rodriguez riusciranno comunque ad esercitare la loro influenza criminale anche all’interno del penitenziario, guadagnandosi il rispetto degli altri detenuti attraverso l’elargizione di favori che andavano dalle semplici scarpe da ginnastica alle schede telefoniche, passando per i biglietti dell’autobus per i familiari dei reclusi all’assistenza legale per chi non poteva permettersela. Condizioni carcerarie privilegiate che avrebbero addirittura permesso a Miguel Rodriguez di incontrare il futuro presidente argentino, Mauricio Macri, all’epoca dirigente della squadra di calcio del Boca Junior, negoziando una trattativa di calcio mercato per conto della sua America de Cali. Privilegi che i fratelli Rodriguez conserveranno fino al 2000, quando il governo li assoggetterà ad un regime penitenziario di massima sicurezza, con trattamento simile a tutti gli altri detenuti.

GLI INTRIGHI DEL PROCESO 8000

Come abbiamo già accennato, la fine di Pablo Escobar e l’arresto in sequenza dei fratelli Rodriguez sembrerà far recuperare una certa normalità alla Colombia. Pace interrotta il 28 settembre dall’assassinio di Josè Cancino, l’avvocato del presidente Ernesto Samper, consumato pochi giorni dopo averlo assistito in una delle prime udienze del “processo 8000″. A detta di Carlos Castaño, l’assassinio di Cancino avrebbe visto la collaborazione dei sicari del Cartello del Norte del Valle di Orlando Henao. E sebbene Samper continuasse a proclamarsi estraneo alle accuse di contiguità con il narcotraffico, la sua posizione verrà compromessa proprio nel settembre del 1995, successivamente alla deposizione di Santiago Medina, il tesoriere della sua campagna elettorale, che rivelerà ai magistrati l’entità dei finanziamenti effettivamente ricevuti dal Cartello di Cali. Posizione aggravata ulteriormente dalla pubblicazione delle telefonate tra Samper ed Elizabeth Montoya, considerata l’anello di congiunzione tra la sua campagna elettorale ed i narcos, uccisa insieme alla sua scorta il 2 febbraio 1996, in circostanze fosche, poco dopo aver deposto al processo 8000. Accuse successivamente confermate anche dal ministro della difesa Fernando Botero, il figlio del noto artista colombiano, anch’egli coinvolto nella gestione dei fondi della campagna elettorale dell’allora candidato liberale. Questo clima verrà ulteriormente turbato dal clamoroso assassinio del leader conservatore Alvaro Gomez, ucciso il 2 novembre nei pressi dell’Università di Bogotá, dove insegnava. Sebbene Gomez avesse abbandonato la scena politica attiva in favore di quella accademica, continuerà comunque ad esercitare una notevole influenza, soprattutto sul piano mediatico, contestando aspramente l’amministrazione Samper, bollandola come un regime corrotto. La precarissima posizione di Samper verrà vagliata persino da una apposita Commissione parlamentare, convocata alla fine del febbraio 1996, ma il cui iter verrà bloccato dalla sua maggioranza liberale, nonostante le fortissime proteste provenienti dalla società civile. Il caso Samper si articolerà parallelamente ad una serie di anomali assassinii che coinvolgeranno molti investigatori e testimoni implicati a vario titolo nell’assassinio di Gomez, come nel caso dell’ex-ministro Fernando Landazabal, ritenuto informato dell’identità dei mandanti del crimine, ucciso il 12 maggio del 1998.

Successivamente al loro arresto, il comandante paramilitare Ever Velosa (alias H.H.) e il boss del Cartello del Norte del Valle, Luis Hernando Gomez, addebiteranno la regia dell’assassinio di Gomez proprio al presidente Ernesto Samper e al suo Ministro degli interni Horacio Serpa. In base a queste rivelazioni, Samper e Serpa avrebbero avallato l’eliminazione di Gomez perché intimoriti dalla prospettiva che il clima di delegittimazione alimentato dal leader conservatore potesse stimolare un possibile golpe. Ad ogni modo, al netto di queste pesantissime accuse, l’assassinio di Gomez verrà addebitato a Hector Florez, sebbene ritenuto innocente dalla famiglia dello stesso leader conservatore, tanto da indurre uno dei suoi nipoti a prestargli assistenza legale. Più avanti, le rivelazioni di Carlos Castaño addebiteranno la fine di Alvaro Gomez alla regia del Cartello del Norte del Valle, accusando il suo leader assoluto, Orlando Henao, di averne organizzato l’assassinio su indicazione di una coalizione composta da narcos e politici avversi allo scomodo leader conservatore. Carlos Castaño sostiene di aver declinato l’offerta di 1 milione di dollari avanzata da Orlando Henao per uccidere Gomez, sebbene quest’ultimo avesse il potenziale per realizzarlo autonomamente, come alla fine avrebbe fatto. Tra l’altro, alcune tesi parlano di un coinvolgimento del colonnello Danilo Gonzalez, vicino proprio al Cartello del Norte del Valle, nell’assassinio del leader conservatore. Castaño puntualizza che l’assassinio di Gomez fosse stato discusso in presenza di un funzionario della Procura generale, con cui Henao avrebbe negoziato personalmente i termini della sua reclusione e condanna. Carlos Castaño sostiene di aver declinato la proposta del leader del Cartello del Norte del Valle perché intimorito dal suo cinico modus operandi, con cui era solito approfittare o suscitare divisioni e conflitti tra amici ed avversari, passando per parte neutra silenziosa, un po’ come era riuscito a capitalizzare a vantaggio del Cartello del Norte del Valle la faida tra i cartelli di Cali e Medellin, imponendosi come il vero capo dei capi del narcotraffico colombiano. Approccio spregiudicato con cui, sempre secondo Castaño, Orlando Henao avrebbe persino tentato di sottrargli il controllo sulla galassia paramilitare, facendo valere lo strapotere finanziario del Cartello del Norte del Valle, il cui giro d’affari lieviterà proprio mentre i suoi ben più grandi concorrenti dilapidavano gran parte delle proprie risorse in una guerra che porterà alla loro rovina di entrambi. Strategia con cui Orlando Henao approfitterà dell’arresto dei fratelli Rodriguez, per annettersi la fazione del Cartello di Cali intenzionata a rigettare la strategia di smantellamento del narcotraffico promossa dai due boss reclusi.

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( Danilo Gonzalez )

La cupola del Cartello del Norte del Valle riuscirà ad imporsi sui rivali di Cali anche grazie al supporto decisivo di ufficiali corrotti come Danilo Gonzalez. A detta della compagna di Gilberto Rodriguez, Aura Rocio, il leader del Cartello di Cali, pur avendo provato inutilmente a corrompere Alvaro Gomez, si sarebbe rammaricato dalla notizia del suo assassinio, ritenendolo uno sviluppo che avrebbe inevitabilmente complicato i delicati equilibri colombiani. Va comunque evidenziato come parallelamente alla pista narcos, si sia recentemente fatto largo anche una pista guerrigliera, evidenziata da una lettera sottoscritta da alcuni membri della segreteria delle FARC, tra cui Carlos Lozada e Pablo Catatumbo, in cui rivendicano l’assassinio di Gomez, a loro dire coordinato da Luis Suarez (Mono JoJoy). Rivendicazione avvalorata anche all’interno di un libro pubblicato dalla compagna del leader guerrigliero Manuel Marulanda, intenzionato a punire il leader conservatore per l’essere stato tra i primi politici a denunciare pubblicamente le FARC, esortando il governo dell’epoca a perseguitarli militarmente. Tesi, tuttavia, rigettata dalla famiglia di Gomez, che la ritiene una strategia finalizzata a proteggere i veri responsabili della fine del leader conservatore. A tal proposito, proprio per assicurare giustizia alla famiglia di Gomez, il suo assassinio è stato classificato come crimine contro l’umanità nel dicembre 2017, rendendolo imprescrivibile.

L’ASCESA DEL CARTELLO DEL NORTE DEL VALLE

La poderosa ascesa del Cartello del Norte del Valle, guidato da Orlando Henao, insidierà rapidamente la posizione dominante del Cartello di Cali, sottraendogli l’egemonia sul narcotraffico colombiano. L’insidia posta dal Cartello del Norte del Valle preoccuperà la cupola del Cartello di Cali al punto tale da indurre Jorge Santacruz ad evadere l’11 novembre del 1996 proprio per arginare il tentativo dei loro avversari di prendere il sopravvento sulla loro organizzazione. Proposito che cercherà di concretizzare cercando il supporto strategico dell’amico Carlos Castaño, da cui si sarebbe fatto ospitare a Medellin, ben lontano dalla pericolosa Valle del Cauca, saldamente in mano al Cartello del Norte del Valle. Versione, tuttavia, smentita dallo stesso Castaño, il quale sosterrà di non avere incontrato “Don Chepe” perché, a suo dire, stava collaborando sottotraccia con i guerriglieri delle FARC, sebbene gli avessero sequestrato la sorella solo qualche mese prima, e la loro rilevanza nel narcotraffico colombiano crescesse esponenzialmente. Nello specifico, Castaño sostiene di aver ricevuto un’intercettazione telefonica tra Santacruz e un delegato (noto co l’alias di Estandarte) del leader delle FARC, Raul Reyes, che gli avrebbe garantito protezione e schermo politico all’interno del futuro processo di pace in cambio del suo aiuto ad ucciderlo. Dinnanzi a questo proposito, Castaño avrebbe deciso di anticipare le intenzioni del vecchio alleato, consegnandolo al generale Rosso Serrano e al colonnello Danilo Gonzalez, pur smentendo la sua partecipazione diretta all’assassinio del narcotrafficante.

Jorge Santacruz Don Chepe Cartello Cali narcos Colombia
( Jorge Santacruz )

Ufficialmente, Josè Santacruz verrà intercettato dalla polizia il 5 marzo, ed ucciso all’interno della sua auto nel corso di uno scontro a fuoco con gli ufficiali. Tuttavia, William Rodriguez, il figlio di Miguel Rodriguez, sostiene che Carlos Castaño abbia ingannato e ucciso “Don Chepe” su indicazione della DEA, per poi consegnarne il cadavere alla polizia, con cui avrebbe inscenando uno scontro a fuoco fatale. Poco dopo la fine di Don Chepe, Williams Rodriguez inizierà a temere per la propria vita, credendo di essere il prossimo della lista nera di Carlos Castaño, credendo che quest’ultimo si aspettasse una rappresaglia del Cartello di Cali per vendicare il loro socio ucciso. A margine di questa storia, vale la pena evidenziare come il riscatto del cadavere di “Don Chepe” da Medellin a Cali verrà supervisionato da Nicolas Escobar, il nipote del nemico di uno dei suoi più acerrimi nemici. L’iniziativa di Nicolas Escobar sembrerà avvalorare le accuse del cugino Juan Pablo Escobar, secondo cui la famiglia dello zio Roberto Escobar avesse cooperato con il Cartello di Cali per uccidere suo padre. Dal canto suo, Nicolas giustificherà la sua iniziativa come un “gesto umanitario” distensivo con cui, a suo dire, avrebbe rischiato di essere identificato da Carlos Castaño come alleato di “Don Chepe” Santacruz. A tal proposito, Nicolas Escobar sostiene che Carlos Castaño recederà dal suo proposito di ucciderlo solo grazie alla mediazione dei fratelli Rodriguez e di Ivan Urdinola. Poco prima dell’eliminazione di Don Chepe, nel mese di febbraio, i paramilitari comandati da Salvatore Mancuso si renderanno protagonisti dello sgombero forzato di una delle proprietà della famiglia di Arturo Marulanda, il Ministro dello sviluppo colombiano, nonché socio della nota famiglia di finanzieri Rothschild. Evento che danneggerà la carriera politica del diplomatico colombiano.

Un mese dopo l’eliminazione di Josè Santacruz, il 2 aprile, la ritrovata quotidianità colombiana verrà spezzata dalla notizia del rapimento di Juan Carlos Gaviria, il fratello dell’ex-presidente Cesar Gaviria, preso di mira da un gruppo guerrigliero. Gaviria verrà liberato due mesi dopo, il 12 giugno, secondo alcune fonti su mediazione cubana, anche se Carlos Castaño ha sostenuto la tesi di un coinvolgimento di Orlando Henao nel suo sequestro. Ever Velosa (H.H), invece, sostiene che il rapimento di Gaviria fosse stato realizzato con la collaborazione del colonnello Danilo Gonzalez, e che rientrasse nella strategia con cui i paramilitari confidavano di costringere il governo a negoziare con loro, riconoscendogli legittimità politica. E a tal proposito, va segnalato come la liberazione di Gaviria sia stata agevolata dall’intervento del colonnello Danilo Gonzalez e di Victor Patiño, un-ex poliziotto integrato nella cupola del Cartello di Cali, e successivamente passato tra le fila del Cartello del Norte del Valle. Patiño, arrestato il 24 giugno del 1995, avrebbe mantenuto le relazioni del cartello con la sfera politica, interagendo in particolar modo con Ernesto Samper e Horacio Serpa. Contatti politici che gli permetteranno di conseguire una condanna di soli 12 anni.

Wilber Varela Cartello del Norte del Valle narcos Colombia
( Wilber Varela )

Dinnanzi all’effimero tentativo di Josè Santacruz di ristabilire l’egemonia del Cartello di Cali in Colombia, i fratelli Rodriguez decideranno di ricorrere nuovamente alla strategia precedentemente utilizzata per isolare Pablo Escobar, ovvero quella della delazione, fornendo alle autorità tutte le informazioni utili a contrastare i loro nemici del Cartello del Norte del Valle. Iniziativa a cui Orlando Henao reagirà, commissionando al suo capo della sicurezza, Wilber Varela, l’assassinio di William Rodriguez, il figlio di Miguel Rodriguez, a cui era stata affidata la gestione del clan ormai allo sbando. Il 24 maggio, i sicari del Cartello del Norte del Valle elimineranno Edgar Veloza, il capo dell’ala militare del Cartello di Cali. Mentre il giorno successivo sarà proprio William Rodriguez ad essere raggiunto da un commando di sicari del Cartello del Norte del Valle nel ristorante di Cali in cui si era recato a pranzare insieme ad un altro luogotenente del Cartello di Cali. In quella circostanza, i sicari del Norte del Valle riusciranno ad ingannare i guardaspalle di Rodriguez indossando divise della polizia, uccidendoli dopo averli convinti a farsi perquisire mediante l’ausilio delle stesse pistole silenziate che poco dopo rivolgeranno contro il loro boss. Agguato a cui, tuttavia, William Rodriguez riuscirà a scampare in circostanze fortuite, probabilmente perché i sicari di Varela non si aspettavano di incontrarlo, essendo stati inviati per uccidere il luogotenente con cui stava pranzando. Successivamente all’attentato contro il figlio, Miguel Rodriguez minaccerà di denunciare Orlando Henao alle autorità, ottenendo da Carlos Castaño una mediazione per raggiungere una tregua che i boss rivali sigleranno in carcere, dove il leader del Cartello del Norte del Valle, all’epoca a piede libero, si recherà di persona. Ma nonostante ciò, William Rodriguez, intimorito dalla possibilità di essere preso nuovamente di mira, deciderà di cautelarsi, iniziando a collaborare con la giustizia degli Stati Uniti, dove verrà estradato nel 2006, fornendo informazioni chiave sull’organizzazione del Cartello di Cali, compromettendo seriamente le posizioni giudiziarie del padre Miguel e dello zio Gilberto, in cambio di una condanna ribassata da 21 anni di reclusione a 8 anni, successivamente integrata dal permesso di soggiorno negli states. Grazie alle sole indicazioni di William Rodriguez le autorità statunitensi riusciranno a sottrarre al Cartello di Cali qualcosa come 1.000 milioni di dollari.

I FRATELLI OCHOA TORNANO IN LIBERTA’

Il 5 luglio del 1996, a cinque anni dal suo arresto negoziato sotto la sigla degli “Estradabili”, riconquisterà la libertà Jorge Ochoa, seguito a stretto giro dal fratello Juan, liberato qualche giorno dopo, e dal minore Fabio, liberato nel mese di settembre. I fratelli Ochoa saranno i più fortunati di questa storia criminale colombiana, giacché, pur essendo complici della campagna narco-terroristica di Escobar, riusciranno ad evitare l’estradizione negli Stati Uniti, scontando condanne irrisorie, a condizioni al dir poco privilegiate. I fratelli Ochoa, pur mantenendosi lontano dal narcotraffico, riusciranno a preservare gran parte dei loro proventi illeciti, probabilmente grazie alla loro indole moderata, ma probabilmente anche ai legami politici di cui abbiamo avuto modo di trattare precedentemente, tanto che alcuni luogotenenti li indicheranno come i veri capi del Cartello di Medellin, persino più importanti dello stesso Pablo Escobar. E sebbene complici di Escobar, gli Ochoa riusciranno a vivere tranquilli a Medelllin, senza incorrere nella spirale di vendetta dei los-Pepes. Incolumità che, secondo alcuni luogotenenti, sarebbe derivata anche dal pagamento di 3 milioni di dollari che i fratelli Ochoa avrebbero versato a titolo di indennizzo a Carlos Castaño, nel frattempo divenuto il nuovo boss assoluto di Medellin.

Martha Ochoa Juan Ochoa e Jorge Ochoa Vasquez
( Martha Ochoa, Jorge Ochoa e Juan Ochoa Vasquez )

Nel corso di un’intervista conseguente il suo scarceramento, Juan Ochoa prenderà le distanze dal suo passato narcos, sostenendo di essere diventato una persona nuova, più responsabile e soprattutto consapevole di quelli che comunque considerava errori, e non crimini. Opinione simile a quella più volte evidenziate da Escobar, che riteneva la sua mercanzia simile agli alcolici, il cui uso andava ugualmente disciplinato, anziché vietato. Posizione che, per quanto scellerata, oggi viene condivisa da molti movimenti politici liberali che si battono per la legalizzazione degli stupefacenti. Juan Ochoa, sarà il più aperto del suo clan rispetto ai media, tanto da non nascondere di aver guadagnato dal narcotraffico non meno di 25 milioni di dollari, anche se, a suo dire, tali entrate non erano regolari, ma legate a periodi incostanti. Cifre comunque contestate dalla DEA, convinta che dai suoi traffici Ochoa avesse guadagnato qualcosa tra i 500 milioni ed il miliardo di dollari. Dal canto suo, Juan Ochoa ritiene che senza narcos, la DEA non avrebbe motivo di esistere, e che per evitare di perdere finanziamenti e lavoro lasciano liberi alcuni narcotrafficanti, preferendo tenerli sotto controllo, arrestandoli solo quando lo ritengono più opportuno, agevolando le carriere dei dirigenti. Ochoa, infatti, ritiene che la DEA, se solo avesse voluto, avrebbe potuto arrestarlo molto prima del 1991, semplicemente coordinandosi con le autorità colombiane. Tra l’altro, Juan Ochoa ritiene che, a prescindere dall’inasprimento delle misure detentive e dall’estradizione, il narcotraffico prolifererà fintanto che il suo mercato nero continuerà ad offrire elevatissimi margini di profitto rapido, trainato da una domanda in crescita. Juan Ochoa evidenzierà poi come l’ingresso della sua famiglia nel narcotraffico sia stato catalizzato proprio dai guadagni facili iniziali, e soprattutto meno caratterizzati dai tassi di violenza degli anni ottanta. Tra l’altro, almeno sulla stampa, Juan Ochoa prenderà le distanze dall’escalation terroristica degli Estradabili, evidenziando il ruolo del fratello Jorge nel moderare la strategia aggressiva di Escobar, provando inutilmente a farlo riconciliare con la cupola del Cartello di Cali, e successivamente a negoziare la resa con il governo. In conclusione, dei fratelli Ochoa si può dire che sono l’eccezione che conferma la regola di tutta questa storia tutta colombiana, attraversandola praticamente indenni. I fratelli Ochoa hanno, infatti, sconteranno appena 5 anni di carcere, ritirandosi dal mondo del narcotraffico con tutte le loro ricchezze, ben consapevoli del disfacimento del Cartello di Medellin, fatta eccezione per Fabio Ochoa Jr, di cui parleremo più avanti.

LA SPREGIUDICATEZZA DI ORLANDO HENAO

La reclusione dei fratelli Rodriguez Orejuela indebolirà inesorabilmente il Cartello di Cali, agevolando l’ascesa dei rivali del Cartello del Norte del Valle, la cui leadership esercitata da Orlando Henao Montoya verrà controbilanciato solo dai narco-paramilitari del clan Castaño. Ma per quanto in ascesa, anche gli equilibri interni al Cartello del Norte del Valle inizieranno a vacillare, contrapponendo i due leader di punta, ovvero Orlando Henao e Efraim Hernandez, entrambi ex-poliziotti passati armi e bagagli nel ben più lucroso business del narcotraffico. Ma mentre Henao strutturava la sua leadership in Colombia, Hernandez preferirà godersi la vita, curando i propri investimenti all’estero insieme alla compagna top model. Stile di vita che distorcerà la percezione degli equilibri interni al cartello, tanto da indurlo a rientrare in Colombia sia per sfuggire alla prospettiva dell’arresto, che per il crescente grado di autonomia dei propri luogotenenti, ma soprattutto per tentare di arginare l’egemonia di Henao. Il rientro in Colombia di Hernandez allerterà Orlando Henao, convinto che il socio stesse passando informazioni su di lui alla DEA, temendo seriamente di essere segnalato alle autorità come il responsabile del delitto di Alvaro Gomez. Tenendo fede alla sua fama machiavellica, l’ex-poliziotto Orlando Henao riuscirà, ancora una volta, ad eliminare uno dei propri nemici, suscitando divisioni da cui trarre vantaggio. Nello specifico, Henao sfrutterà l’approccio ostile con cui Hernandez trattava Fernando Cifuentes, uno dei suoi principali luogotenenti, appartenente ad una famiglia di piloti e faccendieri precedentemente legati al fu Cartello di Medellin, approfittandone per manipolarlo e indurlo ad uccidere il suo socio. Proposito che Fernando Cifuentes concretizzerà il 7 novembre 1996, quando Efraim Hernandez verrà ucciso all’interno di un centro commerciale di Bogotà. L’eliminazione di Hernandez, eliminerà così anche l’unico boss in grado di insidiare la leadership assoluta di Orlando Henao sul Cartello del Norte del Valle, e di conseguenza su tutto il narcotraffico colombiano, ambiente in cui gli veniva riconosciuta un’autorevolezza senza pari, seconda sola a quella del Pablo Escobar dei tempi d’oro.

Orlando Henao Montoya Cartello del Norte del Valle narcos Colombia
( Orlando Henao )

Il posto di Hernandez verrà coperto da nuovi boss emergenti come Diego Montoya, molto legato agli ambienti paramilitari, che grazie alla corruzione dei funzionari dell’aviazione riusciva addirittura a far spegnere i radar per agevolare il transito dei suoi narco-aerei diretti all’estero, soprattutto in Messico, dove aveva strutturato una speciale partnership con il Cartello di Juarez guidato da Amado Carillo, la cui parabola criminale si concluderà improvvisamente il 4 luglio del 1997. Ad ogni modo, malgrado la sua indubbia posizione di forza, anche Orlando Henao non potrà esimersi dal confrontarsi con la giustizia colombiana, sfruttando i suoi contatti istituzionali per negoziare i termini della sua resa. Resa complicata dalla riproposizione del dibattitto politico inerente la prospettiva di ripristinare il trattato di estradizione con gli Stati Uniti, che la debole e screditata amministrazione Samper avallerà pur di riguadagnarsi la fiducia di Washinton. Questi mutamenti politici permetteranno di scardinare le garanzie costituzionali che Pablo Escobar aveva imposto all’Assemblea Costituzionale nel 1991, al culmine della cruenta campagna terroristica dell’organizzazione degli Estradabili. Paradossalmente, dopo aver investito una fortuna per eliminare chi li aveva sottratti alla prospettiva di una estradizione certa negli Stati Uniti, ovvero Escobar, il gothà del narcotraffico colombiano si ritroverà nuovamente esposto al rischio di finire estradato e condannato negli states. Prospettiva che i narcos colombiani non saranno in grado di disinnescare, fatta eccezione per l’autobomba esplosa il 16 dicembre nei pressi dell’abitazione di Juan Gomez, l’ex-sindaco di Medellin, per dissuadere la classe politica dal sostenere il ripristino del trattato di estradizione. Attentato che rimarrà comunque episodico, perché per quanto più ricchi di Escobar, nessun narcotrafficante oserà riprendere la sua strategia terroristica, confidando di poter strappare al governo un qualche accordo che potesse schermarli dalla temutissima estradizione negli Stati Uniti. Auspici che indurranno Orlando Henao a costituirsi il 29 settembre 1997, ottenendo una condanna simbolica di soli 3 anni di reclusione. Con Henao recluso, la reggenza della sua organizzazione passerà al suo fidato luogotenente Wilber Varela, che il 23 novembre scamperà ad un agguato teso dal Cartello di Cali.

Con i principali narcotrafficanti reclusi, i loro luogotenenti liberi impegnanti a farsi la guerra, e soprattutto senza più la minaccia del narco-terrorismo di Escobar, il governo colombiano non avrà difficoltà nel ripristinare l’estradizione verso gli Stati Uniti dei narcotrafficanti, pur con una clausola di immunità per i reati contestati fino al 17 dicembre 1997. Clausola con cui il governo colombiano cercherà di accontentare i narcos, inducendoli a costituirsi, abbandonando i loro lucrosi affari senza incorrere nel pericolo di finire estradati negli Stati Uniti. Sviluppo che convincerà molti altri boss a costituirsi in extremis, seguendo l’esempio di da Orlando Henao. Quello che si delineava era la fine del narcotraffico in Colombia, ma, come spesso accade, non sempre i propositi si accordano alla realtà.

CARLOS CASTANO E LA STRATEGIA DELLE AUC

La reclusione dei principali narcos colombiani favorirà l’ascesa di un attore criminale ibrido, come l’organizzazione dei paramilitari, con un piede nel conflitto colombiano e l’altro nel narcotraffico. Organizzazione che grazie alla leadership di Carlos Castaño riuscirà a federare tutte le principali milizie paramilitari sotto la sigla delle “Autodefensas Unidas del Colombia” (AUC), organizzazione unitaria fondata nell’aprile del 1997. I paramilitari delle AUC prolifereranno anche grazie al discreto supporto strategico degli Stati Uniti in funzione anti-guerrigliera. Lo stesso Carlos Castaño non farà mistero di essere stato uno strumento strategico degli Stati Uniti, sia nella lotta alla guerriglia marxista, che in quella contro il suo vecchio socio Escobar. Ciononostante, Castaño non nasconderà la sua impressione personale relativa al conflitto colombiano, ritenendolo uno scontro a bassa intensità tra gli Stati Uniti e l’Europa, con i primi legati alle AUC e la seconda alla guerriglia. E se probabilmente l’approccio ideologizzato di Castaño lo induceva a classificare come filo-guerrigliero tutto quello che non era filo-paramilitare, vanno comunque considerate le iniziative europee contro gli esponenti considerati contigui al paramilitarismo, come nel caso dell’ambasciatore colombiano Arturo Marulanda, costretto a dimettersi nel novembre del 1997 per effetto di una risoluzione UE che ne evidenziava i legami con alcuni crimini paramilitari.

Carlos Castaño leader paramilitare Colombia narcos mercenari guerriglia
( Carlos Castaño )

A livello politico interno, Carlos Castaño sostiene che l’amministrazione Samper abbia favorito, laddove possibile, le AUC, assecondando gran parte delle indicazioni strategiche statunitensi. Ciononostante, il leader paramilitare sostiene di aver incontrato a Cali il Ministro degli interni Horacio Serpa, rigettandone l’invito a smobilitarsi, pur giudicandolo un buon politico, anche se ritenuto incapace di governare la Colombia, perché ritenuto fin troppo accomodante nei confronti dell’establishment. Lo stesso establishment che gli precluderà di ripulirsi la fedina penale, e di rifarsi una vita negli Stati Uniti, il cui accesso gli verrà precluso proprio dall’amministrazione Samper, che lo classificherà come narco-terrorista. E a nulla serviranno i tentativi di occultare i suoi trascorsi narco-terroristici, fornendo alla DEA informazioni su molti narcos colombiani nella speranza di conquistarsi un salvacondotto. Secondo il boss Luis Hernando Gomez, i tentativi avanzati dal Cartello del Norte del Valle di negoziare con il governo una resa collettiva con il governo verranno vanificati proprio a causa delle reiterate delazioni di Castaño, ritenuto dai narcos del cartello alla stregua di un folle, che aveva perso autorevolezza a causa della sua attitudine a cambiare radicalmente e repentinamente idee dalla mattina alla sera. A detta di Don Berna, la spregiudicata strategia collaborazionista di Castaño era dettata dalla paura di finire recluso per lunghi periodi, soprattutto negli Stati Uniti.

IL SABOTAGGIO DEL PIANO DI PACE AUC-FARC

La figura di Carlos Castaño continuerà ad influenzare il corso politico colombiano, intrattenendo discrete relazioni con importanti personalità come l’ex-ministro Alvaro Leyva, da cui sostiene di aver ricevuto la proposta di rovesciare il governo Samper, per agevolare l’apertura di una nuova stagione politica auspicata dall’oligarchia colombiana. Il piano che Leyva gli avrebbe illustrato prospettava un accordo di pace tra AUC e FARC, e l’apertura di un processo di riconciliazione nazionale, incardinato all’interno di una nuova costituente. Piano che Castaño avrebbe discusso riunendosi personalmente con oligarchi come lo “zar degli smeraldi”, Victor Carranza e, soprattutto, Juan Manuel Santos, da lui ritenuto la persona più idonea a guidare questo progetto politico. Piano in cui Santos avrebbe ricoperto prima il ruolo di Presidente della Costituente, e successivamente quello di Presidente della Repubblica di Colombia. A detta di Castaño, il piano di Leyva sembrerà convincere anche le FARC, con a rimorchio l’ELN. Piano certamente ambizioso, ma che, al netto di queste premesse, verrà compromesso dalla denuncia pubblica del ministro Horacio Serpa. Fuga di notizie a cui i congiurati proveranno a reagire, chiedendo alle FARC di emettere un comunicato in cui evidenziavano la loro disponibilità a negoziare un accordo di pace, nel tentativo di forzare la mano al governo. Comunicato dai toni moderati, emulato a stretto giro anche dalle AUC, che, tuttavia, a detta di Castaño, si aspettavano un coinvolgimento più evidente da parte dei leader guerriglieri come Manuel Manulanda, Raul Reyes e Alfonso Cano.

Manuel Marulanda Victor Suarez guerriglia FARC Colombia
( I comandanti delle FARC Manuel Marulanda e Victor Suarez )

A detta di Castaño, il fallimento della sua iniziativa indurrà Leyva a lasciare precipitosamente il paese, perché convinto di essere diventato un obiettivo militare delle AUC che, tuttavia, lo rassicureranno inviando un emissario in Costa Rica, consentendogli di ritornare tranquillamente in Colombia. Per quanto diverso da loro, Carlos Castaño, nelle sue memorie, avrà modo di dire la sua sui suoi nemici guerriglieri, giudicando Marulanda un guerrigliero di razza coerente ai suoi principi, e la cui unica colpa è stata quella di aver permesso all’ideologia comunista di prendere il sopravvento sulla sua cultura liberale. Castaño poi distinguerà la leadership strategica di Reyes e Cano da quella velleitaria di Victor Suarez (Mono Jojoy). Più avanti, Diego Murillo sosterrà che in quel frangente le AUC considereranno la prospettiva di trasformare la propria organizzazione in un vero e proprio partito politico denominato “Alleanza Unita per la Colombia“, con a capo proprio Carlos Castaño, auspicandone l’elezione al Congresso o, addirittura, alla presidenza della repubblica. Il naufragio degli accordi di pace verrà seguito da una nuova ondata di efferate stragi paramilitari, realizzate tra luglio e ottobre. Operazioni spesso partecipate anche dallo stesso Carlos Castaño che, il 28 dicembre del 1998, circondato dai guerriglieri in mezzo alla giungla colombiana, verrà salvato solo grazie al provvidenziale intervento di Salvatore Mancuso, che lo sottrarrà ad una fine certa guidando personalmente l’elicottero giunto a riscattarlo.

Nel 1998, il conservatore Andres Pastrana si prenderà la rivincita sul liberale Samper, vincendo le elezioni presidenziali. A detta di Diego Murillo (Don Berna), Carlos Castaño attiverà canali ufficiosi con la nuova amministrazione Pastrana, avanzando la disponibilità delle AUC a favorire l’avvio di un processo di pace. Secondo Don Berna, tra gli emissari di Pastrana ci sarebbe stato il suo Ministro degli esteri, Guillermo Fernandez De Soto, che avrebbe chiesto a Castaño di non liberare i territori di Bolivar controllati dall’ELN, all’epoca in frizione con le FARC, nel tentativo di mettere questi ultimi in difficoltà strategica. Strategia che, del resto, Castaño aveva spregiudicamene attuato tra il 1995 ed il 1996, collaborando sottotraccia con i guerriglieri dell’EPL, proprio per complicare i piani alle FARC. Carlos Castaño sostiene di aver, almeno inizialmente, dato credito alla buona fede del neo-presidente Pastrana, interagendovi indirettamente attraverso la mediazione del premio Nobel Gabriel Garcia Maquez, da cui avrebbe persino ricevuto i complimenti per lo stile di scrittura delle sue lettere. Secondo alcune fonti, Garcia Marquez avrebbe provato persino a promuovere un vertice in Spagna con il governo colombiano, mediato dall’ex-presidente Felipe Gonzalez, facendo pervenire una lettere a Castaño in cui paragonerà la sua filosofia politica a quella di un moderno Don Chisciotte, finendo con l’incrinare la sua fiducia nel processo negoziale.

Malgrado le premesse, Carlos Castaño deciderà di bloccare i canali negoziali con la nuova amministrazione conservatrice, arrivando, addirittura, ad accusare Pastrana di essere un traditore irresponsabile, che preferiva dialogare più con la guerriglia che con le AUC, subordinando l’interesse nazionale al suo desiderio di accreditarsi a livello internazionale, guadagnandosi il premio Nobel per la pace. Castaño, infatti, contesterà a Pastrana la prospettiva che un processo di pace potesse culminare con l’elezione di un’assemblea costituente equamente divisa tra governo e FARC, proprio mentre con i guerriglieri stavano lavorando per costituire una propria repubblica indipendente nella regione del Caqueta. Secondo Castaño, le iniziative di pace promosse da Leyva prima, e da Pastrana dopo, erano suggerite dalle FARC, i cui margini di successo sono stati compromessi solo grazie al discreto intervento statunitense. Nonostante il suo background criminale, Carlos Castaño continuerà ad atteggiarsi ad eroe nazionale, spacciandosi per colonnello dell’esercito, continuando a pianificare una via di uscita per se e la propria famiglia, illudendosi di potersi svincolare dai suoi ingombranti trascorsi per rifarsi una vita negli Stati Uniti.

Sempre nel 1998, verrà arrestato Victor Carranza, uno dei principali finanziatori del paramilitarismo colombiano, accusato di aver fatto rapire ed uccidere alcuni minatori della sua impresa mineraria specializzata nella commercializzazione di smeraldi. Nello stesso anno verrà arrestato anche Gustavo Upegui, accusato dell’assassinio dei responsabili del rapimento del figlio di due anni prima. Accuse da cui, comunque, il leader dell’Oficina di Envigado verrà scagionato qualche giorno dopo per mancanza di prove, probabilmente grazie alle sue solide amicizie politiche. Ma la notizia che sconvolgerà il narco-mondo colombiano nel 1998, sarà il clamoroso assassinio del boss assoluto del Cartello del Norte del Valle, Orlando Henao, ucciso a tradimento in carcere, il 13 novembre, da un detenuto affiliato al Cartello di Cali.

Victor Carranza smeraldi Colombia guerra verde Gonzalo Rodriguez Mexicano Molina
( Victor Carranza, lo zar degli smeraldi colombiani )

SPECULAZIONI VENEZUELANE

Nel 1999, i paramilitari delle AUC si congratuleranno per la vittoria elettorale di Hugo Chavez in Venezuela, apprezzandone il suo background militare. Opinione che, tuttavia, muteranno rapidamente, contestando il tacito supporto che il leader bolivariano assicurerà alla guerriglia colombiana, permettendole di rifugiarsi all’interno dei confini venezuelani. Addirittura, Carlos Castaño arriverà ad ordire un piano per attentare alla vita dello stesso Chavez, avvalendosi del contributo dell’intelligence americana e di elementi ribelli dell’esercito venezuelano. Piano saltato a causa della segnalazione del comandante paramilitare Carlos Jimenez (alias Macaco), che grazie alle autorità venezuelane riusciva a tenere attiva una proficua rotta narcos nella regione caraibica. A detta di Salvatore Mancuso, che controllava i territori di frontiera tra Colombia e Venezuela, l’oligarchia conservatrice venezuelana avrebbe effettivamente chiesto in più occasioni a Carlos Castaño di assassinare Chavez, favorendo le condizioni per un golpe. Offerta che, successivamente, il leader delle AUC avrebbe declinato, temendo le ripercussioni internazionali che una simile iniziativa avrebbero potuto avere per la propria organizzazione paramilitare. Tuttavia, nel suo testamento, Carlos Castaño sostiene di aver incaricato Antonio Del Billa di organizzare una milizia in Venezuela con l’obiettivo di uccidere Chavez, al fine di punire il supporto fornito ai nemici delle FARC.

Tra l’altro, alcuni narcos colombiani hanno accusato il fratello del presidente venezuelano di essere colluso con il narcotraffico, avvalorando la tesi dell’esistenza del presunto “Cartello de los-Soles” (a rimarcare i gradi degli ufficiali venezuelani coinvolti), composto da alti ufficiali delle forze armate bolivariane collusi con le FARC. A detta di questi testimoni, il “Cartello de los-Soles” si configurerebbe come la più potente organizzazione narcos del mondo, giacché controllerebbe sostanzialmente un intero paese.  Accuse che, in tempi recenti, sono state rilanciate dal narcotrafficante venezuelano di origine siriana, Walid Makled (el-Arab), arrestato in Colombia nel 2008. Accuse certamente pesanti, ma che ad oggi mancano di prove solide, e che vanno comunque ponderate alla luce dell’estrazione filo-paramilitare dei sostenitori di queste teorie, e delle trame geopolitiche finalizzate a delegittimare il governo bolivariano venezuelano. Parallelamente a queste trame internazionali, nel 1999 le AUC continueranno a rendersi responsabili di nuovi efferati massacri. Massacri come quelli che indurranno la Colombia a spiccare un mandato di cattura contro l’ex-ambasciatore Arturo Marulanda, che per sfuggire alla richiesta di estradizione del suo paese transiterà da numerosi paesi, tra cui anche l’Italia.

LA FAIDA POST-CARTELLO DI MEDELLIN

Nel 1999, la moglie di Pablo Escobar verrà arrestata in Argentina, dove si erano recata insieme ai due figli, dopo un breve periodo di soggiorno in Madagascar, con l’accusa di riciclaggio di denaro di dubbia provenienza. Infatti, per quanto la famiglia di Escobar sostenga di aver dovuto consegnare tutti i proventi del narcotraffico ai loro nemici, molti luogotenenti sostengono invece che sia riuscita a conservare comunque una cospicua parte delle ricchezze del Cartello di Medellin, soprattutto in gioielli e opere d’arte. Ricchezze in parte amministrate anche da quel che resta della famiglia Henao. Sempre nel 1999, verrà scarcerato negli USA il narco-faccendiere Mickey Monday, la cui vita in libertà alternerà la collaborazione con la DEA a quella con le major cinematografiche di Hollywood, scrivendo anche libri sulla sua pregressa esperienza criminale maturata cooperando con i narcos del Cartello di Medellin.

Il 1999 si concluderà con l’estinzione della proprietà relativa ai beni di Pablo Escobar e, soprattutto, con il nuovo arresto di Fabio Ochoa Jr, accusato di aver ripreso a trafficare con i narcos messicani, integrandosi al cosiddetto “Cartello del Millennio”. Correlato al clamoroso arresto di Fabio Ochoa Jr. ci sarebbe stato anche il furto di 600 milioni di dollari, che il gruppo di sicari de “la-Terraza” avrebbe sottratto da uno dei covi deposito clandestini di pertinenza di Carlos Castaño. Nello specifico, la banda dei sicari de “la-Teraza”, la più potente a Medellin dopo la disarticolazione della banda dei “los-Priscos”, avrebbe iniziato a mal tollerare l’inquadramento subordinato all’Oficina de Envigado, avanzando il desiderio di rendersi autonomi, collaborando con il più giovane dei fratelli del clan Ochoa. La situazione degenererà quando Elkin Sanchez, il leader de “la-Teraza”, verrà ucciso in un imboscata a tradimento tesagli dai sicari di Diego Murillo (Don Berna) lungo il tragitto verso la residenza in cui avrebbe dovuto incontrarsi per regolare la questione sorta con Carlos Castaño. Secondo Nicolas Escobar, l’assassinio di Sanchez sarebbe dovuto non tanto al furto del denaro, quanto al rifiuto di consegnare un’arma utilizzata per un omicidio eccellente. Tesi che, pur mancando di prove certe, potrebbe riagganciarsi al misterioso assassinio del leader conservatore Alvaro Gomez. Ad ogni modo, i sicari de “la-Teraza” vendicheranno l’assassinio del loro leader, uccidendo Rodolfo Murillo (Semilla), il fratello di Don Berna, ovvero uno dei presunti assassini di Pablo Escobar. Queste dinamiche interne all’Oficina de Envigado scateneranno una nuova faida che farà ripiombare nel caos la città di Medellin. Messi alle strette dallo strapotere militare de “la-Teraza”, Don Berna ricorrerà ancora una volta ai suoi “alleati istituzionali”, coordinando la lotta contro “la-Teraza” insieme alle forze di polizia comandate da Mauricio Santoyo, ufficiale al comando del nucleo antiterrorismo, presentatogli dal torbido colonnello Danilo Gonzalez. Secondo alcune fonti, sia Santoyo che il generale Leonardo Gallego sarebbero stati corrotti da Don Berna con 100.000 dollari al mese, ottenendo informazioni privilegiate per schermare le attività illecite dell’Oficina de Envigado. Tra l’altro, va segnalato come più avanti Santoyo assumerà l’incarico di capo della sicurezza del futuro presidente conservatore Alvaro Uribe.

Il 2000 verrà scandito da eventi come la pubblicazione del libro di Roberto Escobar sul fratello Pablo; le nuove stragi perpetrate dalle AUC; e lo scarceramento, dopo 14 anni di detenzione, del faccendiere statunitense Giovanno Riccobono (Jon Pernell), convinto che il vero leader del Cartello di Medellin fosse Don Fabio Ochoa Sr, l’unico a non aver scontato un solo giorno di carcere. Ma probabilmente l’evento più importante dell’anno sarà il trasferimento dei fratelli Rodriguez in un carcere di massima sicurezza, dove perderanno gran parte dei loro privilegi. Sviluppo enfatizzato dalla notizia dell’estradizione negli Stati Uniti del leader del Cartello della Costa, Alberto Orlandez nell’agosto del 2000, a due anni dal suo nuovo arresto.

Nel luglio 2001, la Spagna estraderà in Colombia l’ex-ambasciatore Arturo Marulanda, accusato di contiguità con i crimini paramilitari. Estradizione, ma verso gli Stati Uniti, toccherà invece a Fabio Ochoa Jr, che sebbene favorito da una condanna risibile, negoziata al culmine dell’escalation terroristica degli Estradabili, riterrà opportuno girare ancora una volta la ruota della narco-fortuna, “vincendo un soggiorno” negli states, dove verrà condannato a 30 anni di reclusione. Sempre nel 2001, troveranno la libertà i principali luogotenenti superstiti del Cartello di Medellin, da Diego Arcila (el-Tomate), ai sicari Carlos Alzate (el-Arete) e Otoniel Gonzalez (Otto), passando per Roberto Escobar, scarcerato l’anno successivo, dopo aver scontato una condanna di appena 10 anni. Scarceramenti spesso attesi dai nemici, soprattutto tra i ranghi dell’Oficina de Envigado post-Pepes e del clan Castaño, che si vendicheranno ferendo el-Arete poche ore la sua liberazione, e uccidendo Otto qualche mese dopo. Di Carlos Alzate, autoaccusatosi di numerosi delitti, tra cui la controversa strage dell’Avianca, si perderanno le tracce, ma alcune fonti sostengono si sia trasferito in Spagna, tagliando i ponti con il suo oscuro ed efferato passato da capo dei sicari del Cartello di Medellin. Tuttavia, il suo effettivo ruolo nella strage del volo Avianca-203 ha suscitato più di qualche dubbio, tanto che alcuni testimoni sostengono che “el-Arete” se ne sia assunto tutta la responsabilità, ricevendo una notevole somma di denaro dal boss del Cartello del Norte del Valle, Luis Hernando Gomez, per scagionare altri personaggi coinvolti nell’organizzazione dell’attentato, come Eugenio Garcia (alias el-Tasista), un socio di minoranza del Cartello di Medellin. Nello specifico, Garcia sarebbe stato accusato di aver messo a disposizione i locali in cui sarebbe stata assemblata la bomba utilizzata nella strage, sebbene l’interessato abbia sempre rigettato tali accuse, sostenendo dinnanzi alle autorità giudiziarie, con cui avrebbe collaborato contro Escobar insieme al gruppo dei collaboratori meglio noti come i “dodici del patibolo”, di essere stato all’oscuro dell’operazione. E sempre in Spagna si troverebbe anche Luis Carlos Aguilar (el-Mugre), dove oggi l’efferato sicario di Pablo Escobar avrebbe cambiato radicalmente vita, facendo il pastore evangelico.

Fabio Ochoa Cartello Medellin narcos Colombia
( Fabio Ochoa Jr. )

Il 2002 inizierà con la liberazione di Hernando Botero, il primo colombiano estradato negli Stati Uniti, la cui estradizione aveva contribuito a convincere i narcos del Cartello di Medellin a fondare l’organizzazione degli Estradabili. Percorso inverso farà Victor Patiño, il boss del Cartello del Norte del Valle, estradato negli Stati Uniti nel mese di dicembre, dopo aver iniziato a collaborare con la giustizia, testimoniando contro numerosi politici collusi con il narcotraffico, esponendo la propria famiglia alle ritorsioni dei suoi vecchi soci.

GLI AFFARI NARCO-PARAMILITARI DELLE AUC

Nel 2000, dinnanzi alla possibilità del fallimento del processo di pace promosso dal presidente Pastrana, il comandante paramilitare Salvatore Mancuso si cautelerà importando un notevole quantitativo di armi, triangolate dal Messico per mezzo dell’intermediazione di Fabio Enrique Ochoa Vasco (da non confondere con il Fabio Ochoa del più noto clan del Cartello di Medellin), un ex-aviere con doppia cittadinanza americana e colombiana, con un trascorso nella fazione del Cartello di Medellin capeggiata da Fernando Galeano, uno dei boss uccisi da Escobar all’interno  de la-Catedral. Carichi simili verranno inoltrati in Colombia anche in favore di Carlos Castaño, grazie a Francisco Cifuentes, un altro pilota reduce del Cartello di Medellin, successivamente passato tra le fila del Cartello del Norte del Valle, grazie a cui nel 2001 il leader delle AUC riuscirà a farsi triangolare un consistente quantitativo di fucili d’assalto Ak-47 Kalashnikov. Fernando Cifuentes, fratello di Francisco, sarebbe stato coinvolto nella trama con cui Orlando Henao e Wilber Varela elimineranno Efreim Hernandez, salvo riposizionarsi, allineandosi all’Oficina de Envigado. Alleanza comunque breve, giacché nell’aprile del 2007, Francisco Cifuentes entrerà in contrasto con l’Oficina de Envigado, finendo per essere ucciso dai sicari di Don Berna. Evento che indurrà il clan Cifuentes a stringere una solidissima partnership con i narcos messicani del Cartello di Sinaloa.

Il clan Cifuentes ha avuto anche un certo rilievo politico indiretto, per via della relazione che Dolly Cifuentes avrebbe avuto con Jaime Alberto Uribe, il fratello del futuro presidente Alvaro Uribe, da cui è nata Ana Maria Uribe, la moglie del già citato Fabio Enrique Ochoa Vasco. Per la cronaca, Dolly Cifuentes verrà arrestata nel 2011, ed estradata negli Stati Uniti nel 2012, dove verrà rilasciata nel 2015, permettendole di ritornare in Colombia. E proprio nel 2015, in Messico, Joaquin Guzman (el-Chapo), il leader del Cartello di Sinaloa, evaderà per la sua seconda volta, appena un anno dopo il suo secondo arresto. E sebbene i rapporti tra Guzman e Pablo Escobar non siano stati mai confermati, Nicolas Escobar, sostiene che lo zio lo avesse incontrato el-Chapo poco dopo la sua prima evasione del giugno 1993, anche se questa tesi sembra alquanto improbabile, oltre che per l’inattendibilità della fonte, giacché in quel periodo il boss di Medellin viveva praticamente braccato dai suoi nemici. Quel che è certo, è che el-Chapo verrà arrestato definitivamente nel gennaio 2016, ed estradato negli Stati Uniti nel gennaio dell’anno successivo.

All’inizio del 2001, due giorni prima della prima evasione del boss messicano del Cartello di Sinaloa, Joaquin Guzman, le AUC si renderanno di una nuova strage. Strage che i paramilitari al soldo di Ever Velosa (alias H.H) replicheranno nella Valle del Cauca nel mese di aprile, compromettendo i negoziati con l’amministrazione conservatrice di Andres Pastrana. E proprio mentre i negoziati tra l’amministrazione Pastrana e le AUC vacillavano, nella prima parte del 2002, alcuni alti esponenti del paramilitarismo colombiano come Ivan Duque (alias Ernesto Baez), Carlos Jimenes (alias Macaco), Diego Murillo (alias Don Berna), Ramon Isaza e Rodrigo Tovar (alias Jorge 40) aderiranno al cosiddetto “Patto de Ralito”, promosso da personalità dell’establishment politico colombiano intenzionato a rifondare il paese. Nello specifico, i promotori del patto intendevano incanalare la Colombia all’interno di un “corso birmano”, patrocinando l’attuazione di un golpe militare, che arginasse la guerriglia, e che tollerasse il narcotraffico sulla falsa riga di quanto implementato nel cosiddetto “triangolo d’oro” del sud-est asiatico. Piano da cui, tuttavia, Carlos Castaño avrebbe preso le distanze, anche a costo di compromettere la propria leadership sulle AUC, tanto da indurlo a rassegnare le proprie dimissioni dall’organizzazione, emettendo un comunicato in cui esortava l’organizzazione a rispettare le istituzioni statali. Patto che comunque finirà per naufragare poco dopo, suscitando un nuovo scandalo politico che travolgerà i suoi promotori politici. Sviluppo che, pur dando ragione a Carlos Castaño, non gli consentirà di riguadagnare la credibilità persa all’interno dell’organizzazione paramilitare, il cui establishment comincerà a mal tollerare sempre di più la sua arroganza, spesso amplificata dallo stato di frequente ebrezza che, a detta di chi lo conosceva, lo avrebbe reso un pericoloso e potente squilibrato, capace di cambiare idea repentinamente su tutto e tutti, attanagliando l’organizzazione in un clima di pericolosa incertezza e sospetto. Degrado della personalità che indurrà l’establishment delle AUC a convergere progressivamente sulla leadership del più discreto e pragmatico fratello Vicente Castaño, un leader paramilitare decisamente più aperto nei confronti del narcotraffico come fonte di finanziamento delle AUC.

POLITICA, PARAMILITARI  E CONSERVATORI

Parallelamente ai fermenti interni alle AUC, la Colombia si avvicinerà alle elezioni presidenziali del 2002, che vedranno contrapposti l’ex-ministro liberale Horacio Serpa ed il conservatore Alvaro Uribe. E così come Serpa era riuscito a svincolarsi dalla contiguità politica con la screditatissima amministrazione Samper, Uribe, come abbiamo già avuto modo di accennare nel corso di questo focus, riuscirà a svincolarsi dalle trame che all’inizio della sua carriera all’aviazione civile sembravano legarlo all’exploit del Cartello di Medellin. Trame opache, ma che, in mancanza di prove, sono state generalmente archiviate come mere “coincidenze” su cui speculare sul piano politico. Coincidenze come l’assassinio di Cesar Villegas, consumato il 4 marzo, proprio alla vigilia delle elezioni presidenziali. Secondo alcune fonti, il giorno del suo assassinio, Villegas si sarebbe dovuto recare a Bogotà per incontrare alcuni agenti della DEA per consegnare delle registrazioni compromettenti. Coincidenze amplificate dai trascorsi tra Villegas e Uribe, legati da un rapporto di cooperazione che risaliva ai tempi in cui il secondo era direttore dell’Aviazione Civile, la cui guida passerà successivamente proprio a Villegas, a quanto sembra, su raccomandazione di Ernesto Samper. Tra l’altro, a rendere interessante Villegas ci sono anche i suoi presunti legami con il clan Rodriguez del Cartello di Cali, da cui avrebbe ricevuto denaro per cui sarebbe stato condannato per arricchimento illecito.

Al netto di queste coincidenze, Alvaro Uribe riuscirà a battere Horacio Serpa, vincendo le elezioni presidenziali del maggio 2002. L’insediamento di Uribe a Palazzo di Nariño verrà accolto con una certa soddisfazione dalle AUC. E sebbene Carlos Castaño sostenesse di non aver mai conosciuto personalmente Uribe, l’organizzazione paramilitare lo tratterà alla stregua di un loro candidato, di cui condividevano la risoluta filosofia anti-guerrigliera. Tuttavia, recentemente, Salvatore Mancuso ha sostenuto che le AUC abbiano inizialmente considerato di sostenere la candidatura di Horacio Serpa, sebbene quest’ultimo abbia smentito questa tesi, per poi cambiare idea in corsa, convergendo sulla candidatura di Uribe. Ad ogni modo, l’elezione di Uribe, e la contiguità strategica con i paramilitari, metterà le AUC nelle condizioni di imbastire con il governo un negoziato propedeutico all’avvio di un processo di smobilitazione garantito da uno schermo giudiziario che li mettesse al riparo sia dai pesanti capi d’accusa interni che dalla prospettiva di essere estradati negli Stati Uniti per narcotraffico. Alcune fonti sostengono che Gustavo Tapias, uno dei soci del Cartello di Medellin a cui Escobar aveva affidato la gestione di una delle sue rotte più importanti, avrebbe mediato con Josè Obdulio Gaviria, il cugino di Pablo Escobar, un incontro clandestino tra il presidente Uribe e Carlos Castaño e Diego Murillo, all’interno del seminterrato della Casa de Nariño. Non si ha certezza di questo presunto incontro, ma di certo in quel periodo la cooperazione strategica tra le AUC e la nuova amministrazione Uribe si intensificherà, come dimostra l’assertiva collaborazione tra militari e paramilitari a margine dell’operazione “Orion” dell’ottobre 2002, con cui le forze di sicurezza colombiane eradicheranno la presenza guerrigliera dal centro urbano di Medellin, grazie al discreto, ma determinante, contributo dei 4.000 paramilitari del “Bloque Cacique Nutibara” comandati da Diego Murillo (Don Berna), responsabili di vere e propri stragi ai danni di individui anche solo sospettati di essere contigui alla guerriglia. Sull’onda di questa collaborazione, l’amministrazione Uribe e le AUC stipuleranno il cosiddetto “accordo di Santa Fe de Ralito”, con cui, il 15 luglio 2003, Salvatore Mancuso e Vicente Castaño sottoscriveranno un accordo finalizzato alla smobilitazione delle loro milizie, assumendosi l’impegno a pacificare il paese, rafforzandone le istituzioni democratiche, in cambio di uno schermo politico-giudiziario, sia per quanto concerne i crimini perpetrati nel corso dell’annoso conflitto con la guerriglia, che per quanto concerne i reati legati al narcotraffico che li esponeva al rischio di estradizione negli Stati Uniti.

LE AUC ALLA RESA DEI CONTI

L’intensificarsi delle connivenze tra paramilitari e narcotrafficanti polarizzerà gli equilibri interni alle AUC, inducendo comandanti come Carlos Garcia (alias Rodrigo Doble Cero) a contestare a Carlos Castaño l’opportunistica adesione di narcotrafficanti del calibro di Diego Murillo (Don Berna), evidenziando come la loro presenza contraddicesse le finalità antisovversive dell’organizzazione. A detta di Garcia, la presenza di Diego Murillo (che nel frattempo aveva iniziato a farsi chiamare Adolfo Paz in luogo del vecchio alias Don Berna) tra i ranghi delle AUC non fosse altro che un artificio finalizzato a schermarlo dalla giustizia ordinaria, garantendogli la prospettiva di un trattamento politico idoneo a schermarlo dalla prospettiva dell’estradizione negli Stati Uniti. Conseguentemente alla sua netta presa di posizione, Garcia verrà progressivamente isolato dallo stato maggiore delle AUC, decidendo di abbandonarle, fondando il “Bloque Metro”, un gruppo paramilitare urbano dissidente con base nella città di Medellin, dubbioso circa l’accordo di smobilitazione con il governo. Per la cronaca, alcune fonti sostengono che tra i fondatori del Bloque Metro ci fosse anche Santiago Uribe, il fratello del presidente Alvaro Uribe, spinto dal desiderio di vendicare il raid guerrigliero in cui nel 1983 verrà ferito insieme al padre Alberto Uribe, ucciso proprio in quella circostanza. Ad ogni modo, l’opposizione di Garcia verrà comunque piegata da Carlos Castaño e Salvatore Mancuso, che dopo aver minacciato di eliminarlo, riusciranno a convincerlo a lasciare la Colombia, allontanando un’esponente in grado di compromettere il processo negoziale con il governo. Sviluppo che permetterà a Diego Murillo di annettere l’infrastruttura militare di Garcia, rifugiatosi in quel di Panama. L’eliminazione dell’opposizione di Garcia permetterà alle AUC di procedere speditamente con la smobilitazione concordata con l’amministrazione Uribe, iniziata il 25 novembre 2003 proprio con il disarmo dei paramilitari del “Bloque Cacique Nutibara” di Murillo, che parteciperà personalmente alla cerimonia trasmessa in diretta dalla tv colombiana, in cui verrà accreditato come uno dei garanti del processo di pace intrapreso dalle AUC.

Diego Murillo Don Berna paramilitari AUC narcos Colombia
( Diego Murillo “Don Berna” )

Ciononostante, i narco-interessi continueranno a dividere le AUC, con Carlos Castaño nell’improbabile ruolo di moralizzatore inascoltato, che all’interno del suo testamento arriverà ad addebitare la deriva narcos dell’organizzazione al fratello Vicente Castaño, Ernesto Baez e Carlos Jimenez (alias Macaco), sebbene egli stesso fosse stato, insieme al fratello Fidel, uno dei pionieri del narco-paramilitarismo colombiano. L’ambiguo atteggiamento di Carlos Castaño turberà molti leader paramilitari, intimoriti dalla possibilità di poter essere venduti alla DEA dal loro vecchio leader, ritenuto il responsabile dell’arresto di alcuni narcos colombiani di medio livello. Strategia con cui effettivamente Carlos Castaño era convinto di poter negoziare con le istituzioni colombiane e americane una soluzione che gli consentisse di ripulirsi dal suo scomodo passato criminale, iniziando una nuova vita insieme alla propria famiglia. L’atteggiamento contradditorio di Carlos Castaño indebolirà ulteriormente la sua autorevolezza, peraltro degradata dalle accuse avanzate di Vicente Castaño, che inizierà a far ventilare la tesi che fosse lui il vero regista dell’assassinio del fratello Fidel. Contrapposizione che culminerà il 16 aprile 2004 con l’assassinio di Carlos Castaño, caduto vittima di una congiura ordita proprio dal fratello Vicente, secondo alcune fonti aiutato da Diego Murillo, perché intimoriti dalla prospettiva di poter essere traditi e consegnati alla DEA. Il mancato ritrovamento del cadavere di Carlos Castaño darà adito ad alcune teorie che sostengono abbia simulato la sua fine, per rifarsi una vita in Israele, dove era iniziata la sua parabola paramilitare. Prospettiva che avrebbe persino indotto la giustizia colombiana a cautelarsi, condannandolo in contumacia a 28 anni di reclusione per il suo ruolo in numerose stragi perpetrate dai suoi paramilitari. Tesi, tuttavia, smentita nell’agosto del 2006, con il ritrovamento del suo cadavere.

Vicente Castano paramilitari AUC Narcos Colombia
( Vicente Castano )

Poco dopo l’eliminazione di Carlos Castaño, e la smobilitazione dei paramilitari di Diego Murillo, Carlos Garcia tornerà in Colombia per approfittare dell’indebolimento del suo nemico, secondo alcune fonti, dietro consiglio di consulenti strategici statunitensi, intenzionati a ridimensionare la posizione di Don Berna. Ma malgrado le premesse, Garcia cadrà vittima dei sicari di Murillo nel maggio 2004. Per la cronaca, sempre a maggio, le forze di sicurezza venezuelane arresteranno 50 paramilitari colombiani infiltratisi all’interno del paese, dove verranno accusati di voler attentare alla vita del presidente Hugo Chavez. Nonostante gli assestamenti conseguenti alla fine di Carlos Castaño, i paramilitari delle AUC riusciranno finalmente a guadagnarsi il tanto agognato riconoscimento politico, facendosi ricevere al Congresso il 29 luglio 2004. In quell’occasione, Salvatore Mancuso, Ramon Isaza ed Ernesto Baez avranno persino modo di arringare il parlamento, giustificando la loro condotta, raccogliendo anche qualche applauso trai parlamentari presenti in aula.

Paramilitari AUC Congresso Colombia Erneesto Baez Salvatore Mancuso Ramon Isaza
( I leader Paramilitari al Congresso, Ernesto Baez, Salvatore Mancuso e Ramon Isaza )

Parallelamente a queste dinamiche, la giustizia colombiana condannerà in contumacia anche Yair Klein, il mercenario israeliano responsabile dell’addestramento delle milizie paramilitari colombiane. Klein, ad oggi, non rimpiange di aver addestrato i paramilitari colombiani, sostenendo di aver imparato loro a difendersi dalla guerriglia e non ad uccidere, criticandone la decisione di smobilitarsi. Klein sostiene di essere stato finanziato da importanti oligarchi colombiani, tra cui il futuro presidente Alvaro Uribe, pur evidenziando di non ricordare di aver mai conosciuto il boss del Cartello di Medellin Josè Gonzalo Rodriguez (el-Mexicano). Klein ritiene la guerriglia colombiana il principale gruppo di narcotrafficanti, e non si capacità come la Colombia possa perseguire chi li ha aiutati a contrastarli, aggiungendo che se dipendesse da lui li avrebbe liquidati in sei mesi. A livello strategico, Klein ritiene che gli Stati Uniti avrebbero tollerato a lungo la presenza della guerriglia al fine di impedire alla Colombia di stabilizzarsi e diventare più autonoma. A fronte di un mandato di cattura internazionale spiccato dall’Interpol nel 2007, Klein, arrestato in Russia, verrà estradato in Israele, dove verrà negata la richiesta di estradizione avanzata dalla Colombia, adducendo alla mancanza di standard di sicurezza idonei a garantire la vita del mercenario. Vale la pena menzionare che un anno prima dell’estradizione di Klein in Israele, i familiari superstiti del Mexicano concorderanno con il governo statunitense la consegna di 60 milioni di dollari solo per essere sottratti alla lista Clinton, chiudendo ogni conto col passato anche se la moglie del boss paramilitare sconterà comunque una condanna a 11 anni per arricchimento illecito. Nel 2005, altri parenti di narcos, come Gustavo Gaviria, si vedranno estinguere la proprietà su centinaia di beni per svariati milioni di dollari. Nel corso degli anni successivi, verranno rinvenuti più di 30 milioni di dollari, distribuiti tra istituti di credito svizzeri e mediorientali, sempre attribuiti a Gustavo Gaviria, la mente finanziaria del Cartello di Medellin.

Più avanti, il 10 dicembre 2004, Salvatore Mancuso seguirà l’esempio di Don Berna, partecipando personalmente alla cerimonia di smobilitazione delle proprie milizie paramilitari, ottenendo in cambio uno schermo giuridico con cui confidava di sfuggire alla richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti per narcotraffico. Nello specifico, grazie ai benefici previsti dal “processo di giustizia e pace” Mancuso, condannato a 40 anni di reclusione, vedrà ridotta la propria condanna a soli 8 anni. Durante il suo periodo di detenzione, Mancuso avrà modo di divulgare molte informazioni sulla rete, curando un proprio blog personale. Mancuso, al pari degli altri leader paramilitari verrà, infatti, recluso all’interno di un sito penitenziario speciale situato nei pressi di Itagui, da dove molti continueranno ad esercitare il proprio controllo sul narcotraffico colombiano. Qualche anno dopo, nel 2006, si smobiliteranno anche le milizie paramilitari di Ramon Isaza, condannato a meno di dieci anni di carcere, nonostante fosse coinvolto in numerose stragi e massacri. Isaza sarà uno dei pochi leader paramilitari a non essere accusato di contiguità con il narcotraffico, sebbene il figlio Oliveiro sia indagato per questa fattispecie di reato. Contiguità con il narcotraffico che gli Stati Uniti riusciranno a contestare facilmente a Vicente Castaño, chiedendone l’estradizione che, tuttavia, non riusciranno ad ottenere perché ucciso il 17 marzo, secondo alcuni su ordine di Diego Murillo, con cui sarebbe entrato in contrasto.

L’IMPLOSIONE DEL CARTELLO DEL NORTE DEL VALLE

Il Febbraio del 2002 segnerà l’improvvisa dipartita in carcere di Ivan Urdinola, che sebbene dovuta a motivi naturali, darà adito a numerose teorie speculative, come quella che lo vuole avvelenato dalla moglie Lorena Henao. Infatti, Urdinola, successivamente all’assassinio di Orlando Henao, accuserà la moglie di essere stata coinvolta nell’assassinio del fratello. Accuse che avevano indotto la Henao a limitare le visite in carcere al marito. Ad ogni modo, la teoria dell’avvelenamento del boss sembra essere stata esclusa dalle successive analisi tossicologiche, che avrebbero evidenziato il pessimo stato di salute del boss, il cui periodo detentivo era stato scandito dallo sconsiderato uso alcolici. Più avanti, nel novembre del 2004, suo fratello Julio Urdinola verrà ucciso in auto a Bogotà da un commando di sicari non meglio identificati, anticipando la fase di declino del poderoso clan del Cartello del Norte del Valle. E sempre nel 2004, Lorena Henao verrà arrestata per riciclaggio e arricchimento illecito.

Ivan Urdinola Cartello Norte del Valle narcos Colombia
( Ivan Urdinola )

Malgrado la sua poderosa ascesa criminale, la parabola del Cartello del Norte del Valle inizierà la sua fase discendente proprio poco dopo l’eliminazione del suo capo assoluto, Orlando Henao. Nello specifico, dopo la fine di Henao e di Urdinola, l’organizzazione verrà egemonizzata da Diego Montoya e Wilber Varela, mantenendo ottime relazioni sia con i paramilitari di Salvatore Mancuso, che con i guerriglieri delle FARC, soprattutto da parte di Wilber Varela, il luogotenente di fiducia di Orlando Henao, e responsabile della campagna di assassinii contro i quadri intermedi del Cartello di Cali rimasti in libertà dopo l’arresto della vecchia guardia che aveva inutilmente provato ad attentare alla sua vita. Ma probabilmente, la personalità che si distinguerà più di altri nell’armonizzazione degli affari trasversali del Cartello del Norte del Valle con AUC e FARC sarà Luis Hernando Gomez, il figlio di un sindaco colombiano, divenuto boss all’ombra di Orlando Henao, di cui in origine era stato autista e scorta.

Le prime frizioni interne al Cartello del Norte del Valle si paleseranno in occasione dell’arresto negli Stati Uniti di Fernando Henao, avvenuto nel 2001. Arresto che sembra sia stato favorito dalla collaborazione di Miguel Solano, uno dei luogotenenti di Diego Montoya, irritando Wilber Varela, che, dopo la fine di Ivan Urdinola, aveva intrapreso una relazione con Lorena Henao, la sorella del boss assoluto del valle, arrestata nel 2004. Lo sgarbo di Solano verrà punito dai sicari di Varela, finendo per incrinare i rapporti con Montoya, e con essi gli equilibri interni al Cartello del Norte del Valle. I rapporti tra Montoya e Varela degenereranno poco dopo, a causa del sequestro di un ingente narco-carico da parte della DEA, inducendo Montoya a sospettare che Wilber Varela e Luis Gomez stessero segnalando alle autorità le proprie rotte, al fine di negoziare un accordo di resa a suo discapito. All’epoca, infatti, sulla testa di ciascuno dei boss del Norte del Valle pendeva una taglia da 5 milioni di dollari.

Lo sfaldamento dell’organizzazione del Valle diverrà irrimediabile nel 2003, dopo che uno dei nipoti di Ivan Urdinola ruberà un carico a Luis Hernando Gomez. Disputa che determinerà la scissione del Cartello del Norte del Valle, con il clan Urdinola sostenuto da Diego Montoya, e Luis Hernando Gomez sostenuto da Wilber Varela. Nello specifico, la fazione capeggiata da Varela, quella dei “los-Rastrojos”, assumerà il controllo delle aree rurali della Valle del Cauca; mentre quella di Montoya, assumerà il nome di “los-Machos”, presidiando prevalentemente le zone urbane, incontrando anche il sostegno dell’Oficina de Envigado. Il punto di forza dei Rastrojos sarà l’ala militare, curata dall’ex-colonnello del Blocco di Ricerca Danilo Gonzalez, passato a libro paga di Varela. La contrapposizione tra le due fazioni culminerà nel feroce scontro a fuoco del 26 dicembre, in cui i sicari si misureranno in una vera e propria battaglia durata più di dodici ore.

Alcune delle fasi di questa faida interna al Cartello del Norte del Valle verranno moderate dall’intervento mediatore del comandante paramilitare Carlos Jimenez (alias Macaco). Scontro che, tuttavia, vedrà prevalere i los-Machos di Montoya, costringendo Varela e Gomez a fuggire dal paese. Nello specifico, Varela riparerà nel vicino Venezuela, dove avrebbe provato a simulare la sua morte, servendosi di un sosia per sfuggire alla vendetta dei suoi nemici; mentre Gomez si dirigerà a Cuba, dove il 2 luglio 2004 verrà arrestato proprio mentre tentava di entrare illegalmente nel paese servendosi di un passaporto falso. Venezuela e Cuba, due paesi particolarmente vicini alle FARC che, secondo alcune fonti, intrattenevano rapporti con Varela e Gomez, nel frattempo divenuti referenti dei cartelli messicani di Juarez e Tijuana. Secondo altre fonti, la posizione di forza raggiunta da Diego Montoya, lo metterà nelle condizioni di uccidere Danilo Gonzalez, che oltre ad essere considerato integrante dell’organizzazione di Varela, verrà anche ritenuto uno scomodo doppiogiochista informatore della DEA. Sarà così che, il 25 marzo 2004, l’ex-colonnello Gonzalez verrà raggiunto da un gruppo di sicari all’uscita dall’ufficio di un noto legale di Bogotà che avrebbe agito da intermediario tra lui e gli agenti statunitensi. Assassinio preceduto dall’arresto di Juan Carlos Montoya, il fratello del boss dei los-Machos, estradato negli Stati Uniti nel 2005.

Altri ufficiali reduci del Blocco di Ricerca decideranno di sfruttare i loro contatti compromettenti e la loro popolarità sul piano politico, come nel caso del colonnello Hugo Aguilar, il “responsabile ufficiale” della fine di Pablo Escobar, eletto governatore di Santander come candidato indipendente, anche se una sua vecchia conoscenza, Digo Murillo (Don Berna), ha recentemente sostenuto che la sua elezione sia stata agevolata discretamente dalle AUC, che avrebbe intimidito il suo avversario, facendolo ritirare, perché considerato contiguo ai guerriglieri dell’ELN. Le amicizie sconvenienti e pericolose dell’ex-colonnello Aguilar verranno evidenziate prima da uno stile di vita sospettosamente lussuoso, e successivamente dall’arresto, avvenuto nel 2011, per vincoli con il paramilitarismo, riciclaggio e arricchimento illecito, riconquistando la libertà solo nel 2015.

LA COLOMBIA ESTRADA I NARCOS NEGLI USA

Il novembre 2002, nonostante una certa opposizione tra i ranghi del governo colombiano, Gilberto Rodriguez, il leader del Cartello di Cali, riguadagnerà la libertà, appena dopo sette anni di reclusione. Libertà che comunque gli verrà revocata solo pochi mesi dopo, ritornando in carcere nel mese di marzo per rispondere di un carico non denunciato alle autorità prima della sua detenzione, e di altri coordinati nonostante fosse recluso. E sempre nel novembre 2002, a Medellin verrà ucciso Diego Londoño, lo storico faccendiere politico del Cartello di Medellin, rilasciato dopo aver scontato una condanna per contiguità con il narcotraffico e per la partecipazione alla strategia dei sequestri eccellenti dell’organizzazione degli Estradabili. In questo clima, l’amministrazione Uribe spiazzerà un pò tutti, disponendo l’estradizione negli Stati Uniti dei fratelli Gilberto e Miguel Rodriguez, accusati dalle autorità statunitensi di aver continuato a trafficare anche dopo il ripristino del trattato di estradizione. Dinnanzi all’imminente prospettiva di essere estradato negli Stati Uniti, Gilberto Rodriguez avrà modo di riconoscere al suo nemico Escobar il merito di aver elaborato una strategia effettivamente in grado di obbligare lo stato a non applicare il trattato di estradizione verso gli Stati Uniti, considerandolo il più grande mafioso del ventesimo secolo, la cui fine ha segnato l’inizio della sua.

Gilberto Rodriguez narcos Colombia Cartello Cali estradizione
( Gilberto Rodriguez prossimo all’estradizione negli USA )

In un’intervista antecedente alla sua estradizione, Gilberto Rodriguez sosterrà che chiunque intraprenda la carriera del narcotrafficante deve comprendere che inevitabilmente, prima o poi, finirà con l’essere estradato negli Stati Uniti. Sempre nel corso di questa intervista, Rodriguez chiederà perdono alle vittime del narcotraffico, sostenendo che prima non avesse la maturità necessaria per capire le conseguenze delle sue azioni. I due boss del fu Cartello di Cali finiranno così per essere estradati negli Stati Uniti a stretto giro l’uno dall’altro, tra la fine del 2004 e la seconda metà del 2005, ritrovandosi traditi dall’establishment politico con cui avevano cooperato per abbattere Pablo Escobar, ovvero l’artefice dell’abrogazione del trattato di estradizione che, con ogni probabilità, li condannerà a finire i loro giorni negli Stati Uniti, dove verranno condannati a 30 anni di reclusione. Oggi, Gilberto Rodirguez ha 82 anni, ed il suo rilascio è previsto nel 2029, data entro cui la sua famiglia auspica di poterlo rivedere. E proprio per le loro famiglie, nel 2006, i due fratelli Rodriguez hanno consegnato alle autorità statunitensi qualcosa come 2 miliardi di dollari, solo per sottrarre la propria famiglia alle sanzioni con cui la legge Clinton pregiudicava la vita finanziaria dei loro familiari. Cooperazione che, tuttavia, i due fratelli Rodriguez non estenderanno a livello politico, astenendosi dal fornire informazioni inerenti il Processo 8000, probabilmente sempre per tutelare la sicurezza della propria famiglia in patria.

Nel luglio 2007, le autorità colombiane disporranno l’estradizione negli Stati Uniti di Luis Hernando Gomez, pochi giorni dopo essere stato consegnato dalle autorità di Cuba, dove era stato precedentemente arrestato. Quanto a Gomez, vale la pena considerare come, a fronte di una ricchezza di più di 200 milioni di dollari in proprietà e 20 milioni in contante, sia arrivato ad offrirsi di restituirla solo per avere la possibilità di rivedere un’ultima volta la piccola figlia. Quello che molto spesso chi racconta le storie dei narcotrafficanti trascura è il come le immense ricchezze accumulate rapidamente da questi criminali si trasformino in una vera e propria condanna ineludibile, giacché molto di questo denaro finisce per perdersi o distruggersi come le vite di chi lo possiede, scontando il prezzo di una scelta di vita criminale, imprevedibile e irta di pericoli. Scelta di vita che, paradossalmente, accorcia la vita di chi la intraprende fino in fondo, o la allunga sgradevolmente all’interno di un paese straniero dove si finisce per essere reclusi per il resto dei propri giorni. E mentre la lista di boss colombiani estradati negli Stati Uniti si allungava, alcuni più fortunati, come Josè “Mono” Abello, avranno la possibilità di rientrare in Colombia, al culmine delle condanne scontate negli states.

Luis Hernando Gomez narcos Colombia Cartello Norte del Valle
( Luis Hernando Gomez )

L’ESTRADIZIONE DEI NARCOPARAMILITARI NEGLI USA

All’inizio del settembre 2007, le autorità colombiane arresteranno prima Diego Murillo (Don Berna), e dopo Diego Montoya, catturato nel mese di dicembre al culmine di uno scontro a fuoco nella Valle del Cauca, dopo aver inutilmente provato a corrompere i poliziotti che lo stavano arrestando con 5 milioni di dollari in contanti. Contanti che precedentemente non erano bastati nemmeno per convincere i paramilitari a integrarlo tra i ranghi delle AUC per guadagnarsi un trattamento politico che potesse schermarlo dall’estradizione negli Stati Uniti. Wilber Varela, invece, verrà assassinato in Venezuela il 30 gennaio 2008, secondo alcune fonti, su ordine del comandante paramilitare Carlos Jimenez (Macaco), intenzionato ad estrometterlo dal narcotraffico, sebbene egli stesso finirà per essere arrestato al pari dei suoi soci. Nei mesi a seguire, l’amministrazione Uribe disporrà l’estradizione negli Stati Uniti dei comandanti narco-paramilitari Salvatore Mancuso, Diego Murillo, Carlos Jimenez, Ever Velosa e del boss Diego Montoya, che così verranno ricompensati dal paese di cui più di tutti avevano presidiato gli interessi strategici in Colombia.

Diego Montoya Cartello Norte del Valle narcos Colombia
( Diego Montoya )

L’estradizione dei leader paramilitari negli Stati Uniti contrarierà in particolar modo Salvatore Mancuso, che accuserà il governo colombiano di aver disatteso gli accordi di pace che avrebbero dovuto schermarlo dall’estradizione negli Stati Uniti, dove le condanne che si accingevano a scontare erano decisamente sproporzionate rispetto a quelle previste in Colombia per la stessa categoria di reato. Mancuso sostiene che l’estradizione dei leader paramilitari negli Stati Uniti sia stata propiziata da ambienti politici al fine di impedirgli di collaborare con la giustizia colombiana, testimoniando contro esponenti politici discretamente legati alle strategie e ai massacri perpetrati dalle AUC. Dopo aver scontato la sua condanna per narcotraffico negli Stati Uniti nel marzo 2020, i legali di Mancuso hanno provato senza successo a farlo estradare in Italia, avanzando la sua disponibilità a collaborare ai processi inerenti i rapporti intercorsi con la Ndrangheta, confidando così di sottrarlo alla giustizia colombiana che intendeva processarlo per i crimini contro l’umanità perpetrati dalle sue milizie paramilitari. Richiesta di estradizione che, a quanto sembra, la giustizia italiana non avrebbe accolto a causa della mancanza di una regolare ordinanza di custodia cautelare a carico di Mancuso. Ciononostante, il rimpatrio in Colombia di Mancuso sarebbe stato ostacolato da vizi procedurali, attribuiti all’amministrazione Duque, secondo alcuni intenzionato a schermare l’ex-presidente conservatore Alvaro Uribe, accusato di contiguità con gli ambienti narco-paramilitari dai suo avversari politici, con in testa Gustavo Petro, uno dei leader del vecchio M-19. Accuse che Uribe ha comunque respinto, accusando a sua volta Petro di essersi incontrato con Carlos Castaño e Diego Murillo nell’estate del 2000 per chiedergli garanzie sulla propria vita. I legali di Mancuso, infatti, avrebbero tentato la via italiana, evidenziando il pericolo per il loro assistito di finire torturato o, addirittura, ucciso, per via della mole di informazioni compromettenti inerenti il ruolo di alcuni politici nel conflitto colombiano di cui è a conoscenza. Ma al netto di queste criticità, l’amministrazione statunitense presieduta da Donald Trump ha recentemente ceduto alle richieste del governo di Bogotá, consegnando Mancuso alla giustizia colombiana, dinnanzi a cui ha chiesto perdono al paese per i massacri perpetrati dalle sue milizie paramilitari, evidenziando anche i legami intercorsi tra le AUC e l’ex-colonnello Danilo Gonzalez.

Il 2008 si concluderà con l’arresto di Mauricio Restrepo, uno dei leader dei los-Pepes, accusato di intrattenere rapporti criminali con il clan messicano di Beltran-Leyva. Non tutti i narcos di questa storia verranno estradati, giacché molti verranno raggiunti prima dalla vendetta dei loro nemici, come nel caso di Leonidas Vargas, uno dei boss superstiti della vecchia guardia del Cartello di Medellin, ucciso da un sicario in Spagna, dove si era trasferito con passaporto venezuelano nel 2002, dopo la sua scarcerazione, insieme alla nota modella Liliana Lonzano, torturata e assassinata in Colombia, nel gennaio 2009, insieme al fratello del boss, Fabio Vargas. Altri boss cadranno vittima di agguati, come nel caso di Gustavo Upegui, ucciso nel 2006 su ordine di Alberto Mejia, un altro esponente di spicco dell’Oficina de Envigado, la cui organizzazione inizierà a sfaldarsi proprio in conseguenze di queste faide interne, inducendo molti suoi appartenenti a strutturare nuove piccole bande come quelle dei “los-Paisas” e dei “los-Traquetos”. Mejia, infatti, pur riuscendo a farsi classificare come comandante paramilitare, ottenendo trattamento politico, verrà ucciso il 24 agosto del 2006 da uno dei suoi luogotenenti.

Dopo l’arresto di Diego Murillo (Don Berna), infatti, la leadership dell’Oficina de Envigado verrà contesa da una nuova generazione di piccoli narcos, protagonisti di una vera e propria faida che indebolirà significativamente l’organizzazione. Frizioni che indurranno i narcos più contigui alla galassia paramilitare a fondare l’organizzazione dei los-Paisas, con cui proveranno ad estendere la loro influenza, entrando in contrasto con l’ascendente Cartello del Golfo, a cui si contrapporranno ricercando un’alleanza strategica con i vecchi nemici delle FARC. Contrasti, tuttavia, ricomposti nel 2013, in conseguenza di un accordo sulle rispettive aree di influenza, negoziato dalle leadership delle due organizzazioni, a cui si sono aggiunti anche i narcos dei los-Rastrojos. Ma nessuno di questi cartelli riuscirà a strutturare un potere vagamente simile a quello dei vecchi grandi cartelli degli anni ottanta.

Altri boss cadranno vittima di agguati all’estero, come nel caso di Diego Arcila Henao (el-Tomate), un altro esponente di medio rango del Cartello di Medellin, così come verrà uccisa anche Lorena Henao, assassinata il 27 dicembre 2012 insieme al nuovo compagno (l’autista del marito Ivan Urdinola) da un commando di sicari dei los-Machos camuffati con le divise della polizia, intenzionati a sottrargli le ricchezze ereditate dal marito. Emma Urdinola, la figlia di Ivan Urdinola e Lorena Henao, seguirà la sorte dei genitori, finendo per essere arrestata, e condannata a 30 anni, per aver commissionato l’assassinio di un leader sindacalista. E sebbene non ci fossero prove circa il suo coinvolgimento nel narcotraffico, anche il magnate degli smeraldi Victor Carranza, succcessivamente al suo scarceramento, riuscirà a scampare a due attentati nel 2009. Su Carranza peseranno le accuse mosse dagli Stati Uniti da Salvatore Mancuso, secondo cui avrebbe finanziato e cooperato alle attività delle AUC.

Altri boss ancora avranno, invece, più fortuna, come nel caso di Rafael Abello, sopravvissuto a ben tre agguati avvenuti nel 2007, nel 2008 e nel 2012. Altri luogotenenti del Cartello di Medellin, come il sicario Carlos Alzate (el-Arete), come abbiamo già accennato, riusciranno a rifarsi una vita in Spagna, dove si sarebbe rifugiato anche il capo-sicario di Escobar, Juan Carlos Aguilar (el-Mugre), che addirittura oggi vivrebbe da pastore evangelico. Altri ancora si sono riciclati come web star, aprendo canali social particolarmente seguiti sulla rete, dove raccontano e capitalizzano sui social media la loro esperienza criminale, evidenziando la dimensione umana più banale di un fenomeno criminale che in Colombia, e non solo, ha assunto una rilevanza socio-politica assurda. Roberto Escobar, ad esempio, vive da alcuni anni dei proventi del museo dedicato alla parabola criminale di suo fratello Pablo, divenuto una delle tappe popolari per i turisti stranieri in visita a Medellin. Roberto Escobar, come abbiamo avuto modo di evidenziare, era stato più il fratello di Pablo Escobar che un vero narcos, e non sorprende che sia stato costretto a vivere di espedienti come questo, non avendo il background per portare avanti il Cartello di Medellin. Ma ciononostante, Roberto Escobar possiede, quantomeno, il fiuto per gli affari del fratello, come dimostrano i suoi tentativi di sfruttarne il nome. Roberto Escobar è infatti convinto che il nome di Pablo Escobar sia un brand in grado di produrre più soldi oggi di quando era in vita, e per di più in maniera onesta, così come le recenti serie sul narcotraffico, come Narcos, hanno dimostrato sul piano economico, alimentando l’industria dei contenuti culturali mass-mediatici. E per quanto ciò comporti un’ineludibile questione morale, Roberto Escobar ritiene che le sue attività siano legittime, e non configurabili come apologia di reato. Tra l’altro, Roberto Escobar continua a sostenere come suo fratello sia stato ucciso senza essere stato processato e condannato dalle autorità di un paese che pur non prevedendo la pena di morte, la praticava sostanzialmente senza alcuna remora, preferendo l’assassinio all’arresto dei ricercati. La gestione del “museo Escobar” è stata motivo di disputa tra Roberto Escobar e suo figlio Nicolas Escobar, che nel 2020 ha aperto prima un proprio museo, e dopo una serie di canali social su youtube, dove con uno stile da macchietta racconta improbabili aneddoti sullo zio Pablo Escobar, inframezzati da vere e proprie campagne diffamatorie contro la sua famiglia, dal padre Roberto al cugino Juan Pablo Escobar e alcuni luogotenenti del Cartello di Medellin, approfittando della loro morte per vendicarsi di presunti tentativi di estorsioni predisposti a danno dalla sua famiglia, al riparo da possibili rappresaglie.

Roberto Escobar narcos Colombia Cartello Medellin museo
( Roberto Escobar nel museo dedicato a suo fratello Pablo )

Ancora oggi, la dimensione politica del fenomeno narcos non risulta adeguatamente approfondita, nonostante più di una pista abbia evidenziato l’esistenza di una zona grigia frequentata sia da criminali efferati che da personalità politiche al di sopra di ogni sospetto. E se nel maggio del 2006, il chiacchieratissimo Alvaro Uribe riuscirà a riconfermarsi alla presidenza colombiana, con a rimorchio il fidato Josè Obdulio Gaviria (il cugino di Pablo Escobar), il mese successivo la giustizia colombiana condannerà in primo grado l’ex-ministro liberale Alberto Santofimio, il vecchio consulente politico di Escobar, accusato di essere stato tra i registi dell’assassinio del candidato presidenziale Luis Carlos Galan, ucciso nel 1989. Condanna che verrà revocata in secondo grado nel 2008, mettendo in dubbio le rivelazioni avanzate da numerosi ex-luogotenenti del Cartello di Medellin, ma la cui attendibilità, nel 2011, verrà nuovamente considerata sufficiente a condannare Santofimio in terzo grado di giudizio. Condanna messa in dubbio da Juan Pablo Escobar, convinto dell’innocenza di Santofimio che, a suo dire, non sarebbe stato in grado di influenzare la decisione di suo padre di eliminare Galan, giacché lo riteneva una persona difficilmente influenzabile. Tesi condivisa anche da suo cugino Nicolas Escobar che, tuttavia, non ha esitato a contestare l’ipocrisia di Juan Pablo Escobar nel riconciliarsi con Juan Manuel Galan, il figlio del leader neoliberale ucciso nel 1989, sostenendo che, benché Pablo Escobar avesse provato ad ucciderlo, non sia tuttavia riuscito a farlo, lasciando intendere che le responsabilità siano da ricercare altrove.

Josè Obdulio Gaviria Presidente Colombia Alvaro Uribe
( Josè Obdulio Gaviria ed il presidente colombiano Alvaro Uribe )

Juan Pablo Escobar si è poi riconciliato anche con Rodrigo Lara Jr, che nel 2007 si dimetterà per protesta contro l’atteggiamento ostruttivo tenuto dal presidente Alvaro Uribe e dal suo consigliere Josè Odbulio Gaviria, il controverso senatore cugino di Escobar, accusandoli di avergli precluso l’accesso a informazioni classificate relative all’assassinio di suo padre. Tra l’altro, Lara ha messo in evidenza anche i legami tra Obdulio Gaviria alcuni boss del Cartello di Medellin confluiti tra i ranghi dei los-Pepes, come Guillermo Angel, e gli ambienti paramilitari, da cui sostiene di essere stato minacciato, soprattutto dopo aver evidenziato i legami che collegavano il fratello di Angel a due importanti emittenti colombiane. Ciononostante Lara ha accusato Angel di aver cooperato con i paramilitari, mettendo a disposizione la propria compagnia aerea Helicargo. Lara tutt’oggi sostiene che l’estradizione dei leader paramilitari negli Stati Uniti per processarli per narcotraffico sia stato un modo per impedire testimonianze politicamente scomode circa il ruolo nel conflitto colombiano e non solo, impedendo di fare piena luce sui crimini che hanno condizionato la storia colombiana degli ultimi decenni, evidenziando come la loro reticenza sia dovuta alla paura di esporre a rappresaglie i propri familiari rimasti in Colombia.

Ad ogni modo, la verità sulle trame che si celano dietro il controverso assassinio di Luis Carlos Galan rimane ancora parziale, tanto che, nel 2016, il Consiglio di stato colombiano a provveduto a classificarlo come crimine contro l’umanità, così da consentire la punizione di tutti i responsabili senza l’assillo temporale dei termini di prescrizione. E proprio nel 2016, alla schiera di presunti responsabili coinvolti nella fine di Galan si aggiungerà anche l’ex-capo del DAS Miguel Maza, condannato come Santofimio per quello che in Colombia viene definito un “magnicidio”. Nello specifico, l’ex-generale Maza, lo stesso sfuggito al bus-bomba piazzato dagli Estradabili di Escobar nel 1989, verrà condannato a 30 anni per aver indebolito la scorta a Galan, agevolando l’attentato dei killer dalla fazione paramilitare del Cartello di Medellin che, ad oggi, in mancanza di ulteriori prove a carico degli ambienti politici che ne hanno indirettamente beneficiato, rimangono gli unici responsabili della fine del leader neoliberale. Nel febbraio 2012, pur se recluso negli Stati Uniti, dove nel frattempo era stato condannato a 31 anni di reclusione per narcotraffico, Diego Murillo rivelerà la responsabilità di Carlos Castaño nell’assassinio di Galan, perché ritenuto una minaccia per le sorti del movimento paramilitare.

GLI ESCOBAR

Recentemente, la famiglia di Pablo Escobar ha conquistato la ribalta mediatica, sull’onda del successo riscosso dalle serie tv ispirate dalla sua parabola criminale. Serie tv dai contenuti piuttosto romanzati, ma che hanno contribuito comunque ad attirare l’attenzione del grande pubblico si di questo complesso fenomeno sociale deviato. Contenuti spesso tratti dai libri scritti dalla moglie e dal figlio dello stesso Escobar, in cui hanno avuto modo di raccontarne sia i tratti più umani, che quelli decisamente meno civili del leader del Cartello di Medellin. Il resoconto della moglie, ad esempio, ha messo in evidenza le spiccate capacità sociali di Escobar, a suo dire dotato di una spiccata empatia che lo portava a farsi carico dei problemi delle classi popolari della sua Medellin, in cui continuava ad identificarsi, sentendosi legato alla condizione di povertà che aveva caratterizzato la sua giovinezza. Sorprende poi constatare come, per sua moglie, tra gli anni settanta ed ottanta, la percezione del narcotraffico fosse al dir poco sottovalutata dall’opinione pubblica colombiana, tanto da permettere ad un narcos come Escobar di passare per un rispettabile imprenditore con la passione per il sociale e la politica.

Juan Pablo Escobar Maria Victoria Henao famiglia Escobar
( Juan Pablo Escobar e Maria Victoria Henao )

Di certo la famiglia di Pablo Escobar ha goduto delle sue fortune criminali, anche se per un periodo limitato, e comunque condizionato da un clima sociale difficilmente tollerabile, soprattutto per dei ragazzini. Infatti, al netto delle ricchezze e delle eccentricità, la famiglia di Escobar si ritroverà a vivere per gran parte del tempo isolata dalla società civile, sotto il costante assillo di poter essere rapiti, torturati e uccisi in qualsiasi momento. Prospettiva che la famiglia Escobar ha sperimentato nel gennaio del 1988, quando un’autobomba piazzata dai nemici del Cartello di Cali ha fatto detonare il loro complesso residenziale fortificato, ferendo gravemente nel sonno la piccola Manuela Escobar, l’unica della famiglia che ha scelto di mantenere un basso profilo, sfuggendo all’attenzione dei media che il resto della sua famiglia continua a ricercare per trarne un’indiscutibile tornaconto economico. Attentato che, a detta di Juan Pablo Escobar, ha condizionato pesantemente la scelta di suo padre di trasformarsi in un narco-terrorista, giustificandosi con il figlio con la necessità di difendersi con ogni mezzo possibile dalla gente che per prima ha introdotto l’uso delle autobomba in Colombia. Si, perché per quanto il Cartello di Medellin di Escobar abbia rappresentato l’apoteosi del narco-terrorismo, la prima autobomba è stata congegnata e piazzata dal discreto Cartello di Cali. Le conseguenze della guerra ingaggiata dal padre, costringerà il giovane Juan Pablo Escobar a crescere isolato dai suoi coetanei per motivi di sicurezza, rinunciando ad una vita normale, surrogata dalla compagnia dei sicari del cartello. E sebbene non manchino le accuse di chi considera Juan Pablo Escobar un criminale, egli sostiene di aver rinunciato a prendere le redini del Cartello di Medellin per cercarsi quel futuro migliore che suo padre lo esortava costantemente a realizzare, mettendogli a disposizione le risorse finanziarie di cui lui era stato privato in gioventù. Proposito realizzato, conseguendo una laurea in architettura, pur vivendo a distanza di sicurezza dalla sua terra natia.

In Colombia, invece, continuano a vivere Roberto Escobar e suo figlio Nicolas, anche se i loro legami con la famiglia di Pablo Escobar sono al dir poco degradati, a causa di sospetti e questioni finanziarie rimaste in sospeso. Conflitti familiari che recentemente hanno contrapposto anche Roberto Escobar e suo figlio Nicolas, divisi sulla gestione del controverso museo dedicato proprio a Pablo Escobar, divenuto meta turistica popolare di Medellin. Nicolas Escobar ha recentemente catalizzato l’attenzione dei media, millantando la scoperta di rifugi e reperti appartenenti allo zio Pablo, salvo essere smentito platealmente dal padre Roberto, che lo platealmente accusato di essere truffatore. E sebbene Nicolas Escobar millanti un certo benessere economico, nei fatti si diletta a raccogliere le donazioni elargite dagli avventori dei suoi canali social, nel corso di interminabili dirette in cui racconta improbabili aneddoti sullo zio Pablo, inframezzate dagli elogi dedicati ai narcos amici, e alla diffamazione di quelli nemici, bersagliando soprattutto il cugino Juan Pablo Escobar. Accuse spesso pesanti come quella della partecipazione del cugino ai crimini del Cartello di Medellin, sostenendo che la sua famiglia si stia godendo i miliardi che lo zio avrebbe sottratto ai clan Moncada e Galeano, salvo smentirsi sostenendo che lui, al contrario dei suoi parenti, non abbia bisogno di vendere libri pieni di falsità per vivere, anche se l’esaltazione con cui esulta ad ogni donazione ricevuta sui social dimostra il contrario. Crimini di cui Nicolas Escobar è rimasto immune perché, al netto del suo cognome altisonante e dei racconti suggestivi, non aveva vissuto praticamente nulla del Cartello di Medellin, vivendo in Svizzera dei soldi riciclati dal padre. Tra l’altro, sebbene sostenga di essere il nipote preferito di Pablo Escobar, al contrario di molti luogotenenti del cartello, non possiede nemmeno una foto con lo zio.

Tra l’altro, Nicolas Escobar sostiene di essere particolarmente grato ai nemici di suo zio Pablo, da Carlos Castaño alla cupola del Cartello di Cali, rivendicando un trattamento migliore di quello ricevuto da suo cugino Juan Pablo, a suo dire costretto a lasciare il paese perché ritenuto da questi non meritevole della stessa fiducia riconosciuta a lui. E proprio questi rapporti privilegiati con i nemici di Pablo Escobar sembrano accordarsi con la teoria di Juan Pablo Escobar, convinto che i parenti del padre abbiano cooperato più o meno direttamente con i suoi acerrimi nemici riuniti sotto la sigla dei los-Pepes. Ma per quanto Nicolas Escobar sia inattendibile, al netto della sua immagine, la ricchezza esibita sui social da Juan Pablo Escobar lascia immaginare il possesso di ricchezze difficilmente accumulabili da un individuo costretto a riiniziare la propria vita da zero. Dubbi comunque dissipati dalla sua immagine di difensore dei diritti umani, con cui è riuscito a riconciliarsi con i figli di Rodrigo Lara e di Luis Carlos Galan, i due politici uccisi proprio da Pablo Escobar, con cui ha anche tenuto delle conferenze contro il narcotraffico. Riconciliazione replicata anche con i figli di Miguel Rodriguez, in un clima di cordialità difficile da immaginare solo qualche anno fa.

Juan Pablo Escobar famiglia Galan e Lara
( Juan Pablo Escobar con i figli di Luis Carlos Galan e Rodrigo Lara )

CONCLUSIONI

Per i narcos colombiani, l’eliminazione di Pablo Escobar si è configurata come una vittoria illusoria, che nel giro di pochi anni ha determinato l’implosione delle organizzazioni rivali di quello che fu il famigerato Cartello di Medellin. Organizzazioni che hanno tentato in tempi e modalità diverse di negoziare con il governo colombiano la loro normalizzazione, provando a rimettere mano alla strategia politica con cui Escobar contava di consolidare la propria posizione giudiziaria, facendosi promotore di un accordo di pace con cui archiviare l’annoso conflitto colombiano. Strategia che inizialmente vedrà più attivi i ricchissimi narcos del Cartello di Cali, tuttavia, ostacolati dai vecchi alleati paramilitari, legati a doppio filo agli interessi strategici degli Stati Uniti, all’epoca risolutamente contrari a qualsiasi mutazione della postura strategica interna della Colombia. E sarà proprio l’influenza statunitense ad inficiare la strategia del Cartello di Cali, impedendo al presidente Ernesto Samper, di assecondarne la loro agenda. L’opposizione dei paramilitari ai negoziati con le FARC, passando per lo scandalo delle narco-cassette suscitato dall’opposizione conservatrice demolirà letteralmente i legami tra l’amministrazione Samper e la cupola di Cali. In quella circostanza i boss di Cali si renderanno conto che l’eliminazione di Escobar non li avrebbe resi i suoi eredi, prendendo atto che nemmeno loro avrebbero fatto parte della nuova stagione politica che si sarebbe aperta da lì a poco. Lo scandalo conseguente al “Proceso 8000” annunciava la fine dell’era liberale, iniziata nel 1986 con l’elezione di Virgilio Barco. E di certo l’approccio incostante con cui i liberali avevano amministrato il dossier narcos inciderà notevolmente sulla decisione degli Stati Uniti di delegittimare Samper, permettendo ai conservatori di concludere la ventennale era liberale. E non sorprende che l’ascesa dei conservatori sia concisa con quella del fronte paramilitare, tradizionalmente contiguo proprio all’oligarchia conservatrice colombiana, oltre che ben sincronizzata alle frequenze strategiche statunitensi. E sarà così che le logiche della politica prevarranno sul poderoso potenziale economico del Cartello di Cali, permettendo ai paramilitari di estendere il proprio controllo sul narcotraffico colombiano, da cui trarranno ingenti risorse finanziarie con cui potenziare la propria organizzazione che, tra l’altro, verrà favorita dall’infrastruttura dell’Oficina de Envigado controllata da Diego Murillo, capace di raccogliere i cocci di quel che rimaneva del Cartello di Medellin. Paradossalmente, lo strumento di proiezione tattico-militare del Cartello di Medellin imbastita da Josè Gonzalo Rodriguez Gacha (el-Mexicano), ovvero l’organizzazione paramilitare, finirà per assumerne il controllo.

Il rafforzamento del fronte narco-paramilitare sarà comunque alquanto progressivo, giacché in un primo momento si ritroverà soverchiato, al pari del Cartello di Cali, dalla prepotente ascesa del Cartello del Norte del Valle. Sotto la guida dello spregiudicato e machiavellico Orlando Henao, il piccolo cartello della Valle del Cauca riuscirà a federare sotto la sua autorevole leadership i boss contrari ad assecondare lo smantellamento del narcotraffico imposto dai fratelli Rodriguez Orejuela. La prospettiva di negoziare una condanna agevolata non intaccherà l’avarizia della sempre più larga platea di narcos, per nulla disposti a recedere da un business plurimiliardario, per di più nel momento più favorevole. L’insubordinazione dei narcos, condannerà la strategia negoziale elaborata dalla cupola di Cali, evidenziando ulteriormente ai fratelli Rodriguez di essere ben lontani dall’esercitare un’influenza vagamente simile a quella esercitata per oltre un decennio da Escobar. Realtà che indurrà i boss di Cali ad accelerare i termini della loro resa, capitalizzando il sostegno elettorale fornito a Samper, prima che la sua amministrazione risultasse compromessa dallo scandalo delle narco-cassette, peraltro, inframezzato da una serie di clamorosi assassinii, come quello di Alvaro Gomez. E proprio la fine di Gomez continua ad essere vero e proprio enigma, dando adito alle speculazioni più disparate: da quelle che sostengono il coinvolgimento dei paramilitari a quelle che ipotizzano quello dei guerriglieri, passando per quelle che parlano di un complotto politico liberale assecondato dai narcos del Cartello del Norte.

Dinnanzi alla prepotente ascesa del Cartello del Norte del Valle si infrangeranno i disperati tentativi del Cartello di Cali di ridimensionarlo. Ascesa a cui nemmeno i paramilitari riusciranno ad arginare, facendo i conti con la spregiudicatezza strategica di Orlando Henao, che pur di blindare la propria egemonia non esiterà a favorire l’eliminazione del suo socio Efraim Hernandez. Ma al netto della posizione egemonica strutturata da Henao, nemmeno lui riuscirà ad impedire all’establishment politico di ripristinare il trattato di estradizione verso gli Stati Uniti, che l’amministrazione Samper non sarà nelle condizioni di poter ostacolare. Sviluppo che evidenzierà un po’ a tutti i narcos l’errore commesso nell’eliminare Escobar, l’unico di loro in grado di costringere il governo a non assoggettarli alla giustizia di un paese straniero. I narcos post-Escobar, pur se più ricchi del boss di Medellin, non riusciranno ad esercitare il loro potere per impedire all’establishment politico di riassoggettarli all’estradizione negli Stati Uniti, preferendo confidare nella buona fede dei loro referenti politici, negoziando clausole di estradizione non retroattive. Quella che in quel frangente mancherà ai narcos colombiani, sarà la logica hobbesiana di Escobar, consapevole che “senza spada i patti non sono che parole“. Parole di carta, come le ordinanze di estradizione con cui il governo colombiano disporrà nel giro di qualche anno l’estradizione negli Stati Uniti dei principali narcotrafficanti del paese, fatta eccezione per quelli caduti nelle faide dei primi anni novanta, tra cui spicca la clamorosa eliminazione di Orlando Henao, la cui fine priverà il Cartello del Norte del Valle di quella leadership autorevole, capace di governare le spinte centrifughe che porteranno alla scissione ed implosione dell’organizzazione. Il prezzo che i narcos colombiani pagheranno per l’eliminazione del responsabile dell’abrogazione del trattato di estradizione, ovvero Pablo Escobar, sarà, paradossalmente, proprio l’estradizione negli Stati Uniti.

L’implosione del Cartello del Norte del Valle metterà così i paramilitari nelle condizioni di dominare il narcotraffico colombiano, contendendoselo con i nemici di sempre, ovvero la guerriglia, l’altro grande attore silenzioso di questa storia criminale tutta colombiana, e di cui si conosce ancora fin troppo poco. Ad ogni modo, proprio grazie ai proventi del narcotraffico che i paramilitari potenzieranno ulteriormente la propria struttura militare, federando le milizie esistenti sotto la sigla unica delle AUC. Organizzazione paramilitare unitaria con cui gli Stati Uniti si assicureranno indirettamente che la guerriglia colombiana non prendesse il sopravvento in Colombia, blindando così il loro principale alleato sudamericano. E del resto, senza i paramilitari del clan Castaño difficilmente si sarebbe potuto disarticolare il Cartello di Medellin di Escobar, affossando il suo spregiudicato proposito politico trasversale alla guerriglia e al paramilitarismo. Piano che, come abbiamo avuto modo di rilevare, è stato rilanciato dai narcos di Cali e addirittura dalle stesse AUC. Piano che secondo Castaño avrebbe visto un ruolo preminente di quel Juan Manuel Santos, che circa un decennio dopo avrebbe conquistato la presidenza, vincendo addirittura il Nobel per la pace proprio per il suo ruolo nella pacificazione dell’annoso conflitto colombiano. Se le tesi di Castaño fossero vere o meno rimane disputabile, ma di certo questi sviluppi non faticano ad avvalorarle. Prospettiva, quella di un accordo di pace, che ad un certo punto verrà condivisa e ricercata anche da Carlos Castaño, al punto da indurlo a rinunciare i suoi propositi di vendetta politica personale contro la guerriglia, solo per ottenere la possibilità di rifarsi una vita insieme alla sua famiglia, il vero sogno nascosto di ogni criminale. E per realizzare questo sogno, Castaño non esiterà a segnalare alla DEA molti narcos suoi vecchi alleati, probabilmente compresi quelli che, come Don Berna, ne auspicavano l’ascesa politica. Di certo, inquadrare il pensiero di Carlos Castaño è alquanto complicato, come del resto molti dei suoi soci e compagni d’armi hanno testimoniato a più riprese, soprattutto negli anni novanta, quando il suo comportamento diverrà al dir poco imprevedibile. Imprevedibile come l’appoggio inizialmente avanzato al neo-presidente venezuelano Hugo Chavez, divenuto poco dopo nemico numero uno. Tuttavia, questo episodio trova un senso nei rapporti che la fazione narco-paramilitare riconducibile a Carlos Jimenez intratteneva con il Venezuela, dove tutt’oggi si continua a speculare sull’esistenza di un cartello di narcotrafficante para-istituzionale. E al netto delle speculazioni, non possono certamente essere negati i rapporti privilegiati intercorsi tra il governo bolivariano venezuelano e la guerriglia colombiana, il cui coinvolgimento nel narcotraffico è qualcosa di più che un semplice sospetto. E la possibilità che la guerriglia colombiana abbia usufruito di agevolazioni in Venezuela è un’ipotesi non poi così inverosimile.

Ritornando ai legami tra i paramilitari e la politica colombiana, possiamo sicuramente affermare come siano passati ad un livello più elevato con l’elezione di Alvaro Uribe, che sebbene conservatore come il predecessore Pastrana, adotterà una linea anti-guerrigliera più netta, e decisamente ricalcata sulla retorica antisovversiva delle AUC. E su di Uribe, pur mancando prove sufficienti a legarlo al mondo del narco-paramilitarismo, come abbiamo avuto modo di trattare in questo focus, si addensano sospetti al dir poco pesanti: dai legami familiari con la famiglia Ochoa, al suo ruolo nell’aviazione civile, passando le dinamiche inerenti la sua elezione e i rapporti che i suoi fratelli intrattengono con i narcos del clan Cifuentes ed il mondo del paramilitarismo. E sarà proprio l’amministrazione Uribe a permettere ai paramilitari di smobilitarsi, anche se successivamente alla controversa eliminazione di Carlos Castaño, divenuto un personaggio fin troppo scomodo, o probabilmente abbastanza sospettoso da intuire il tradimento degli accordi che qualche anno dopo porterà all’estradizione negli Stati Uniti per narcotraffico dello stato maggiore delle AUC. Estradizione con cui Uribe impedirà ai molti dei protagonisti del conflitto colombiano di far luce sugli anni più bui del conflitto, garantendo l’onorabilità di una larga fetta di establishment colombiano invischiato con i crimini materialmente attuati dai paramilitari. Infatti, come abbiamo avuto modo di trattare in questo focus, la storia del narcotraffico colombiano non è affatto una storia di buoni contro cattivi, ma bensì la storia di coacervo di interessi criminali trasversali al mondo della politica colombiana, e non solo. Storie come quella dei colonnelli Aguilar e Gonzalez evidenziano come nulla in Colombia era come sembrava, e che dietro ad un criminale se ne celassero altri decisamente al di sopra di ogni sospetto. Sospetti accresciuti dalle rivelazioni di Juan Pablo Escobar, convinto che gli Stati Uniti riescano a controllare da dietro le quinte il fenomeno narcotraffico, coprendo l’identità dei cartelli fantasma che amministrano il mercato finale all’interno degli stessi states, polarizzando l’attenzione sui cartelli colombiani e messicani che, a suo dire, sarebbero dei semplici corrieri titolari di margini di guadagno lontanamente paragonabili a quelli dei incamerati dai boss americani. Al netto delle convinzioni del figlio di Escobar, quello che è certo è che negli ultimi anni il narcotraffico in Colombia ha perso centralità, soppiantato dall’ascesa dei narcos messicani, lasciando il campo a piccoli micro-cartelli, di cui si conosce davvero molto poco.

Concludiamo qui questo lungo focus, iniziato per raccontare la dimensione politico-sociale del fenomeno narcos, dilungatosi, a forza di dettagli, ben oltre quelle che erano le previsioni iniziali. E sebbene ci sarebbe stato molto altro da aggiungere, abbiamo dovuto scremare di molto le fonti a nostra disposizione, che come avete avuto modo di vedere erano decisamente ricche di particolari inediti, soprattutto per la realtà italiana, dove l’analisi di questo fenomeno è alquanto limitata. La nostra intenzione era quella di ripercorrere questa storia soprattutto per evidenziare la minaccia derivante dalla mediaticizzazione del narcotraffico, da cui sta derivando il rischio della banalizzazione della portata sociale derivante da questo fenomeno sociale deviato e criminale. Banalizzazione che si sta raccordando con il pericoloso proposito mortale di molte formazioni politiche liberali di legalizzare l’uso di quello che è, e resta, un veleno che, in tutte le sue varie forme, sta devastando le società occidentali, ma non solo, fornendo un palliativo per lenire lo spaesamento socio-culturale delle giovani generazioni, lasciate allo sbaraglio e senza punti riferimenti solidi. Proposito con cui, paradossalmente, queste formazioni politiche sconsiderate danno ragione previsione di Pablo Escobar, convinto di essere un criminale transitorio della sua epoca, i cui affari criminali sarebbero stati legalizzati in futuro. Prospettiva che riteniamo non sia sufficientemente biasimata e contrastata da chi DEVE supervisionare e garantire la salute sociale e individuale. La politica, purtroppo, ha le sue gravi responsabilità, come del resto abbiamo avuto modo di appurare in questo focus, evidenziando la zona grigia in cui soggetti apparentemente antitetici interagiscono, perpetuando dinamiche di cui solitamente vengono riconosciuti responsabili in pochi. Ma chi ci segue lo sa, la nostra è una realtà complessa e, al netto delle semplificazioni mediatiche, i fenomeni sociali possiedono molteplici dimensioni, che è bene non smettere mai di scandagliare. Come sempre, vale il detto “conoscere per deliberare”, e conoscere meglio permette di deliberare ancora meglio.

Con questo nostro focus abbiamo fornito uno spaccato realistico di questo fenomeno sociale criminale che ha devastato un paese, da cui è fuoriuscito un veleno che continua a stravolgere la vita di milioni di persone, solo apparentemente lontane dalle dinamiche che abbiamo raccontato. Confidiamo di aver appagato la vostra curiosità, ma soprattutto confidiamo di aver intercettato una quota di giovani affascinati da questa storia criminale, solo per evidenziargli l’epilogo mortale che ha accomunato sia i suoi protagonisti che le sue vittime. E se è vero “chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”, allora confidiamo che questa storia permetta a chi si è fatto l’idea sbagliata su questo fenomeno perchè magari fuorviato da una narrativa mediatica seducente e romanzata di ricredersi. Alle giovani generazioni spetta, infatti, l’onere morale di debellare la pandemia del narcotraffico, che strangola le vite di chi vi entra in contatto, sia esso un avventore o uno sfruttatore. La vita non è un film, e l’esperienza vissuta, o raccontata, aiuta a non perdersi per strade senza via d’uscita come senz’altro lo è stata quella intrapresa dai narcos colombiani, e dagli appartenenti alla criminalità organizzata in genere. Del resto, nessuno dei soggetti di questa storia ha fatto una fine onorevole, e sarebbe illogico pensare di poterla replicare con fortune migliori. Conclusione evidenziata in uno dei suoi libri anche da un testimone diretto come Juan Pablo Escobar con una dedica rivolta al padre, in cui lo ringrazia per avergli mostrato, pur senza volerlo, la strada da non intraprendere. E sebbene sulla buonafede di Escobar Jr. ci possano essere più che legittime riserve, la sua riflessione rimane comunque valida, soprattutto quando fondata su di un’esperienza diretta come la sua. La morale di questa storia è che strade come questa impongono un altissimo prezzo da pagare a chi la persegue, a cui, soprattutto, ogni via di ritorno è preclusa.

Arrivando a queste righe finali, al culmine di questo viaggio nella variopinta Colombia degli anni 80/90, confidiamo abbiate appreso almeno un pezzo rilevante della storia dei narcos colombiani. Una storia che, chi vorrà, avrà la possibilità di approfondire autonomamente, prendendo spunto, come al solito, dalle nostre indicazioni. Una storia di sconcertanti illusioni, di sofferenza stratificata e di morte. Una storia che va compresa, e da cui si deve necessariamente imparare. La storia di chi ha frainteso il senso della vita, provando a comprarsi le più effimere libertà di questo mondo, finendo per perdere del tutto la propria. La storia di chi si è arricchito uccidendo, finendo per essere torturato a morte da quella stessa ricchezza. La storia di chi ha perso una guerra insieme alla vita, e di chi questa guerra si è illuso di averla vinta, finendo per perdere la libertà, morendo ogni giorno in una cella da cui, se andrà bene, uscirà derubato della risorsa più preziosa e democratica che esista: la Libertà, quella vera, non quella che vi propagandano, stordendo le vostre esistenze.

PS:

Siate consapevoli e meritevoli di questa incommensurabile ricchezza, il cui significato originale è sempre più travisato dalla società consumistica moderna.