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CONOSCIAMO IL VENEZUELA (4°Parte)

In questa 4° parte del nostro focus dedicato alla conoscenza del Venezuela ripercorreremo la parabola chavista, dal suo punto più alto fino all’origine della crisi che da qualche anno interessa questo importante paese sudamericano.

Successivamente al referendum che nel 2004 riconfermò il mandato presidenziale di Chavez, insidiato dall’opposizione, l’ascesa del prezzo del petrolio favorirà l’afflusso di ingenti risorse finanziarie con cui il governo Chavez riuscirà a sbloccare l’economia, conseguendo un incremento del tasso di crescita del 9%. La larga disponibilità di nuove risorse finanziarie permetterà al governo chavista di estendere ulteriormente la portata della spesa sociale pubblica, potenziando i programmi delle “missioni bolivariane”. Queste risorse permetteranno ai consulenti cubani di potenziare le strutture sanitarie pubbliche venezuelane.
Nel 2005, il Movimento per la 5° Repubblica di Chavez riuscirà a conquistare il 60% dei seggi parlamentari. Risultato favorito dal ritiro dei principali partiti di opposizione, sfiduciati dai sondaggi che li davano particolarmente sfavoriti, che alla fine preferiranno boicottare le elezioni, sperando di delegittimare Chavez a livello internazionale.

IL BLOCCO SOCIALISTA SUDAMERICANO

Sul piano internazionale, Chavez, oltre a confermare il rapporto particolare con la Cuba di Fidel Castro, svilupperà anche proficue relazioni bilaterali con alcuni paesi chiave del continente sud americano, dal Brasile di Lula all’Argentina dei Kirchner, passando dalla Bolivia di Evo Morales, all’Ecuador di Correa, con cui condividerà la necessità di superare i modelli neoliberisti, promuovendo modelli economici alternativi di stampo socialista. Intento che Chavez perseguirà con un certo successo, coinvolgendo i paesi della regione caraibica nell’ALBA, “l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America”, un’organizzazione intergovernativa finalizzata al libero scambio e all’integrazione sociale dei paesi latino-americani favorevoli allo sviluppo di un modello socialista alternativo al capitalismo liberista. L’ALBA, nei progetti di Chavez sarebbe dovuta diventare la piattaforma del “socialismo del XXI secolo”, un modello politico-economico capace di revisionare il modello socialista, depurandolo della deriva sovietica, presentandolo come un’alternativa all’ascesa del modello social-democratico, considerato fin troppo subordinato alle logiche liberiste. Su questo modello verrà strutturato il progetto energetico “Petrocaraibe”, con cui il Venezuela si impegnò a garantire condizioni particolarmente agevolate per l’acquisto di prodotti petroliferi ai paesi partner dell’ALBA. La cooperazione del fronte socialista sudamericano verrà consolidata ulteriormente anche dal progetto Telesur, un’emittente televisivo latino-americano, con sede a Caracas, finanziato in partnership con paesi come Cuba, Bolivia e Nicaragua, al fine di fornire un’informazione alternativa a quella diffusa dai canali mainstream nordamericani.
Chavez riuscirà a catalizzerà le simpatie della gran parte dei paesi del continente sudamericano, eccetto che della Colombia, paese storicamente legato agli Stati Uniti, e fortemente ostile ai paesi dell’orbita socialista, sospettati di essere più o meno legati alla guerriglia rivoluzionaria delle FARC e dell’ELN. In particolar modo, durante il governo Chavez, i colombiani accuseranno a più riprese il Venezuela di essere un paese complice dei guerriglieri, a cui non negava asilo e discrete forme di assistenza militare.

Presidenti sudamericani Argentina Kirchner Bolivia Evo Morales Brasile Lula Venezuela Chavez
( I Presidenti socialisti sudamericani Kirchner, Morales, Lula e Chavez )

L’OSTILITA’ DI CHAVEZ VERSO GLI USA  

La politica estera sarà uno degli elementi più contraddistintivi dell’amministrazione Chavez, e la cui gestione verrà curata dal Ministro degli esteri Nicolas Maduro, un ex-autista di umili origini, discendente da una famiglia ebraica, successivamente convertitasi al cattolicesimo. La carriera politica di Maduro si svilupperà all’interno del MBR-200, dove agirà da cerniera tra il movimento di Chavez e l’intelligence cubana.
Durante il suo governo, Chavez continuerà ad allontanarsi dagli Stati Uniti, intensificando le relazioni bilaterali con molti dei loro antagonisti internazionali dalla Russia di Putin, alla Cina di Hu Jintao, passando per la Libia di Gheddafi e l’Iran di Ajmadinejad. Chavez arriverà persino ad auspicare la creazione di un’alleanza militare di difesa comune sudamericana proprio in funzione anti-americana. La nuova politica estera venezuelana si spingerà fino alla sostituzione delle tradizionali forniture militari americane, rimpiazzandole con forniture russe e cinesi. La retorica anti-americana del presidente bolivariano bersaglierà in particolar modo il presidente repubblicano George Bush Jr, di cui criticherà aspramente le metodiche unilaterali adottate nella lotta al terrorismo internazionale. Addirittura, nel 2005, Chavez promuoverà una controversa iniziativa destinata ad evidenziare le contraddizioni del sistema socio-economico statunitense, garantendo forniture di carburante sottocosto ai cittadini più americani più indigenti.

Presidente Russia Putin Venezuela Chavez spada libertatores bolivar
( Il Presidente russo Putin riceve la spada del Libertadores Bolivar da Hugo Chavez )

Nel 2006, dinnanzi alla crescente ostilità, gli Stati Uniti impediranno l’assegnazione al Venezuela del seggio non permanente al Consiglio di sicurezza ONU, favorendo la candidatura di Panama. Successivamente, Chavez accuserà Washington di alimentare il dualismo con la vicina Colombia, impedendogli di sviluppare proficue relazioni bilaterali. Successivamente a questo scontro diplomatico, il Presidente Chavez terrà uno storico discorso presso l’Assemblea Generale ONU, in cui criticherà aspramente il Presidente americano Bush, denunciando i suoi propositi egemonici finalizzati al consolidamento di un ordine internazionale unilaterale e profondamente iniquo nei confronti dei paesi più poveri del pianeta. Ad ogni modo, al netto della retorica, le relazioni commerciali tra i due paesi non ne risentiranno più di tanto, anzi, addirittura si intensificheranno. Anche se probabilmente, l’amministrazione Bush, senza alcun dubbio ostile al governo chavista, eviterà di sanzionare il Venezuela per non precludersi il finanziamento dei movimenti legati all’opposizione. La collaborazione tra i due paesi degraderà in altri ambiti, ad esempio impedendo agli ufficiali della DEA di indagare sul non indifferente traffico di stupefacenti che iniziava ad interessare il Venezuela, in misura non certo inferiore alla vicina Colombia. Del resto, i rapporti tra il Presidente venezuelano e il suo collega statunitense continueranno a degradare in modo clamoroso, tanto che Chavez arriverà a definirlo in diretta Tv come un ubriaco, vigliacco e genocida. I pessimi rapporti politici tra Venezuela e USA, porteranno anche all’espulsione dell’Ambasciatore americano, accusato dal governo di Caracas di lavorare ad un complotto finalizzato al rovesciamento di Chavez. I rapporti tra i due paesi sembreranno migliorare con l’elezione del democratico Barack Obama, almeno fino a quando il nuovo presidente democratico americano accuserà il governo di Chavez di sostenere la guerriglia delle FARC in Colombia, criticando le sue strette relazioni con Cuba e Iran.

Venezuela Chavez USA Obama
( Il Presidente USA Obama e Hugo Chavez )

 

CHAVEZ E L’ASSE ANTIMPERIALISTA 

Di certo, l’allontanamento dagli Stati Uniti, permetterà al Venezuela di intensificare le relazioni bilaterali con paesi come la Russia, con cui sottoscriverà importanti commesse militari, sostituendo i munizionamenti NATO con sistemi d’arma russi dai fucili AK-103 ai MANPAD SA-18 Igla, dai sistemi contraerei BUK-M2 agli S-300VM, dai semoventi d’artiglieria 2S19 Msta ai carri armati T-72B passando per gli elicotteri Mil-8 e i caccia SU-30. Forniture militari che contribuiranno a rendere le forze armate venezuelane le più temibili del continente sudamericano, seconde, forse, solo al Brasile. Al culmine della relazione con i russi, i venezuelani garantiranno appoggio logistico ai loro bombardieri strategici TU-160, permettendogli di stazionare a circa 2.000 Km dalla costa meridionale USA. Mosca ha anche erogato importanti finanziamenti a vantaggio di Caracas, ottenendo il coinvolgimento di imprese edili russe nella costruzione di migliaia di edifici popolari commissionati dal governo bolivariano a favore dei ceti popolari meno abbienti. L’allontanamento dagli Stati Uniti, agevolerà anche i rapporti bilaterali con la Cina, anche se le prospettive relative all’esportazione di petrolio greggio verso il paese orientale verranno limitate dalla mancanza di tecnologia idonea a trattare la qualità particolarmente pesante del greggio venezuelano. Senza contare che le maxi-petroliere impiegate dalla Cina incontravano notevoli difficoltà nell’oltrepassare l’ostico canale di Panama, costringendole a circumnavigare l’Africa. Ad ogni modo, il volume delle relazioni commerciali tra i due paesi crescerà progressivamente raggiungendo livelli ragguardevoli, interessando sia il comparto petrolifero, che quello delle infrastrutture e dell’industria tecnologica.

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( Un’esemplare di caccia Su-30 dell’aeronautica militare venezuelana acquisito dalla Russia )

Anche il potenziamento delle relazioni bilaterali con l’Iran confermeranno la divergenza strategica tra il Venezuela e gli Stati Uniti. Nello specifico, Chavez non si limiterà a stringere legami commerciali con Teheran, ma ne sosterrà il diritto a sviluppare il loro controverso programma nucleare, arrivando a considerare la possibilità di vendere agli iraniani i propri caccia F-16 acquistati dagli USA dall’amministrazione precedente. La partnership iraniano-venezuelana si svilupperà all’insegna della retorica antimperialista, amplificata dall’ostilità nei confronti delle iniziative israeliane contro la popolazione palestinese. Non a caso, le relazioni tra Venezuela e l’Iran si intensificheranno conseguente al rifiuto israeliano di ottemperare al contratto di aggiornamento della flotta di F-16, determinato dal pressing del governo di Washington, che nel frattempo aveva bloccato l’esportazione dei pezzi di ricambio necessari a mantenere operativi i mezzi aerei precedentemente forniti a Caracas.

Le relazioni fra Caracas e Tel Aviv degraderanno ulteriormente in occasione della guerra con il Libano, quando Chavez condannerà senza mezzi termini la condotta militare israeliana, definendola genocidio, riscontrando sia il favore dell’Iran, che di molti paesi mediorientali dell’OPEC. Più avanti, in occasione dell’invasione di Gaza del 2008 Chavez deciderà di rompere le relazioni diplomatiche con Israele, riconoscendo lo stato di Palestina. Successivamente a questi eventi, il governo venezuelano accuserà i servizi segreti israeliani di sostenere le iniziative dell’opposizione avvalendosi del supporto della Colombia, accusata di essere l’Israele dell’America latina.
A livello europeo, il governo Chavez curerà in particolar modo le relazioni con la Francia, agevolando gli investimenti di operatori economici come Total, mentre quelle con la Spagna diventeranno alquanto controverse, soprattutto durante l’amministrazione Aznar, da cui sono provenute accuse di connivenza con l’organizzazione terroristica basca dell’ETA. Rapporti che si degraderanno ulteriormente dopo l’aspro scontro verbale intercorso tra Chavez e Re Juan Carlos nel corso del vertice ispano-americano del 2007.

LA MEDIAZIONE TRA LA COLOMBIA E LE FARC

Sempre nel 2007, il governo chavista tenterà di mediare uno scambio di prigionieri tra la Colombia e la guerriglia delle FARC, avanzando un piano che prevedesse una zona demilitarizzata. La proposta venezuelana verrà, tuttavia, respinta dal governo colombiano, particolarmente irritato dai negoziati diretti che Chavez intratterrà con lo stato maggiore colombiano. Approccio che il Presidente colombiano Uribe interpreterà come un tentativo di scavalcare la sua autorità, e a cui risponderà rompendo le relazioni diplomatiche con il Venezuela. Ad ogni modo, nonostante la transitoria rottura diplomatica tra i due paesi, il Presidente colombiano deciderà di seguire il suggerimento di Chavez, concedendo un’area demilitarizzata alle FARC in cambio del rilascio di alcune note personalità politiche precedentemente rapite dalla guerriglia, successivamente poste in salvo dall’esercito venezuelano nel corso di un’apposita operazione umanitaria di evacuazione degli ostaggi autorizzata dal governo di Bogotà e supportata dalla Croce Rossa, sotto la supervisione dallo stesso Chavez. Tuttavia, poche settimane dopo l’operazione umanitaria, il governo colombiano, supportato dall’intelligence statunitense, triangolerà le chiamate satellitari intercorse tra il presidente Chavez e il leader delle FARC, riuscendo a rintracciarlo.
Grazie all’intelligence americana, i colombiani attaccheranno una base delle FARC situata in prossimità del confine tra Colombia e Ecuador, predisponendo un raid culminato con l’inseguimento dei guerriglieri fino all’interno dei confini ecuadoregni.

Presidente Colombia Uribe Venezuela Chavez
( Il Presidente colombiano Uribe e Hugo Chavez )

L’attacco colombiano, e la conseguente violazione della sovranità nazionale ecuadoregna, scatenerà le ire di Chavez, che non esiterà a condannare il governo colombiano, accusandolo di aver tradito la sua fiducia per compiacere l’imperialismo USA, adottando le metodiche israeliane. Chavez reagirà all’iniziativa colombiana mobilitando l’esercito ai confini con la Colombia, minacciando di attaccarla nel caso in cui Bogotà decidesse di replicare un’iniziativa militare simile lungo i confini venezuelani. Sull’onda dell’evento, Chavez esorterà inutilmente la comunità internazionale a revocare lo status di organizzazione terroristica alle FARC. Mentre, dal canto suo, la Colombia, continuerà ad accusare il Venezuela di rifornire militarmente le FARC, suscitando il ritiro del corpo diplomatico venezuelano, ritrovandosi a fare i conti con la minaccia di un embargo petrolifero che Chavez estenderà anche ai loro alleati statunitensi.
La crisi diplomatica rientrerà solo con l’elezione del nuovo Presidente colombiano Santos, a cui Chavez assicurò di non permettere alle FARC di operare in territorio venezuelano, impegnandosi a potenziare i canali diplomatici. Va segnalato poi, che durante l’amministrazione Chavez, un cospicuo numero di colombiani lascerà i villaggi lungo i confini per stabilirsi in Venezuela per godere degli alti standard sociali garantiti dal governo bolivariano di Caracas.

LA CAMPAGNA PRESIDENZIALE DEL 2006

L’ostilità nei confronti degli USA caratterizzerà la campagna elettorale per le presidenziali del 2006 di Chavez, abile nell’associare l’opposizione all’imperialismo americano, impersonato dal Presidente repubblicano George Bush Jr. L’indiscutibile popolarità di Chavez indurrà l’opposizione venezuelana a convergere su una candidatura unica, quella di Manuel Rosales, un esponente di Azione Democratica, compromesso con il golpe di Pedro Carmona, predisposto dall’oligarchia liberale venezuelana. La candidatura di Rosales fu, in un certo senso, una candidatura di ripiego, determinata dall’ineleggibilità di Leopoldo Lopez, un giovane rampollo dell’oligarchia venezuelana accusato di corruzione, per aver distolto fondi di PDVSA indirizzandoli a favore della propria organizzazione politica, “Volontà Popolare”.
Ad ogni modo, Rosales, consapevole dell’impopolarità delle politiche liberiste, tenterà di sfidare Chavez proprio sul suo campo, quello sociale, promettendo un sistema di reddito di cittadinanza per i disoccupati e sussidi per i cittadini in condizioni particolarmente indigenti. Tuttavia, al netto del programma socialisteggiante, Rosales si discosterà nettamente dal modello socialista radicale impostato da Chavez, criticando, in particolar modo, l’alleanza con Cuba, ed il conseguente allontanamento dagli Stati Uniti. A livello economico, Rosales ricalcherà in modo blando la strategia chavista, sostenendo la necessità di utilizzare le risorse petrolifere per finanziare un ambizioso programma di spesa pubblica.

Durante la campagna elettorale, i tentativi di Rosales di organizzare un dibattito pubblico verranno ironicamente rigettati da Chavez, secondo cui il suo avversario non sarebbe stato in grado di tenere testa nemmeno ad una scolaretta. Nel corso della fase finale della campagna elettorale, dinnanzi al fortissimo sentimento anti-americano diffuso tra le classi popolari venezuelane, persino Rosales sentirà il bisogno di smarcarsi dagli Stati Uniti, sostenendo di non essere il difensore del loro impero. Ad ogni modo, le elezioni presidenziali verranno vinte nuovamente da Hugo Chavez con il 62% dei consensi, contro il 36% del suo principale avversario, in una consultazione popolare contraddistinta dal 72% di affluenza. Il verdetto elettorale, riconosciuto libero e legittimo dalle organizzazioni internazionali presenti in Venezuela, verrà riconosciuto anche da Rosales che, tuttavia, non perderà occasione per avanzare sospetti di brogli, denunciando un’eccessiva discrepanza tra i risultati finali e le proiezioni commissionate dalla sua campagna. Immediatamente dopo la vittoria, Chavez annuncerà la dissoluzione del suo Movimento per la 5° Repubblica, e la fondazione del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), una nuova entità politica inclusiva di tutti i partiti dell’orbita socialista che avevano contribuito alla sua rielezione. Il progetto di Chavez, tuttavia, non riuscirà a convincere alcune importanti realtà politiche alleate, come ad esempio il Partito Comunista Venezuelano (PCV) e i social-democratici, successivamente tacciati da Chavez di essere realtà contigue all’opposizione, che lavoravano sottotraccia contro la rivoluzione bolivariana.

IL TERZO MANDATO DI CHAVEZ 

Forte del suo nuovo mandato presidenziale, Chavez rilancerà la sua rivoluzione bolivariana, promuovendo un esteso programma di statalizzazione, esteso anche alla Banca Centrale, riportandola così sotto il controllo politico del governo. Questa controversa scelta, verrà seguita dall’estinzione anticipata dei debiti contratti con le istituzioni finanziarie internazionali, dal ritiro del Venezuela dal FMI e dalla Banca Mondiale, e dalla promozione del Banco del sud, un istituzione finanziaria regionale modellata sui principi socialisti bolivariani. Parallelamente a queste misure economiche, il governo revocherà le licenze alla principale televisione privata del paese, accusata di complicità nell’esecuzione del golpe del 2002.
Il largo consenso riscosso alle presidenziali, indurrà Chavez a promuovere un nuovo progetto di revisione costituzionale che gli consentisse di ricandidarsi per la terza volta consecutiva, guadagnando, a suo dire, il tempo necessario per implementare il suo progetto di rivoluzione socialista bolivariana. La riforma seppur approvata dall’Assemblea Nazionale, verrà tuttavia bocciata dal 51% dei venezuelani interpellati via referendum. L’esito referendario configurerà la prima sconfitta politica di Chavez, tra l’altro, preceduta da una serie di proteste studentesche degenerate in scontri tra studenti legati all’opposizione e studenti legati al chavismo. Ad ogni modo, Chavez accoglierà l’esito referendario, annunciando l’intenzione di ritirarsi alla scadenza del suo mandato presidenziale.

Tuttavia, al netto degli annunci, l’anno successivo Chavez tornerà sui suoi passi, promuovendo un nuovo emendamento costituzionale finalizzato alla rimozione dei limiti posti alla sua futura terza candidatura presidenziale. Emendamento costituzionale che questa volta riuscirà a superare lo scoglio referendario, incontrando il consenso del 54% dei venezuelani, a fronte di un’affluenza del 70%. Il risultato referendario verrà contestato dall’opposizione, che denuncerà presunti vizi di costituzionalità, successivamente, rigettati come infondati dalla Corte Costituzionale. L’esito referendario rilancerà anche le proteste studentesche, culminate in feroci scontri con le forze dell’ordine. Il referendum verrà contestato poi anche dal Presidente americano Barack Obama, le cui critiche, secondo Chavez, erano forzate dall’establishment imperialista del Pentagono. Nel 2010, il PSUV di Chavez conquisterà il 45% dei seggi parlamentari, numeri con cui faticherà a costruirsi quella maggioranza dei 2/3 necessaria per poter governare il paese. Il ridimensionamento del fronte chavista verrà determinato dall’avanzata della “Coalizione per l’Unità Democratica”, il contenitore politico promosso dalle principali forze di opposizione, premiato con il 47% dei consensi.

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 2013

Ad ogni modo, venuti meno gli impedimenti costituzionali, Chavez si ricandiderà alle presidenziali del 2013, sostenuto dal Grande Polo Patriottico Bolivariano (GPPSB), una coalizione composta da una miriade di formazioni politiche alleate del PSUV. L’opposizione, ricompattata dall’incoraggiante risultato delle legislative, convergerà sulla candidatura unitaria di Henrique Capriles Randoski, un esponente del COPAI, figlio di una facoltosa famiglia di ebrei immigrati dalla Polonia, e successivamente convertitisi al cattolicesimo. La campagna elettorale di Capriles si imposterà su di un binario progressista di stampo social-democratico, ma comunque aperto al liberismo. Nello specifico, Capriles, non rigetterà in toto il corso socialista impostato da Chavez, ma avanzerà la necessità di correggerlo, rendendolo più efficiente e meno corrotto, adeguandolo al modello di libero mercato.
La campagna elettorale di Chavez, finalizzata al consolidamento del suo progetto di rivoluzione socialista bolivariana, verrà intralciata dai seri problemi di salute riscontrati solo pochi mesi prima. Difficoltà che lo indurranno a riconsiderare il suo rapporto con la Fede Cristiana, contribuendo ad avvicinarlo ad una realtà religiosa particolarmente rilevante nel paese, e con cui in passato aveva intrattenuto rapporti non proprio idilliaci. Le notizie della sua precaria salute, susciteranno numerosi interrogativi circa gli eventuali suoi delfini posti alla guida della Vice-Presidenza in caso di una sua riconferma. Ad ogni modo, al termine di un infuocatissima campagna elettorale, Chavez verrà riconfermato alla guida del paese con il 55% dei consensi, contro il 41% di Capriles, a fronte di una corposa affluenza dell’80%.

La vittoria di Chavez coinciderà con un repentino degrado delle sue condizioni di salute, che gli impediranno persino di inaugurare il suo nuovo mandato presidenziale dinnanzi all’Assemblea Nazionale. Ad ogni modo, l’inizio del mandato presidenziale di Chavez verrà ratificato scavalcando il cerimoniale d’insediamento attraverso una procedura semplificata legittimata dalla Corte Suprema, come previsto dall’Art 231 della Costituzione venezuelana. Tuttavia, i vizi di procedura verranno enfatizzati dall’opposizione, secondo cui il PSUV aveva occultato la reale data del trapasso di Chavez per salvare il risultato elettorale, favorendo l’affidamento dell’interim presidenziale al Vice-Presidente Nicolas Maduro, precedentemente designato dallo stesso Chavez come suo successore politico, permettendogli di scavalcare l’ex Vice-Presidente Diosdado Cabello nella gerarchia del PSUV. L’opposizione farà appello all’Art 233 della Costituzione, denunciando la mancata revoca del mandato presidenziale da parte della Corte Suprema, accusata di aver ignorato l’impossibilità psico-fisica di Chavez all’esercizio delle sue funzioni presidenziali. Accuse seccamente rigettate dai chavisti, che risponderanno all’opposizione arrivando, addirittura, a ventilare il sospetto che la malattia di Chavez sia stata in qualche modo inoculata dai servizi segreti USA per favorire il ritorno al potere dell’opposizione.Ad ogni modo, una volta in carica, Maduro, ottempererà alla costituzione predisponendo i preparativi per nuove elezioni presidenziali entro 30 giorni, a cui egli stesso parteciperà in rappresentanza dalla coalizione del Grande polo Patriottico Bolivariano a sostegno del PSUV, ritrovandosi a competere contro il leader dell’opposizione Capriles, sconfitto solo pochi mesi prima da Chavez.

Presidente Venezuela Chavez e Nicolas Maduro
( Hugo Chavez e Nicolas Maduro )

LA VITTORIA DI NICOLAS MADURO

Le nuove elezioni premieranno di misura Maduro con il 50.61%, contro il 49.12% di Capriles, a fronte di un’affluenza del 79%. Il risultato elettorale verrà contestato come fraudolento dall’opposizione, che sotto la leadership di Leopoldo Lopez, tornerà ad esortare i propri sostenitori a scendere in piazza contro il nuovo Presidente, dove si renderanno protagonisti di feroci scontri con i “Collectivos”, organizzazioni politiche paragovernative contigue agli ambienti chavisti. Oltre agli scontri con i Collectivos, i manifestanti dell’opposizione si renderanno protagonisti di numerosi episodi di guerriglia urbana, ingaggiando la dura reazione delle forze di sicurezza. Questo clima pesante caratterizzerà anche le elezioni municipali, precedute da anomali black-out energetici, che l’opposizione addebiterà alla scarsa manutenzione del sistema elettrico garantita dal governo che, invece, risponderà sostenendo la tesi del sabotaggio predisposto da ambienti contigui all’opposizione intenzionato ad esasperare il clima sociale alla vigilia della tornata elettorale. Il progressivo degrado del clima socio-politico interno, verrà accolto dal varo delle prime sanzioni statunitensi. Durante le proteste, l’opposizione arriverà persino a metter in dubbio l’effettiva nazionalità venezuelana di Maduro, sostenendo la tesi della sua presunta, e mai dimostrata, cittadinanza colombiana, che se confermata avrebbe reso costituzionalmente illegittima la sua nomina. Successivamente a questa nuova tornata di proteste, Leopodo Lopez verrà arrestato per istigazione alla violenza sovversiva e per responsabilità per i danni collaterali delle manifestazioni da lui stesso organizzate. Condanna, contestata dall’opposizione come violazione dei diritti umani, finalizzata all’esclusione di un membro dell’opposizione dalla vita politica venezuelana.

Successivamente all’ufficiale insediamento di Maduro, l’opposizione eviterà di riconoscerlo come Presidente, incontrando il biasimo del Presidente dell’Assemblea Nazionale Cabello, che reagirà negando il diritto di intervento ai deputati che si rifiuteranno di riconoscere la legittimità del Presidente Maduro. Decisione controversa che scatenerà vere e proprie risse all’interno dell’aula parlamentare.
I primi anni della presidenza Maduro saranno caratterizzati da un aggravamento della crisi economica, dovuto essenzialmente al calo dei prezzi del petrolio su scala globale, ben al di sotto della quota dei 100$ al barile, ponderata dalla precedente amministrazione Chavez. Oltre al settore petrolifero, anche l’industria mineraria e pesante subiranno un brusco calo della produzione. Queste pessime premesse economiche, sommate all’incapacità governativa nel far fronte alla crescente inflazione conseguente alla pesantissima svalutazione del Bolivar, hanno contribuito a degradare ulteriormente la gravissima situazione economia venezuelana che, a detta del Presidente Maduro, era dovuta ad un processo di strangolamento commerciale orchestrato dagli Stati Uniti per rovesciare il suo governo con uno strategicamente più allineato ai loro interessi imperialisti.

La pessima situazione economica costringerà molti degli immigrati colombiani, precedentemente immigrati nel paese, a ritornare in patria, a causa del repentino degrado degli alti standard sociali precedentemente garantiti dal governo chavista. Il flusso di immigrati che si riverserà ai confini colombiani, configurerà una gravissima crisi umanitaria che destabilizzerà il fragile tessuto socio-economico colombiano. Ben presto, il confine diverrà oggetto di contesa tra i due paesi, che si rimprovereranno reciprocamente l’incapacità nel contrastare le attività delle organizzazioni criminali dedite al contrabbando di prodotti leciti e meno leciti. La tensione sui confini verrà amplificata anche da alcune provocazioni e schermaglie tra i militari dei due paesi che indurranno il governo venezuelano a interdire provvisoriamente, il traffico sui ponti che collegano il paese con la Colombia dal 2015 al 2016. In particolar modo, durante questo periodo Colombia e USA avanzeranno seri sospetti circa il coinvolgimento di alcuni alti esponenti dell’esercito venezuelano nel traffico internazionale di stupefacenti, alimentando la legenda nera del “Cartello de los Soles”, una presunta organizzazione criminale controllata da ufficiali contigui ad ambienti chavisti, i cui gradi militari sono contraddistinti proprio da soli, in luogo delle convenzionali stellette.

L’OPPOSIZIONE CONQUISTA IL PARLAMENTO

Nel 2015, la coalizione delle principali forze di opposizione vincerà le elezioni parlamentari, conseguendo il 56% dei seggi disponibili, contro il 40% della coalizione chavista del Grande Polo Patriottico Bolivariano del Presidente Maduro. Il risultato elettorale verrà modificato dal Tribunale Supremo di Giustizia (TSG), revocando la nomina di 4 deputati (3 dell’opposizione e uno del Grande Polo Patriottico Bolivariano), accusati di frode elettorale. Provvedimenti che, tuttavia, non alieneranno all’opposizione il controllo dell’Assemblea Nazionale.
Nel 2016, l’opposizione, maggioritaria in Assemblea Nazionale, farà appello alla costituzione, chiedendo un referendum di richiamo per sfiduciare il Presidente Maduro. Tuttavia, la procedura incontrerà numerosi intoppi burocratici legati a vizi formali e sostanziali rinvenuti tra i sottoscrittori della richiesta del referendum di richiamo presidenziale. Motivi che porteranno la Commissione elettorale a sospendere l’iter referendario, scatenando le proteste dell’opposizione e dei principali costituzionalisti del paese. Nel 2017, l’Assemblea Nazionale disconoscerà la legittimità del mandato del Presidente Maduro che, a sua volta, reagirà accusando il Parlamento di essersi autoesautorato predisponendo un atto di aperta insubordinazione costituzionale. Nello specifico, il governo di Maduro esorterà Il Tribunale Supremo di Giustizia (TSG) a prendere provvedimenti contro gli intenti sovversivi dell’Assemblea Nazionale. Il TSG rileverà le criticità evidenziate dal governo, disponendo la revoca dell’immunità parlamentare dei membri dell’Assemblea Nazionale, assumendone provvisoriamente le funzioni legislative. Atto che, tuttavia, verrà revocato poco dopo, in un clima politico infiammato dall’opposizione, che disconoscerà la legittimità dei giudici del TSG, accusandoli di essere politicizzati, istituendo un tribunale supremo di giustizia composto da giudici di loro gradimento.

Il Presidente Maduro proverà a risolvere l’impasse politica, invitando l’opposizione a convergere su di un processo di riforma costituzionale, avviando l’iter per l’elezione di un’apposita Assemblea Costituente che, tuttavia, verrà boicottata dalle forze di opposizione. La mancata partecipazione delle forze di opposizione, consegnerà la maggioranza dell’Assemblea Costituente alla coalizione di Maduro. Successivamente alla sua elezione, l’Assemblea Costituente assumerà le prerogative dell’Assemblea Nazionale, come successo in occasione della riforma costituzionale bolivariana promossa da Chavez, ponendosi come organo supremo del paese.
La Presidenza dell’Assemblea Costituente verrà affidata inizialmente all’ex-Ministro degli Esteri Delcy Rodriguez, per poi passare all’influentissimo ex Vice-Presidente Diosdado Cabello. Ad ogni modo, l’elezione della costituente oltre ad essere rigettata dall’opposizione, susciterà anche le critiche di molti paesi occidentali, tra cui gli Stati Uniti, che sotto la nuova amministrazione repubblicana Trump arriveranno a minacciare persino un possibile intervento militare finalizzato al rovesciamento del governo di Maduro.

Presidente Vvenezuela Maduro e Diosdado Cabello PSUV
( Il Presidente venezuelano Maduro e Diosdado Cabello sulla destra)

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 2018

Alla vigilia delle elezioni del 2018, il fronte dell’opposizione esprimerà 3 candidature presidenziali, quella di Leopoldo Lopez per Volontà Popolare, quella di Capriles per Giustizia Prima e quella di Henry Ramos Allup per Azione Democratica. Tuttavia, alla fine, tutti i candidati dell’opposizione decideranno di boicottare le elezioni presidenziali, anche perché alcuni di loro erano impossibilitati a competere a causa dalle condanne precedentemente ricevute per reati che andavano dall’incitamento alla sovversione alla corruzione.
L’approssimarsi delle elezioni presidenziali, produrrà un accenno di competizione anche all’interno del PSUV, dove si avanzerà la possibilità di candidare uno tra Diosdado Cabello e Delcy Rodriguez al posto di un sempre meno popolare Maduro, che alla fine riuscirà comunque a spuntarla conquistando una nuova candidatura presidenziale.
Alla fine, Maduro verrà sfidato da Henri Falcon, un ex-membro del PSUV, promotore di un partito di sinistra anti-chavista, considerato dall’opposizione come una sorta di nemesi fittizia di Maduro. Falcon, dal canto suo, criticherà la scelta dell’opposizione di boicottare le elezioni, sostenendo che l’alienazione dalle dinamiche politiche venezuelane non avrebbe aiutato a risolvere la crisi del paese, contribuendo solo ad aggravarla.

Alla vigilia delle elezioni presidenziali, i paesi sudamericani del “Gruppo di Lima” disconosceranno l’esito elettorale, denunciandone la carenza di garanzie democratiche che hanno indotto l’opposizione a non partecipare. Posizione determinata dal tramonto generalizzato dei governi socialisti in tutto il Sudamerica, ritornati in larga parte sotto governi decisamente più contigui agli interessi statunitensi.
Ad ogni modo, le elezioni confermeranno la presidenza di Maduro con il 67%, e la sconfitta del suo principale avversario Falcon (20%), a fronte di un affluenza del 46%, uno dei dati peggiori della storia venezuelana. La rielezione di Maduro verrà contestata nuovamente dagli Stati Uniti e dai loro alleati sudamericani ed europei, trovando, invece, il riconoscimento del resto del mondo. La cerimonia d’inaugurazione del nuovo mandato presidenziale di Maduro si terrà all’interno dell’Assemblea Costituente e non all’interno dell’Assemblea Nazionale ormai esautorata, che dal canto suo disconoscerà l’esito elettorale. Tuttavia, in ossequio a canoni costituzionali, il mandato presidenziale di Maduro inizierà formalmente solo ad inizio 2019, giurando dinnanzi il TSG.

CONCLUSIONI

L’archiviazione delle turbolenze del 2004, accompagnata dall’ascesa del prezzo del petrolio, ha permesso a Chavez di realizzare il suo ambizioso programma sociale, conseguendo anche ottimi risultati economici. Sull’onda del successo, il M5R di Chavez riuscirà anche a conquistare una larghissima maggioranza in Parlamento, che agevolerà l’implementazione della “rivoluzione bolivariana”. La popolarità di Chavez metterà in ombra l’opposizione, che dopo il tentato golpe, preferirà defilarsi, sicura di non riuscire a reggere il confronto elettorale. Dal 2005 in poi, l’opposizione comincerà a perdere il contatto con la realtà socio-politica venezuelana, preferendo catalizzare l’attenzione internazionale contro quello che inizieranno a definire un regime dittatoriale. Tuttavia, malgrado l’impegno profuso, l’opposizione non riuscirà a conquistarsi le simpatie dei governi sudamericani, in gran parte accomunati dalla simpatia nei confronti degli ideali socialisti bolivariani promossi da Chavez. Chavez, infatti, oltre ad intrattenere proficue relazioni con i presidenti di Argentina, Brasile, Bolivia e Ecuador, riuscirà anche a convincere i paesi caraibici a convergere nel progetto regionale dell’ALBA. Sarà proprio la politica estera a rendere il nuovo corso politico venezuelano impostato da Chavez così interessante. Infatti, Chavez riuscì nell’impresa di stravolgere gli equilibri strategici venezuelani, sottraendo il paese al tradizionale controllo degli Stati Uniti, con cui inizierà ad intrattenere rapporti via via sempre più contrastanti. Dualismo che verrà amplificato intrattenendo relazioni particolari con i principali antagonisti strategici di Washington, dalla Russia alla Cina, passando per Cuba, Iran e Libia, con cui condivideva l’antimperialismo americano. Tuttavia, al netto della retorica ostile, il Venezuela continuerà a intrattenere proficue relazioni economiche con gli USA, dove esportava la gran parte del greggio prodotto.

Venezuela Chavez Libia Gheddafi
( L’ex-leader libico Gheddafi e Hugo Chavez )

Ad ogni modo, Washington guarderà con crescente sospetto al nuovo governo chavista, poichè la sua retorica anti-imperialistica stava producendo effetti reali e concreti, rimpiazzandoli i tradizionali fornitori militari USA con altri, fondamentalmente russi. Gli Stati Uniti, infatti, temevano che l’eventualità di un consolidamento strategico russo nel continente sudamericano, avrebbe potuto rendere il Venezuela una minaccia strategica paragonabile a quella posta dalla Cuba di Castro negli anni 60. Minaccia amplificata dall’afflusso di considerevoli investimenti cinesi, potenzialmente in grado di articolarsi in tutto il continente. Anche i legami intrattenuti con l’Iran, e la conseguente ostilità verso Israele, vanno considerati alla luce del deterioramento dei rapporti tra USA e Venezuela. Infatti, il potenziamento dei rapporti con l’Iran sarà una conseguenza del veto che Washington apporrà all’ammodernamento della flotta di F16 venezuelana precedentemente commissionata da Caracas proprio a Israele. Questo sgarbo israeliano, verrà ricambiato stringendo strettissime relazioni con i loro nemici regionali per antonomasia, gli iraniani. Gli USA temono che dietro le relazioni tra Caracas e Teheran si celino torbide manovre finanziarie finalizzate al triangolamento di fondi neri ottenuti da fonti illecite o destinati al sovvenzionamento di attività sovversive o addirittura terroristiche.

Venezuela Chavez Iran Ahmadinejad
( L’ex-Presidente iraniano Ahmadinejad e Hugo Chavez )

Accuse di contiguità con il terrorismo che condizioneranno pesantemente anche i rapporti tra Venezuela e Colombia, avvelenati dal sospetto di un malcelato supporto venezuelano alla guerriglia marxista delle FARC e dell’ELN, con cui Chavez non ha fatto mistero di dialogare. In particolar modo, se è vero che gli USA hanno mantenuto uno strettissimo controllo strategico sul Colombia, è probabilmente verosimile che dietro la guerriglia colombiana si celi la regia di Caracas e l’Havana. Mix strategico che di per se basta a giustificare l’endemica diffidenza tra questi due paesi confinanti, soprattutto dopo l’ascesa al potere di Chavez. Infatti, per comprendere appieno la posta in gioco in Venezuela, è necessario avere un’idea del conflitto che ha attraversato per alcuni decenni la turbolenta realtà colombiana. Conflitto che, al netto della marginalizzazione mediatica, ha vissuto fasi talmente intense, da renderlo vagamente simile a quello afghano. Un contesto fatto di guerriglieri, militari governativi, paramilitari, montagne, interessi strategici stranieri con sullo sfondo gli ingenti interessi derivanti dal narcotraffico. Una realtà che contiamo di approfondire in futuro, dedicando una serie di articoli alla conoscenza della Colombia.

Chavez riuscirà a riconfermarsi Presidente per la terza volta, agevolato da un’opposizione incapace di trovare tra i ranghi dell’oligarchia personalità estranee alle logiche corruttive che a suo tempo avevano contribuito a compattare la realtà sociale venezuelana attorno alla carismatica figura di Hugo Chavez. Limite che spesso ha spinto l’opposizione ad inseguire Chavez sul suo stesso campo, quello socialista, dove, tuttavia, non temeva concorrenza. Chavez, dal canto suo, ha avuto vita semplice, riuscendo ad associare l’opposizione alla vecchia malagestione oligarchica, compromessa con gli Stati Uniti e le istituzioni finanziarie internazionali, responsabili del degrado delle condizioni sociali delle classi medio-basse. Chavez riuscirà ad approfittare del suo largo consenso popolare, per integrare le forze della sua coalizione all’interno del Partito Socialista Unitario (PSUV).
Ad ogni modo, l’amministrazione Chavez riuscirà a mantenere alti livelli consenso grazie agli ingenti proventi petroliferi, garantiti da prezzi per barile significativamente più alti della media degli anni precedenti. Grazie a queste risorse Chavez riuscirà a garantire alti standard sociali, e un celere risanamento dei conti pubblici, riuscendo, addirittura, ad estinguere anticipatamente i debiti contratti con le istituzioni finanziarie internazionali. Non a caso, l’inizio del suo declino politico coinciderà con il calo dei prezzi del petrolio, e la conseguente insostenibilità economica dei suoi estesissimi programmi sociali pubblici.

Nonostante le sue peculiarità politiche, Chavez, replicherà gli errori dei suoi predecessori, non riuscendo a dirottare le ingenti ricchezze petrolifere per sviluppare un tessuto economico alternativo al prevalente, e altamente volatile, settore petrolifero.
La parabola chavista inizierà la sua fase discendente con la bocciatura referendaria della sua seconda riforma costituzionale, sconfitta che galvanizzerà l’opposizione, ridimensionando il potenziale politico del PSUV. L’indebolimento di Chavez, convincerà l’opposizione a ritornare in campo convergendo sulla candidatura presidenziale unitaria di Capriles, figura di rottura, capace di riabilitare l’infida oligarchia liberale agli occhi della classe media. Al culmine di una pragmatica campagna elettorale, Capriles arriverà a sfiorare una clamorosa vittoria su un’ormai esausto Chavez, all’interno di una cornice democratica accreditata di un tasso di affluenza dell’80%. Ad ogni modo, il repentino degrado delle condizioni di salute di Chavez, e la sua dipartita, metteranno a dura prova la tenuta dell’impianto costituzionale del paese, evidenziando il ruolo chiave della Corte costituzionale.

La fine dell’era Chavez conferirà un’opportunità d’oro all’opposizione, favorita dal dibattito relativo alla leadership sorta all’interno del PSUV. Lotta di potere aspra, ma composta, che alla fine vedrà il Vice-Presidente Diosdado Cabello scavalcato da Nicolas Maduro, designato come suo successore dallo stesso Chavez. Malgrado il suo scarso carisma, Maduro riuscirà a battere di misura Capriles, sfruttando il clima di solidarietà conseguente alla dipartita di Chavez, evento che probabilmente ha indotto molti suoi sostenitori a prestare fiducia al suo “ultimo consiglio rivoluzionario”, votando Maduro. Risultato elettorale che susciterà un nuovo ciclo di proteste organizzate dall’opposizione, convinta di essere stata defraudata. In ogni caso, a prescindere dalle valutazioni politiche di parte, l’elezione certificò la netta polarizzazione dell’arena politica venezuelana, configurando una situazione in cui nessuno dei due poli riusciva a prevalere nettamente sull’altro. Ad ogni modo, l’opposizione sfrutterà tale risultato per tentare il tutto per tutto, delegittimando Maduro, organizzando scioperi a ciclo continuo e istigando apertamente i propri sostenitori all’insurrezione. L’avvelenamento del clima politico, si svilupperà parallelamente al calo del prezzo del petrolio, trascinando il paese in una nuova crisi socio-economica. Ben presto, la crisi economica degraderà nuovamente le condizioni sociali venezueane, ripristinando, paradossalmente, il clima che a suo tempo favorì l’ascesa politica di Chavez ai danni dell’oligarchia liberale. Condizioni che convinceranno l’opposizione a recedere dai suoi propositi insurrezionali, sfruttando il malcontento sociale per conquistare la maggioranza parlamentare.

Tuttavia, la fretta di sfiduciare Maduro attraverso un referendum di richiamo, porterà l’opposizione a ricadere nell’antico vizio sovversivo, disconoscendo arbitrariamente il suo mandato presidenziale, e ripudiando persino la Corte costituzionale. Situazione, che metterà ancora una volta alla prova la tenuta dell’architettura costituzionale bolivariana. Maduro, da parte sua, tenterà di risolvere questa nuova crisi costituzionale, invitando l’opposizione a convergere all’interno di un nuovo processo costituzionale. Tuttavia, l’opposizione, intimorita dalla possibilità di perdere la maggioranza parlamentare, si rifiuterà di partecipare all’Assemblea Costituente, rinunciando a conferire la spallata definitiva alla claudicante coalizione chavista, preferendo, ancora una volta, alienarsi dal contesto politico venezuelano. L’approccio sovversivo dell’opposizione farà il gioco del governo, mettendo fuori gioco tutti i suoi possibili leader, impedendogli di designare un candidato capace di sconfiggere un sempre meno popolare Maduro, la cui ricandidatura verrà messa in dubbio fino all’ultimo, dalla possibile discesa in campo di personalità meno impopolari come Diosdado Cabello o Delcy Rodriguez.

L’opposizione si ritroverà a scontare la sua scarsa cultura politica, vizio autoreferenziale antico che impedirà di raccogliere un risultato politico favorevole, inducendola a ricercare una crisi con cui suscitare l’attenzione internazionale, e di cui francamente non avevano affatto bisogno per scardinare la malandata maggioranza chavista. Si, perché nonostante gli indiscutibili sotterfugi predisposti dal governo chavista, quello che è mancato all’opposizione è stata l’audacia di competere nel momento propizio, riuscendo nell’impresa di fare rieleggere un Maduro oramai alla frutta. I fatti dicono che il maggiore nemico dell’opposizione non è tanto Maduro, ma la stessa opposizione. Infatti, l’opposizione venezuelana sconta una grave carenza di pragmatismo, che la ha indotta a delegittimare in toto il chavismo, associandolo tout court alla scialba figura di Maduro. Pensare di liquidare il chavismo, semplicemente rimuovendo Maduro è un proposito utopistico, giacché anche nella peggiore delle ipotesi, rimane comunque espressione di una cospicua minoranza politica, le cui prospettive prescindono il futuro politico di Maduro. L’elettorato chiavista va dunque rispettato, battendolo sul piano democratico, evitando di subordinare la risoluzione di quella che è una crisi politica alle logiche geopolitiche, rischiando di trasformare il Venezuela nel teatro di un nuovo episodio del conflitto strategico tra Stati Uniti e Russia. Conflitto che potrebbe riaccendere il conflitto colombiano o, addirittura, prenderne le sembianze. Quello che urge a tutte le forze venezuelane è il ripristino di una sana cultura democratica che inibisca l’approccio autoreferenziale unilaterale comune sia al blocco chavista che all’opposizione, carenza che li ha abituati a disconoscersi reciprocamente.

PS:

Quest’ultimo articolo completa il focus dedicato alla conoscenza della realtà venezuelana, e con cui speriamo di aver fornito un quadro semplice e generale a chi conosce poco o nulla la realtà di questo importante paese sudamericano. Abbiamo provato a sintetizzare informazioni che riteniamo essenziali per costruirsi autonomamente una propria idea sugli eventi che stanno alla base della recente crisi venezuelana.