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LA CRISI IN VENEZUELA

Dopo aver dedicato 4 articoli alla conoscenza della storia del Venezuela, adesso proviamo a focalizzarci sull’attuale crisi venezuelana, ripercorrendone le tappe fondamentali, dall’origine, precedentemente approfondita, fino agli sviluppi più recenti.

Con questo nuovo articolo intendiamo fornire informazioni generali sulla crisi che attanaglia questo importante paese latinoamericano a chi magari conosce poco i motivi che stanno alla base di questa disputa politica, e vorrebbe capirci qualcosa di più, rispetto ai sintetici, e talvolta alquanto parziali, servizi diffusi dai mass-media. Ad ogni modo, coloro i quali desiderassero approfondire l’argomento, raccomandiamo la lettura dei 4 articoli dedicati alla conoscenza del Venezuela.

L’ORIGINE DELLA CRISI VENEZUELANA

Come abbiamo potuto costatare nell’ultimo capitolo dedicato alla conoscenza del Venezuela, l’opposizione ha delegittimato il Presidente Maduro fin da prima che questo fosse eletto nel 2014, quando verrà addirittura accusato di non essere cittadino venezuelano. Nel 2015, le principali forze di opposizione di centro-sinistra coalizzate sotto la sigla della “Tavola Rotonda Democratica” (MUD) conquistarono la maggioranza parlamentare, mettendo in crisi l’egemonia del Partito Socialista (PSUV) di Chavez all’interno dell’Assemblea Nazionale. Nello specifico, a fronte di un’affluenza del 74%, il MUD conquisterà il 56%, ottenendo 109 seggi parlamentari, mentre la coalizione chavista del Grande Polo Patriottico Bolivariano (GPPSB) acquisirà il 40% dei consensi, ottenendo 55 seggi. Il verdetto elettorale, riconosciuto dal Presidente Maduro, verrà accolto con particolare enfasi dal leader dell’opposizione Capriles.
Ad ogni modo, successivamente alla tornata elettorale, il Tribunale Supremo di Giustizia (TSG) rileverà alcune irregolarità nello stato dell’Amazonas, disponendo la sospensione dei quattro deputati locali eletti, di cui uno appartenente al PSUV e tre al MUD. Il provvedimento del TSG, pur non incidendo sulla maggioranza parlamentare, verrà ugualmente contestato dal MUD come una manovra politica utile al governo.
Nel 2016, l’opposizione del MUD si appellerà all’Art 72 della costituzione bolivariana per attivare l’iter referendario per la revoca del mandato presidenziale di Maduro.

Articolo 72:
“Tutte le cariche e le magistrature di elezione popolare sono revocabili.
Trascorsa la metà del periodo per il quale è stato/a eletto/a il/la funzionario/a, un numero non minore del venti per cento degli elettori iscritti o delle elettrici iscritte nella corrispondente circoscrizione può richiedere la convocazione di un referendum per revocare il suo mandato.
Quando un numero uguale o maggiore di elettori/trici che elessero il funzionario o funzionaria abbia votato a favore della revoca, sempre che abbia partecipato al referendum un numero di elettori/trici uguale o superiore al venticinque per cento degli/elle elettori/trici iscritti/e, il mandato si considera revocato e si procederà immediatamente a colmare la mancanza in conformità a quanto disposto da questa Costituzione e dalla legge.
La revoca del mandato per i corpi collegiali si attua in conformità con quanto stabilito dalla legge.
Durante il periodo per il quale è stato eletto il/la funzionario/a non si può inoltrare più di una richiesta di revoca del suo mandato.”

L’INSUBORDINAZIONE PARLAMENTARE

L’iter referendario avanzerà fino al 2017, quando verrà bloccato dalla rilevazione di alcuni vizi procedurali da parte del Consiglio Elettorale Nazionale. Disposizione che indisporrà le forze di opposizione, inducendole ad organizzare una serie di manifestazioni anti-governative culminate in feroci scontri con le forze dell’ordine. In questo clima infuocato, Capriles arriverà a minacciare di assaltare il palazzo presidenziale, per prendere il potere con la forza. La crisi politica continuerà ad aggravarsi nonostante la fallimentare mediazione avanzata dal Vaticano. Ben presto, il MUD deciderà di disconoscere la Presidenza di Nicolas Maduro, bloccando i lavori parlamentari. L’insubordinazione dell’Assemblea Nazionale controllata dall’opposizione, susciterà l’intervento del TSG, che dopo aver censurato l’atteggiamento ostruttivo della maggioranza parlamentate, sbloccherà la situazione, assumendo provvisoriamente le funzioni legislative impedite dalla coalizione del MUD fino a quando questa non si fosse decisa ad assolvere ai suoi doveri istituzionali, riconoscendo la legittimità del Presidente della Repubblica Maduro.

Dal canto suo, il Presidente dell’Assemblea Nazionale Julio Borges denuncerà il provvedimento del TSG come un colpo di stato, esortando l’esercito a rovesciare il governo, cercando contemporaneamente la solidarietà della comunità internazionale. Ad ogni modo, il giorno dopo, il TSG asseconderà gli inviti del governo, ripristinando le funzioni legislative dell’Assemblea Nazionale. Tuttavia, malgrado la revoca dei provvedimenti restrittivi, l’opposizione continuerà a disconoscere il governo di Maduro, denunciando la parzialità politica del TSG. La maggioranza dell’Assemblea Nazionale, in mancanza di una maggioranza qualificata dei 2/3, si ritroverà nelle condizioni di non riuscire ad invocare l’Art 265, che permette la rimozione dei giudici del TSG accusati di essere contigui al governo di Maduro, preferendo disconoscerne unilateralmente la legittimità, eleggendo un proprio TSG composto da giudici politicamente contigui alle forze di opposizione.

Articolo 265
I magistrati del Tribunale Supremo di Giustizia possono essere rimossi dall’Assemblea Nazionale a maggioranza qualificata dei due terzi dei suoi membri, previa udienza concessa all’interessato, in caso di errori gravi già qualificati dal Potere popolare, nei termini stabiliti dalla legge.

UNA COSTITUENTE PER RICOMPORRE LA CRISI COSTITUZIONALE

L’atteggiamento del MUD trasformerà così una crisi politica in una crisi costituzionale, a cui il Presidente Maduro tenterà di porre rimedio appellandosi all’Art 347 della costituzione, invitando l’opposizione a convergere all’interno di un processo di riforma costituzionale con cui risolvere l’impasse venutasi a creare.

Articolo 347:
“Il popolo del Venezuela è il depositario del potere costituente originario. In esercizio di detto potere, può convocare una Assemblea Nazionale Costituente con l’oggetto di trasformare lo Stato, creare un nuovo ordinamento giuridico e redigere una nuova Costituzione.”

Tuttavia, l’invito del Presidente verrà rigettato dal MUD come un subdolo tentativo di Maduro di mantenersi indefinitivamente al potere, esautorando l’Assemblea Nazionale. Ad ogni modo, nonostante il rifiuto dell’opposizione, il governo otterrà comunque dal Consiglio Elettorale Nazionale l’attivazione dell’iter per l’elezione di un’Assemblea Costituente, che l’opposizione deciderà testardamente di boicottare, consegnando la quasi totalità dei seggi alla coalizione governativa del GPPSB di Maduro. La nuova Assemblea Costituente verrà legittimata da un’affluenza del 41%, dato che l’opposizione riterrà addirittura più basso di quello formalmente accreditato. L’elezione dell’Assemblea Costituente susciterà reazioni contrastanti all’interno della comunità internazionale, dal riconoscimento dei paesi dell’ALBA, Bolivia, Cina, Cuba, Ecuador, Nicaragua, Russia, Siria, al disconoscimento di Argentina, Canada, Colombia, Unione Europea, Messico, Panama, Perù, Spagna e USA.

Presidente Venezuela Maduro Costituzione bolivariana
( Il Presidente del Venezuela Maduro con la Costituzione bolivariana )

L’Assemblea Costituente controllata dal GPPSB si insedierà nell’estate del 2017 all’interno dei locali dell’Assemblea Nazionale sotto la presidenza dell’ex Ministro degli esteri Delcy Rodriguez. Pochi giorni dopo, un elicottero della polizia operato da alcuni ribelli capeggiati da Oscar Perez, personalità contigua ad ambienti dell’opposizione, bersaglierà le sedi del Ministero dell’Interno e del TSG come atto dimostrativo contro la nuova Assemblea Costituente. L’attacco terroristico verrà condannato dal Presidente Maduro e da molti governi della regione. Qualche giorno dopo, il Presidente dell’Assemblea Nazionale Julio Borges tornerà ad esorterà dall’emiciclo parlamentare l’esercito a rovesciare il governo. Successivamente a questo appello al golpe, un nutrito gruppo di Collectivos filo-governativi prenderà d’assalto il parlamento, costringendo i membri dell’opposizione a fuggire precipitosamente. L’opposizione denuncerà la scarsa tempestività delle forze dell’ordine nel reagire all’assalto dei Collectivos, la cui iniziativa verrà condannata anche dal Presidente Maduro. Una volta insediatasi, l’Assemblea Costituente rivendicò la propria supremazia istituzionale nei confronti dell’Assemblea Nazionale in materia di pace, sicurezza ed economia, assumendone la potestà legislativa. Successivamente a questa iniziativa, peraltro già vista durante la riforma costituzionale predisposta da Chavez, la costituente esorterà il Parlamento ad astenersi dal predisporre iniziative atte ad intralciare i suoi lavori. L’Assemblea Nazionale reagirà a questi provvedimenti ribadendo il disconoscimento della legittimità dell’Assemblea Costituente e del governo presieduto da Nicolas Maduro. A livello internazionale, la gran parte dei paesi sudamericani riuniti nel “Gruppo di Lima” annunceranno l’intenzione di non riconoscere l’esito delle prossime elezioni presidenziali venezuelane, giudicate carenti sotto il profilo delle garanzie democratiche.

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 2018

Parte dell’opposizione sembrerà tornare all’interno dell’arco costituzionale, partecipando alle elezioni regionali di Ottobre, in cui, tuttavia, riuscirà a conquistare solo 5 governatorati su 22, avanzando accuse di brogli elettorali. L’opposizione criticherà soprattutto i vincoli posti alla candidatura di alcuni dei suoi principali esponenti responsabili delle violente proteste dei mesi precedenti. Successivamente alla tornata elettorale, quattro dei governatorati eletti tra le fila dell’opposizione del MUD, decideranno di riconoscere l’Assemblea Costituente, recedendo dall’intenzione di non farlo.
All’inizio del 2018, le principali forze di opposizione coalizzate nel MUD decideranno di boicottare anche le elezioni presidenziali, denunciando la carenza di garanzie democratiche. Scelta condizionata anche dall’incandidabilità politica di alcuni dei loro principali leader, in gran parte condannati per corruzione, insurrezione, violenza o istigazione a delinquere. Queste drastica decisione, susciterà l’allontanamento di Azione Democratica (AD), intenzionata a prendere parte alla tornata elettorale, candidando il suo leader Henry Ramos Allup. La scelta di AD verrà aspramente criticata dal resto del MUD, come una forma di legittimazione di quello che iniziarono a definire come un regime autocratico.

Anche all’interno del PSUV il clima politico fermenterà, arrivando a mettere in dubbio fino all’ultimo la ricandidatura di Maduro, ipotizzando la candidatura di una personalità meno compromessa, come quella di Delcy Rodriguez, Diosdado Cabello o Tareck el-Assiami. Ad ogni modo, durante la campagna elettorale, Maduro pur disconoscendo l’esistenza di una crisi umanitaria del paese, riconoscerà la necessità di riformare l’economia, a suo dire danneggiata da una guerra economica orchestrata dagli USA a suon di sanzioni, e implementata grazie alla collaborazione dell’oligarchia liberale venezuelana, a suo dire rea di aumentare i prezzi o addirittura di rendere irreperibili alcuni beni di consumo. Maduro contesterà all’opposizione le richieste di ulteriori sanzioni contro il proprio paese inoltrate al governo statunitense, rimarcando come questo atteggiamento contraddittorio non intaccasse il loro opulento stile di vita, sostanzialmente immune alle conseguenze prodotte sulle classi popolari.

Presidente Vanezuela Maduro Diosdado Cabello Generale Padrino Assemblea Nazionale
( Il Presidente del Venezuela Maduro con Diosdado Cabello e il Generale Padrino all’Assemblea Nazionale )

Ad ogni modo, le elezioni del 20 Maggio 2018, riconfermeranno Maduro alla presidenza della repubblica con il 67%, contro il 20% di Henri Falcon, il principale sfidante dell’opposizione rimasta aperta al confronto democratico con il fronte chavista. Elezioni legittimate da un affluenza del 46%, uno dei dati più bassi della storia venezuelana, determinato dal boicottaggio delle principali formazioni di opposizione.
Il risultato elettorale verrà disconosciuto dall’opposizione riunita all’interno dell’Assemblea Nazionale, dai paesi del Gruppo di Lima, oltre che da Stati Uniti e Unione Europea, promotrici di una serie di sanzioni nei confronti del governo di Maduro. Elezioni che invece incontreranno il riconoscimento di Bielorussia, Bolivia, Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Iran, Russia, Siria, Sud Africa, Turchia e Vietnam, oltre che dai paesi caraibici del blocco ALBA. Due giorni dopo le elezioni, Maduro presterà giuramento dinnanzi all’Assemblea Costituente, in una cerimonia preliminare a quella ufficiale, che si terrà il 10 Gennaio 2019 dinnanzi il TSG, in conformità con le prescrizioni dell’Art 231 della costituzione.

Articolo 231
“Il candidato eletto prende possesso dell’incarico di Presidente della Repubblica il dieci di gennaio del primo anno del suo mandato costituzionale, prestando giuramento dinanzi all’Assemblea Nazionale. Se per qualsiasi motivo sopravvenuto il Presidente della Repubblica non possa prendere possesso dinanzi all’Assemblea Nazionale, lo fa dinanzi al Tribunale Supremo di Giustizia.”

Pochi mesi dopo le elezioni presidenziali, dopo un fallimentare attentato contro il Presidente Maduro, una delegazione venezuelana si recherà nel Regno Unito per chiedere il rimpatrio delle riserve auree depositate presso la banca centrale britannica, ottenendo, tuttavia, un secco rifiuto, presumibilmente condizionato dalla volontà statunitense di congelare gli asset finanziari venezuelani all’estero, sottraendoli alla disponibilità del governo di Maduro. In quell’occasione, Maduro redarguirà l’ipocrisia del governo di sua maestà, reo di privare il popolo venezuelano delle risorse utili ad affrontare la crisi umanitaria oggetto della loro retorica internazionale.

IL GOLPE ISTITUZIONALE DI GUAIDO’

Ad ogni modo, il 5 Gennaio, prima dell’insediamento ufficiale di Maduro dinnanzi al TSG, l’opposizione, che dal 2015 aveva ruotato ogni anno la presidenza dell’Assemblea Nazionale tra gli esponenti delle principali forze della coalizione MUD, nominerà Juan Guaidò nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale. Guaidò, un giovane ingegnere di origini borghesi, specializzatosi negli Stati Uniti, ed eletto deputato nel 2015 tra le fila del partito Volontà Popolare guidato da Leopoldo Lopez, agli arresti domiciliari per corruzione, appropriazione indebita di fondi, cospirazione e istigazione a delinquere. La nomina di Guaidò a Presidente dell’Assemblea Nazionale verrà preceduta da un suo viaggio negli Stati Uniti, e da una visita in Colombia dove assisterà ad una riunione del Gruppo di Lima. Successivamente all’insediamento ufficiale di Maduro, Guaidò denuncerà come illegittimo il suo mandato presidenziale, definendolo un usurpatore. Il 23 Gennaio, Guaidò, parteciperà ad una manifestazione che ricordava il rovesciamento della dittatura di Marcos Perez Jimenez, da dove si autoproclamerà Presidente ad interim del Venezuela, facendo appello agli articoli 233, 333 e 350.

Articolo 233
“Sono cause di impedimento permanente del Presidente della Repubblica: la morte, la rinuncia, o la destituzione decretata con sentenza dal Tribunale Supremo di Giustizia; l’incapacità fisica o mentale permanente accertata da una commissione medica designata dal Tribunale Supremo di Giustizia e con l’approvazione dell’Assemblea Nazionale; l’abbandono dell’incarico, dichiarato come tale dall’Assemblea Nazionale, e la revoca popolare del suo mandato.
Quando si realizza una causa di impedimento permanente del Presidente eletto prima che questi abbia preso possesso dell’incarico, si procede ad una nuova elezione a suffragio universale, diretto e segreto entro i trenta giorni consecutivi seguenti. Mentre si procede all’elezione ed in attesa della presa di possesso dell’incarico del nuovo Presidente, il Presidente dell’Assemblea Nazionale svolge funzioni di Presidente della Repubblica.
Se si realizza una causa di impedimento permanente del Presidente della Repubblica durante i primi quattro anni del periodo costituzionale, si procede ad una nuova elezione a suffragio universale e diretto entro i trenta giorni consecutivi seguenti. Mentre si procede all’elezione ed in attesa della presa di possesso dell’incarico del nuovo Presidente, il Vicepresidente Esecutivo svolge funzioni di Presidente della Repubblica.
Nei casi sopra citati il nuovo Presidente completerà il periodo costituzionale corrispondente.
Se la causa di impedimento permanente si produce durante gli ultimi due anni del mandato costituzionale, il Vicepresidente Esecutivo assume la Presidenza della Repubblica fino al suo completamento.”
Articolo 333
“Questa Costituzione non perde la sua validità se non osservata con atto di forza o se abrogata con qualsiasi altro mezzo diverso da quanto dalla stessa previsto.
In tale eventualità, ogni cittadino investito o meno di autorità, ha il dovere di collaborare al ristabilimento della sua effettiva validità.”
Articolo 350
“Il popolo del Venezuela, fedele alla sua tradizione repubblicana, alla sua lotta per l’indipendenza, la pace e la libertà, rifiuta qualunque regime, legislazione o autorità che sia contraria ai valori, principi e garanzie democratiche o diminuisca i diritti umani.”
Guaidò Presidente interim Venezuela golpe costituzione
( Juan Guaidò si autoproclama presidente del Venzuela in piazza )

L’iniziativa di Guaidò, sostenuta e riconosciuta immediatamente da USA, Brasile, Canada e Colombia, verrà condannata dal Presidente Maduro come un tentativo di colpo di stato organizzato dagli Stati Uniti con l’ausilio di un “gruppo di ragazzini” immaturi. Iniziativa, la cui incostituzionalità verrà rilevata anche dal TSG. Successivamente, Guaidò emulerà il suo predecessore Borges, offrendo un’amnistia ai militari che accettassero di rovesciare il governo di Maduro. Malgrado la censura del TSG, l’Assemblea Nazionale emanerà uno statuto di transizione verso la democrazia, finalizzato al ripristino della costituzione bolivariana. Lo statuto ratificherà l’interim presidenziale di Guaidò fino all’elezione di un nuovo presidente, attribuendo all’Assemblea Nazionale la governance del complesso petrolifero pubblico.

LA TENTATA INVASIONE UMANITARIA

Subito dopo, l’autoproclamato presidente golpista Guaidò proclamerà l’esistenza di una crisi umanitaria, richiedendo assistenza internazionale. Iniziativa che rimarrà inascoltata a causa del mancato riconoscimento dell’autorità di Guaidò da parte delle forze armate, risolute nel non tradire la difesa delle istituzioni venezuelane subordinate al governo del Presidente Maduro, che disporrà il divieto di accesso ai convogli umanitari giunti alle frontiere con il Brasile e la Colombia. Convogli con cui Guaidò contava di giustificare il forzamento dei confini venezuelani con la complicità dei governi compiacenti di Colombia e Brasile. Dinnanzi al disconoscimento delle forze armate, Guaidò reagirà lanciando loro un ultimatum a subordinarsi alla sua autorità entro il 23 Febbraio, senza, tuttavia, riuscire a convincere l’esercito a sollevarsi contro il governo di Maduro. Successivamente, Guaidò si recherà segretamente in Colombia, avvalendosi della collaborazione del Presidente colombiano Dunque, tentando inutilmente di forzare i confini venezuelani alla guida di un convoglio umanitario non autorizzato dal governo di Caracas. Il fallimento dell’operazione umanitaria organizzato dall’opposizione di Guaidò incontrerà la solidarietà degli Stati Uniti, che per voce del Vice-Presidente Pence, minaccerà di invadere il Venezuela per rovesciare il governo di Maduro. Tuttavia, l’ipotesi militare paventata dagli USA, incontrerà le critiche dei loro alleati europei, e la freddezza dei paesi della regione come il Brasile, per nulla intenzionati a concretizzare la loro retorica anti-Maduro. L’aggressività statunitense susciterà l’espulsione del personale diplomatico americano da Caracas, e la sua conseguente evacuazione dal paese.

Guaidò Venezuela aiuti umanitari colombia
( Guaidò tenta di forzare i confini alla guida del convoglio umanitario )

Nel mese di Marzo la crisi politica venezuelana verrà amplificata sul piano sociale da una serie di controversi blackout energetici, che l’opposizione addebiterà alla mancata manutenzione della rete elettrica garantita dal governo, che dal canto suo, denuncerà la situazione come l’esito di un sabotaggio su larga scala predisposto dall’opposizione al fine di destabilizzare l’ordine interno del paese. A margine della crisi energetica, l’Assemblea Nazionale voterà una forte riduzione delle esportazioni petrolifere verso Cuba, tuttavia, il provvedimento verrà disatteso come del resto tutti gli altri, a causa del disconoscimento della sua autorità da parte di tutti gli organi competenti. Queste dinamiche, verranno seguite pochi giorni dopo dalla revoca dell’immunità parlamentare di Guaidò, accusato di non aver specificato la provenienza dei fondi utilizzati per i suoi spostamenti in Sudamerica.

LA FARSA DEL GOLPE SEMI-ISTITUZIONALE

Il 30 Aprile, Guaidò tenterà un nuovo colpo di mano, convincendo alcuni militari a liberare dagli arresti domiciliari Leopoldo Lopez, il leader di Volontà Popolare, il partito di cui lo stesso Presidente dell’Assemblea Nazionale è membro. I due leader si faranno immortalare all’alba nei pressi della base militare “La Carlota” circondati da uno sparuto manipolo di militari golpisti, incitando sui social network i loro sostenitori a scendere per strada a sostegno di quella che definivano “Operazione Libertà”. In quel frangente, gli USA ventileranno la notizia di una falsa fuga del Presidente Maduro verso Cuba, fake news smentita poche ore dopo, quando l’opposizione riscontrerà il fallimento del colpo di mano, condannato dal mancato supporto delle forze armate, risolutamente rimaste a garanzia dell’ordine costituzionale rappresentato dal governo del Presidente Maduro. Il fallimento dell’Operazione Libertà costringerà il pregiudicato Leopoldo Lopez a rifugiarsi presso l’ambasciata spagnola a Caracas per non rispondere della sua evasione alle autorità giudiziarie venezuelane che gli avevano precedentemente accordato gli arresti domiciliari. Il fallimento del colpo di mano promosso da Guaidò degraderà al sua credibilità politica e la base di consenso dell’opposizione, convincendola a riconsiderare l’idea di avviare negoziati con emissari del governo di Maduro, con cui, almeno fino a qualche giorno fa, si incontrava in Norvegia.

Guaidò si ritroverà presidente virtuale, riconosciuto solo da alcuni governi stranieri acriticamente allineati sulle posizioni degli Stati Uniti. L’Italia, sebbene alleata degli USA, manterrà una posizione equidistante, evitando di riconoscere sia Maduro che Guaidò, smarcandosi dall’indirizzo prevalente tra i ranghi dei suoi alleati NATO. Ad ogni modo, la legittimità di Maduro verrà riconfermata dai paesi amici come Cuba, Russia, Cina e Iran, alcuni dei quali invieranno consulenti militari a supporto del dispositivo di difesa venezuelano minacciato dagli Stati Uniti. Solidarietà che verrà garantita anche dai guerriglieri colombiani dell’ELN. Dal canto suo, l’opposizione ventilerà l’opportunità di autorizzare l’invasione del paese da parte degli Stati Uniti al fine di scongiurare possibili crimini contro l’umanità. Secondo gli Stati Uniti in Venezuela opererebbero circa 15.000 militari cubani inquadrati a difesa del governo del Presidente Maduro. L’amministrazione Trump arriverà persino a minacciare di intensificare l’embargo su Cuba, in caso di mancato disimpegno delle truppe de l’Havana. Situazione aggravata dall’arrivo di un contingente militare russo, accompagnato da 35 tonnellate di materiale militare inquadrato normativamente all’interno di un accordo di cooperazione militare stipulato dal precedente Presidente Hugo Chavez e Putin.

RIFLESSIONI SULLE ORIGINI DELLA CRISI POLITICA

Chi ha letto i nostri precedenti articoli dedicati alla conoscenza della storia venezuelana, comprende bene che l’origine dell’odierna crisi affonda le sue radici nella seconda parte dello scorso secolo, quando l’oligarchia colombiana asseconderà le pressioni USA, impedendo ai partiti di estrazione socialista di partecipare alla vita politica del paese, inducendoli a radicalizzarsi sulle posizioni rivoluzionarie della Cuba di Fidel Castro. L’isolamento dei partiti socialisti non interesserà particolarmente le masse venezuelane, il cui alto tenore di vita era sostenuto da un’economia pubblica trainata dalle ricche esportazioni petrolifere. Solo conseguentemente al repentino calo dei prezzi del petrolio i partiti dell’orbita socialista riusciranno a catalizzare l’attenzione dei ceti popolari colpiti dalle misure draconiane che i governi espressione del duopolio oligarchico AD-COPEI predisporranno su indicazione degli USA e delle istituzioni finanziarie internazionali. Tuttavia, questa situazione di degrado sociale non verrà intercettata dal Partito Comunista Venezuelano (PCV), ma da un gruppo di ufficiali animati dagli ideali social-patriottici del libertadores Simon Bolivar. Questi ufficiali riusciranno ad intercettare il malcontento sociale della masse popolari sfruttando le indiscutibili qualità retoriche di Hugo Chavez. In quel frangente storico, le masse venezuelane identificarono l’oligarchia liberale alle loro degradate condizioni sociali, simpatizzando per i militari del movimento bolivariano di Chavez, nella speranza di poter rimediare a questo insoddisfacente stato di cose.

L’inadeguatezza dell’oligarchia liberale renderà insostenibili i vecchi equilibri politici che le masse scardineranno permettendo ad una formazione socialista di conquistarsi quello spazio che per decenni era stato risolutamente negato dall’establishment venezuelano. La volontà di cambiamento delle masse venezuelane capovolgerà i rapporti di forza all’interno dello scenario politico, soppiantando la vecchia classe dirigente liberale con una nuova classe dirigente, caratterizzata da una visione della politica e dell’economia a cui l’establishment oligarchico non era affatto abituato. Lo spiazzamento dell’oligarchia liberale sarà un’inevitabile conseguenza della scarsa cultura politica dei suoi leader, convinti di poter perpetuare indefinitivamente il loro ordine autoreferenziale, illudendosi di poter continuare a negare un ruolo politico alle formazioni socialiste all’interno dell’arena politica venezuelana. Quest’illusione autoreferenziale non verrà abbandonata nemmeno dopo l’elezione di Chavez, e indurrà l’opposizione sostenuta dall’oligarchia liberale e dagli Stati Uniti a far deragliare il corso politico venezuelano fuori da binari democratici, disconoscendo la legittimità del mandato popolare di Chavez, predisponendo un effimero colpo di stato, naufragato sotto la fortissima pressione popolare.

L’opposizione compromessa con il fallito golpe di Carmona, degraderà la sua posizione puntando sulla leadership di Leopoldo Lopez, un giovane rampollo dell’oligarchia venezuelana accusato di corruzione. Ben presto, l’opposizione si renderà conto della necessità di cambiare registro, tentando addirittura di inseguire Chavez sul suo terreno, quello socialista, promuovendo all’elettorato una serie di programmi di centro-sinistra, con cui riusciranno ad erodere progressivamente la base di consenso del PSUV di Chavez. Questo approccio porterà l’opposizione guidata da Capriles ad un passo dalla vittoria su di un’ormai esausto Chavez. Tuttavia, l’impazienza di vincere, dilapiderà il capitale politico faticosamente riconquistato dall’opposizione, inducendola a forzare la situazione, delegittimando sia il fronte chavista che le istituzioni giudiziarie, contribuendo a destabilizzare nuovamente il clima politico venezuelano. Arroganza che porterà l’opposizione a delegittimare a priori la candidatura di Nicolas Maduro, sostenendo la tesi di una sua presunta, e mai dimostrata, cittadinanza colombiana. Notizie false, che con ogni probabilità indurranno molti elettori a vittimizzare lo scialbo Maduro, catalizzando su di lui la solidarietà degli indecisi, vero ago della bilancia dell’elezioni del 2014.

Successivamente alla nuova sconfitta di Capriles, l’opposizione cederà ai suoi antichi vizi autoreferenziali, denunciando brogli e organizzando una serie di violente proteste, accompagnate da azioni di sabotaggio della rete elettrica. Tuttavia, i numerosi appelli all’insurrezione lanciati dall’opposizione riusciranno solo a pregiudicare la posizione giuridica di molti dei suoi leader, rendendoli incandidabili, come nel caso di Leopoldo Lopez e di molti altri. L’indisciplina democratica dell’opposizione arriverà a minacciare persino l’ordine costituzionale, soprattutto dopo che l’opposizione parlamentare si rifiuterà di riconoscere la legittimità del primo mandato presidenziale di Maduro. Il clima politico avvelenato dall’opposizione verrà amplificato sul piano sociale dal calo del prezzo del petrolio e dal conseguente degrado delle prospettive economiche venezuelane, storicamente dipendenti dall’andamento del mercato petrolifero. Degrado socio-economico che permetterà all’opposizione unita sotto la sigla del MUD di strappare al fronte chavista la maggioranza dell’Assemblea Nazionale. Malgrado la vittoria, l’opposizione persevererà sullo scontro istituzionale, criticando l’operato del TSG e promuovendo un referendum per la revoca del mandato presidenziale di Maduro. La bocciatura dell’iniziativa dell’opposizione radicalizzerà ulteriormente le sue posizioni, inducendo Capriles a minacciare persino un assalto a Palazzo Miraflores, riaprendo il frame golpista del 2002.

Le minaccia dell’opposizione di rovesciare l’ordine costituzionale si realizzerà quando l’Assemblea Nazionale disconoscerà il Presidente Maduro, bloccando i lavori parlamentari, provocando uno stallo istituzionale. L’insubordinazione parlamentare bloccherà il Venezuela, costringendo il TSG ad intervenire, assumendo provvisoriamente le funzioni legislative disattese dalla maggioranza del MUD. Intervento che verrà strumentalizzato ancora una volta dall’opposizione, decisa a distruggere l’ordine costituzionale del paese, disconoscendo anche la legittimità del TSG, sostituito con un Tribunale composto da giudici sovversivi politicamente a loro contigui. Con quest’ultimo atto di insubordinazione l’opposizione trasformerà una crisi politica in una crisi costituzionale, a cui il governo di Maduro tenterà di porre rimedio invitando l’opposizione a convergere all’interno di un processo di revisione costituzionale, ottenendo in cambio un netto rifiuto. Rigettando l’invito di partecipare all’elezione dell’Assemblea Costituente, l’opposizione prederà un’opportunità d’oro per sconfiggere sul piano democratico un ormai debolissimo Maduro. Infatti, l’elezione dell’Assemblea Costituente, interamente dominata dal GPPSB, verrà legittimata da un’affluenza del 41%, un dato bassissimo, espressione del potenziale elettorale del solo fronte chavista, divenuto minoranza nel paese.

L’inadeguatezza e lo scarso pragmatismo della classe dirigente dell’opposizione impedirà al MUD di conquistare la maggioranza dell’Assemblea Costituente, vanificando una vittoria già scritta. La scelta di alienarsi dall’arena politica e di disconoscere la dignità politica dei loro claudicanti avversari, oltre a privare l’opposizione di una facile vittoria, la obbligherà a giocarsi la partita ben al di fuori del contesto istituzionale, permettendo al governo chavista di criminalizzarla. Probabilmente, l’establishment del MUD puntava proprio a questo, a vittimizzarsi dinnanzi alla comunità internazionale, sperando di coinvolgerla nel rovesciamento di un fronte chavista decisamente sopravvalutato. Ad ogni modo, ponendosi fuori dal contesto istituzionale, l’opposizione sprecherà il suo preponderante potenziale politico per azzardare un’insostenibile scontro diretto con un governo politicamente debole, ma sostenuto delle forze armate. Sulla base di questi presupposti, amplificati dalla paura di perdere, l’opposizione boicotterà anche il match-point delle presidenziali del 2018, consegnando a Maduro una presidenza che difficilmente avrebbe potuto riconquistare competendo con un vero avversario. Deduzione, facilmente intuibile considerando il tasso di affluenza del 46% raccolto da Maduro e dai suoi deboli sfidanti di circostanza. Anche se probabilmente la scelta di boicottare le presidenziali sarà anche dovuto alle difficoltà delle forze di opposizione di convergere in tempo utile su di una figura rappresentativa di tutte le anime del MUD, con cui tentare di accattivarsi le simpatie popolari. La mancanza di un leader carismatico forte rappresenterà una lacuna verosimilmente determinata dalle ambizioni coltivate dai principali movimenti di opposizione, tenuti insieme solo dalla comune volontà di rovesciare il governo di Maduro. Lacuna che proveranno a colmare designando Guaidò come Presidente dell’Assemblea Nazionale, anche se in realtà la sua rilevanza politica effettiva all’interno della gerarchia del MUD é decisamente relativa.

L’ANALISI DELLE PRETESE COSTITUZIONALI DELL’OPPOSIZIONE

Conseguentemente a alle elezioni presidenziali, l’opposizione tornerà a giocare sul piano istituzionale, sostenendo la tesi dell’incostituzionalità dell’insediamento presidenziale di Maduro, reo di non aver giurato dinnanzi all’Assemblea Nazionale. Tuttavia, le obiezioni dell’opposizione cadono semplicemente prendendo in considerazione l’Art 231 della costituzione bolivariana che l’opposizione sostiene di voler ripristinare, secondo cui:

Articolo 231
“Il candidato eletto prende possesso dell’incarico di Presidente della Repubblica il dieci di gennaio del primo anno del suo mandato costituzionale, prestando giuramento dinanzi all’Assemblea Nazionale. Se per qualsiasi motivo sopravvenuto il Presidente della Repubblica non possa prendere possesso dinanzi all’Assemblea Nazionale, lo fa dinanzi al Tribunale Supremo di Giustizia.”

Analizzando l’articolo in questione, è facile desumere l’inconsistenza delle rivendicazioni dell’opposizione, dal momento che Maduro, in qualità di Presidente eletto in conformità con i canoni costituzionali, prende regolarmente possesso dell’incarico entro i termini prescritti dinnanzi al TSG, a causa dell’insubordinazione dell’Assemblea Nazionale.
Venuta meno questa prima pretesa, l’opposizione sosterrà il diritto del Presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidò di rivendicare l’interim presidenziale, appellandosi agli articoli costituzionali numero 233, 333 e 350, su cui vale la pena soffermarsi.

Articolo 233
“Sono cause di impedimento permanente del Presidente della Repubblica: la morte, la rinuncia, o la destituzione decretata con sentenza dal Tribunale Supremo di Giustizia; l’incapacità fisica o mentale permanente accertata da una commissione medica designata dal Tribunale Supremo di Giustizia e con l’approvazione dell’Assemblea Nazionale; l’abbandono dell’incarico, dichiarato come tale dall’Assemblea Nazionale, e la revoca popolare del suo mandato.
Quando si realizza una causa di impedimento permanente del Presidente eletto prima che questi abbia preso possesso dell’incarico, si procede ad una nuova elezione a suffragio universale, diretto e segreto entro i trenta giorni consecutivi seguenti. Mentre si procede all’elezione ed in attesa della presa di possesso dell’incarico del nuovo Presidente, il Presidente dell’Assemblea Nazionale svolge funzioni di Presidente della Repubblica.
Se si realizza una causa di impedimento permanente del Presidente della Repubblica durante i primi quattro anni del periodo costituzionale, si procede ad una nuova elezione a suffragio universale e diretto entro i trenta giorni consecutivi seguenti. Mentre si procede all’elezione ed in attesa della presa di possesso dell’incarico del nuovo Presidente, il Vicepresidente Esecutivo svolge funzioni di Presidente della Repubblica.
Nei casi sopra citati il nuovo Presidente completerà il periodo costituzionale corrispondente.
Se la causa di impedimento permanente si produce durante gli ultimi due anni del mandato costituzionale, il Vicepresidente Esecutivo assume la Presidenza della Repubblica fino al suo completamento.”

L’opposizione appellandosi all’Art 233, invoca una causa di impedimento di Maduro ad assolvere il suo mandato presidenziale. Sorvolando che ciò comporta il riconoscimento delle elezioni presidenziali precedentemente disconosciute dall’opposizione, è facile constatare che dal momento che Maduro non è morto; non ha rinunciato; è in salute; non è stato destituito dal TSG e non ha abbandonato l’incarico, se ne desume che in realtà non sussiste alcuna causa di impedimento idonea a giustificare nuove elezioni. In ogni caso, anche volendo ammettere la causa di impedimento invocata dall’opposizione, che nei fatti manca, la costituzione prescrive che il Presidente dell’Assemblea Nazionale possa assumere eccezionalmente l’interim presidenziale svolgendone le funzioni fino all’elezione a suffragio universale di un nuovo presidente entro i successivi 30 giorni dalla rilevazione dell’impedimento da parte del TSG, e ratificata dall’Assemblea Nazionale. In conseguenza di quanto appena esposto, l’opposizione non può di certo rivendicare l’impedimento, dal momento che questo per essere ratificato avrebbe dovuto essere rilevata dal TSG, lo stesso che ha disconosciuto e delegittimato, ponendosi fuori dall’arco costituzionale.
Dinnanzi alla palese incapacità di attivare l’iter per nuove elezioni presidenziali entro i 30 giorni previsti dalla costituzione, l’opposizione ha pertanto deciso di forzare anche l’Art 234, al fine di estendere la durata dell’interim presidenziale di Guaidò.

Articolo 234
In caso di impedimento temporaneo del Presidente della Repubblica, il Vicepresidente Esecutivo svolge funzioni di supplenza dello stesso fino a novanta giorni, prorogabili con decisione dell’Assemblea Nazionale per ulteriori novanta giorni.
Se l’impedimento temporaneo si prolunga per più di novanta giorni consecutivi, l’Assemblea Nazionale decide a maggioranza dei suoi componenti se esso debba considerarsi quale impedimento permanente.

Ma come è possibile constatare, le prescrizioni dell’articolo 234 rimandano al Vicepresidente Esecutivo, una figura integrata al governo che per l’opposizione non è mai entrato in carica dopo le elezioni presidenziali del 2018, che ha disconosciuto. L’articolo 234 non può dunque essere invocato dal Presidente dell’Assemblea Nazionale, poiché disciplina espressamente una situazione di impedimento in un arco di tempo che va dall’insediamento ai quattro anni successivi in cui l’interim viene affidato al Vicepresidente Esecutivo integrato al governo eletto.

CONCLUSIONI

In conclusione, la crisi venezuelana è fondamentalmente una crisi socio-economica legata a cause antiche, a cui nessun governo è storicamente riuscito a porre rimedio, alimentando l’illusione di poter vivere solo di petrolio. Questa endemica debolezza ha suscitato cicliche crisi economiche, sapientemente politicizzate dai gruppi di opposizione di ogni epoca. Dinamica che si è ripresentata anche nella recente crisi politica, le cui origini prescindono le gravissime e indiscutibili lacune economiche dell’attuale governo Maduro, comunque non di certo peggiori di qualsiasi altro governo precedente. Il problema del Venezuela è legato alla sua pressoché totale dipendenza dal petrolio, con cui si è alimentato un estesissimo sistema di welfare state, con cui si sono illusi di poter fare a meno di sviluppare settori economici diversi da quello energetico. Questo nodo fondamentale è stato politicizzato da una classe dirigente irresponsabile, impegnata a delegittimarsi vicendevolmente. Nello specifico, il degrado della cultura democratica venezuelana ha amplificato gli effetti negativi di questo problema economico, polarizzando artificiosamente l’arena politica tra buoni e cattivi. L’opposizione ha infatti la colpa di aver distrutto l’ordine politico venezuelano, delegittimando il Presidente Maduro ben prima che questo fosse eletto per il suo primo mandato presidenziale, e sgretolando la credibilità delle istituzioni fondamentali del paese, per poi infine dimostrarsi incapace di assicurarsi le forze necessarie a predisporre un golpe con cui risolvere l’impasse venutasi a creare. Infatti, la parodia del “golpe semistituzionale” ideato dall’opposizione non sembra avere prospettive, e verosimilmente finirà per essere archiviato tra i più ridicoli e fallimentari colpi di stato della storia politica contemporanea.

Fallimento amplificato anche dall’incapacità dell’establishment dell’opposizione di approfittare della decadente popolarità del Presidente Maduro, per sfidarlo sul piano elettorale, rinunciando così ad una vittoria già scritta. Ad una facile vittoria, l’opposizione ha invece preferito continuare a delegittimare il fronte chavista probabilmente sperando di riuscire a metterlo al bando dalla vita politica venezuelana, ripristinando il sistema oligarchico preesistente all’ascesa di Chavez.  Sembra quasi che all’opposizione una vittoria non basti, facendole sentire la necessità di umiliare, delegittimare e infine annichilire un’esperienza politica che, con tutti i difetti del caso, rappresenta comunque una cospicua percentuale del popolo venezuelano. L’atteggiamento immaturo dell’opposizione non sembra affatto finalizzato al ripristino dell’ordine costituzionale, quanto piuttosto ad una sorta vendetta politica non tanto finalizzata all’instaurazione di ad un nuovo governo, ma propedeutica all’instaurazione di un nuovo ordine costituzionale precluso alla partecipazione del fronte chavista. Obiettivo che l’opposizione del MUD sembra disposta a realizzare ad ogni costo, preferendo la prospettiva di un’invasione militare americana a quella di un’indispensabile negoziato politico. Negoziato che implica necessariamente il riconoscimento politico del fronte chavista, che va necessariamente distinto dalla persona di Maduro, sulla cui fallimentare gestione politica ed economica nessuno nutre dubbi. Tuttavia, va riconosciuto che le pregiudiziali politiche e costituzionali contestategli dall’opposizione vanno considerate meramente strumentali poiché preesistenti all’inizio del suo mandato presidenziale. Ad ogni modo, tra circa un anno, il mandato dell’Assemblea Nazionale si esaurirà privando l’opposizione dell’ultimo barlume di legittimità democratica rimastagli, prospettiva che dovrebbe bastare a convincere l’opposizione della necessità di un accordo politico finalizzato alla sua reintegrazione all’interno dell’arco costituzionale, che tuttavia non è stato ancora riformato dall’Assemblea Costituente. Accordo di cui dovrebbe approfittare il PSUV per sostituire Maduro con una personalità meno compromessa.

Presidente Venezuela Maduro Generale FANB Padrino
( Il Presidente del Venezuela Maduro con il Generale Padrino )

Senza un accordo politico, l’opposizione si ritroverà a fare i conti con una maggioranza parlamentare in scadenza. Nel frattempo il fronte chavista dovrà prendere atto dell’insostenibilità politica di Maduro, promuovendone la sostituzione con una personalità meno compromessa, che di certo non manca tra le file del PSUV. A questo punto l’ago della bilancia sono i militari delle Forze Armate Rivoluzionarie Bolivariane (FANB), che sotto la leadership del Generale Padrino e del comandante Caballos, non sembrano intenzionati a rovesciare il governo del Presidente Maduro, di cui verosimilmente condividono l’estrazione politica, e probabilmente anche interessi di un certo livello. La posizione dell’establishment militare va ben ponderata anche alla luce della leggenda nera dei narcos del cartel de los soles (Cartello dei soli) che la vulgata vuole essere gestito da alti ufficiali, i cui gradi militari in Venezuela sono rappresentati da soli in luogo delle tradizionali stellette. Se questa leggenda nera fosse vera, allora la ritrosia dei militari a cedere ad un golpe predisposto da forze filo-USA troverebbe un senso, dal momento che un nuovo governo post-chavista oltre a porre fine a questo lucrosissimo traffico, rischierebbe soprattutto di esporli ad una probabilissima estradizione verso gli Stati Uniti, prospettiva che storicamente terrorizza i narcotrafficanti sudamericani, e che in ogni caso potrebbe essere fatta valere come cavillo giuridico per punire esponenti di un governo ostile.