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CONOSCIAMO I CURDI D’IRAQ

Dopo aver approfondito la realtà dei curdi di Turchia, adesso passiamo a quella dei curdi d’Iraq, dove risiede la seconda comunità curda presente in Medioriente. Comunità curda che, rispetto alle altre presenti nella regione, gode di un certo riconoscimento politico internazionale.

CENNI GENERALI

I 5.700.000 cittadini curdi d’Iraq costituiscono circa il 18% della popolazione nazionale, distribuiti prevalentemente all’interno dei governatorati settentrionali di Sulaymanyya, Dahuk e Erbil, che della regione del Kurdistan iracheno è capoluogo e centro politico. La relativa stabilità politica raggiunta dal Kurdistan iracheno nel corso degli ultimi anni ne ha agevolato lo sviluppo economico, rendendola una delle regioni più prospere dell’intero Iraq. Nello specifico, l’economia del Kurdistan iracheno si fonda sulle ingenti risorse petrolifere, anche se il settore agricolo risulta particolarmente florido, occupando la gran parte della forza lavoro locale. Ad ogni modo, il rilevante settore petrolifero continua ad essere ragione di aspre contese tra il governo regionale del Kurdistan (KRG) e il governo centrale di Baghdad, soprattutto per quanto concerne la legittimazione dei contratti di sfruttamento stipulati con le varie multinazionali petrolifere. Sul piano religioso, nella regione del Kurdistan domina l’islam sunnita, seguito da minoranze come quella cristiana e yazida, confessioni che coesistono favorite da una diffusa cultura laica. Ad ogni modo, procediamo con l’analisi delle vicissitudini che hanno caratterizzato il corso politico dei curdi iracheni.

IL TRADIMENTO BRITANNICO POST-OTTOMANO

All’indomani della prima guerra mondiale, proprio alla vigilia del Trattato di Sevres, i britannici, dopo aver occupato parte dell’Impero Ottomano, si installarono all’interno dei territori dell’odierno Iraq patrocinando la costituzione di una monarchia affidata a Re Faisal, il figlio dello Sceriffo della Mecca, nonché esponente della rinomata dinastia araba hashemita. La monarchia hashemita filo-britannica riuscirà ad imporsi nelle zone centrali e meridionali dell’Iraq, abitate prevalentemente da arabi, ma non nel nord dove prevaleva una cospicua minoranza curda, assoggettata soltanto nel corso delle ultime fasi della prima guerra mondiale, addirittura dopo la stipula dell’armistizio di Mudros, che nel 1921 sancì la fine della ostilità tra i turchi e i britannici. Proprio in virtù del Trattato di Mudros, i britannici si avvalsero del diritto di occupare qualsiasi territorio ottomano in caso di disordine, assoggettando la regione di Mosul, nonostante le forti critiche turche, che ne richiederanno inutilmente la reintegrazione, a causa della ritrosia britannica nel rinunciare a territori ricchi di risorse petrolifere.

I turchi, dal canto loro, oltre a rivendicare ragioni economiche e strategiche, temevano, tra l’altro, che prima o poi l’influenza britannica avrebbe rafforzato le rivendicazioni nazionaliste curde nella regione, contaminando anche la realtà anatolica. Il governo di sua maestà riuscì a convincere la Società delle Nazioni a legittimare l’integrazione della regione di Mosul al Regno d’Iraq, anche se non mancò di indennizzare i turchi con una quota dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi dell’area contestata. Sebbene i britannici fossero riusciti a prendere il controllo della regione di Mosul grazie al contributo curdo, decisero di non rispettare la promessa di favorire la costituzione di uno stato curdo, preferendo integrare la regione di Mosul Regno hashemita d’Iraq, al fine di controbilanciare la maggioranza sciita con la popolazione curda, dal momento che risultava fedele alla confessione sunnita dell’islam.

LA RIVOLTA DELLO SCEICCO BARZANI

La nomina dello Sceicco curdo Mahmud Barzani alla carica di governatore della regione di Mosul non basterà a placare la delusione dei curdi, che nel 1919 reagiranno rivoltandosi sotto la guida dello stesso sceicco, nel frattempo autoproclamatosi Re del Kurdistan, forte della sua autorevolezza religiosa, con cui trasformerà l’insurrezione nazionalista curda in una vera e propria jihad contro le autorità britanniche, che comunque riusciranno a riprendere rapidamente il controllo della situazione, arrestando lo sceicco. Mahmud Barzani verrà deportato in India per decisione dei britannici, che preferiranno sospendere la pena capitale a cui era stato condannato, contando di riuscire ad addomesticarlo, per riguadagnare il controllo della realtà curda, su cui continuava ad avere una forte influenza. Lo sceicco Barzani sembrerà collaborare con le autorità britanniche, ottenendo nel 1922 il permesso di tornare in patria, al fine di stabilizzare il clima nella regione di Mosul, dove il precario controllo britannico cominciava ad accusare la crescente pressione esercitata ai confini dai nazionalisti turchi di Mustafa Kemal “Ataturk” e dalla stessa guerriglia curda. Tuttavia, una volta ritornato in patria, lo Sceicco Barzani disattenderà le aspettative britanniche ribellandosi nuovamente, alleandosi addirittura con i turchi, riproclamando la costituzione del Regno del Kurdistan, che i britannici riusciranno a disarticolare faticosamente solo dopo 2 anni di guerriglia, assoggettando il Kurdistan al dominio della dinastia hashemita retta da Re Faysal, senza tuttavia riuscire a ricatturare Barzani che continuerà a guidare la guerriglia curda fino al 1932, quando verrà arrestato definitivamente, e posto in esilio nel sud dell’Iraq.

Re del Kurdistan Mmahmud Barzani curdi Iraq
( Lo Sceicco del Kurdistan Mahmud Barzani )

L’ASCESA DEL CLAN BARZANI

La sconfitta dello Sceicco Mahmud Barzani non ridimensionerà l’attivismo curdo, ma anzi, ne catalizzerà l’organizzazione sotto la leadership dell’influente clan Barzani, che al netto del nome, condivideva con Mahmud Barzani solo il cognome e l’appartenenza etnica. Nello specifico, il clan Barzani discendeva da un’importante casta di sceicchi yazidi locali successivamente convertitisi all’islam. Il clan Barzani si distinguerà per il sostegno apportato alle rivolte promosse da Mahmud Barzani, ereditandone la causa indipendentista, facendo fronte alle forti persecuzioni ottomane e britanniche dell’epoca.
Il leader del clan Barzani dell’epoca era lo Sceicco Ahmed Barzani, un personalità particolarmente carismatica riconosciuta per il suo patriottismo e per la sua tolleranza, oltre che per la sua discussa conversione al cristianesimo, che gli costerà l’inimicizia di alcune importanti tribù curde islamiche, che non gli perdoneranno l’apostasia. Sempre sul piano religioso, lo Sceicco Ahmad Barzani si distinguerà anche per il suo tentativo di integrazione delle principali fedi monoteiste all’interno di una nuova religione, con cui contava di armonizzare la contrastata realtà confessionale curda che, in parte, continuerà ad ostracizzarlo proprio a causa di queste sue controverse iniziative religiose.

Nel 1931, Ahmed Barzani guiderà una nuova grande rivolta curda contro le autorità irachene che, tuttavia, riusciranno a contrastarla grazie al provvidenziale supporto turco. In conseguenza del fallimento della rivolta curda, Ahmed Barzani verrà incarcerato insieme ai suoi influenti fratelli Mustafa e Muhammad, riconquistando la libertà solo nel turbolento periodo della 2° Guerra Mondiale, quando ne approfitteranno per rifugiarsi in Persia, dove avranno modo di collaborare al progetto indipendentista curdo promosso dai comunisti persiani supportati dall’Unione Sovietica, artefici dell’effimera Repubblica di Mahabad, rapidamente smantellata dal governo iraniano nell’immediato secondo dopoguerra, in conseguenza delle fortissime pressioni che le nazioni alleate esercitarono su Mosca, affinché interrompesse il sostegno all’entità politica messa in piedi da Qazi Mohammed, il leader del Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (PDKI), successivamente arrestato e giustiziato dalle autorità iraniane.

LA COSTITUZIONE DEL PDK

Lo smantellamento della Repubblica di Mahabad costringerà i miliziani curdi fedeli al clan Barzani a ritirarsi dalla Persia verso il Kurdistan iracheno, dove verranno in larga parte arrestati e giustiziati dalle autorità di Baghdad, inducendo il nuovo leader Mustafa Barzani a chiedere e ottenere rifugio nell’Azerbaijan sovietico, da dove verranno separati e deportati in Uzbekistan, ricevendo inizialmente un pessimo trattamento, rettificato solo nel 1951 su ordine di Stalin, quando il leader sovietico ne ordinerà il trasferimento a Mosca. Durante il suo esilio russo Mustafa Barzani conquisterà la presidenza del Partito Democratico del Kurdistan (PDK), una formazione politica, che al netto del nome e del supporto sovietico, non assumerà mai posizioni programmatiche marcatamente socialiste per paura di perdere il consenso della complessa realtà tribale curda, dove prevalevano gli interessi dei grandi proprietari terrieri, sicché si limitò a richiedere la sostituzione della monarchia Hashemita con un generico stato democratico, celando gli stretti rapporti che intratteneva con il Partito Comunista Iracheno. Durante l’esilio sovietico di Mustafa Barzani, la guida operativa del PDK e delle milizie Peshmerga nel Kurdistan verrà affidata ad Ibrahim Ahmed, un magistrato e pubblicista di sinistra, perseguitato dalle autorità monarchiche irachene, ostili ai suoi propositi democratici.

Barzani PDK Qassem Kurdistan Iraq
( Il leader del PDK Barzani con il Presidente iracheno Qassem )

Nel 1958, la monarchia hashemita del giovane Re Faisal II verrà rovesciata da un cruento colpo di stato promosso da un gruppo di “Liberi Ufficiali” ispirati dal nazionalismo panarabo del leader egiziano Nasser, e guidati dal generale curdo Qassem, personalità aperta alle rivendicazioni del PDK di Barzani, nonostante l’ostilità delle componenti nazionaliste panarabe più intransigenti vicine al Vice-Presidente Arif, che contestarono aspramente la decisione del nuovo Presidente di istituire un consiglio trilaterale che rappresentasse equamente le istanze delle comunità sunnite, sciite e curde presenti in Iraq. Il Presidente Qassem, infatti, confidava in Barzani, con cui condivideva l’ideale socialista, per controbilanciare il crescente peso della componente nazionalista panaraba che perseguiva l’integrazione nella Repubblica Araba Unita promossa dal presidente egiziano Nasser.

L’INIZIO DEL CONFLITTO CURDO-IRACHENO

L’ascesa dei liberi ufficiali di Qassem permetterà il ritorno di Mustafa Barzani sulla scena politica irachena, marginalizzando la leadership di Ibrahim Ahmed, la cui popolarità stava iniziando a soffrire l’ascesa di Jalal Talabani, con cui Barzani intratterrà un rapporto dualistico all’interno del PDK. Nello specifico, Barzani risultava particolarmente sensibile alle realtà tribali rurali, mentre i suoi due “avversari politici” risultavano più prossimi alle realtà urbane più intellettuali del Kurdistan. Tuttavia, ben presto il rimpatrio di Barzani comincerà ad insospettire il Presidente Qassem, insospettito dai rapporti che il leader curdo intratteneva con i britannici, intimoriti a loro volta dalla rivendicazioni di sovranità sul loro protettorato del Kuwait, a cui a Baghdad miravano al fine di accedere al Golfo Persico. Nel 1961, i sospetti del Presidente Qassem verranno avvalorati da un attentato curdo contro un convoglio militare iracheno, evento che lo convincerà a rompere definitivamente i rapporti con Barzani, avviando una campagna militare contro le sue milizie Peshmerga, a cui il leader curdo reagì ricercando addirittura il supporto degli Stati Uniti, malgrado le fortissime ritrosie presenti all’interno del PDK, dove questa scelta verrà contestata come un tradimento della causa socialista che li legava all’URSS.

Gli sviluppi del conflitto curdo-iracheno finirono per indebolire la già precaria leadership di Qassem, incapace di ottenere da Barzani una pace che non presupponesse il riconoscimento dell’autonomia del Kurdistan, che la componente nazionalista panarabe guidata dai fratelli Arif non avrebbero mai permesso al conciliante presidente iracheno. Ad ogni modo, i curdi riusciranno a reggere l’urto della blanda offensiva irachena, limitata fortemente dagli scarsi rifornimenti militari che Qassem lesinò strategicamente al proprio esercito, considerato come la 5° colonna dell’infida fazione nazionalista panaraba capeggiata dal vice-presidente Arif, che nel 1963 riuscirà a promuovere un colpo di stato sostenuto dall’influente Partito Socialista Panarabo Baath, la cui popolarità, in quegli anni, cresceva in Iraq, come nella vicina Siria.

Proprio nel 1963, all’interno dei territori del Kurdistan iracheno cominciarono ad essere rinvenuti nuovi giacimenti petroliferi, la cui scoperta contribuirà a rendere la situazione politica irachena ancora più instabile. Con l’ascesa di Arif al governo di Baghdad, la situazione per i curdi peggiorò radicalmente, addirittura, il governo Baathista siriano guidato dal Generale Jadid non esiterà a dar man forte ai vicini iracheni nella loro lotta contro i Peshmerga curdi, che invece troveranno il sostegno strategico di Iran e Israele, due paesi accomunati dall’ostilità verso l’asse panarabo siro-iracheno. In particolar modo, i curdi otterranno un notevole supporto da parte di Israele, sotto forma di assistenza prestata da consulenti militari affiancati alle milizie peshmerga fedeli al clan Barzani. Malgrado gli sforzi iracheni, i curdi continueranno a resistere, costringendo Arif a concedere loro una tregua accolta dalle fazione di Barzani, ma respinta dalla componente socialista radicale di Ahmed e Talabani, che finirà per essere epurata dal PDK.

LA TREGUA PROMOSSA DAL BAATH

Nel 1964, l’improvvisa dipartita del Presidente Arif favorirà l’ascesa di suo fratello che tenterà di approfittare della spaccatura interna al PDK, lanciando una nuova fallimentare offensiva nella regione del Kurdistan che lo costringerà a riaprire le trattative di pace con Barzani, bloccate nel 1968, conseguentemente al colpo di stato promosso dal Partito Baath, che dopo aver conquistato la Siria, conquisterà il potere anche nel vicino Iraq. seguendo l’esempio  La nuova dirigenza baathista riprenderà le ostilità con i curdi su impulso dell’URSS che sostenendo la fazione socialista radicale di Ahmed e Talabani, considerava Barzani fin troppo aperto nei confronti degli Stati Uniti ed i loro alleati regionali. Tuttavia, ben presto le crescenti tensioni con l’Iran indurranno il neo presidente iracheno al-Bakr a congelare la crisi del Kurdistan, incaricando nel 1970 al suo vice Saddam Hussein la predisposizione di un accordo federalista che riconoscesse una certa autonomia amministrativa alla comunità curda irachena, abile nell’approfittare del coinvolgimento militare iracheno nella Guerra dei 6 giorni contro Israele per consolidare le proprie posizioni nel nord dell’Iraq, costringendo il governo baathista a scendere a patti con loro.

Barzani PDK curdi Kurdistan Iraq Saddam Hussein Baath
( Il leader del PDK Barzani con leader baathista Saddam Hussein )

Alla fine, le due parti stipuleranno un accordo di pace che riconosceva la lingua curda, apriva l’integrazione dei curdi all’interno del governo e dell’esercito, garantiva il rispetto del patrimonio culturale curdo, imponeva amministratori curdi nella regione del Kurdistan, destinava risorse finanziarie per lo sviluppo del Kurdistan e a sostegno delle famiglie dei reduci di guerra, integrava il riconoscimento della nazionalità curda parallelamente a quella araba, imponeva la designazione di un Vice-Presidente curdo e una rappresentanza parlamentare proporzionata al peso demografico della comunità curda. La pacificazione del conflitto agevolò l’integrazione di esponenti curdi all’interno del governo di Baghdad, favorendo le condizioni per il reintegro di Ahmed e Talabani all’interno dei ranghi del PDK, come desiderato dall’Unione Sovietica.

LA FINE DELLA TREGUA E IL NUOVO CONFLITTO

Gli accordi di pace verranno parzialmente implementati in tempi relativamente celeri, tuttavia, le forti ritrosie dell’establishment nazionalista baathista ne rallentarono l’esecuzione, promuovendo un controverso programma di arabizzazione delle aree petrolifere nei pressi di Kirkuk, da cui veniva estratto circa il 50% del petrolio iracheno, e dove i programmati censimenti della popolazione curda vennero posticipati a più riprese fino al 1973, quando l’accordo verrà definitivamente stralciato dal governo di Baghdad, che mal tollerava l’afflusso di armi proveniente dall’Iran e le pretese che i curdi avanzavano sui ricchi giacimenti petroliferi di Kirkuk. Il fallimento degli accordi di pace riaprì nuovamente la contesa curdo-irachena, costringendo il governo di Baghdad a ridimensionare il contingente militare inviato a sostegno della Siria contro Israele dirottandolo in patria, dove si prospettava la riapertura del conflitto con i curdi, sostenuti ancora una volta da Israele e Iran, due paesi alleati degli Stati Uniti.

Mappa petrolio Kirkuk Iraq Kurdistan curdi
( Mappa del Kurdistan iracheno con evidenza le aree petrolifere )

Nello specifico, la situazione precipitò quando Barzani cominciò a contestare la politica di arabizzazione promossa dal governo baathista, che arriverà ad organizzare un rocambolesco attentato a cui il leader curdo riuscirà comunque a scampare, addebitandone la regia a Saddam Hussein, che nel frattempo si era cautelato stringendo uno strategico accordo di amicizia con l’URSS, che sostanzialmente inglobava l’Iraq all’orbita sovietica, sottraendolo definitivamente alla tradizionale influenza anglo-americana. Gli Stati Uniti reagirono a tale iniziativa coordinando insieme a Israele il potenziando del proprio supporto militare ai Peshmerga curdi di Barzani, continuando a triangolare armi dall’Iran, nonostante la ferma opposizione della fazione socialista radicale guidata da Talabani, che considerava qualsiasi forma di collaborazione con gli americani come un tradimento della causa socialista alla base del partito. Saranno proprio queste spaccature interne al PDK a favorire il consolidamento della base di potere di Saddam Hussein all’interno dei ranghi del Partito Baath.

LA CAUSA CURDA IN BALIA DELLA GEOPOLITICA

La crisi nel Kurdistan sembrò precipitare a svantaggio degli iracheni quando gli iraniani inasprirono la contesa di confine inerente la sovranità sulla regione dello Shatt al-Arab, in un momento particolarmente complicato per il governo di Baghdad, costretto a razionalizzare le proprie forze militari tra il fronte interno curdo e quello al confine siriano. Fu così che nel 1974, dinnanzi all’incremento del supporto iraniano ai Peshmerga curdi, il governo iracheno fu costretto a disinnescare un nuovo fronte ad est, riconoscendo la sovranità iraniana su metà dello Shatt al-Arab, avvalendosi della mediazione del Presidente algerino Boumèdiène, ottenendo in cambio la revoca del supporto iraniano ai curdi che, fino a quel momento, Teheran aveva permesso ai suoi alleati occidentali. Gli Stati Uniti e i loro alleati israeliani rispettarono la scelta dello Scià Reza Pahlavi, confidando nella riapertura dei negoziati tra il governo di Baghdad e i curdi, che invece verrà disattesa dalla linea dura varata dall’allora Vice-Presidente iracheno Saddam Hussein, risoluto nell’approfittare della tregua stipulata con l’Iran per annichilire definitivamente la guerriglia curda, costringendo i Peshmerga a rifugiarsi tra Turchia e Iran, dove si esiliò persino il loro leader Mustafa Barzani, ancora una volta tradito dai suoi sponsor occidentali, che non esitarono ad la causa curda per meri fini geopolitici.

Gli effetti della débâcle curda non risparmieranno nemmeno la fazione socialista radicale guidata da Ahmed e Talabani, costretti a riparare in Siria, dove parteciperanno alla fondazione dell’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK), formazione politica curda marcatamente socialista che, su impulso sovietico, manterrà rapporti meno contrastati del PDK con la dirigenza baathista irachena, contribuendo a stabilizzare il clima politico nelle zone meridionali urbane del Kurdistan, dove risultavano particolarmente influenti, almeno rispetto al PDK di Barzani che, invece, dominava la regione rurale più settentrionale del paese. Nel 1975, Ibrahim Ahmed abbandonerà la scena politica esiliandosi nel Regno Unito, lasciando la leadership dell’UPK al solo Talabani, che conserverà l’impostazione ideologica socialista di estrazione sovietica, preferendo rapportarsi con l’establishment laico baathista anziché con il nuovo regime islamista iraniano, con cui, invece, il PDK di Barzani non si farà scrupolo a collaborare strategicamente con l’Iran, come ai tempi dello Scià. Ad ogni modo, il ridimensionamento del PDK, favorì il rafforzamento dell’UPK, acuendo il dualismo tra le due principali formazioni politiche curde, che arrivarono addirittura a scontrarsi tra loro, mentre, intanto, anche Talabani inizierà ad accreditarsi all’interno del nuovo governo iraniano degli ayatollah.

La linea dura varata dal governo di baathista di Baghdad si dimostrerà altamente efficace nel ridimensionare la minaccia curda nel nord dell’Iraq, almeno fino al 1980, quando le tensioni con la neonata Repubblica Islamica Iraniana degenerarono in una vera e propria guerra su larga scala che permetterà ai peshmerga curdi di riarmarsi, giocando un ruolo non indifferente nella guerra tra i due paesi. La cooperazione curda con l’Iran susciterà la durissima reazione del governo di Saddam Hussein, che ordinerà l’annichilimento della minaccia curda, affidandola al suo controverso cugino Alì Hassan al-Majid, meglio conosciuto come “Alì il chimico”, per via del suo coinvolgimento nell’uso di armi chimiche contro alcuni villaggi curdi nel nord del paese. Stragi che vedranno la complicità indiretta degli Stati Uniti, che all’epoca confidarono nell’aggressione irachena per disarcionare il nuovo governo islamista degli ayatollah di Teheran, responsabili del rovesciamento dello Scià.

Le operazioni militari contro la guerriglia curda promosse dal governo iracheno verranno classificate da alcuni analisti come un vero e proprio genocidio, anche se su questo controverso dibattito la comunità internazionale rimane divisa tra chi sostiene la tesi del genocidio come il Regno Unito, la Svezia, la Norvegia e la Corea del Sud, e chi invece preferisce non prendere una posizione così netta sulla questione. Ad ogni modo, durante il conflitto curdo-iracheno, le milizie peshmerga curde integrate all’UPK godranno del supporto della vicina Siria, che sebbene governata dalla succursale locale del Partito Baath, ne approfitterà per destabilizzare la leadership panaraba di Saddam Hussein, con cui il Presidente siriano Hafiz al-Assad intratteneva un rapporto dualistico, che alimenterà schierandosi dalla parte dell’Iran, con cui getterà le basi di un’alleanza strategica che dura tutt’oggi.

IL SUPPORTO USA ALLA CAUSA CURDA

Sotto l’amministrazione diretta di Alì Hassan al-Majid, verrà implementato il controversi programma di arabizzazione delle aree contese con i curdi, soprattutto nei dintorni di Kirkuk, dove la popolazione curda locale verrà deportata a nord, per essere sostituita da cittadini iracheni indigenti di etnia araba. Solo intorno al 1988, il governo iracheno concluderà le ostilità contro i curdi offrendo l’amnistia ai peshmerga, messi alle corde dopo anni di guerriglia che aveva favorito il pieno controllo governativo della regione del Kurdistan, dove le élite politiche curde vennero messe in stretta quarantena, alimentando il dualismo tra il PDK di Barzani e l’UPK di Talabani, che nel frattempo si era avvicinato alle posizioni iraniane. I curdi riuscirono a recuperare qualche margine di manovra solo nel 1991, in occasione della 2° Guerra del Golfo, quando tutte le anime del fronte curdo accantoneranno le loro rivalità politiche per cooperare all’invasione americana dell’Iraq, approfittando dello sbandamento del potente esercito iracheno per riprendere il controllo della regione del Kurdistan.

L’insurrezione curda culminò con la conquista della città di Kirkuk, dove centinaia di quadri locali del Partito Baath verranno giustiziati sommariamente. L’avanzata curda si fermerà proprio a Kirkuk dopo la scelta americana di non prendere Baghdad, sebbene il leader del PUK Talabani intendesse avanzare verso la capitale, approfittandone per rovesciare il governo baathista di Saddam Hussein, mantenuto al potere dalla volontà dell’amministrazione americana presieduta da George Bush Senior di evitare l’instabilità che, inevitabilmente, un vuoto di potere avrebbe prodotto all’interno di un paese particolarmente diviso su faglie settarie come l’Iraq. Gli USA, si limitarono così ad imporre una “No Fly Zone” finalizzata ad impedire al governo baathista iracheno di riprendere il controllo della regione del Kurdistan, come era avvenuto invece nelle regioni meridionali sciite irachene, particolarmente sensibili all’influenza iraniana. Malgrado il successo dei Peshmerga, i curdi finiranno per essere attanagliati da un rigido embargo commerciale imposto dal governo di Baghdad, i cui effetti costringeranno migliaia di curdi a rifugiarsi all’estero, distribuendosi prevalentemente tra Iran, Turchia e Siria.
Ad ogni modo, nel 1992, lo scudo aereo fornito dagli americani permetterà ai curdi di rendersi autonomi, dotandosi di istituzioni amministrative autonome dislocate nella città di Erbil, ed elette tramite elezioni democratiche dominate al nord dal PDK guidato dal Masoud Barzani, nel frattempo succeduto al padre Mustafa Barzani, e al Sud dall’UPK di Jalal Talabani.

GLI INTERESSI PETROLIFERI DIVIDONO PDK E UPK

Le due principali formazioni politiche curde concordarono di spartirsi equamente i ruoli all’interno del nascente Governo Regionale Kurdo (KRG), facendo fronte alla crescente sfiducia reciproca, che non di rado degenerava in sporadiche schermaglie tra milizie. Soltanto intorno al 1996, i rapporti tra i curdi ed il governo di Baghdad sembreranno normalizzarsi, anche grazie al conferimento al governo regionale kurdo del 13% degli introiti derivanti dall’esportazioni petrolifere clandestine verso la Turchia, su cui Saddam Hussein e Mustafa Barzani continuarono a lucrare a discapito dell’UPK di Talabani che arriverà a considerare insieme alla CIA l’organizzazione di un attentato contro il Presidente iracheno, che alla fine non andrà in porto. Sarà proprio il rapporto particolare instauratosi tra il governo baathista di Baghdad e il PDK di Barzani a radicalizzare ulteriormente l’UPK di Talabani, che godendo del supporto iraniano scatenerà un’offensiva contro le roccaforti settentrionali del Clan Barzani, che dinnanzi a questa aggressione non esiterà a chiedere il sostegno della Guardia Repubblicana irachena, determinante per la riconquista di Erbil da parte delle forze del PDK, protagoniste di episodi di giustizia sommaria ai danni dei miliziani dell’UPK, i cui superstiti saranno costretti a rifugiarsi in Iran.

L’appoggio dell’esercito iracheno alle milizie del PDK verrà condannato dagli Stati Uniti, che adducendo alla risoluzione ONU 688, che vietava all’Iraq qualsiasi iniziativa contro i curdi, avviarono una circoscritta campagna di bombardamenti contro obiettivi militari iracheni, proprio mentre le forze del PDK fedeli al Clan Barzani si apprestavano a strappare all’UPK il controllo di molte delle loro roccaforti. La Turchia, che nel frattempo era diventata la piattaforma privilegiata per lo smerciamento del petrolio esportato illegalmente dall’Iraq, svolgerà un ruolo altrettanto importante per la vittoria delle milizie del PDK, bersagliando le milizie del PKK alleate dell’UPK. L’intervento turco ridimensionerà ulteriormente il potenziale dell’alleanza tra UPK e PKK, costringendo Talabani a siglare un accordo di pace con il PDK promosso dagli Stati Uniti, che imponeva alle parti l’equa spartizione del potere e delle entrate petrolifere, accompagnato dal divieto di ammettere forze del PKK turco all’interno della regione del Kurdistan iracheno, ottenendo in cambio rassicurazioni contro eventuali iniziative militari irachene.

I CURDI COLLABORANO ALL’INVASIONE USA DELL’IRAQ

La ritrovata unità all’interno del Kurdistan iracheno, fu messa alla prova nel corso dell’invasione americana dell’Iraq del 2003, che i peshmerga curdi agevolarono prima dell’attacco, fornendo informazioni di intelligence e sabotando le infrastrutture militari irachene, agevolando così il rapido sfaldamento delle difese irachene fedeli al governo baathista presieduto da Saddam Hussein, a cui la Turchia deciderà di non partecipare, precludendo ai loro alleati americani l’uso delle basi presenti all’interno del proprio territorio. Durante l’offensiva militare americana i peshmerga curdi riusciranno ad occupare gran parte del nord dell’Iraq, annettendo le città di Mosul e di Kirkuk all’interno della regione del Kurdistan, grazie al determinante supporto delle forze speciali americane, che guidarono e coordinarono gran parte delle operazioni predisposte delle forze curde, soprattutto quelle contro i terroristi islamisti di Ansar al-Islam. Successivamente all’invasione americana e al rovesciamento unilaterale dell’ordine politico, il presidente iracheno Saddam Hussein verrà giustiziato al termine di un controverso processo, permettendo ai curdi di tenere le prime elezioni libere nella regione del Kurdistan (KRG), dove si imporrà l’Alleanza Patriottica Democratica del Kurdistan, una coalizione politica promossa da PDK e UPK, che insieme riusciranno a conquistare circa il 90% dei consensi, in forza dei quali decideranno di eleggere Masud Barzani alla presidenza del Governo Regionale del Kurdistan (KRG), in conseguenza di un accordo politico che favorirà anche la nomina di Talabani alla Presidenza della Repubblica d’Iraq.

Jalal Talabani UPK Barzani PDK curdi kurdistan iraq
( Il leader dell’UPK Talabani con il leader del PDK Barzani )

LA TURCHIA DENUNCIA I LEGAMI TRA UPK E PKK

Nel 2007, la tensione tornerà a crescere nel nord del Kurdistan iracheno, dove si registreranno frequenti scontri di frontiera tra i miliziani curdi del PKK e l’esercito turco, che nel 2008 non esiterà a lanciare un’offensiva militare che si svilupperà anche all’interno del territorio iracheno, nonostante le ferme proteste del nuovo governo di Baghdad, che comunque si astenne dall’interferire con le operazioni militari, anche per via delle rassicurazioni della Turchia, intenzionata esclusivamente all’eradicazione delle basi del PKK all’interno dell’Iraq, obiettivo previsto dagli stessi accordi di pace di Washington che precedentemente i leader del PDK e dell’UPK avevano sottoscritto al culmine della guerra civile curda. Ad ogni modo, l’operazione militare turca si rivelerà rapida ed efficace nel conseguire i suoi obiettivi, ripristinando la sovranità nazionale dell’Iraq nel giro di una settimana. L’iniziativa turca verrà criticata dagli Stati Uniti, che comunque non mancheranno di riconoscere il diritto di Ankara di difendersi dalla minaccia alla sicurezza nazionale costituita dal PKK, un’organizzazione che la Turchia, come del resto gli stessi USA, classificano tutt’oggi come terroristica. Successivamente alle operazioni contro il PKK, la Turchia ne approfitterà per rilanciare le relazioni politiche e commerciali con l’Iraq, e in particolar modo con il governo regionale del Kurdistan. Sempre durante questo periodo, i curdi tenteranno, senza successo, la promozione di un referendum sullo status di Kirkuk, città soggetta ad un pesante programma di arabizzazione ai tempi di Saddam Hussein. Il referendum verrà contestato e rinviato più volte a causa di molte ritrosie politiche interne ed internazionali, soprattutto da parte della Turchia che temeva per le sorti della cospicua minoranza turcomanna.

curdi Talabani PUK Ocalan PKK Kurdistan Iraq Turchia
( Il leader dell’UPK Talabani con il leader del PKK Ocalan )

L’EVOLUZIONE DELLA POLITICA CURDA

Nel 2009, la coalizione promossa da PDK e UPK si confermerà alla guida del Kurdistan, promuovendo una riforma che introdurrà l’elezione diretta del Presidente del KRG, riconquistata poco dopo da Barzani, con circa il 70% dei consensi. Nel 2011, anche la società curda d’Iraq verrà scossa dall’onda delle “Primavere Arabe”, ispirando la costituzione del Movimento per il Cambiamento (Gorran), composto prevalentemente da giovani curdi stanchi della corruzione che, a loro dire, caratterizzava l’establishment dei due principali partiti curdi, ovvero il PDK e l’UPK, a cui chiederanno le dimissioni da ogni incarico pubblico. La mobilitazione del Gorran destabilizzerà particolarmente l’ordine pubblico della città di Sulaymaniyah, dove i numerosi manifestanti prenderanno d’assalto la locale sede del PDK, rendendosi protagonista di alcuni scontri con le forze dell’ordine. Le proteste curde verranno accolte sia dal PDK che dall’UPK come legittime rivendicazioni, seppur prive delle stesse motivazioni di fondo delle mobilitazioni arabe degli altri paesi dove, a detta delle autorità irachene, i cittadini non avevano gli stessi strumenti democratici con cui i manifestanti curdi potevano far valere le loro istanze.

A partire dal 2012, i curdi ricominceranno ad avanzare nuove pretese circa il controllo delle aree petrolifere contese con il governo centrale di Baghdad, rivendicando una ripartizione delle entrate petrolifere più favorevoli, arrivando addirittura a minacciare di avviare l’iter per l’istituzione di uno stato curdo indipendente. Le ambizioni indipendentiste curde verranno indebolite dalla rottura della coalizione tra il forte PDK di Barzani e l’indebolito PUK di Talabani, che all’interno delle sue roccaforti di Sulaymaniyah soffrirà la competizione del Movimento per il Cambiamento (Gorran), guidato da Nawshirwan Mustafa, un’importante ex-membro dell’UPK. Alle successive elezioni regionali il PDK riuscirà a riconfermare il suo potenziale conquistando il 37%, mentre l’UPK raggiungerà il 17%, perdendo il suo ruolo di seconda forza politica curda passato proprio ai rivali del Gorran attestatesi al 24%, con cui nel corso della campagna elettorale si renderà protagonista di alcuni scontri, verosimilmente alimentati dall’intransigenza di Mustafa nel non volersi riconciliarsi con il suo vecchio collega di partito Talabani.

Nusherwan Mustafa Gorran curdi Kurdistan Iiraq
( Il leader del Gorran Nusherwan Mustafa )

LA SFIDA DELL’ISIS E IL REFERENDUM INDIPENDENTISTA

Nel 2014, l’ascesa dei terroristi islamisti dell’Isis getterà l’Iraq nuovamente nel caos, causando il repentino sfaldamento dell’esercito iracheno, inducendo i curdi ad agire di conseguenza occupando i campi petroliferi di Kirkuk, mentre intanto Barzani avanzava la possibilità di un referendum popolare per l’indipendenza del Kurdistan, ipotesi che a livello internazionale troverà il solo consenso di Israele, che tutt’oggi considera quella curda l’unica realtà amica in un contesto ostile come quello arabo. Ad ogni modo, i propositi indipendentisti curdi verranno provvisoriamente accantonati per far fronte alla crescente minaccia degli islamisti dell’Isis, a cui i curdi riusciranno a far fronte solo grazie al determinante supporto tattico e aereo fornito dagli Stati Uniti, che avevano iniziato a ritirarsi dall’Iraq solo qualche anno prima.
Nel corso della crisi siriana, il PDK di Barzani limiterà al minimo i contatti con le milizie curde YPG presenti nel nord della Siria, assecondando le richieste della Turchia, assolutamente contraria al rafforzamento di un fronte curdo armato lungo i propri confini, temendone l’infiltrazione da parte del PKK. La posizione del PDK non verrà condivisa dall’UPK e dal Gorran, che invece solidarizzeranno con i curdi siriani.

Il 25 Settembre 2017, quando la minaccia dell’Isis cominciava a rientrare, i curdi ruppero gli indugi, organizzando l’annunciato referendum per l’indipendenza che, con il 93% dei consensi, espresse la volontà popolare dei curdi iracheni di rendersi indipendenti dall’Iraq, risultato fortemente contestato come illegittimo dalle autorità costituzionali irachene, e fortemente criticato a livello internazionale, soprattutto dai paesi confinanti come l’Iran, la Siria e la Turchia, totalmente contrari ad ogni ipotesi di disgregazione dello stato iracheno, la cui implosione rischiava di rilanciare le istanze indipendentiste curde in tutta la regione. Persino gli Stati Uniti decideranno di non riconoscere l’esito della consultazione curda, riaffermando l’integrità dello stato iracheno, esortando i curdi a concentrarsi nella lotta all’Isis, invitandoli a posticipare ogni dibattito sulla rimodulazione dell’architettura federale irachena. Altri paesi manterranno una posizione neutra come la Giordania e l’Armenia, o nettamente favorevole come Israele, interessato ad instaurare i rapporti con uno stato che si sarebbe virtualmente configurato come il loro unico vero alleato regionale.

L’esito del referendum suscitò così l’entusiasmo curdo, ma anche la dura condanna del governo di Baghdad, che reagì bloccando l’operatività degli aeroporti della regione del Kurdistan, minacciando addirittura di intervenire militarmente per ripristinare l’ordine costituzionale, mentre intanto l’esercito iraniano si posizionava ai confini minacciando di intervenire a supporto dell’esercito iracheno. Malgrado il risultato referendario, le principali forze politiche curde non riusciranno a trovare una piena sintonia sulla strategia da seguire, cosa che convincerà il governo di Baghdad a prendere l’iniziativa lanciando un operazione finalizzata al ripristino dei confini della regione del Kurdistan antecedenti alla crisi dell’Isis, rioccupando nuovamente Kirkuk ed il suo ricchissimo circondario petrolifero, inducendo così Masoud Barzani a dimettersi dalla presidenza del governo regionale del Kurdistan, decretando il congelamento del risultato referendario, che finì per configurarsi come un disastroso bluff politico, probabilmente ponderato confidando sul supporto americano, che invece non arriverà, per via delle fortissime pressioni provenienti dalla Turchia, assolutamente contraria a qualsiasi ipotesi di indipendenza curda in Iraq, come altrove.

Successivamente a questi eventi, il governo regionale del Kurdistan si ritrovò privato del 20% dei territori precedentemente controllati dalle milizie peshmerga, e costretto ad adeguarsi al verdetto della corte costituzionale irachena, cedendo, tra l’altro, il controllo degli aeroporti alle autorità centrali di Baghdad. Tuttavia, i leader curdi eviteranno di ripudiare formalmente l’esito referendario, preferendo limitarsi a rilevare l’incostituzionalità sancita dalle autorità giudiziarie irachene, lasciando la questione aperta, ma senza una apparente soluzione concreta. Verso la fine del Settembre 2018, le nuove elezioni per il KRG, saranno caratterizzate dalla crescita del PDK (43%) e dell’UPK (20%), che comunque si presenteranno ancora una volta divisi, mentre il Gorran perderà molti consensi a causa di scandali legati alla malagestione delle risorse del partito.

CONCLUSIONI

Come si è potuto constatare, i reiterati tentativi predisposti dai curdi per ottenere l’indipendenza dall’Iraq si sono rivelati fallimentari. Se i sogni indipendentisti dei curdi della penisola anatolica sono stati affossati dall’imprevedibile determinazione dei nazionalisti turchi, quelli dei curdi iracheni sono stati pregiudicati dalle ambizioni imperialiste britanniche. Nello specifico, il governo di sua maestà approfitterà del supporto curdo per strappare la regione di Mosul ai nazionalisti turchi, accaparrandosi i preziosi giacimenti petroliferi del circondario, promettendo ai curdi ivi residenti uno stato nazionale, che alla fine non riusciranno ad ottenere. I britannici, infatti, preferirono integrare la regione di Mosul al nascente Regno d’Iraq, probabilmente nel tentativo di riequilibrare la realtà confessionale dominata dagli sciiti, non particolarmente convinti dal monarca hashemita promosso da Londra, convinta che la confessione sunnita della comunità curda avrebbe contribuito ad equilibrare il complicatissimo scenario confessionale iracheno. Naturalmente, i britannici tentarono di stemperare la delusione curda, agevolando la nomina dello Sceicco Mahmud Barzani alla carica di governatore della regione di Mosul. Ma a dispetto dei piani britannici, i curdi reagiranno al tradimento delle loro aspettative, promuovendo una ribellione che rischierà di indebolire il già precario controllo della frontiera disputata con la Turchia.

Ad ogni modo, la rivolta curda verrà disarticolata rapidamente dall’esercito di sua maestà, che tuttavia manterrà un approccio strategico alla questione curda, disponendo la deportazione in India dello Sceicco Barzani, evitando di giustiziarlo. Infatti, Barzani, per quanto ribelle, continuava ad essere molto rispettato nella regione del Kurdistan, su cui continuava ad incombere la minaccia turca, sicché provarono a convincerlo a rinunciare al suo nazionalismo radicale, cooptandolo all’interno delle logiche di potere irachene, garantendogli una certa autonomia amministrativa locale. Barzani sembrerà cedere alle condizioni britanniche, salvo ribellarsi nuovamente, cercando persino il supporto turco, senza, tuttavia, riuscire a conquistare l’agognata indipendenza del Kurdistan, a cui l’influente clan Barzani continuerà a lavorare, sotto la guida dello Sceicco Ahmed, che, galvanizzato dal progetto della Repubblica di Ararat approntato dai curdi di Turchia, promuoverà una nuova fallimentare insurrezione indipendentista. Conseguentemente al fallimento di questa nuova rivolta, lo Sceicco Ahmed sarà costretto a fuggire nella vicina Persia, dove avrà modo di collaborare con i comunisti locali e con il PDKI di Qazi Mohammed, contribuendo all’effimera Repubblica di Mahabad. Nonostante il fallimento conseguito in Persia, Barzani riuscirà a trarre vantaggio da questa esperienza, accreditandosi presso l’URSS, ottenendo risorse utili ad organizzare politicamente la causa curda sotto l’insegna del PDK, formazione che permetterà ai curdi di diventare un vero e proprio ago della bilancia decisivo per gli equilibri strategici iracheni e regionali.

L’ascesa del PDK verrà favorita dalla complicata collaborazione tra Mustafa Barzani e Jalal Talabani, che approfitteranno del rovesciamento della monarchia hashemita per accreditare il partito all’interno della nuova vita politica irachena, conquistandosi i favori del neo-presidente Qassem, che come loro aveva origini curde, e una certa simpatia verso gli ideali socialisti. Nello specifico, Talabani si distinguerà per il suo approccio fortemente ideologizzato, mentre Barzani per il suo pragmatismo che lo porterà ad interagire trasversalmente con qualsiasi interlocutore politico, a prescindere dalla sua estrazione politica, tanto da mantenersi aperto al dialogo sia con il nuovo governo filo-sovietico iracheno che con ambienti occidentali. Tuttavia, sarà proprio questa disinvoltura a screditare Barzani a Baghdad, dove i militari temevano i suoi rapporti con i britannici di stanza nel vicino Kuwait. Ad ogni modo, al di là dei sospetti, quello che incrinò il rapporto tra Barzani ed il governo iracheno furono le crescenti istanze autonomiste avanzate dal PDK, a cui l’establishment militare panarabista guidato dai fratelli Arif, al contrario del Presidente Qassem, era assolutamente contrario, dal momento che ciò avrebbe significato rinunciare al controllo dei ricchi giacimenti petroliferi di Kirkuk.

La questione curda degenererà rapidamente in un contrasto che, tuttavia, assumerà una portata più vasta proprio dopo il rovesciamento di Qassem, reo di aver lesinato i rifornimenti all’esercito impegnato a risolvere la rivolta curda, sostenuta a fini strategici da Israele e Iran, all’epoca uniti dall’alleanza con gli Stati Uniti. Gli israeliani, infatti, decisero di sostenere la causa curda al fine di impegnare il potente esercito iracheno in casa, impedendogli di incidere sul conflitto arabo-israeliano. La tenace resistenza curda indurrà il governo di Arif a cercare una tregua che il PDK di Barzani accetterà con riserva.
Solo con l’ascesa del nuovo governo baathista di Baghdad, la contesa con i curdi sembrerà rientrare, portando ad un fragile accordo che salterà nuovamente a causa dell’annoso nodo petrolifero di Kirkuk, che riaprirà le ostilità. Ad ogni modo, le ritrosie di Talabani non impediranno ai peshmerga di Barzani di avvalersi dei rifornimenti militari che gli USA triangoleranno attraverso l’Iran, con cui il governo baathista iracheno entrerà in contrasto per la questione inerente la sovranità sullo Shatt al-Arab. Sarà proprio la risoluzione diplomatica di questa crisi a permettere all’Iraq di ottenere dall’Iran il blocco del supporto militare ai curdi, con cui il governo di Baghdad chiuderà i conti, costringendo i quadri del PDK a riparare all’estero, dove la fazione socialista radicale di Talabani ne approfitterà per abbandonare definitivamente il PDK, fondando l’UPK.

La scissione del fronte curdo permetterà al governo di Baghdad di assoggettare la regione del Kurdistan, dove le milizie dei due principali partiti inizieranno una vera e propria faida. Sul piano strategico, il PUK asseconderà le posizioni sovietiche, mantenendo rapporti relativamente concilianti con il governo baathista, mentre il PDK cercherà alleati tra gli ayatollah iraniani, con cui collaborerà in occasione della guerra del golfo. La guerra tra Iran e Iraq illuderà i curdi di poter sfidare nuovamente l’ordine baathista, finendo, tuttavia, per pagare ancora una volta un prezzo elevatissimo, ritrovandosi bersagliati dalle pesantissime rappresaglie chimiche dell’esercito iracheno. I curdi riusciranno a riproporsi solo in occasione dell’invasione americana dell’Iraq, quando riusciranno a ritrovare l’unità, approfittando delle difficoltà irachene per impossessarsi dei pozzi petroliferi di Kirkuk. Addirittura, l’UPK di Talabani, spalleggiato dall’Iran e dalle milizie del PKK, avanzerà la possibilità di prendere Baghdad, criticando la scelta americana di non rovesciare il governo di Saddam Hussein, temendo di lasciare spazi che inesorabilmente avrebbero occupato i loro nemici iraniani, spalleggiati dai marxisti del PKK, con il serio rischio di infiammare il confine turco.

Ad ogni modo, la no fly zone americana permetterà ai curdi di consolidare l’autonomia amministrativa nel Kurdistan, anche se al prezzo di un pesantissimo embargo commerciale che convincerà molti a lasciare il paese, dove PDK e l’UPK tenteranno di trovare una difficile sintesi politica. I delicati equilibri interni al fronte curdo verranno turbati dagli interessi petroliferi, quando il governo di Baghdad riuscirà a scardinare le sanzioni internazionali coinvolgendo il clan Barzani nel esportazione clandestina di petrolio verso la Turchia. Con questo accordo Saddam Hussein e Barzani riusciranno a dividersi i proventi petroliferi, a discapito dell’UPK di Talabani, considerato irrilevante dal momento che non controllava i territori interessati dalla “rotta petrolifera” verso la Turchia. L’accordo tra il governo baathista e il PDK verrà favorito dall’approccio pragmatico di Barzani alle relazioni internazionali, che lo porterà ad interagire in maniera deideologizzata con qualsiasi interlocutore, da Saddam Hussein alla Turchia, passando per gli Stati Uniti.

L’opportunismo di Barzani e la conseguente marginalizzazione dell’UPK, convincerà Talabani a privilegiare i rapporti con l’Iran e con i curdi del PKK attivi in Turchia, ottenendo risorse militari impiegate nell’assalto delle roccaforti del PDK, a cui i peshmerga fedeli al clan Barzani riusciranno a far fronte proprio grazie al determinante supporto turco e della guardia repubblicana irachena. I governi di Turchia e Iraq, sebbene nemici dei curdi, non esiteranno a supportare le milizie fedeli al clan Barzani, considerato essenziale per mantenere il sistema di esportazione petrolifera clandestina. Sicché, al termine della crisi, l’UPK verrà costretto a riparare in Iran, da cui rientrerà conseguentemente ad un accordo di riconciliazione con il PDK mediato dagli Stati Uniti, che imporrà all’organizzazione di Talabani la rottura dei rapporti con il PKK, come richiesto con insistenza da Ankara. La riconciliazione del fronte curdo, permetterà così agli USA di preparare le condizioni migliori per l’invasione dell’Iraq del 2003, quando si avvarrà del non indifferente contributo delle milizie peshmerga curde, impiegandole in operazioni di sabotaggio dietro le linee nemiche.

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( Il leader del PDK Barzani con il presidente USA Bush Jr )

Il supporto curdo all’invasione americana verrà ricompensato non soltanto giustiziando il Presidente Saddam Hussein, ma soprattutto con l’assegnazione della presidenza dell’Iraq a Jalal Talabani e quella del Kurdistan a Barzani. Ad ogni modo, successivamente all’invasione del paese, il nord del Kurdistan tornerà ad essere nuovamente frequentato dalle milizie del PKK, suscitando l’irritazione della Turchia, che reagirà effettuando frequenti incursioni militari, tollerate dal PDK, ma fortemente criticate dal PUK, che al netto delle rassicurazioni, continuerà a rimanere legato all’organizzazione terroristica marxista di Ocalan. Ben presto, i nuovi equilibri politici iracheni indurranno i curdi ad avanzare pretese sullo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Kirkuk, ventilando addirittura l’intenzione di rendersi indipendenti da Baghdad. Ambizioni che verranno accantonate per far fronte alla sfida posta dall’Isis, e riproposte recentemente con il controverso referendum sull’indipendenza curda, contestato come illegittimo dalla corte costituzionale irachena e rigettato dalla comunità internazionale. Fallimento che indurrà il governo di Baghdad, fortemente influenzato dal vicino Iran, ad approfittare del caos per riprendere il controllo della situazione, riponendo sotto il controllo governativo Kirkuk ed i suoi ricchi giacimenti petroliferi.

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( Il leader del PDK Barzani con il presidente turco Erdogan )

Il resto è cronaca, i curdi iracheni rimangono ingabbiati all’interno di una realtà angusta, che all’interno è dominata da un governo sempre più legato all’Iran, e all’esterno risulta subordinata alla realtà turca, giacché senza il corridoio turco rischiano di rimanere isolati, in una regione dove nessuno è disposto a riconoscere l’ascesa di uno stato curdo. Infatti, se è vero che gli Stati Uniti rimangono l’interlocutore privilegiato dei curdi, l’eventualità di una rottura dell’alleanza con Ankara rischierebbe lasciarli indifesi in balia di governi ostili, cosa che il PDK, nella qualità di principale forza politica curda, comprende benissimo, mantenendo rapporti rispettosi delle istanze provenienti dalla Turchia, da cui inesorabilmente dipende il futuro del Kurdistan iracheno. Si ha come l’impressione che a Erbil, soprattutto all’interno del clan Barzani, abbiano compreso la necessità di rinunciare ad una sempre di più utopistica indipendenza, adeguandosi ad una scomoda, ma pragmatica autonomia, che tuttavia nel prossimo futuro potrebbe evolversi in qualcos’altro, soprattutto in caso di implosione dell’alleanza tra Stati Uniti e Turchia, ipotesi che innescherebbe una guerra regionale su larga scala, senza di cui, difficilmente i curdi avranno modo di incidere sulla rettificazione della geografia politica mediorientale, ottenendo l’agognata indipendenza.

PS:

Nel prossimo articolo approfondiremo la realtà dei curdi iraniani.