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CONOSCIAMO LA LIBIA (3° Parte)

Riprendiamo l’analisi della Libia durante l’era Gheddafi, scandagliandone la dimensione politica interna passando per la sua proiezione internazionale.

IL LIBRO VERDE DI MUAMMAR GHEDDAFI

La prematura fine del leader egiziano Nasser, la contrapposizione con il suo successore Sadat e la conseguente implosione dell’ideologia panaraba indurranno Muammar Gheddafi a privilegiare il rafforzamento della sua posizione di potere in Libia. Proposito che il leader libico concretizzerà sul piano ideologico a partire dal 1975, elaborando il “libro verde”, un manifesto politico che nella sua visione personale avrebbe dovuto rappresentare per i libici quello che il “libretto rosso” di Mao ha rappresentato per i cinesi. L’esercizio teorico del leader libico si configurerà come una rielaborazione autoctona dell’ideologia socialista applicata al contesto arabo e islamico, e per questo antitetica all’ideologia comunista di derivazione sovietica, rigettata soprattutto per via della sua radice atea. Nello specifico, il libro verde di Gheddafi teorizzerà uno stato regolato da un sistema democratico diretto, strutturato su principi alternativi sia a quelli capitalisti che a quelli comunisti. Teoria che vale la pena approfondire per comprenderne appieno le peculiarità inerenti il pensiero del personaggio che ha plasmato la Libia moderna.

Gheddafi libro verde Libia
(Gheddafi legge il suo libro verde )

Innanzitutto, il pensiero di Muammar Gheddafi parte da una profonda critica al sistema della democrazia rappresentativa, ritenuta una sorta di dittatura in cui la minoranza sconfitta alle elezioni si ritrova alla merce del candidato vincente, nonostante questo abbia ricevuto un consenso nettamente inferiore a quello complessivamente raccolto dai suoi avversari, trasformando quella netta maggioranza in minoranza. Il leader libico ritiene, infatti, che la democrazia rappresentativa sia in realtà un artificio ingannevole e antidemocratico, giacché il concetto di democrazia rimanda al potere del popolo e non alla sua rappresentanza che, a suo dire, si configura come uno strumento che impedisce alle masse di esercitare la loro sovranità, abituandole a credere che questa loro prerogativa si riduca al periodico processo elettorale. Gheddafi evidenzia poi come, una volta eletti, i vari parlamentari non rappresentino i loro specifici elettori, ma tutto il popolo nella sua interezza, al pari di tutti gli altri rappresentanti che, pertanto, non rispondono più a chi li ha eletti, escludendoli così dal processo governativo. Per tali motivi, Gheddafi ritiene i parlamenti uno strumento finalizzato all’usurpazione della volontà delle masse, in cui si monopolizza il potere del popolo, attribuendolo ai partiti vincitori delle elezioni. Per Gheddafi, per quanto i parlamentari si professino rappresentanti del popolo itero, in realtà rimangono rappresentanti dei loro partiti di riferimento.

Secondo Gheddafi, i partiti rappresentano la forma consueta delle dittature moderne, in cui il potere di una minoranza prevale su quello delle masse, imponendo i loro interessi di parte a discapito di tutti gli altri esistenti. Il partito viene dunque considerato come lo strumento con cui un gruppo minoritario si adopera per dominare chi non vi appartiene. E la pluralità dei partiti non fa che accentuare la lotta per la conquista del potere, finendo per pregiudicare le prospettive di progresso della società, in cui si finisce per biasimare strumentalmente gli avversari politici, delegittimandone anche le iniziative meritevoli di essere condivise. Ciò finisce per rendere gli interessi della società ostaggio di soggetti minoritari in costante lotta per la conquista del potere di sottomettere l’avversario al proprio volere, contribuendo a sabotare l’idea stessa di democrazia.

Gheddafi non manca di contestare la dimensione economica dei sistemi democratici, rilevando l’impossibilità sostanziale dei poveri di competere sullo stesso piano con un ricco in campagna elettorale. Per quanto concerne la sfera mediatica, Gheddafi ritiene democraticamente inammissibile che una singola persona possegga un mezzo di informazione pubblica, evidenziando come un individuo che possieda un giornale in realtà stia esprimendo la sua opinione, e non quella della società, come vorrebbe far credere. Per Gheddafi la stampa veramente democratica è quella espressione dei vari comitati popolari, composti dalle varie categorie sociali che pubblicano la loro specifica opinione condivisa: dagli operai ai contadini, passando per i professionisti agli artigiani, ecc. L’individuo, per Gheddafi, ha sempre diritto a esprimere le sue idee, anche le più folli, ma l’idea che un singolo possa esprimere la propria opinione a nome di altri è democraticamente inammissibile.

Gheddafi contesta anche l’istituto del referendum, ritenendolo una frode che preclude agli individui la possibilità di motivare la scelta alla base del loro consenso o dissenso espresso. Secondo Gheddafi, la realizzazione della “vera democrazia”, quella diretta, avverrà solamente attraverso l’istituzione dei “congressi popolari”, il cui funzionamento è sostanzialmente regolato dai principi della democrazia diretta, considerata il metodo ideale di governo. Il funzionamento dei “congressi popolari” teorizzato da Gheddafi alterna elementi semplici ad altri decisamente più complessi da riassumere in questo focus, sicché, invitiamo chi fosse interessato ad approfondirlo a farlo autonomamente, anche perché il testo del libro verde è facilmente rintracciabile sulla rete, e addirittura tradotto in lingua italiana.

Gheddafi critica anche le costituzioni, considerate il mezzo adoperato da chi detiene il potere per dominare il popolo, costretto a sottostare a leggi derivanti dalle stesse costituzioni, nonostante queste in realtà rappresentino la volontà dei governanti al potere in quel dato momento. Per Gheddafi le costituzioni configurano una sorta di “legge umana” le cui peculiarità hanno soverchiato i fondamenti comuni della vita umana regolati da quella che definisce “legge naturale”, finendo per avanzare forme di umanità differenziate. La periodica mutazione delle costituzioni, a detta di Gheddafi, non sono altro che adeguamenti conseguenti ai periodici mutamenti dei sistemi di governo, e degli interessi organizzati di un nuovo gruppo che subentrano a quelli dell’élite precedente. Per Gheddafi le “leggi umane” costituiscono una minaccia alla libertà naturali, giacché costringono le leggi delle società a subordinarsi al metodo di governo, quando dovrebbe essere il contrario. Per Gheddafi la legge della società è immutabile, e non può essere in nessun caso emendata, abrogata o sostituita da qualsivoglia forma di governo, che in ogni caso deve dipendere sempre e comunque da essa, e mai il contrario. Gheddafi considera la legge della società un’eredità umana eterna assorbita dalle tradizioni o dalle religioni, la quale è costantemente insidiata dalle leggi umane con cui alcuni gruppi tentano costantemente di usurparla in modo fraudolento, avanzando artifici come le costituzioni o i referendum. Secondo Gheddafi l’usurpazione o la deviazione della legge naturale può essere corretta solamente attraverso manifestazioni di forza aventi natura rivoluzionaria contro gli strumenti di governo. Tuttavia, questa correzione per essere effettiva deve essere collettiva e democraticamente verificata, astenendosi dal ricorrere all’uso della forza.

Le stesse criticità contestate al sistema partitocratico vengono mosse anche contro il concetto di classe, ritenuta un altro artificio con cui un gruppo minoritario intenzionato a dominare sugli altri mira a stabile la propria dittatura al popolo intero, subordinandone gli interessi condivisi. A livello economico, per Gheddafi la libertà di un individuo è incompleta se i suoi bisogni dipendono da altro individuo, ritenendo che lo stato di necessità possa rendere gli individui schiavi di altri. Secondo Gheddafi la casa è una necessità dell’individuo e della sua famiglia, e deve essere di proprietà di chi la abita, configurandosi come un bisogno primordiale dell’essere umano che non può essere subordinato alle condizioni imposte da altri individui che sfruttano a proprio vantaggio il suo stato di bisogno. Per Gheddafi nessuno ha il diritto di costruire una casa in più di quella propria o dei suoi eredi allo scopo di affittarla e trarne vantaggio economico. Per Gheddafi, dunque, la libertà degli individui scompare nel bisogno. Coerentemente con questo suo pensiero, anche la terra, in quanto bene pubblico, deve essere sfruttata da tutti, precludendone la proprietà esclusiva. Il fine della società socialista teorizzata da Gheddafi è la liberazione della comunità dallo stato di bisogno che subordina individui ad altri individui spinti dal desiderio di impossessarsi di un quantitativo di ricchezze eccedente i loro reali bisogni, a discapito dei bisogni basilari di altri. Questi assunti saranno alla base delle leggi con cui il governo libico vieterà il possesso delle seconde case, alienando questo settore dalle dinamiche speculative. Sempre sul piano sociale, il governo libico promuoverà un drastico processo di socializzazione delle imprese, integrate in larghissima parte sotto il coordinamento di un ente statale. Coerentemente a questa logica socialista, il governo promuoverà anche la diffusione di supermercati statali caratterizzati da prezziari ribassati. Anche il processo di potenziamento delle istituzioni scolastiche verrà determinato dalla teoria di Gheddafi.

Gheddafi ritiene che la storia sia forgiata dalla mobilitazione di individui accomunati da una comune appartenenza identitaria, consolidata dalla necessità di soddisfare bisogni che non si possono soddisfare autonomamente, e che pertanto diventano obiettivi collettivi. E nello specifico, le nazioni derivano dalla consapevolezza di appartenere ad un’etnia comune che ambisce a conservarsi coerentemente nel tempo, in modo svincolato dalle ambizioni egemoniche avanzate da altri gruppi etnici esterni. A tal proposito, Gheddafi ritiene la famiglia una delle strutture sociali naturali su cui si fonda l’umanità, e qualsiasi tentativo finalizzato a minacciarla, indebolirla o distruggerla va ritenuto un tentativo disumano e innaturale, giacché mira a distruggere la pianta da cui la società trae i suoi frutti. Per Gheddafi le società migliori sono quelle dove la famiglia si si perpetua in modo naturale, creando legami inossidabili, e considera l’individuo come una foglia che non ha più significato una volta recisa dal suo ramo. A detta di Gheddafi una società in cui l’individuo vive all’infuori della famiglia diverrebbe una società di emarginati, assimilabile ad un giardino composto da piante artificiali. Conseguentemente a tale pensiero, l’aggregato delle famiglie che proliferano e si legano fra loro da origine alle strutture tribali.

Inquadrare il pensiero di Gheddafi è certamente complesso, anche per via della sua enigmatica personalità. Infatti, soprattutto durante questo suo primo periodo, Gheddafi manterrà uno stile di vita relativamente modesto, caratterizzato da una marcata riservatezza che lo portava ad isolarsi dalla sua cerchia di potere, spendendo molto tempo a riflettere e meditare, soprattutto durante il periodo della stesura del suo libro verde. L’approccio schivo lo caratterizzerà agli occhi di molti diplomatici stranieri, tenuti a distanza perché ritenuti delle spie intente a captare le logiche del suo pensiero. Questo suo stile di vita personale veniva ribaltato in pubblico, dove il leader libico veniva identificato per i suoi metodi di comunicazione eclatanti e marcatamente populisti, esaltati da un abbigliamento a dir poco eccentrico con cui si guadagnerà le attenzioni dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Condotta e stile di vita che in Libia darà luogo ad un accenno di culto di personalità, fatto di iconiche gigantografie sparse per tutto il paese, che sebbene sgradite allo stesso Gheddafi, verranno comunque assecondate dallo stesso, probabilmente per dare credito ai loro interessati promotori.

LA JAMAHIRIYA DI GHEDDAFI

Facendo leva sul suo “libro verde”, Gheddafi riformerà l’architettura istituzionale dello stato libico, plasmandola attorno agli assunti teorici della sua opera. Coerentemente con questo suo proposito, nel marzo del 1977 il leader libico riuscirà a far proclamare dall’Assemblea Generale del Popolo la nascita della “Jamahiriya Araba Libica Popolare e Socialista”, termine più spesso tradotto come “regime delle masse”. Questo processo di riforma interesserà anche il vessillo nazionale, archiviando il tricolore panarabo in favore di uno completamente verde, colore simbolico per la religione islamica. In quel frangente, l’Assemblea generale istituirà anche un apposito Segretariato generale non elettivo, inclusivo di tutti i membri del Consiglio del Comando Rivoluzionario responsabile del rovesciamento della monarchia dei Senussi, con lo stesso Gheddafi nel ruolo di Segretario Generale, anche se da lì in avanti inizierà a farsi chiamare fratello “leader della rivoluzione”. La Jamahiriya libica si autoclassificherà come un regime democratico diretto apartitico, governata dal suo popolo mediante l’ausilio dei vari Congressi popolari teorizzati nel libro verde di Gheddafi. La carica di Primo Ministro verrà riclassificata come Segretariato Generale del Comitato Generale del Popolo, e verrà inizialmente affidata ad Abdul Ati al-Obeidi, il cui potere governativo rimarrà sostanzialmente subordinato all’indirizzo inderogabile della Segretariato generale, a cui era attribuito il ruolo di garante ultimo della coerenza rivoluzionaria delle deliberazioni governative. Pur formalmente estraneo a qualsiasi ruolo di governo, Gheddafi riuscirà così ad esercitare un potere sostanziale e totalizzante, certificato anche dal suo controllo diretto sulle forze armate libiche.

Gheddafi Libia
( Muammar Gheddafi )

LE AMBIZIONI NUCLEARI LIBICHE

Nel 1975, la Libia ratificherà il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), impegnandosi a collaborare con l’AIEA a partire dal 1980. Ciononostante, il nuovo governo libico svilupperà un particolare interesse per lo sfruttamento dell’energia nucleare, investendo cospicue risorse nello sviluppo di un programma nucleare nazionale. Importanti risulteranno in tal senso le ottime relazioni che la Libia instaurerà con il Pakistan, tanto che secondo alcune speculazioni il governo di Tripoli sarebbe stato tra gli sponsor finanziari del programma nucleare di Islamabad, grazie a cui avrebbe ottenuto in cambio il coinvolgimento di alcuni tecnici libici. Cooperazione che, tuttavia, verrà meno nel luglio del 1977, quando il golpe del generale Muhammad Zia ul-Haq concluderà l’esperienza di governo di Zulfikar Ali Bhutto, con cui Gheddafi aveva costruito delle solidissime relazioni bilaterali. Muammar Gheddafi farà di tutto pur di salvare Bhutto, inviando in Pakistan il suo braccio destro Abdessalam Jalloud, a cui il nuovo governo di Islamabad negherà la possibilità di esiliare l’ex-presidente in Libia, procedendo a giustiziarlo nell’aprile del 1979. Asilo che il governo libico riuscirà a garantire almeno alla famiglia di Bhutto.

Gheddafi Bhutto Libia Pakistan nucleare
( Zulfikar Bhutto e Muammar Gheddafi )

Più avanti, la Libia inizierà a contrastare il nuovo governo pakistano, finanziando l’organizzazione fondata dai figli di Zulfikar Bhutto, ed espellendo dalla Libia circa 150.000 lavoratori pakistani. A queste iniziative seguirà il tentativo di potenziamento delle relazioni libiche con l’India, l’avversario strategico primario del Pakistan. Nel 1984 il Premier indiano Indira Gandhi arriverà a visitare la Libia, sottoscrivendo un accordo di cooperazione nucleare che, tuttavia, al netto dei propositi, non produrrà risultati significativi. Privata della partnership privilegiata con il Pakistan, la Libia inizierà a cooperare con l’Unione Sovietica allo sviluppo del proprio programma nucleare nazionale, sviluppando un reattore da 10 Mw a Tajura, che alle autorità dell’AIEA verrà presentato come aventi finalità di ricerca scientifica. Tuttavia, da lì a poco la Libia acquisterà circa 2.000 tonnellate di uranio dal Niger, astenendosi dal comunicarlo all’AIEA, finendo per destare la preoccupazione che dietro questo comportamento opaco si celasse l’ambizione di perseguire un programma nucleare con applicazioni militari.

LA STRATEGIA PANAFRICANA DI GHEDDAFI

Nel 1978, nonostante le proficue relazioni economiche, certificate anche dalle rilevanti importazioni di materiale militare, Gheddafi inizierà a contestare alla Francia il rinnovato attivismo post-coloniale in Africa. Ben presto queste frizioni allargheranno il solco tra i due paesi, soprattutto per via dell’ambizione di Gheddafi di farsi promotore di una federazione nordafricana di stati arabi e musulmani, su cui esercitare quella leadership che il mondo arabo gli aveva negato dopo lo scontro con l’Egitto di Sadat. Sull’onda di queste ambizioni panafricane, assecondate dalle considerevoli capacità finanziarie derivante dalle ingenti esportazioni petrolifere, la Libia di Gheddafi inizierà ad esercitare una crescente influenza politica su numerosi paesi africani, a partire dall’Uganda di Idi Amin, sostenendolo attivamente nello scontro con la Tanzania. Allo stesso modo, Gheddafi sosterrà Jean Bèdel Bokassa in Centrafrica, almeno fino a quando i francesi non convinceranno quest’ultimo a rompere ogni legame con la Libia. Parallelamente alle crescenti frizioni con i francesi, la Libia entrerà in contrasto anche con gli Stati Uniti, la cui ambasciata a Tripoli verrà presa d’assalto e data alle fiamme nel corso di una manifestazione sul finire del 1979, costringendo Washington a ritirare la propria delegazione diplomatica dal paese. Sviluppo a cui gli americani risponderanno chiudendo 5 mesi dopo l’ambasciata libica negli states, classificando la Libia tra gli stati sponsor del terrorismo, e vietando le importazioni di petrolio libico nel marzo del 1982.

L’INFLUENZA LIBICA NELLA CRISI IN CHAD

Malgrado Felix Malloum continuasse a mantenere il controllo del governo del Chad, Muammar Gheddafi non rinuncerà all’idea di assoggettare il paese all’influenza strategica libica, in quello che avrebbe dovuto essere il primo passo per concretizzare la sua strategia panafricana. Mire strategiche rafforzate dalla presenza di notevoli giacimenti di uranio localizzati nella regione di confine nota come “striscia di Aozou”, essenziali per sostenere le ambizioni nucleari libiche. A partire dal 1976, la Libia intensificherà il sostegno ai ribelli ciadiani del FROLINAT guidati da Goukouni Ouddei, permettendogli di espandersi territorialmente a discapito delle forze governative di Malloum sostenute dai francesi. Avanzata che Malloum riuscirà ad arginare solo grazie al supporto della fazione ribelle fuoriuscita dal FROLINAT, guidata da Hissène Habrè, convinto a prendere le distanze dalla Libia dall’Arabia Saudita e dal Sudan, paesi intimoriti dalla prospettiva di un Chad sintonizzato sulle frequenze strategiche di una Libia guidata da un leader spregiudicato. Accordo che indurrà Gheddafi ad incrementare ulteriormente il supporto alle forze di Ouddei, dispiegando a rinforzo persino l’esercito libico, mettendole nelle condizioni di estendere ulteriormente il proprio controllo territoriale nel nord del Chad. Messo alle strette, Malloum denuncerà l’iniziativa libica presso le Nazioni Unite, contestando l’occupazione della Striscia di Aozou. Ma nonostante le proteste, Malloum si vedrà costretto ad accettare una tregua per bloccare la prepotente avanzata delle forze di Ouddei. Tregua conseguente all’intesa trovata dai governi di Libia e Francia, che fino a quel momento avevano intrattenuto proficui rapporti economici, certificati dalle sostanziose commesse militari piazzate dal governo di Tripoli.

Libia Esercito guerra
( Un carro armato libico di produzione sovietica )

Ma nonostante l’intesa raggiunta, non molto tempo dopo le milizie ribelli di Ouddei riprenderanno a pressare il governo chadiano di Malloum, indebolito dalla ritrosia francese ad impegnarsi attivamente a sua difesa. Indecisione che il governo francese di Giscard d’Estaing supererà solo dinnanzi alla prospettiva di un’imminente caduta del governo di N’Djamena, rinforzando rapidamente il contingente militare a supporto di Malloum, aiutandolo così a respingere l’avanzata dei ribelli del FROLINAT. Dinnanzi alla fallimentare offensiva del FROLINAT, Gheddafi inizierà a considerare la sostituzione di Ouddey, con un esponente ribelle più fidato come Ahmat Acyl. Intenzioni che, tuttavia, Ouddei recepirà, prendendo le distanze dalla Libia e cercando il raggiungimento di un’intesa con i vecchi compagni d’armi guidati da Habrè. Questo inaspettato sviluppo verrà accolto dalla Francia, che prendendo atto della forza congiunta delle due formazioni gli consentirà di rimuovere Malloum dal potere nel 1979, patrocinando un governo di unità nazionale tenuto insieme dal comune desiderio di annullare l’influenza libica in Chad. Sviluppo politico a cui la Libia risponderà in modo diretto, occupando il nord del Chad. L’offensiva libica verrà respinta a fatica dalle forze di N’Djamena, sostenute dall’aviazione francese. La crisi verrà ricomposta solo dopo la conferenza di pace di Lagos, da cui deriverà la formazione di un governo inclusivo di tutte le componenti coinvolte nel conflitto, con a capo Goukouni Ouddei, coadiuvato da Hissène Habrè e dal filo-libico Ahmat Acyl. L’intesa raggiunta verrà seguita dal progressivo disimpegno francese, ma finirà per implodere nel 1980 a causa del crescente dualismo tra Habrè e Ouddei, con il primo sostenuto dall’Egitto di Sadat ed il secondo dalla Libia di Gheddafi. La contrapposizione tra i due leader chadiani degenererà in una resa dei conti, in cui Gheddafi non esiterà ad intervenire, inviando le forze armate libiche comandate dall’allora colonnello Khalifa Haftar a supporto di Ouddei. L’iniziativa libica, favorita dalla superiorità militare e dalle indicazioni dei consulenti sovietici, metterà le milizie di Ouddei nelle condizioni di sconfiggere le forze di Habrè, assumendo il controllo di N’Djamena.

LA PROIEZIONE MEDITERRANEA LIBICA

Nel 1979, la conclusione dell’accordo che consentiva alla Nato di sfruttare Malta come asset navale dell’alleanza atlantica, agevolerà l’iniziativa con cui la Libia di Gheddafi riuscirà a convincere l’isola a gettare le basi per una partnership strategica. Nello specifico, grazie ad un accordo che prevedeva forniture petrolifere sottocosto, la Libia riuscirà a farsi delegare il controllo dello spazio aereo dell’isola mediterranea, dove invierà consulenti che affiancheranno i tecnici maltesi. Partnership che, tuttavia, verrà meno nel 1980, quando alcune prospezioni preliminari ipotizzeranno la presenza di importanti riserve di idrocarburi situate in un area marina di pertinenza maltese nota come “banchi di Medina”, situata a ridosso delle acque di pertinenza libiche. La collocazione di queste potenziali risorse energetiche basterà a catalizzare le attenzioni della Libia, che dopo aver rivendicato l’area in questione, utilizzerà la propria marina militare per intimidire La Valletta, sequestrando alcuni pescherecci maltesi. La tensione sembrerà rientrare dopo la decisione dei due paesi di subordinare la risoluzione della disputa alla Corte Internazionale di Giustizia, concordando il congelamento delle attività nell’area contesa. Intesa che, tuttavia, i libici disattenderanno iniziando a sondare l’area prima del verdetto della Corte dell’Aja. Iniziativa a cui a La Valletta risponderanno prendendo contatti con l’Italia nel tentativo di controbilanciare la propria debolezza strategica. La situazione degenererà in una crisi regionale nel corso dell’estate del 1980, anticipata dalla decisione libica di congelare i rifornimenti di petrolio precedentemente accordati a Malta.

La crisi verrà scandita da un episodio apparentemente estraneo alla vicenda, ma temporalmente sincronizzato sia con lo sviluppo della crisi in Chad, sia con il misterioso abbattimento del DC-9 dell’Itavia al largo dell’isola di Ustica, avvenuto il 27 giugno 1980. Evento tutt’oggi avvolto da una grande incertezza, soprattutto per quanto concerne il possibile movente e le eventuali responsabilità. Tra le trame di questa torbida vicenda si farà strada anche la possibilità di un qualche coinvolgimento libico, suggerito dal ritrovamento di un caccia Mig-23 libico tra le montagne calabresi della Sila. Le indagini italiane attribuiranno l’incidente ad un malore del pilota del velivolo, ritenuto di origini siriane come molti dei piloti ingaggiati dall’aeronautica militare libica, la cui rotta si sarebbe interrotta fatalmente in conseguenza dell’esaurimento del carburante proprio sulle montagne della Sila. Tuttavia, alcune controverse testimonianze avanzeranno la teoria che vuole lo schianto del velivolo risalire ad una data compatibile a quella della strage di Ustica, ipotizzando anche la possibilità che lo schianto fosse dovuto a circostanze diverse da quelle ufficialmente ricostruite, suggerendo persino l’ipotesi di uno scontro con un aereo militare ignoto culminato con l’abbattimento del velivolo libico. Questa ipotesi verrà arricchita anche dalle segnalata presenza di un aereo dell’Air Malta in volo a 10 minuti dal DC-9 Itavia. Molte altre informazioni e speculazioni sono state diffuse in merito a questa tragica e misteriosa vicenda, ma ad oggi nessuna ha mai portato prove concrete utili ad appurare la veridicità di quelle che rimangono controverse teorie. E sebbene la pista libica allegata alla strage di Ustica rimanga meritevole di essere opportunamente scandagliata, continuarla ad approfondirla in questo nostro focus sarebbe un esercizio poco serio, soprattutto alla luce della mancanza di prove, senza contare la prospettiva di vedere allungare di molto questo nostro focus. In ogni caso, riteniamo che in mancanza di certezze, delle domande non possono essere presentate come risposte, così come sarebbe altrettanto scorretto presentare a chi legge dei legittimi dubbi come delle certezze. Riflessione simile va pertanto estesa anche alla possibile pista libica inerente la strage di Bologna del 2 agosto 1980, avvenuta in un periodo in cui il governo maltese affidava all’italiana ENI le attività perlustrative dei banchi di medina, inviando in loco la nave Saipem 2.

Mig-23 Libia
( Una coppia di Mig-23 libici in formazione )

Ad ogni modo, ciò che invece è certo è che nel mese di luglio, i libici sequestreranno l’equipaggio di due pescherecci italiani in acque ritenute di loro pertinenza. Sviluppo seguito da un tentato colpo di stato in Libia predisposto da un gruppo di ufficiali ribelli che, tuttavia, non riusciranno ad eliminare Gheddafi a causa dell’intervento di alcuni militari della Germania Est. La settimana successiva questo tentato golpe, la marina militare libica costringerà la nave Saipem 2 a bloccare le perlustrazioni, ribadendo la propria sovranità sull’area. Iniziativa a cui il governo di Roma reagirà a sua volta dispiegando in zona la Marina Militare Italiana, ridimensionando assertivamente la postura libica. Successivamente a questi sviluppi, l’Italia subentrerà ai tecnici libici nel controllo dello spazio aereo maltese. Intesa che anticiperà l’accordo con cui l’Italia si impegnerà a garantire l’indipendenza e l’integrità territoriale di Malta, dove le uniche navi straniere autorizzate ad operare saranno solo quelle italiane. Accordo che nella sostanza garantirà quella neutralità strategica con cui il governo de La Valletta si tirerà fuori dalle logiche della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. L’intervento italiano ridimensionerà le ambizioni della Libia nel Mediterraneo, dove la sua marina si limiterà a insidiare la sicurezza di navigazione dei pescherecci italiani e maltesi operanti in prossimità delle acque ritenute di loro pertinenza.

LA CRISI IN CHAD DEGENERA

Il 1981 sarà l’anno in cui Gheddafi saluterà con estrema soddisfazione l’eliminazione del presidente egiziano Anwar Sadat, il suo più acerrimo nemico regionale, assassinato in conseguenza di un attentato terroristico che commenterà come la giusta punizione per il traditore della causa palestinese. L’eliminazione di Sadat verrà anticipata dalla road map con cui i governi di Libia e Chad concorderanno il processo di integrazione dei due paesi, suscitando l’irritazione dei paesi dalle regione proprio come l’Egitto di Sadat e altri esterni come la Francia e gli Stati Uniti. Nello specifico, i francesi reagiranno con il potenziamento della propria presenza militare negli stati vicini, mettendo in chiaro l’intenzione di intervenire per respingere ulteriori iniziative libiche nella regione. Ostilità a cui Gheddafi risponderà paventando il blocco delle esportazioni petrolifere alla Francia. Tuttavia, nonostante la posizione di forza conquistata dalla Libia, fatta eccezione per gli esponenti marcatamente filo-libici come Acyl, non tutto il governo chadiano accetterà di buon grado la prospettiva di finire inglobato e subordinato al governo di Tripoli. E sebbene lo stesso Goukouni Ouddey considerasse umiliante per un nazionalista come lui subordinarsi ai libici, si vedrà costretto a mantenere un atteggiamento pragmatico, avendo ben chiara la necessità del sostegno libico per sventare possibili nuove iniziative di Hissène Habrè, sostenuto da Egitto, Sudan, Francia e Stati Uniti. Ouddey, infatti, temeva che nel lungo periodo il nutrito contingente libico, consistente in circa 14.000 soldati, potesse agevolare l’ascesa di Acyl, preferito dai libici per la sua etnia araba, e per la condivisione dei canoni politici teorizzati nel libro verde di Gheddafi. Preoccupazioni che sul finire del mese di ottobre, proprio in concomitanza con l’eliminazione di Sadat in Egitto, indurranno Ouddey a chiedere alla Libia il completo ritiro dalle proprie forze dal paese, sostenendo la necessità di sostituirli con una forza interafricana disciplinata da un mandato dall’Organizzazione dell’unità africana (OUA). Richiesta che Gheddafi recepirà rapidamente, facendo ripiegare le proprie forze nella zona della Striscia di Aozou, probabilmente per evitare una nuova escalation, aggravata dalla non lontana possibilità di ingaggiare uno scontro ad alta intensità con Egitto e Sudan.

Mappa Libia Chad Striscia Aozou Francia
( Mappa relativa alla crisi in Chad )

Il ritiro libico ed il conseguente dispiegamento del contingente interafricano si svilupperà parallelamente alla nuova offensiva organizzata dalle milizie di Habrè nell’est del paese. Iniziativa seguita dalla richiesta con cui l’OUA esorterà Ouddey ad aprire un tavolo negoziale con lo stesso Habrè. Richiesta a cui Ouddey risponderà seccamente, ritenendosi ingannato dall’OUA, bollandone l’intervento come un diversivo finalizzato all’allontanamento delle forze libiche e ad agevolare il ritorno di Habrè. Ma nonostante l’ennesima giravolta di Ouddey, Gheddafi si rifiuterà di assisterlo nuovamente, assumendo una posizione neutrale nel conflitto chadiano. Senza l’appoggio libico, Ouddey si vedrà costretto a fuggire dal paese, permettendo ad Habrè di recuperare il controllo N’Djamena. Una volta tornato al potere, nonostante i tentativi di Habrè di trovare un compromesso, successivamente alla dipartita del fidato Acyl, Gheddafi si vedrà costretto a sostenere nuovamente l’infido Ouddey. Dinnanzi al ritrovato, ma discreto, sostegno libico, Habrè si vedrà costretto ad internazionalizzare la crisi presso le Nazioni Unite, denunciando l’aggressione libica del Chad, catalizzando l’attenzione di Francia e Stati Uniti, che da lì in avanti inizieranno a rifornire militarmente le forze di Habrè, mentre l’OUA chiederà il ritiro di tutte le truppe straniere dal paese. Dinnanzi al potenziamento del supporto francese e alla prospettiva della sconfitta delle forze di Ouddey, Gheddafi deciderà di sostenerne le iniziative del suo scomodo alleato in modo diretto, mobilitando un contingente militare libico consistente in circa 11.000 militari, supportati da carri armati e aerei militari di produzione sovietica. Grazie al poderoso intervento libico, le forze di Ouddey riusciranno a mettere in seria difficoltà Habrè, a cui non resterà che chiedere ufficialmente il supporto francese. Conseguentemente alla richiesta di assistenza del governo chadiano, la Francia mobiliterà rapidamente un contingente militare composto da 2.700 soldati posti a presidio della capitale N’Djamena (Operazione Manta), in una dimostrazione di forza seconda sola a quella della guerra d’indipendenza algerina. Ma al netto delle ostilità, francesi e libici si asterranno dall’ingaggiare un confronto diretto, mantenendosi rispettivamente a sud e nord del Chad. La crisi verrà intervallata da una nuova e fallimentare mediazione promossa dall’OUA. Ma quando la soluzione diplomatica sembrerà arenarsi, la Libia di Gheddafi e la Francia di Mitterrand troveranno un’intesa, concordando il ritiro delle rispettive forze dal Chad. E sebbene i francesi osserveranno gli impegni presi, ritirando tutte le proprie forze dal Chad, la Libia, memore dell’inganno precedente, manterrà un cospicuo contingente nel nord del paese, dando luogo ad una disputa risolta a novembre nel corso di un vertice tra Gheddafi e Mitterand ospitato dalla Grecia.

LA LIBIA PERDE IL CONTROLLO DEL CHAD

Nonostante il disimpegno, Francia e Stati Uniti continueranno a sostenere indirettamente il governo di Habrè, rifornendolo militarmente, mentre la leadership di Ouddey sulle sue milizie inizierà a perdere consistenza. I libici approfitteranno di questa fase di relativa calma per puntellare il proprio controllo sulla Striscia di Aozou, dove verrà allestita una base militare presidiata da migliaia di soldati armati di tutto punto. Ma nonostante l’impegno libico, le forze di Ouddey sconteranno numerose defezioni di miliziani decisi a riconciliarsi con il governo di Habrè. Dinamiche che indurranno Gheddafi a prevenire lo sfaldamento delle forze di Ouddey, organizzando una nuova offensiva libica su N’Djamena, iniziata il 10 febbraio 1986, approfittando della campagna elettorale francese. E sebbene la prospettiva di un nuovo intervento in Chad fosse politicamente sconveniente, la Francia di Mitterrand reagirà prontamente, inviando un nuovo contingente militare nel paese (Operazione Epervier), arrivando a bombardare la base militare libica situata nella Striscia di Aozou. Attacco a cui Gheddafi reagirà ordinando il bombardamento dell’aeroporto di N’Djamena, impiegando anche i bombardieri strategici Tu-22 di produzione sovietica. Questi sviluppi degraderanno la coesione delle forze di Ouddey, arrestato dai libici poco prima che la sua organizzazione implodesse, mentre intanto le forze di Habrè, sostenute indirettamente dalla Francia, ne approfitteranno per avanzare rapidamente verso il nord del paese presidiato dai libici.

Dinnanzi all’indebolimento del fronte libico, all’inizio del 1987 le forze di Habrè verranno rinforzate dall’arrivo di centinaia di pick-up Toyota armate con mitragliatrici e missili anticarro MILAN, la cui presenza sul campo di battaglia contribuirà a definire questa fase del conflitto in Chad come “guerra delle Toyota”. Conflitto in cui le forze libiche verranno messe in seria difficoltà, inducendo Gheddafi a rinforzare il contingente militare, arrivando a dispiegare più di 11.000 militari nel nord del Chad, sfidando apertamente la Francia. Ciononostante, i ciadiani riusciranno a sfruttare la flessibilità tattica delle Toyota per spiazzare le forze libiche, mettendole alle strette in più circostanze, soprattutto dopo la conquista della strategica base di Ouadi Doum, costringendole a ritirarsi dalla Striscia di Aozou. La conquista della città di Aozou verrà tuttavia criticata dai francesi che confidavano di trovare un accomodamento con i libici, che a loro volta risponderanno bombardando pesantemente le città del nord del Chad. E proprio grazie alla copertura aerea, i libici riusciranno a respingere le forze ciadiane, emulandone l’uso tattico dei pick-up. Ma sempre contro il parere della Francia, i ciadiani sorprenderanno i libici, effettuando un devastante raid contro la base aerea Mateen al-Sarra, dove le forze libiche si sbanderanno, lasciando numerosi caccia alla merce dei ciadiani. Raid che imbarazzerà i francesi, tanto da indurli a prendere le distanze dall’attacco, al contrario degli americani che invece approveranno l’iniziativa ciadiana. La pessima situazione sul terreno ridimensionerà le ambizioni di Gheddafi, inducendolo a concludere il conflitto, accettando la mediazione dell’OUA, promotrice di un accordo di tregua firmato nel mese di settembre. Accordo che Habrè accetterà, soprattutto su impulso francese, disinnescando la prospettiva di un’estensione delle ostilità in Libia auspicata dagli Stati Uniti, dove si arriverà a considerare l’opportunità di sostenere l’offensiva di Habrè fino al rovesciamento di Gheddafi.

Durante questa parentesi, nel 1987, la Libia concorderà con l’Algeria e l’Italia il sostegno all’iniziativa con cui il Premier tunisino Ben Ali rovescerà e sostituirà l’anziano presidente Habib Bourghiba. Ma parallelamente a queste forme di cooperazione, il governo libico, deluso dalla sua débâcle militare in Chad, cercherà di rinforzarsi, iniziando a perseguire lo sviluppo di un proprio arsenale chimico, stoccando ingenti quantitativi di iprite. Nel maggio del 1988, Gheddafi riconoscerà il governo di Habrè, riprendendo le relazioni diplomatiche con il Chad, pur continuando a rivendicare la striscia di Aozou, che nel settembre del 1990 verrà di comune accordo sottoposta al giudizio della Corte internazionale di giustizia, che la assegnerà al Chad nel febbraio del 1994. Decisione rispettata dai libici che completeranno il ritiro nel maggio del 1994. Conseguentemente a tali sviluppi, le relazioni libico-chadiane si manterranno buone, anche dopo il rovesciamento di Habrè da parte di Idriss Dèby, personalità gradita alla Libia, che sarà il primo paese a riconoscerne il governo, anche se questo sviluppo non porterà alla ridefinizione della questione inerente la sovranità sulla striscia di Aozou.

IL CONFRONTO MEDITERRANEO TRA LIBIA E USA

Parallelamente alle proiezione strategica ai suoi confini meridionali, la Libia di Gheddafi non rinuncerà a sfruttare la propria collocazione mediterranea, rivendicando l’intero golfo della Sirte come baia chiusa, e pertanto classificata come area di propria pertinenza territoriale. Iniziativa tuttavia contestata dagli Stati Uniti come non coerente con la disciplina marittima internazionale in materia di libertà di navigazione, che limita l’estensione delle acque territoriali alle 12 miglia (circa 19 km) dalla costa. La contrapposizione si intensificherà progressivamente, dando luogo ad episodiche schermaglie militari rievocanti quelle intercorse tra i pirati barbareschi e la neonata marina militare americana, il cui sviluppo verrà influenzato proprio da questa crisi mediterranea. A distanza di un secolo, la Marina americana tornerà così a misurarsi nel Mediterraneo con lo stato erede di uno dei loro più antichi avversari, mobilitando due portaerei a ridosso delle acque rivendicate dai libici.

La tensione tra Stati Uniti e Libia toccherà il suo picco il 18 agosto 1981, nel corso di un’esercitazione dell’aviazione navale americana, a cui i libici risponderanno facendo effettuare ai propri Mig-23 e Mig-25 di produzione sovietica alcuni passaggi vicini alle due portaerei americane. In quell’occasione, i jet libici verranno allontanati dall’intervento dei caccia imbarcati americani F-4 e F-14. Il giorno successivo, l’aviazione americana effettuerà alcuni passaggi sopra le acque rivendicate dalla Libia, suscitando la reazione di due caccia Su-22 libici che ingaggeranno gli F-14 statunitensi, lanciando dei missili con l’intento di abbatterli, senza tuttavia riuscirsi. Attacco a cui gli effettivi della US Navy risponderanno abbattendo i due Su-22 libici. Poco dopo questo primo scontro nel golfo della Sirte, due Mig-25 lanciati ad alta velocità simuleranno alcuni attacchi contro la portaerei americana Nimitiz, allontanandosi solo dopo l’intercettazione da parte degli F-14 americani.

Tupolev Tu-22 Libia F-4 USA Mediterraneo golfo Sirte
( Un bombardiere Tupolev Tu-22 intercettato da un F-4 americano nel Mar Mediterraneo )

Dinnanzi alla crescente presenza americana nella regione mediterranea, a partire dal 1985 la Libia potenzierà la propria difesa antiaerea, acquistando dall’Unione Sovietica i sistemi S-200. Sistemi con cui Gheddafi cercherà di strutturare una capacità credibile di difendere le proprie rivendicazioni territoriali, minacciando apertamente di utilizzarli in caso di nuove incursioni statunitensi. Parallelamente alla disputa con gli Stati Uniti, Gheddafi sorvolerà sulla comune appartenenza panarabista, prendendo le distanze dal leader iracheno Saddam Hussein, schierandosi dalla parte di Teheran in occasione della guerra Iraq-Iran. Decisione che indurrà il governo di Baghdad a rompere le relazioni con Tripoli.

La scia degli attentati terroristici di matrice palestinese perpetrati in giro per il mondo nel corso del 1986, fornirà al governo statunitense l’occasione per accusare la Libia di essere compromessa con i responsabili di questi attacchi. Accuse che contribuiranno a degradare ulteriormente le già pessime relazioni bilaterali. All’inizio del 1986, la marina statunitense riprenderà a pattugliare le acque territoriali adiacenti a quelle rivendicate dalla Libia, dove i jet americani torneranno ad incrociarsi con quelli libici. Ma al dispetto del consistente numero di velivoli impiegati da entrambe le parti, dell’ordine delle centinaia, non si registreranno nuove schermaglie aeree. Situazione che muterà repentinamente il 24 marzo, quando la marina americana, scortata dall’aviazione imbarcata, varcherà la linea rossa tracciata sul Mar Mediterraneo dal governo di Tripoli, innescando l’attivazione del sistema antiaereo S-200. Attacco tuttavia vanificato dall’intervento di un EA-6B Prowler americano attrezzato per la guerra elettronica. Successivamente a questo episodio, i libici invieranno due caccia Mig-23 ad intercettare gli aerei americani presenti in zona, dando luogo ad una serie di provocazioni che in questo caso non culmineranno in un vero combattimento. Scontro che invece si verificherà poco dopo, quando la tensione tra le due marine culminerà in un attacco americano contro cinque vascelli libici presenti in zona, usciti distrutti nel corso dello scontro, insieme ad alcune postazioni di lancio degli S-200. In quell’occasione, sarebbero state riportate vittime anche tra i consulenti sovietici integrati alla contraerea libica.

Qualche settimana dopo questi scontri, il 5 aprile 1986, la discoteca “La Belle” di Berlino Ovest sarà teatro di un attentato terroristico esplosivo che provocherà centinaia di feriti, tra cui alcuni soldati statunitensi assidui frequentatori del locale, di cui uno ucciso. Attentato terroristico la cui regia verrà attribuita dagli americani all’intelligence libica, e cui l’amministrazione americana presieduta da Ronald Reagan deciderà di rispondere con un raid di rappresaglia in Libia. Raid che, almeno inizialmente, gli americani ipotizzeranno di effettuare impiegando per la prima volta il bombardiere stealth F-117, salvo cambiare idea e optare per i convenzionali cacciabombardieri F-111. L’iniziativa offensiva degli Stati Uniti in Libia verrà tuttavia ostacolata da molti paesi europei come la Francia, l’Italia e la Spagna, costringendo i velivoli americani partiti dal Regno Unito a bypassare il continente europeo, transitando dallo stretto di Gibilterra, facendosi carico di una complessa operazione di rifornimento aereo assicurata dall’impiego di ben 28 aerocisterne che permetterà di colpire gli obiettivi designati poco prima delle ore 2 del 14 aprile. Ai 24 F-111 si aggiungeranno gli EA-6B Prowler adibiti alla guerra elettronica, i 6 A-6 e i 6 A-7 imbarcati sulla portaerei USS America, e altri 6 A-6 e 6 F/A-18 imbarcati sulla portaerei USS Coral Sea. Il raid bersaglierà il compound residenza di Gheddafi di Bab al-Azizia a Tripoli, l’aeroporto di Mitiga, e quello di Benina di Bengasi. Ma non tutti gli attacchi americani andranno a segno, e alcuni sfioreranno persino l’ambasciata francese.

Libia Gheddafi monumento jet USA Bab al-Azizya
( Gheddafi davanti al monumento di Bab al-Azizya )

La reazione libica si rivelerà inadeguata, e nonostante una difesa aerea ben attrezzata per l’epoca, non riuscirà comunque a respingere efficacemente l’attacco, riuscendo ad abbattere solo uno dei F-111 americani coinvolti nel raid. Tra le vittime del raid americano verrà tuttavia segnalata anche la figlia adottiva dello stesso Gheddafi. Il leader libico riuscirà invece a sfuggire all’attacco, evacuando tempestivamente il compound di Bab al-Azizia prima dell’inizio del raid, grazie ad una telefonata di allerta attribuita al Premier italiano Craxi. A motivare l’intervento di Craxi ci starebbe la volontà di evitare la spirale di instabilità regionale potenzialmente conseguente all’eliminazione di Gheddafi. L’indomani dell’attacco, Gheddafi denuncerà il tentativo di assassinio del presidente americano Reagan, operando un attacco di rappresaglia consistenti in due missili balistici scud lanciati in direzione dell’isola di Lampedusa, dove era presente una installazione navale americana. L’attacco missilistico si rivelerà un buco nell’acqua, secondo alcuni voluto, giacché l’intenzione libica era quella di mandare un segnale agli Stati Uniti e non tanto quella di aggredire il paese che gli aveva permesso di scampare ad una fine certa, e con cui intratteneva rapporti controversi, ma per certi altri versi anche costruttivi. Tra l’altro, ad integrazione di questo complesso triangolo tra Libia, Italia e Stati Uniti va fatto riferimento al “crisi di Sigonella” culminata con il salvacondotto che permetterà al leader del Fronte Popolare della Palestina Abu Abbas di rifugiarsi per qualche mese proprio in Libia.

Gheddafi capitalizzerà sul piano mediatico l’aggressione americana, facendo erigere dinnanzi alle rovine del suo compound di Bab al-Azizya un monumento raffigurante un pugno intento a stritolare il cacciabombardiere americano distrutto dalla propria contraerea. L’attacco americano contro la Libia verrà condannato da gran parte della comunità internazionale, come certificato dalla risoluzione dell’Assemblea ONU, in quanto palese violazione del diritto internazionale. Iniziativa criticata anche da paesi alleati come la Francia, Germania e Italia. Gheddafi riceverà anche la solidarietà di circostanza dell’Unione Sovietica, sebbene lo considerassero sempre di più uno scomodo partner, abituato ad agire autonomamente, senza curarsi delle ripercussioni sui loro interessi strategici nella regione. E del resto, oltre alle iniziative strategiche autonome, la Libia di Gheddafi si distinguerà per il sostegno alle cause ribelli più disparate, da quelle più nobili, come la lotta anti-apartheid portata avanti dal leader sudafricano Nelson Mandela, a quelle più controverse come quella dell’IRA, passando per quelle di numerose organizzazioni terroristiche. A tal proposito, alla fine del 1987 la Francia sequestrerà una nave mercantile con a bordo un carico di armi di produzione sovietica che la Libia stava cercando di inoltrare proprio in Irlanda, per supportare l’IRA.

Libia Gheddafi Nelson Mandela Sudafrica
( Nelson Mandela e Muammar Gheddafi )

Sul finire del 1988, la tensione tra Libia e Stati Uniti tornerà a crescere, soprattutto dopo che l’amministrazione Reagan rilancerà ai libici l’accusa di perseguire lo sviluppo di armi di distruzione di massa di tipo chimico. In questo clima di rinnovate tensioni, il 21 dicembre 1988, il volo Pan AM 103 esploderà in aria nel Regno Unito, uccidendo 259 persone più 11 residenti nella cittadina scozzese di Lockerbie, in conseguenza di un attacco terroristico attribuito alla regia dell’intelligence libica. Successivamente a questo tragico evento, il passaggio della portaerei americana Kennedy nel Mar Mediterraneo, allerterà nuovamente i libici, intimoriti dalla possibilità che le minacce di Reagan potessero preludere ad un nuovo raid. Il 4 gennaio 1989, la situazione al largo delle coste libiche verrà turbata da una nuova schermaglia aerea culminata con l’abbattimento di due Mig-23 ad opera di una coppia di caccia F-14 americani. Il giorno successivo, il governo di Tripoli accuserà Washington di aver abbattuto due aerei ricognitori disarmati in acque internazionali. Accuse rigettate dagli Stati Uniti, che parleranno di autodifesa, indotta dalla condotta ostile dei due velivoli libici ritenuti armati. I riflettori internazionali si torneranno ad accendere nuovamente sulla Libia il 19 settembre 1989, quando un aereo della compagnia francese UTA, partito dal Chad con destinazione Parigi, esploderà in volo, provocando 170 vittime, di cui 54 francesi. Le autorità francesi attribuiranno anche questo attentato all’intelligence libica, ritenuta motivata dal desiderio di vendicarsi dell’intervento in Chad con cui la Francia ha sabotato il tentativo del governo di Tripoli di assoggettare il paese confinante all’interno della propria sfera di influenza.

CONCLUSIONI

Come abbiamo avuto modo di accennare in questo focus, il pensiero di Gheddafi ha sostanzialmente plasmato lo stato libico su quelli che erano i suoi principi ideologici. Principi socialisti, ma non comunisti, basati sull’islam ma non islamisti, configurando una sorta di via autoctona al socialismo. Gli assunti del libro verde di Gheddafi alterneranno riflessioni profonde ad altre molto più discutibili, e nonostante l’impegno di Gheddafi, la loro applicazione pratica rimarrà in gran parte inattuata, seppur con importanti elementi concretizzati, soprattutto sul piano sociale. Di certo, l’applicazione dei principi enunciati nel suo libro, faticheranno ad essere applicati, soprattutto per quanto concerne la sfera delle libertà politiche dei suoi oppositori, le cui capacità di influire sul sistema politico libico al di fuori della struttura istituzionale dei comitati popolari verrà praticamente azzerata.

La mancata implementazione dei presupposti teorici del libro verde verrà in gran parte determinata dalla crescente quota di tempo che Gheddafi dedicherà alla proiezione internazionale della sua Libia. Proposito che Gheddafi cercherà di concretizzare perseguendo in modo discreto lo sviluppo della tecnologia nucleare, cooperando strettamente con il governo pakistano, almeno fino alla deposizione di Zulfikar Ali Bhutto. Tecnologia nucleare con cui il leader libico contava di amplificare la portata strategica del suo paese, così da attribuirli la leadership del mondo arabo, guidandolo nella lotta contro Israele. Ambizioni che accantonerà dopo il conflitto ingaggiato con l’Egitto di Sadat, riconvertendo il suo panarabismo in un panafricanismo, in teoria meno complesso da attuare per via della debolezza dei paesi africani alle prese con il processo di decolonizzazione. Ma ben presto, questo riposizionamento strategico si scontrerà con i piani di paesi come la Francia e gli Stati Uniti, a cui si accoderanno sul versante orientale anche l’Egitto e l’Arabia Saudita, intimorite dalla possibilità di un nord Africa egemonizzato da un leader come Gheddafi. Il principale terreno di battaglia di questo scontro strategico sarà il Chad, paese che Gheddafi cercherà assoggettare alla sfera di influenza libica, al fine di aprirsi la strada ad altri paesi come il Niger, la Nigeria, il Camerun, il Centroafrica e il Sudan, tutti legati da un passato coloniale alla Francia, con cui la Libia entrerà in aperto contrasto, sebbene intrattenesse importanti legami economici, certificati anche sul piano delle commesse militari piazzate da Tripoli. Va poi tenuto in considerazione che gli interessi libici in Chad erano polarizzati in buona sostanza anche dalla disputa inerente la sovranità sulla striscia di Aozou, area ricca di minerali come l’uranio, fondamentale per un paese dalle ambizioni nucleari come la Libia dell’epoca. Ad ogni modo, lo scontro per procura in Chad, finirà per assumere una portata ben più estesa di quella iniziale, mettendo in contrapposizione diretta i governi di Tripoli e Parigi.

Nonostante la complessa situazione sul fronte meridionale, Gheddafi non esiterà a proiettare la Libia anche sullo scacchiere mediterraneo, dove entrerà in contrapposizione con gli Stati Uniti, con l’Italia, quando i suoi governi osavano ancora dire la propria, nel ruolo di scaltro spettatore interessato. Le ostilità tra la Libia e gli Stati Uniti rievocheranno le guerre barbaresche che all’inizio del 1800 porteranno la giovane marina degli Stati Uniti a combattere per la prima volta oltreoceano proprio davanti le coste libiche. Contrapposizione in cui, nonostante la disparità di mezzi a disposizione, la Libia di Gheddafi non esiterà a misurarsi temerariamente contro un avversario di ben altro rango. Scontro che, se non fosse stato per lo strategico e discreto intervento italiano, avrebbe potuto vedere la parabola di Gheddafi concludersi cruentemente tra le bombe americane del 5 aprile 1986. Di certo, l’aggressiva proiezione strategica della Libia di Gheddafi verrà in buona sostanza agevolata dallo scudo dell’Unione Sovietica, senza di cui, probabilmente, la sua permanenza al potere sarebbe stata senz’altro più breve. Alleanza strategica che, ad ogni modo, a Mosca verrà considerata sempre di più come una sempre più scomoda forzatura strategica, soprattutto alla luce degli azzardi di cui si renderà protagonista in più occasione l’intraprendente colonnello libico, responsabile, tra l’altro, di una spregiudicata strategia che perseguirà in modo cinico, sfruttando numerose organizzazioni ribelli, incluse quelle terroristiche, che non esiterà a finanziare, addestrare e aizzare contro i propri avversari ovunque nel mondo, compatibilmente ai propri interessi. Condotta internazionale spregiudicata che condiziona pesantemente il giudizio storico su questo eccentrico personaggio, gettando una pesante ombra sulle iniziative che senza di dubbio hanno contribuito a strutturare un paese nominale in uno sostanziale, permettendo a larghi strati di popolazione di affrancarsi dallo stato di ingente povertà in cui versava sotto la monarchia Senussi, raggiungendo uno stile di vita ben superiore agli standard poco esaltanti goduti degli altri paesi della regione nordafricana. Sotto Gheddafi, quello che prima era considerato un’inutile “scatolone di sabbia” diventerà un paese capace di giocare un ruolo di primo piano durante la seconda parte della guerra fredda, rendendosi protagonista, come già detto, di una condotta spregiudicata che con il crollo dell’URSS Gheddafi si vedrà costretto a rettificare rapidamente, come avremo modo di approfondire nella quarta parte di questo focus libico.