Generale

RATING GEOPOLITICO 2022

Come nostra consuetudine, prima di addentrarci nella nostra umile e discutibilissima “analisi predittiva”, desideriamo fare una riflessione sulle prospettive di questo blog, iniziando col porgere i nostri migliori auguri di Buon Natale, con buona pace di chi in questo periodo dell’anno teme questa parola, e di felice anno nuovo a tutti utenti, e naturalmente alle loro famiglie, perchè se ci conoscete voi, in fondo, è un pò come se ci conoscesse la vostra famiglia, giacché la conoscenza che avete tratto da questo nostro piccolo e modesto spazio sulla rete l’avrete sicuramente condivisa con i vostri cari all’interno delle vostre case, e magari anche fuori. Ci piace ribadirlo, e dunque lo rifacciamo, Tu che stai leggendo queste righe sappi di essere considerato parte di Torcia Politica, un fratello con una torcia idealmente animata dalla comune passione verso la politica, intesa come azione risoluta che nasce dalla conoscenza, e che ambisce a migliorare il mondo in cui viviamo, anche se ciò spesso si configura come una mera utopia. Ma da queste parti abbiamo la testa dura, come riteniamo l’abbia anche ci legge, pregiandoci della sua preziosa considerazione, riservandoci qualche minuto della propria esistenza.

Chi conosce Torcia Politica saprà che il blog opera da circa 5 anni, e anche nel 2021 siamo riusciti a triplicare i contatti registrati nel 2020, riscontrando circa 24.000 contatti. Numeri che rimangono certamente irrisori se paragonati con quelli dei mass-media e dei principali siti e blog della rete, ma che continuano a lusingarci, soprattutto alla luce delle limitate risorse economiche e temporali a nostra disposizione. Come saprete, continuiamo a non avere spazi pubblicitari all’interno del blog, da cui non guadagniamo nulla di monetizzabile. Gli unici soldi che riguardano il blog sono quelli che spendiamo per pagare l’hosting, e anche questi non ce li regala nessuno “sponsor interessato”, giusto per chiarezza, e con buona pace di quei pochi temerari che anche quest’anno si sono sentiti in dovere di appiccicarci etichette gratuite, probabilmente per dare un senso alle proprie convinzioni, o magari perché in fondo loro si che hanno degli sponsor da compiacere, ma di questo poco importa. Per quel che ci riguarda siamo, e continueremo ad essere INDIPENDENTI nel vero senso della parola, mantenendoci coerenti con i nostri principi, che riconfermiamo ribadendo di essere “dalla parte del torto” di questo tempo dominato dal politicamente corretto, pronti a controbilanciare la faziosità che trasuda dai cosiddetti “media indipendenti”. Tra noi e loro, naturalmente, c’è la verità, che non siamo noi, ma nemmeno loro, ovvero una dimensione che spetta voi ricostruire con cura, attingendo a tutte le parziali fonti disponibili, utilizzando razionalità e neutralità, doti spesso offuscate da una realtà faziosa che ci vuole in perenne contrasto gli uni con gli altri.

Certamente i mass-media sono più accurati, strutturati e soprattutto finanziati, infatti, rispetto a loro, il nostro umile “lavoro” viene gratificato da una moneta diversa, meno inflazionata, ovvero la vostra preziosa considerazione, a cui attribuiamo un grande valore. Sono dunque la passione per la politica e la vostra considerazione gli unici propellenti che mantengono accesa la fiamma di Torcia Politica, un progetto impostato nella primavera del 2017 in circostanze eccezionali, confidando di poter contribuire a fare luce su una dimensione della politica che ritenevamo fin troppo trascurata, adottando uno stile trasversale, spesso non capito, come i modesti numeri del nostro seguito ci ricordano. Ma a noi, al momento va bene così, anche se continuiamo a coltivare l’ambizione di vederli crescere a sostegno di una visione del mondo che possa trovare spazio, influenza e visibilità tra l’opinione pubblica. Questo blog continuerà ad approfondire la realtà politica, riportando la nostra visione delle dinamiche che interessano i vari teatri di crisi, mettendola a disposizione di chi magari conosce poco le realtà da cui scaturiscono, e a cui spesso i mass-media dedicano poco tempo, distorcendo in non pochi casi il quadro della situazione, e di conseguenza anche i giudizi dell’opinione pubblica, polarizzandola a vantaggio di alcuni e a danno di altri.

Come saprete, i nostri contenuti vengono pubblicati con una cadenza temporale alquanto larga, trattandosi di focus corposi in cui cerchiamo di sintetizzare in più parti una considerevole mole di informazioni che riteniamo possano costituire punti di riflessione idonei a stimolare la curiosità dei lettori, così da indurli ad approfondire individualmente. Curiosità che speriamo abbia permesso a molti di voi di intraprendere un percorso di ricerca personale, dinamico, trasversale e continuo, mettendo in dubbio tutto, giacché solo così si riesce ad indagare le varie dimensioni della verità che taluni occultano per troppa ignoranza o troppa intelligenza.

L’anno scorso ci siamo proposti di crescere, e lo abbiamo fatto grazie al vostro prezioso supporto, che vi chiediamo di rinnovare per l’anno che ci accingiamo a vivere tutti insieme, ognuno con il proprio percorso di vita. Aiuto che vi chiediamo di rinnovare, esortandovi a condividere i nostro contenuti, così da poter permettere a questo piccolo blog di continuare a crescere, in modo da guadagnarsi spazio tra l’opinione pubblica. Non chiediamo soldi, aiutarci è gratuito, basta condividere i nostri contenuti sulle piattaforme social, perché se è vero che da questo blog ci guadagniamo zero, rimettendoci pure, è anche vero che lasciarci un like o un retweet è un modo semplice e gratuito di gratificare il nostro lavoro, palesando la vostra presenza, allontanando l’idea che l’impegno profuso sia stato tempo perso. Del resto, se ci seguite, è perchè qui avrete sicuramente trovato  qualcosa che altrove non dicono, e che siamo sicuri vorreste sentire più spesso, spezzando quel monopsonio ideologico che a molti dà l’impressione di essere marginali. La realizzazione di questo proposito dipenderà da come vi spenderete per far diventare questo spazio di opinione pubblica all’altezza degli altri, dove spesso e volentieri le vostre idee ed i vostri principi sono marginalizzati o addirittura censurati. Dunque, un posto per le vostre idee oggi ce l’avete, è qui, e si chiama Torcia Politica. Se ci tenete, aiutateci a farlo crescere, facendo si che un giorno la nostra voce risuoni forti tra le altre. Prima di concludere esortiamo ad interagire con noi sul nostro canale Twitter, dove siamo molto attivi, e riportiamo notizie e riflessioni in modo più assiduo. Approfittiamo di questo spazio per ringraziare i nostri follower con cui abbiamo il piacere di interagire regolarmente scambiandoci opinioni e punti di vista in modo franco, ma sempre rispettoso. A tal proposito riteniamo necessario fare una puntualizzazione in merito alle divergenze che abbiamo registrato con alcuni follower in merito alla crisi pandemica, avendone contestato la politicizzazione strumentale. Sebbene molti siano stati gli errori da parte di chi ha avuto l’onere di governare questa gravissima crisi sanitaria, riteniamo sia dovere di tutti, a prescindere dalle rispettive idee politiche, sopperire alle inadeguatezze dei governanti, astenendosi dall’amplificarle, pregiudicandone l’azione. Il tempo delle responsabilità verrà, ma nel frattempo va garantita cooperazione generale e trasversale per superare una sfida epocale. Ne va della salute di tutti.

Ma adesso basta, torniamo a fare luce sul mondo della politica!

RATING DI RISCHIO GLOBALE

Come è ormai nostra abitudine, anche quest’anno proviamo ad azzardare qualche previsione inerente gli scenari di crisi che potrebbero palesarsi nel corso del 2022. Ancora una volta prenderemo in prestito dal glossario finanziario il concetto di rating, applicandolo alla politica internazionale, cimentandoci nell’elaborazione di un “rating geopolitico” finalizzato alla valutazione del grado di rischio di esposizione a fonti di instabilità dei vari paesi presi in considerazione. La nostra analisi prevedrà 3 classi di rischio (A,B e C), integrate da una ulteriore valutazione sul loro grado di esposizione a fattori stabilizzanti (outlook negativo) o destabilizzanti (outlook positivo). Nello specifico, tra i paesi con classe di rating A abbiamo incluso paesi in cui è in corso un conflitto, mentre tra i paesi con classe di rating B abbiamo incluso quelli oggetto di dispute potenzialmente esposte al rischio di un escalation militare, infine nella classe di rating C abbiamo incluso paesi stabili, ma potenzialmente esposti al rischio di destabilizzazione politica.

L’anno appena trascorso ha messo alla prova molte delle nostre previsioni, certificandone alcune e smentendone altre. Ma chi ci segue sa benissimo che qui di verità in tasca non ne abbiamo, e del resto in un mondo in cui le previsioni meteo continuano a toppare, non si può certo pretendere che l’analisi politica vanti tassi di accuratezza migliori, soprattutto visto e considerato il gap tecnologico che divide questi due settori tanto popolari, quanto antitetici. Da questo punto di vista, il 2020 pandemico sta a dimostrare l’effimera consistenza delle nostre aspettative, dalle più piccole alle più grandi.

SIRIA

L’anno scorso avevamo assegnato alla crisi siriana un rating A con outlook positivo, ipotizzando l’avvicinarsi della liberazione della città di Idlib, la roccaforte dei ribelli islamisti sostenuti essenzialmente dalla Turchia, ma non solo. Ma se questa nostra previsione è stata smentita, la riteniamo comunque una prospettiva da attendersi se non nel prossimo 2022, almeno negli anni a seguire. In ogni caso le sorti di Idlib rimangono subordinate alle dinamiche negoziali tra Russia e Turchia, i cui sviluppi dovrebbero consentire al governo di Damasco di riprendere quantomeno il controllo dell’autostrada M4, e con essa le città di Jisr ash-Shugur e Arihah. Sviluppo che permetterebbe alle forze armate siriane di riprendere anche il controllo degli insidiosissimi confini nord-occidentali con la Turchia, dove nel 2015 è stato abbattuto il cacciabombardiere russo Su-24. Scenario che dà la misura della complessità di questo scenario.

L’incognita della liberazione di Idlib rimane legata all’approccio con cui la Turchia liquiderà i propri proxy più radicali, lasciandoli in balia dell’esercito siriano, o spostandoli verso i territori orientali controllati dalle milizie curde. In ogni caso, ciò non impedirebbe ad Ankara di continuare ad influenzare la situazione in Siria, procedendo alla cosmeticizzazione dei suoi proxy più moderati, convincendoli ad intraprendere un percorso negoziale con il governo di Damasco. Scenario che Erdogan faticherebbe a digerire, giacché configurerebbe una mezza sconfitta strategica, seppur mascherata da pareggio. L’azzardo di Erdogan del 2011, infatti, non ha pagato, e dinnanzi all’impossibilità di assumere il controllo della Siria, l’unica cosa strategicamente sensata da fare per Ankara sarebbe cooperare alla salvaguardia dell’integrità territoriale dello stato siriano, giacchè la sua erosione legittimerebbe la costituzione di un’entità autonoma curda contigua al PKK, e per giunta garantita dagli Stati Uniti.

Per quanto concerne i curdi siriani, l’elezione di Biden ha rafforzato la loro posizione, mettendoli nelle condizioni di consolidare il proprio controllo sull’est della Siria, dove le milizie contigue ai terroristi del PKK depredano le risorse petrolifere in partnership con gli Stati Uniti. Tuttavia, per quanto momentaneamente favorevole, questa situazione è insostenibile, giacchè è francamente irrealistico pensare che i curdi possano esercitare a lungo il proprio controllo su di un territorio a netta prevalenza araba, dove la crescente insoddisfazione tribale potrebbe suscitare tensioni e tumulti difficilmente gestibili. Ecco perché è probabile che i curdi siriani possano intavolare negoziati con Damasco, negoziando la cessione dei pozzi petroliferi di Deir Ezzor, la cui mancata produzione degrada da anni le condizioni di vita della popolazione civile siriana, peraltro vessata da alcuni anni da un embargo internazionale. E se oggi negoziare con Damasco un certo grado di autonomia sarebbe sconveniente, di certo sarebbe più di quanto avrebbero mai potuto sognare di ottenere solo qualche anno fa. Infatti, dinnanzi all’eventuale disimpegno americano dalla Siria, similmente a quanto potrebbe realizzarsi a breve in Iraq, tra le prospettiva di finire sotto l’autorità di Ankara o sotto quella di Damasco, quest’ultima risulterebbe decisamente l’opzione meno sgradevole. Ecco perché l’ipotesi di una soluzione negoziale potrebbe iniziare a farsi largo a partire dal prossimo anno.

Per quanto concerne, invece, i rapporti con Israele, le incursioni aree dei jet di Tel Aviv in Siria sono continuate senza che gli S-300 dislocati dai russi intervenissero. Spartito che verosimilmente continuerà anche nel 2022, un po’ per via dell’inconsistenza della contraerea siriana, un po’ per via dell’approccio neutro con cui i russi coniugano, sempre più faticosamente, l’alleanza con la Siria, la partnership con l’Iran e l’amicizia con Israele. Tuttavia, come avevamo ipotizzato l’anno scorso, l’ipotesi che ad un certo punto gli S-300 siriani (al momento sotto chiave russa) si attivino contro obiettivi paganti, come ad esempio un F-35 israeliano, non va affatto scartata, giacché i russi non hanno dimenticato l’abbattimento del loro Il-20. Del resto, per i russi la crisi siriana si è configurata anche come un laboratorio militare dove sperimentare molti dei propri sistemi d’arma di nuova generazione. Alla luce di quanto esposto, riteniamo di assegnare alla crisi siriana un rating A con outlook positivo, se non altro alla luce del nodo Idlib.

RUSSIA

Lo scorso anno avevamo previsto l’intensificarsi del conflitto in Ucraina, dove la prima fase moderata inaugurata dal neo-presidente Zelensky sta lasciando il posto ad una postura meno conciliante. E sempre in linea con le nostre previsioni, la fine dell’era Trump e l’elezione di Biden alla Casa Bianca hanno determinato un mutamento sostanziale del clima politico che ha contribuito a riacutizzare il conflitto nel Donbas. L’Ucraina, infatti, ha intensificato la consistenza della propria presenza militare a ridosso dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk, mettendo alla prova gli accordi di Minsk. La ripresa delle ostilità nel Donbas è stata seguita dalla massiccia mobilitazione di truppe russe a ridosso dei confini con l’Ucraina, configurando un contingente di deterrenza potenzialmente in grado di respingere un’eventuale offensiva delle forze di Kiev contro le esigue forze che controllano il Donbas. La situazione al confine russo-ucraino sta allarmando l’Europa, dove la prospettiva di un’invasione russa dell’Ucraina è considerata una minaccia imminente, soprattutto per quanto concerne la Polonia e gli Stati baltici. Paure che gli Stati Uniti faticano a placare, assumendo la postura di chi ad un’eventuale impegno militare diretto dai contorni insidiosi preferisce armare l’Ucraina, avendo ben chiare le conseguenze di un impegno che li vedrebbe direttamente contrapposti alla Russia.

Questo scenario rischierebbe di configurare il peggiore degli scenari di una guerra fredda che negli ultimi anni sembra si voglia scongelare. Ma proprio alla luce della scarsa probabilità di un impegno americano diretto a supporto di Kiev, l’eventualità di un conflitto in Ucraina premierebbe Mosca, che avrebbe la capacità, e probabilmente anche l’interesse strategico, di occupare quantomeno l’Ucraina meridionale, precludendole l’accesso al Mar Nero. Tuttavia, questo non è, almeno non del tutto, un conflitto locale, giacchè in realtà riflette quello che a livello strategico contrappone Russia e Stati Uniti, ed il cui nucleo è legato alle prospettive future della NATO nell’est Europa, dove, tra l’altro, a breve entreranno in operatività i sistemi AEGIS, e dove le turbolenze bielorusse rischiano di destabilizzare il clima regionale più di quanto non lo sia già oggi. Contrapposizione strategica che, ragionevolmente, dovrebbe essere regolata sul piano politico, e non attraverso un conflitto. E sarà questo che verosimilmente si realizzerà nel corso del 2022, a meno che una delle parti ritenesse inconsistente la prospettiva di una soluzione politica di una crisi inemendabile. Soluzione politica in cui influirà molto la condotta del nuovo governo tedesco, soprattutto per quanto concerne la questione Nord Stream 2, i cui sviluppi potrebbero innescare una crisi degli approvvigionamenti energetici in Europa, la cui dimensione economica è già ben evidente. Parallelamente a queste dinamiche Mosca si troverà poi a gestire la ricomposizione della crisi tra Armenia e Azerbaijan, e soprattutto il difficile rapporto con la Turchia in Siria, sulle cui prospettive incombe l’imprevedibilità di Erdogan. Per tali ragioni assegniamo alla Russia un rating B con outlook positivo.

YEMEN

L’anno scorso avevamo assegnato alla crisi yemenita un rating A con outlook negativo, tuttavia, alla luce degli sviluppi dell’anno appena trascorso, non si è giunti ad una ricomposizione del conflitto, con la situazione che è rimasta sostanzialmente la stessa, con i ribelli Houthi ben saldi sulle loro posizioni. Addirittura, nonostante il pluriennale assedio, gli Houthi sono riusciti in più di un’occasione ad insidiare l’Arabia Saudita, sia sul campo, che attraverso numerosi attacchi aerei predisposti con l’ausilio di droni e missili balistici. Tuttavia, al netto di questi sviluppi, riteniamo probabile che quest’anno la prospettiva di una ricomposizione diplomatica della crisi possa trovare compimento, magari per effetto riflesso degli sviluppi negoziali inerenti il controverso programma nucleare dell’Iran, ovvero il principale alleato degli Houthi. Per questo motivo assegniamo all’ormai pluriennale crisi yemenita un rating A con outlook negativo, anche perchè è difficile immaginare il peggioramento di una situazione che a livello umanitario è letteralmente disastrosa, sebbene i mass-media ne ignorino colpevolmente la portata.

LIBIA

Lo scorso anno avevamo assegnato alla crisi libica un rating B con outlook positivo. Previsione smentita dagli sviluppi che hanno visto le milizie di Haftar desistere dal prendere la capitale Tripoli, congelando le ostilità. Sviluppo su cui ha pesato la prospettiva di uno scontro tra i due principali sponsor dei due “governi libici” in contrapposizione tra loro, ovvero la Turchia e l’Egitto. Questa tregua armata ha agevolato il processo di risoluzione politica della crisi, permettendo alle parti di concordare una data per le prossime elezioni. Evento che, per quanto auspicato, ha visto la clamorosa esclusione dalla corsa elettorale sia del generale Haftar che Saif al-Islam Gheddafi. Situazione che potrebbe celare malcontenti che potrebbero esplodere nuovamente conseguentemente alle elezioni, che alla luce dei recenti fermenti tra le milizie a Tripoli potrebbero anche essere rinviate a chissà quando, riproponendo lo scenario della resa dei conti congelata solo qualche mese fa. Prospettive che ci inducono ad assegnare alla crisi libica un rating B con outlook positivo, sebbene fino a qualche settimana fa avremmo ipotizzato un outlook negativo.

ISRAELE

Anche nell’ormai prossimo 2022 è più che lecito pensare che Israele continuerà a confrontarsi con le fazioni armate della resistenza palestinese, soprattutto per quanto concerne Gaza. Tuttavia, l’insidia principale con cui a Tel Aviv continueranno a fare i conti sarà quella delle milizie degli Hezbollah libanesi, soprattutto alla luce del suo sostanzioso arsenale balistico stoccato sottoterra. Arsenale che continua a configurare uno strumento di rappresaglia indiretta innescabile nel caso di un attacco israeliano contro le infrastrutture correlate al programma nucleare dell’Iran, che degli Hezbollah è principale sponsor. Nonostante queste premesse, gli israeliani continuano a chiedere agli Stati Uniti il via libera per attaccare Teheran. Proposito che, in ogni caso, sarebbe caratterizzato da un alto coefficiente di difficoltà, data la distanza e le caratteristiche strutturali degli obiettivi designati. Ostacoli, tuttavia, smussati dai recenti accordi raggiunti con alcune monarchie arabe del Golfo Persico, dove la prospettiva di un raid israeliano contro le infrastrutture nucleari iraniane potrebbe essere agevolata più o meno indirettamente. Ricordiamo, infatti, che qualsiasi raid aereo richiederebbe la necessità di sorvolare mezzo Medioriente, e almeno una fase di rifornimento aereo dei jet impiegati, soprattutto in caso di impiego dei cacciabombardieri stealth F35. Difficoltà tecniche integrate dalla più che probabile prospettiva di una rappresaglia balistica iraniana, potenzialmente sincronizzata con Yemen, Libano, Siria e Iraq. Ad ogni modo, nel caso in cui i negoziati per riproporre gli accordi sul nucleare dovessero fallire, la prospettiva di una resa dei conti tra Israele e Iran potrebbe materializzarsi nel prossimo 2022. Per tale ragione confermiamo a Israele un rating B con outlook positivo.

TURCHIA

L’anno scorso avevamo assegnato alla Turchia un rating B con outlook positivo. Previsione smentita dagli sviluppi registrati in questo 2021, anche se sul piano finanziario la situazione delle casse di Ankara sta degradando settimana dopo settimana verso un punto di non ritorno. Tra l’altro, almeno per il momento, l’elezione di Biden negli Stati Uniti non sembra sia riuscita a riportare la Turchia all’interno dell’orbita occidentale, lasciandola in quella ambigua posizione di precario equilibrio strategico che ha indotto Erdogan a consolidare le relazioni con la Russia di Putin. Erdogan, infatti, continua a temere che il supporto americano alle milizie curdo-siriane contigue al PKK possa rilanciare le istanze indipendentiste curde in Turchia, rischiando di replicare scenari già visti in Iraq e Siria. Questa minaccia strategica, sommata al fallito golpe del 2016, è bastata a convincere Erdogan della necessita di rivalutare i propri rapporti con gli alleati Nato, fortemente contrariati dall’acquisto del sistema antiaereo russo S-400, a cui il leader turco non sembra intenzionato a rinunciare, tanto da essere stato escluso dal programma F-35. Questo clima di sfiducia ha certamente contribuito a degradare la credibilità finanziaria turca, portandola su livelli di guardia.

E sebbene la situazione turca si stia stratificando, non si piò escludere che l’indirizzo strategico di Erdogan non possa repentinamente cambiare nel corso del prossimo anno. Certamente, è un’ipotesi possibile, anche se la situazione venutasi a creare in Siria suggerisce il contrario. Infatti, lo scenario più probabile è che Ankara mantenga l’intesa con Mosca, iniziando il processo di liquidazione dei propri proxy in Siria, dirottando progressivamente le proprie attenzioni dal circondario di Idlib all’insidia costituita dai curdi. Scenario certamente complesso e irto di ostacoli, soprattutto alla luce dei contraccolpi derivanti dall’abbandono del fronte ribelle islamista asserragliato ad Idlib, che con ogni probabilità ad Ankara cercheranno di addomesticare, almeno parzialmente, per proiettare la propria influenza sul piano negoziale. E sebbene le possibilità di dominare Damasco siano ormai sfumate, un certo grado di influenza turca in Siria potrebbe essere tollerato dai russi, se non altro per trarne un dividendo strategico. Del resto, i rapporti con i russi continuano a funzionare anche altrove, come nello scacchiere libico, dove i due paesi, pur mantenendo posizioni antitetiche, riescono comunque a conservare uno scomodo ma equamente vantaggioso status quo. Semmai la partnership tra Ankara e Mosca dovesse venire meno sarà nel Caucaso, dove sono rispettivamente referenti garanti di Baku e Yerevan. Ma anche in questo caso, la situazione sembra sia stata, seppur faticosamente, ricomposta, configurando una tregua con cui Mosca conserva l’intesa con Ankara, pur facendosi carico della delusione armena. Frizioni simili potrebbero verificarsi anche in Ucraina, a cui Ankara ha venduto alcuni esemplari di droni che hanno suscitato più di qualche perplessità in Russia. Agli scenari fin qui elencati vanno poi aggiunti quelli di una ripresa delle provocazioni nel Mediterraneo, dove la contrapposizione con la Grecia potrebbe riacquisire vigore. Infine, va seriamente presa in considerazione la possibilità che la situazione interna possa degradare sensibilmente, soprattutto alla luce delle poco esaltanti performance finanziarie. Infatti, va considerato che l’ormai prossimo 2022 sarà l’anno che porterà alle elezioni del 2023. Alla luce di queste riflessioni confermiamo alla situazione turca un rating B con outlook positivo.

LIBANO

L’anno scorso abbiamo assegnato al Libano un rating B con outlook positivo, e sebbene la situazione sia ancora sotto controllo, possiamo dire di averci visto lungo. Pur avendo un nuovo governo, la situazione libanese è più precaria che mai, sia sul piano finanziario che su quello socio-politico, come i recenti fermenti settari hanno dimostrato nel corso degli ultimi mesi. Tensioni settarie dietro di cui non è difficile identificare discrete influenze straniere, la cui mancata armonizzazione potrebbe innescare una nuova guerra civile. Di certo chi spinge per destabilizzare il Libano ha l’interesse a precarizzare la situazione di Hezbollah, il cui potenziale militare, soprattutto balistico, continua ad essere considerato una minaccia prioritaria da Israele. Minaccia che a Tel Aviv gradirebbero ingaggiare indirettamente, occupando l’organizzazione sciita in un conflitto settario circoscritto al contesto libanese. Prospettiva, quella di un nuovo conflitto civile interno, che rischia seriamente di palesarsi nei prossimi mesi. Allo stesso tempo, va tenuta in seria considerazione la possibilità dell’eliminazione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, la cui fine destabilizzerebbe in modo sostanziale l’organizzazione sciita, e con essa le capacità iraniane di indirizzarle strategicamente. Prospettiva che potrebbe fare la differenza in caso di conflitto tra Israele e Iran. Per queste ragioni confermiamo alla situazione libanese un rating B con outlook positivo.

VENEZUELA

Il 2021 venezuelano ha replicato il corso del 2020, continuando a relegare l’autoproclamato presidente golpista Juan Guaidò in uno stato di sovranità virtuale, evidenziando l’avventatezza diplomatica dei paesi che si sono affrettati a riconoscerlo presidente di un paese che non ha mai effettivamente controllato. Ma al netto dell’inconsistenza politica di Guaidò, sebbene Nicolas Maduro continui a mantenere il controllo del paese, la situazione in Venezuela è ben lungi dall’essere migliorata. La situazione, per quanto relativamente stabilizzata grazie al supporto delle forze armate al governo di Maduro, potrebbe comunque precipitare in un prossimo futuro, sulle cui prospettive gravano gli effetti di una pandemia che in Sudamerica ha avuto ripercussioni gravissime. Ad ogni modo, la stabilizzazione del clima interno, accompagnato dal ridimensionamento della retorica delle forze di opposizione, lasciano pensare alla possibilità di una ricomposizione politica della crisi venezuelana. Ipotesi su cui la nuova amministrazione americana Biden sembra avere un indirizzo retorico apparentemente meno radicale di quello della precedente amministrazione Trump. Alla luce di quanto detto assegniamo al Venezuela un rating B con outlook negativo.

ARABIA SAUDITA

L’anno scorso avevamo assegnato all’Arabia Saudita un rating B con outlook positivo. E sebbene questa previsione sia stata smentita dagli sviluppi del 2021, l’avanzata età di Re Salman al-Saud non allontana la prospettiva di un processo di transizione dei poteri ad un erede designato su cui gravano le ripercussioni dello scandalo del caso Kashoggi. Scandalo che il giovane Mohammed bin-Salman al-Saud sembra aver superato sostanzialmente indenne. Tuttavia, la sua ascesa al trono, per quanto ben designata, non è delle più agevoli, soprattutto per via delle turbolenze interne alla casa di Saud. Tra l’altro, l’indirizzo della nuova amministrazione Biden deve ancora essere ben valutato, anche se, con ogni probabilità, manterrà un approccio meno conciliante della precedente guidata da Donald Trump.

Per quanto riguarda le relazioni tra l’Arabia Saudita e il Qatar, la nostra previsione di uno scongelamento delle relazioni tra Riyadh e Doha si è realizzata, portando il principe MBS ad incontrarsi con l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani. Rimane, invece, l’inconcludente conflitto nello Yemen, dove le ostilità non sembrano ancora giungere ad un epilogo diplomatico che ritenevamo probabile l’anno scorso, anche se ciò non esclude che tale prospettiva possa realizzarsi nel prossimo anno. Ipotesi che potrebbe essere favorita da un nuovo accordo sul nucleare iraniano, o dalla possibilità di un difficilissimo scongelamento delle relazioni tra Riyadh e Teheran. Quel che al momento sembra improbabile è la possibilità di avere la meglio sui ribelli Houthi, che nel corso dell’anno appena trascorso hanno insidiato in più di un’occasione la sicurezza interna dell’Arabia Saudita. Altra questione che nel prossimo anno terrà banco in Arabia Saudita sarà la prospettiva di seguire l’esempio degli Emirati Arabi Uniti, normalizzando le relazioni con Israele. Ipotesi che potrebbe agevolare la possibilità di un raid israeliano contro le infrastrutture nucleari iraniane, giacchè lo spazio aereo saudita potrebbe essere tatticamente utile, quantomeno per le fasi di rifornimento dei jet di Tel Aviv. Prospettiva che per Riyadh, tuttavia, potrebbe comportare il rischio di una rappresaglia balistica iraniana contro i propri pozzi petroliferi, o la realizzazione del temuto blocco dello stretto di Hormuz, da dove passano la gran parte delle petroliere in uscita dal golfo persico. Per queste ragioni assegniamo all’Arabia Saudita un rating B con outlook positivo.

IRAQ

L’anno scorso avevamo assegnato all’Iraq un rating B con outlook positivo. Previsione che potremmo considerare parzialmente azzeccata, soprattutto alla luce dell’uscita di scena del Premier Khadimi, oggetto di un attentato solo qualche settimana fa. Di certo. il premier iracheno ha avuto il suo bel da fare nell’equilibrare le crescenti pressioni del fronte sciita, intenzionato ad espellere le forze americane dal paese, e gli Stati Uniti, che lo ritengono un interlocutore affidabile. Questo clima di per se abbastanza teso, è stato esasperato dall’esito delle elezioni parlamentari che ha premiato la formazione del leader nazionalista sciita Moqtada al-Sadr, a discapito del fronte sciita considerato contiguo all’Iran, particolarmente indisposto dall’esito delle urne. E sebbene alcune formazioni parli apertamente di brogli, i colloqui per la formazione del governo vanno comunque avanti, evidenziando tutte le difficoltà di al-Sadr nel capitalizzare la propria vittoria politica. La razionalità imporrebbe una soluzione di compromesso tra tutte le anime dello sciismo politico, che nel caso venisse a mancare rischierebbe seriamente di innescare una nuova guerra civile.

Nel frattempo, mentre le autorità di Baghdad considerano conclusa l’operazione militare degli Stati Uniti, a Washington sembrano indirizzati a mantenere un cospicuo contingente destinato all’addestramento delle forze armate irachene, sebbene il parlamento iracheno abbia precedentemente deliberato la loro espulsione dal paese, e la guerriglia sciita abbia intensificato la pressione sui convogli logistici americani. Nel corso del prossimo anno la possibilità che la tensione tra le milizie sciite e le forze americane degeneri sarà più alta che mai, contribuendo a complicare uno scenario politico interno al dir poco precario, su cui, tra l’altro, incombe la possibilità di un ritorno dell’Isis. Per questi motivi assegniamo all’Iraq un rating B con outlook positivo.

COREA

Anche nel 2021 la Corea del Nord si è astenuta dal lanciare missili balistici a lungo raggio, limitandosi a testare meno clamorosi sistemi a corto raggio. Se con gli Stati Uniti fosse stata stipulata una tacita moratoria circoscritta ai test balistici a lungo raggio, allora potremmo considerarla sostanzialmente osservata. Ma è difficile pensare che questa calma apparente non sia stata utilizzata da Pyongyang per consolidare la tecnologia balistica e nucleare. Questione che ancora la nuova amministrazione americana guidata da Biden non ha affrontato, astenendosi dal turbare il silenzio diplomatico conseguente ai negoziati avviati dalla precedente amministrazione Trump, il cui iniziale successo è stato seguito da uno stallo difficile da interpretare. Ad ogni modo, nel corso del prossimo anno riteniamo probabile che i riflettori sulla crisi nordcoreana possano essere accendersi su iniziativa di Pyongyang, ad esempio con un nuovo test balistico che costringerebbe Biden a riprendere i negoziati da dove si erano arenati con Trump. E sebbene la Corea del Sud sembra intenzionata ad insistere sul dialogo con i vicini del nord, la possibilità che l’amministrazione americana chiuda i canali del dialogo con Pyongyang potrebbe aprire una nuova fase di confronto retorico, scandito da una nuova serie di provocazioni missilistiche. Sviluppi che potrebbero risentire della crescente tensione tra Stati Uniti e Cina. Per queste ragioni assegniamo alla Corea del Nord un rating B con outlook positivo.

IRAN

L’anno scorso abbiamo assegnato all’Iran un rating B con outlook positivo. Previsione smentita dagli sviluppi che alla fine del 2020 sembravano preannunciare un’iniziativa americana durante gli ultimi scampoli dell’amministrazione Trump. La nuova amministrazione americana guidata da Joe Biden sembra intenzionata a ripristinare gli accordi sul nucleare rottamati proprio da Trump, anche se con risultati che, ad oggi, si configurano al dir poco intangibili. Negoziati che, in ogni caso, prenderanno ancora molto altro tempo che a Teheran stanno capitalizzando per arricchire uranio senza i vecchi vincoli previsti dal fu JCPOA. Arricchimento che sebbene al di sotto della soglia critica per l’assemblaggio di un ordigno nucleare, potrebbe anche non coincidere con tutto le scarse informazioni inerenti il controverso programma nucleare iraniano. Ipotesi che da anni preoccupa Israele, che a più riprese chiesto agli Stati Uniti di intervenire in modo preventivo e unilaterale contro le infrastrutture nucleari iraniane, o quantomeno ha cercato di ottenere il permesso di intervenire autonomamente. E sebbene Trump abbia congelato la soluzione militare, ha comunque lavorato per agevolare le condizioni di un’eventuale iniziativa israeliana, promuovendo una serie di accordi con alcuni paesi del golfo persico, da cui al momento rimane fuori l’Arabia Saudita, paese che potrebbe agevolare molto il contesto strategico aereo di un’eventuale raid israeliano in Iran. Infatti, al netto delle difficoltà tecniche e tattiche, qualsiasi intervento israeliano in Iran imporrebbe una complicata fase di rifornimento aereo dei velivoli impiegati, soprattutto nel caso degli F35.

Ad ogni modo, se i negoziati fallissero nel ripristinare il JCPOA, il prossimo potrebbe essere l’anno in cui la prospettiva di un raid aereo contro l’Iran potrebbe realizzarsi. Ipotesi, questa, che rischierebbe di produrre conseguenze importanti sulla stabilità della regione mediorientale. Infatti, è verosimile che ad un raid ostile, Teheran risponda con una rappresaglia balistica contro Israele ed i paesi ritenuti suoi complici, includendo ovviamente anche le basi statunitensi nella regione. Scenario che potrebbe scatenare una rappresaglia multi-vettoriale, coinvolgendo paesi come il Libano, Siria, Iraq, Yemen e Gaza, tutti paesi dove l’Iran esercita una notevole influenza strategica su una larga schiera di alleati statali e non.

Non vanno infine trascurate gli scenari interni, dove il neopresidente conservatore Raisi, la cui elezione avevamo prospettato nel focus dell’anno scorso, potrebbe ritrovarsi a fronteggiare il riproporsi di proteste antigovernative. Ipotesi che ad un certo punto potrebbe palesarsi per effetto o conseguenza dell’andamento dei negoziati sul nucleare. Prospettiva, quella delle sommosse interne, che potrebbe fornire agli Stati Uniti un movente sufficiente per intervenire in Iran. Ad ogni modo, nonostante le premesse, i conservatori iraniani sembrano impegnati a negoziare il ripristino degli accordi sul nucleare, anche se le possibilità che la loro sia una spregiudicata tattica finalizzata a prendere ulteriore tempo va seriamente tenuta in considerazione, insieme alla prospettiva che a Teheran si intenda giocarsi il tutto per tutto, emulando la strategia nordcoreana, sviluppando un piccolo arsenale nucleare da spendere a fini di deterrenza. L’accordo, apparentemente, sembra l’ipotesi più razionale, ma alla luce dell’inaffidabilità statunitense a tenere fede agli accordi presi e alla clamorosa eliminazione del generale Soleimani, a Teheran potrebbero decidere di emulare la strategia di Pyongyang, anche al costo di rischiare un confronto definitivo con gli Stati Uniti, che soprattutto dopo il ritiro afghano sembrano essere meno predisposti ad un nuovo conflitto nella regione. Per queste ragioni riteniamo di assegnare all’Iran un rating B con outlook positivo.

INDIA/PAKISTAN

L’anno scorso avevamo ipotizzato la possibilità di una ripresa del conflitto nel Kashmir tra India e Pakistan. Prospettiva, quella dell’innalzamento delle tensioni di confine, che si è invece materializzata sul versante indiano orientale, dove le truppe di Nuova Delhi hanno ingaggiato limitate schermaglie con la controparte cinese. Crisi che sebbene sembra essere rientrata, rimane ben lungi dall’essere risolta, anche se in realtà le due parti hanno sempre mantenuto regole di ingaggio tali da evitare una pericolosa escalation tra die paesi dotati di arsenale nucleare. Ad ogni modo, questo quadrante è destinato ad assumere una rilevanza strategica crescente, costringendo l’India a fare i conti con una duplice minaccia, quella del Pakistan e della Cina, che potrebbe indurli a mutare il suo ultradecennale collocamento strategico neutrale. Per questo motivo assegniamo alla regione un rating C con outlook positivo.

CINA

L’anno scorso abbiamo assegnato alla Cina un rating C con outlook positivo. La crisi pandemica ha senz’altro rallentato la locomotiva industriale cinese, senza tuttavia pregiudicarne sensibilmente i margini di crescita. Di certo la fine della presidenza Trump negli Stati Uniti non ha contribuito a dissipare l’ostracismo che la sua amministrazione ha suscitato nel mondo, soprattutto tra i suoi alleati europei. Clima teso che negli ultimi mesi ha riproposto i riflettori sull’annosa questione inerente lo status di Taiwan, l’isola cinese che pochi paesi del mondo, compresi quelli occidentali, riconoscono come stato indipendente, ma che tutti pretendono strumentalmente di trattare come tale. Pechino non fa mistero di volerla reintegrare al territorio nazionale, anche a costo di entrare in contrasto con gli Stati Uniti, che dal canto loro si ergono a garante dell’attuale status quo. Questo braccio di ferro è stato anticipato dalla crisi di Hong Kong, che Pechino è riuscita a risolvere a proprio vantaggio mettendo in “quarantena” le forze politiche autonomiste contigue all’occidente. Pressione esterna che sta contribuendo a cementare la partnership tra Cina e Russia. Ad ogni modo, nel corso del prossimo anno è più che lecito aspettarsi che questo clima teso degeneri ulteriormente, anche se, salvo stravolgimenti strategici di una certa entità, è difficile ipotizzare colpi di scena come un’invasione cinese di Taiwan, su cui Pechino eserciterà una pressione crescente, decisamente meno blanda rispetto a quella a cui ha abituato il governo di Taipei. Tensioni che potrebbero anche riverberarsi sulla disputa inerente la sovranità sul Mar cinese meridionale. Vanno, infine, tenuti in considerazione gli sviluppi della crisi nordcoreana. Per queste ragioni assegniamo alla Cina un rating C con outlook positivo.

EUROPA

L’anno scorso abbiamo assegnato all’Europa un rating C con outlook negativo. Prospettiva confermata da un anno caratterizzato dal riequilibrio di poteri post-Brexit che ha nell’asse franco-tedesco il suo fulcro strategico. Binomio che, tuttavia, fatica a concretizzare il proposito di rendere l’Unione Europea meno dipendente dagli Stati Uniti, anche se la fine dell’amministrazione Trump sembra aver ridefinito i toni del confronto. Ambizioni messe alla prova da una nuova fase di confronto con la Russia, il cui rapporto rischia di degradare ulteriormente per effetto delle prospettive della crisi ucraina, recentemente aggravate dalla situazione in Bielorussia, con sullo sfondo la delicatissima questione del gasdotto Nordstream 2. Questione, quella orientale, che potrebbe innescare una crisi energetica che sta già palesando i suoi effetti sul piano economico. Situazione che potrebbe anche precipitare in caso di conflitto aperto tra Mosca e Kiev, mutando sostanzialmente gli equilibri politici del continente europeo, proprio nell’anno in cui si prospetta la ripresa post-pandemica trainata dai programmi del recovery fund. La prospettiva di un conflitto è decisamente reale, anche se l’ipotesi più probabile potrebbe essere quella di un confronto politico forte, che dalla questione Nordstream passi per la ridefinizione degli equilibri strategici continentali, che potrebbero trovare consenso a Washington, permettendole di proiettarsi nel confronto strategico con la Cina senza l’assillo di Mosca. Per tali ragioni assegniamo all’Unione Europea un rating C con outlook positivo.

USA

Le turbolenze che avevamo previsto l’anno scorso si sono puntualmente presentate all’inizio di gennaio, quando, sull’onda delle recriminazioni del presidente uscente Donald Trump, parte del suo elettorato ha contestato apertamente il verdetto elettorale, prendendo d’assalto il Congresso. Iniziativa che, paradossalmente, ha replicato a Washington uno scenario decisamente simile a quello che ha caratterizzato alcune delle cosiddette “primavere colorate”, sostenute a vario titolo in giro per il mondo. Situazione tanto clamorosa quanto esplosiva, che ha rischiato di far implodere l’ordine della principale potenza mondiale. Se gli Stati Uniti sono riusciti ad evitare uno scenario da guerra civile lo devono paradossalmente all’improvvisazione con cui Trump ha aizzato i suoi sostenitori più accesi, giacché se una simile mossa fosse stata preventivamente organizzata quella giornata avrebbe potuto prendere una piega decisamente meno grottesca, sgretolando repentinamente gli equilibri che regolano l’ordine mondiale. Ma nonostante la transizione dei poteri si sia realizzata, gli eventi del 6 gennaio hanno comunque messo in evidenza lo scollamento della società americana, palesando uno scenario da incubo per un paese in cui il possesso di armi da fuoco è particolarmente diffuso. Ad ogni modo, per quanto la situazione sia ritornata alla normalità, la futura riproposizione politica di un Trump, messo in quarantena dalle principali piattaforme social, potrebbe ridare slancio alla delusione di una porzione di America che nel istrionico tycoon ha trovato il suo campione.

Per quanto concerne la portata strategica della nuova amministrazione Biden, la nostra previsione di una condotta internazionale più assertiva, almeno per questo primo anno, è stata sostanzialmente smentita, come dimostrato dal ritiro americano dall’Afghanistan, con cui il nuovo occupante della Casa Bianca si è posto in continuità con il suo predecessore. L’eredità di Trump a Biden non è stata certamente delle più comode, soprattutto alla luce dell’abbandono del trattato sul nucleare con l’Iran che il neo-presidente sta difficilmente cercando di recuperare, arginando sempre con più fatica le spinte di Israele per una soluzione militare. Ipotesi che potrebbe anche realizzarsi in caso di fallimento dei negoziati. Oltre ciò, il prossimo anno sarà l’anno in cui gli Stati Uniti si dovranno misurare con la Russia, scegliendo tra un’intesa strategica o una condotta inerte che potrebbe innescare turbolenze di una certa intensità in Europa orientale. Un accordo con la Russia, per quanto osteggiato a Washinton e non solo, potrebbe quantomeno congelare il fronte europeo, per concentrare le forze sul quadrante asiatico, dove la pressione cinese su Taiwan sta iniziando a crescere d’intensità. In caso di una mancata intesa con Mosca, Washington si ritroverebbe a fare i conti con una duplice insidia strategica che potrebbe mettere seriamente alla prova la propria egemonia globale. Il futuro degli Stati Uniti passa da un anno complesso come il prossimo. Alla luce di queste considerazioni assegniamo agli Stati Uniti un rating C con outlook positivo.

BIELORUSSIA

L’anno scorso avevamo assegnato alla Bielorussia un rating C con outlook positivo. Previsione confermata dagli sviluppi di questo 2021, avvalorando in pieno la possibilità da noi evidenziata nel focus dello scorso anno, secondo cui Lukashenko avrebbe potuto dirottare la tensione interna ai suoi confini occidentali, trasformando una crisi politica interna in una crisi strategica tra Russia ed Europa. Crisi che potrebbe degenerare ulteriormente, esasperando le frontiere polacche o destabilizzando quelle ucraine. Per tali ragioni confermiamo alla Bielorussia un rating C con outlook positivo.

ALGERIA

L’Algeria sarà uno di quei paesi che merita particolare attenzione, essendo coinvolta in un complicatissimo processo di transizione politica, aggravato da una situazione economica precaria. Sfide peraltro aggravate dalla vicinanza al caotico teatro libico e dal degrado delle relazioni con il Marocco. Per tali ragioni confermiamo all’Algeria un rating C con outlook positivo.

REPUBBLICHE CENTRO-ASIATICHE

Il repentino ritiro americano dall’Afghanistan ha favorito il ritorno al potere dei talebani, il cui nuovo corso, tuttavia, almeno sul piano mediatico, sembra essere caratterizzato dalla volontà di normalizzare i propri rapporti con i paesi vicini. Intenzioni radicalmente diverse da quelle degli islamisti dell’Isis che fin dalle prime fasi di questo stravolgimento strategico ne hanno approfittato per mettere in difficoltà il nuovo governo di Kabul. Questo clima di incertezza ha allertato i paesi confinanti come il Tajikistan, ma soprattutto l’Iran che potrebbe ritrovarsi a fronteggiare la destabilizzazione dei suoi confini orientali. Di certo, successivamente al ritiro americano dall’Afghanistan, il rischio che la regione centroasiatica sprofondi nel caos potrebbe mettere in contraddizione la partnership tra i due player regionali di spicco, ovvero la Russia e la Cina. Per tali ragioni assegniamo a quest0are un rating B con outlook positivo.