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CONOSCIAMO I CURDI DI SIRIA

Dopo aver approfondito la realtà dei curdi di Turchia, Iraq e Iran, completiamo con il focus sui curdi di Siria, su cui ultimamente si è concentrata l’attenzione mediatica internazionale per via del loro ruolo nella crisi siriana.

LA DIASPORA CURDA POST-OTTOMANA

I circa 2 milioni di curdi siriani costituiscono meno del 10% della popolazione curda mediorientale, numeri che la rendono la comunità curda più piccola del Medio Oriente. La comunità curdo-siriana è distribuita prevalentemente lungo i confini nord-orientali della Siria, soprattutto all’interno del governatorato di al-Hasakah. La piccola comunità curda residente in Siria è cresciuta negli ultimi decenni per via degli importanti flussi di profughi provenienti da Turchia e Iraq.
La comunità curda residente nell’attuale Siria, come la gran parte delle realtà arabe, è stata dominata dall’Impero Ottomano per circa 4 secoli. Durante l’epoca ottomana, la comunità curda siriana, come del resto quella turca, si renderà complice del genocidio perpetrato ai danni dei cristiani armeni e assiri durante il periodo della prima guerra mondiale, rendendosi protagonista di numerosi saccheggi. Al termine della grande guerra, la Francia avanzò la possibilità di concedere una larga autonomia alla comunità curda residente tra Siria e Turchia. Intenzione formalizzata all’interno del Trattato di Sevres, ma stralciata nel successivo Trattato di Losanna, sulla scia delle pesantissime vittorie dei nazionalisti turchi guidati da Mustafa Kemal “Ataturk”.

In conseguenza del nuovo Trattato di Losanna le aspettative nazionaliste curde verranno disattese, decretando la suddivisione della comunità curda residente nel dissolto Impero Ottomano all’interno di tre stati diversi. Nello specifico, la gran parte della popolazione curda verrà integrata all’interno della nascente Repubblica di Turchia, mentre il resto verrà suddiviso all’interno di Siria e Iraq. Due realtà nazionali rispettivamente riconducibili a protettorati francesi e britannici. I curdi siriani verranno rapidamente cooptati dalle autorità francesi, intenzionate a sfruttare i fermenti delle minoranze del contesto siriano al fine di ostacolare la prepotente ascesa del nazionalismo della maggioranza araba del paese. Durante il mandato francese sulla Siria, i curdi otterranno una certa autonomia amministrativa locale, tanto da consentire ai nazionalisti curdi dello Xoybun di conquistarsi 3 seggi all’interno del nuovo parlamento siriano, per la cronaca, parliamo dello stesso Xoybun artefice dell’effimera Repubblica di Ararat in Turchia.

L’INDIPENDENZA SIRIANA E L’ASCESA DEL PDKS

Intorno al 1936, alla vigilia dell’indipendenza siriana dalla Francia, i curdi si coalizzeranno insieme ai cristiani assiri, chiedendo ai militari francesi di rimanere all’interno dei loro territori, temendo di perdere la loro autonomia locale, che non facevano mistero di voler evolvere in una qualche forma di indipendenza.
Le aspettative curde, sebbene inizialmente alimentate dai francesi, vennero meno, quando Parigi fu costretta a prendere atto dell’effettiva indipendenza della Repubblica Siriana, decisa a ribadire la sua sovranità su tutto il paese, comprese le aree abitate da minoranze organizzate come quella curda. Proprio durante questa turbolenta fase, i francesi si renderanno protagonisti di un bombardamento contro alcuni sobborghi curdi della città di Amuda, suscitando la reazione dei curdi che daranno alle fiamme la città, abitata prevalentemente da cristiani assiri, considerati complici dei francesi, godendo, tra l’altro, della complicità del nuovo governo nazionalista siriano.
I reiterati, ma fallimentari, tentativi di insurrezione nazionalista predisposti dai curdi in Turchia, alimentarono un’importante flusso di profughi verso la Siria, dove si riversarono anche personalità come Osman Sabri, un giornalista coinvolto sia nella rivolta guidata dallo Sceicco Said, che nell’effimera esperienza della Repubblica di Ararat, noto anche per essere stato membro dello Xoybun.

Nel 1957, Sabri lavorerà insieme a Daham Miro alla costituzione del “Partito Democratico del Kurdistan Siriano” (PDKS), una formazione politica finalizzata alla promozione di un processo di sviluppo economico e democratico. Ad ogni modo, il PDKS verrà perseguitato dal governo nazionalista siriano, che lo accusava di promuovere piani separatisti.
La situazione per il PDKS peggiorò ulteriormente nel 1961, quando il movimento panarabo promuoverà la ridenominazione della Siria in Repubblica Araba di Siria, evidenziando il primato della comunità araba nel paese. La svolta nazionalista araba degraderà la situazione socio-politica curda, soprattutto quando il governo nazional-popolare presieduto da Presidente al-Kudsi deciderà di censire la popolazione curda, disconoscendone la cittadinanza, e classificandoli come cittadini stranieri. I curdi, spogliati del loro diritto di cittadinanza, persero consequenzialmente anche i loro diritti politici e di proprietà, subendo anche numerosi espropri di terre, che il governo deciderà di assegnare a cittadini di etnia araba, in un quello che si configurerà come un processo di arabizzazione delle aree prevalentemente abitate dai curdi, che seppur privati dei loro diritti di cittadinanza, tuttavia si rifiutarono di abbandonare le loro case. Nel 1963, il PDKS supporterà il Partito Democratico del Kurdistan (PDK) nella loro lotta contro il governo dei liberi ufficiali di Baghdad, sostenuto dal governo baathista siriano. Intorno agli anni 70, il governo baathista siriano potenzierà il programma di arabizzazione delle regioni abitate dalla minoranza curda, promuovendo la creazione di un “cordone arabo” profondo 15 Km che si sviluppava per 300 Km dal confine iracheno percorrendo la lunga frontiera turca. All’interno di questo cordone, i villaggi a denominazione curda verranno ridenominati in lingua araba, degradando ulteriormente la situazione dei residenti curdi locali, considerati sempre più come elementi estranei al contesto siriano.

I CURDI E LA TOLLERANZA STRATEGICA SIRIANA 

Nel 1975, il progressivo deterioramento dei rapporti tra Hafiz al-Assad e Saddam Hussein indurrà il governo siriano ad accogliere il leader socialista radicale curdo Jalal Talabani, costretto a fuggire dal vicino Iraq. Nonostante la scarsa simpatia per la causa curda, i siriani permetteranno a Talabani di riorganizzarsi politicamente fondando l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK), strumentalizzandolo al fine di destabilizzare la nemesi baathista irachena rappresentata da Saddam Hussein. Lo stesso approccio di tolleranza strategica verrà applicato anche nei confronti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in funzione anti-turca. Nel 1991, la perdita del sostegno strategico sovietico indurrà il governo siriano riconsiderare la sua politica di tolleranza strategica verso i curdi, preferendo normalizzare le relazioni con la Turchia, disinnescando la crisi inerente lo sfruttamento del fiume Eufrate, accogliendo le richieste turche di revocare ogni forma di supporto al PKK, impegnandosi a ripulire i confini dalla presenza delle loro milizie. Nel 1998, il governo siriano abbandonerà l’approccio di tolleranza strategico, mettendo definitivamente al bando tutte le formazioni politiche curde, espellendo dal paese sia l’UPK di Talabani che il PKK di Ocalan, come previsto dagli Accordi di Adana stipulati con il governo turco.

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( Il leader dell’UPK Talabani con il leader del PKK Ocalan )

L’ASCESA DEL PYD E LA CRISI DI QAMISHLI

Nel 1986, dinnanzi al divieto di indossare i loro abiti tradizionali , alcune migliaia di curdi organizzeranno una serie di manifestazioni per le strade della capitale Damasco, andando incontro alla dura reazione delle forze di sicurezza siriane, sia nella capitale, che nel resto del paese, suscitando l’irritazione della comunità curda siriana. Nel 2003, alcune personalità politiche deluse dagli scarsi risultati raggiunti dal PDKS abbandoneranno il partito in protesta con la linea moderata imposta dall’establishment fedele al leader del PDK iracheno guidato dal clan Barzani. I delusi del PDKS decideranno così di fondare il Partito dell’Unione Democratica (PYD), una formazione socialista radicale che l’intelligence turca ritiene contigua all’organizzazione terroristica marxista curda del PKK.
La realtà curda si infiammerà nuovamente nel 2004, quando a Qamishli, a margine di una partita di calcio tra una squadra locale curda e una squadra araba proveniente da Deir ez-Zor, scoppieranno feroci scontri tra tifoserie opposte. Nello specifico, gli scontri verranno innescati dai tifosi arabi inneggianti al presidente iracheno Saddam Hussein, alludendo ai massacri perpetrati contro la popolazione curda locale. Dinnanzi alle offese contro Barzani e Talabani, i curdi siriani risponderanno inneggiando al presidente americano George Bush Jr, gridando slogan in cui si dicevano pronti a sacrificare le proprie vite in suo nome, e prendendo d’assalto le locali sedi del Partito Baath.

Gli scontri metteranno alle corde le forze di sicurezza siriane, che non riusciranno ad impedire ai rivoltosi curdi di abbattere una statua raffigurante l’ex-Presidente Hafiz al-Assad, inducendo così il governo a far intervenire l’esercito, che risolverà i disordini in modo sommario, facendo alcune vittime curde. L’intervento dell’esercito siriano fu dettato anche dal timore che le proteste curde potessero allargarsi al punto tale da fornire un pretesto alle forze di occupazione USA, dislocate nel vicino Iraq, per estendere la loro invasione anche all’interno della Siria, patrocinando l’integrazione dei territori siriani abitati dai curdi all’interno del governatorato del Kurdistan iracheno.
Successivamente alla crisi di Qamishli, i quadri del PYD verranno posti agli arresti con l’accusa di aver alimentato le sedizioni. Sull’onda di questo giro di vite, molti curdi decideranno di lasciare la Siria, rifugiandosi nel vicino Kurdistan iracheno, dove verrà approntato un apposito campo profughi. Negli anni seguenti gli incidenti di Qamishli, si verificheranno altri sporadici incidenti minori, senza, tuttavia, riuscire a turbare l’ordine, anche se ka pressione internazionale, cominciò a favorire l’avanzata di rivendicazioni di tipo federalista con cui i curdi del PYD puntavano a riformare l’architettura costituzionale siriana.

IL RIGETTO DEL NUOVO CORSO DI ASSAD

Conseguentemente all’ascesa del nuovo Presidente siriano Bashar al-Assad, molti curdi precedentemente imprigionati verranno liberati, nella speranza di aprire una nuova fase di riconciliazione politica nazionale. Tuttavia, malgrado le aperture del nuovo governo siriano, il PYD si renderà protagonista di alcune proteste contro le iniziative militari turche contro il PKK nel Kurdistan iracheno, suscitando il pronto intervento dell’esercito siriano. La solidarietà curda nei confronti del PKK, indurrà così il governo di Damasco a riprendere mano alla persecuzione del PYD, arrestando molti suoi membri con l’accusa di congiurare con paesi stranieri alla disgregazione di parte del paese, al fine di integrarla alla regione del Kurdistan iracheno.
Il leader del PYD, Salih Muslim, un ingegnere con un passato tra Regno Unito e Arabia Saudita, sfuggirà alla persecuzione siriana, rifugiandosi proprio nel Kurdistan iracheno, godendo della protezione dell’UPK di Talabani, altro importante alleato del PKK. Qualche tempo dopo, Salih Muslim riuscirà ad accreditarsi presso la Turchia durante il processo di riconciliazione avviato tra il PKK ed il governo turco presieduto da Erdogan, perorando la causa dell’organizzazione di Ocalan, pur sconfessando i legami tra il PYD e il PKK precedentemente avanzati dall’intelligence di Ankara.

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( Il leader del PYD Salih Muslim con sullo sfondo una gigantografia del leader del PKK Ocalan )

I CURDI NELLA CRISI SIRIANA

Nel 2011, all’inizio della crisi siriana, il PYD promuoverà la costituzione del “Comitato di Coordinamento Nazionale per il Cambiamento Democratico” (NCC), un’organizzazione catalizzatrice dell’opposizione al governo siriano, caratterizzata da un’impostazione socialista e da una certa ritrosia nel coinvolgere paesi stranieri nella crisi siriana, come, invece, sostenuto dal Consiglio Nazionale Siriano (CNS). Ad ogni modo, almeno inizialmente, il PYD prenderà le distanze dal “Consiglio Nazionale Curdo” (CNK) promosso dal ben più noto PDK di Masoud Barzani, il quale, solo qualche mese dopo riuscirà a convincere il PYD a convergere, insieme alle altre formazioni politiche curde, all’interno del “Comitato Supremo Curdo” (CSK). Il CSK, dinnanzi al vuoto di potere lasciato dal ritiro dell’esercito siriano pressato dalle milizie islamiste dell’ISIS, deciderà di promuovere la costituzione delle “Unità di Autoprotezione Popolare” (YPG), grazie a cui nel 2012 riusciranno a prendere il controllo delle città di Afrin, Kobane, Amuda e al-Bab. Ad ogni modo, fin dalle prime battute della crisi siriana, il PYD manterrà un approccio trasversale autonomo sia nei confronti del governo baathista di Assad, che dallo stesso Consiglio Nazionale Siriano (CNS), accusato di essere manipolato dal governo turco e, di conseguenza, ostile ad ogni ipotesi di autonomia curda.

Dinnanzi alla pressione islamista, il governo baathista siriano accoglierà, suo malgrado, le istanze autonomiste curde, decidendo di ritirare gran parte dell’esercito dal nord-est del paese, cedendone tacitamente il controllo alle milizie YPG, integrate da molti attivisti curdi precedentemente arrestati. Il massiccio ritiro siriano, non impedirà, tuttavia, allo stato maggiore di Damasco di conservare il controllo delle basi militari di Qamishli e di al-Hasaka. Questo tacito accordo strategico permetterà al governo siriano di razionalizzare e concentrare le proprie risorse militari nelle aree centrali del paese assediate dai ribelli qaidisti, mettendo il PYD nelle condizioni di imporre la propria egemonia all’interno del contesto curdo, sfruttando il primato delle proprie milizie YPG nei confronti dei moderati del CSK, che reagiranno accusando il PYD di voler monopolizzare il potere imponendo la loro egemonia sulla realtà curda. Il suo rafforzamento, permetterà al PYD di svincolarsi dal CSK, promuovendo la costituzione del “Movimento per una Società Democratica” (TEV-DEM), con cui perseguirà la realizzazione di un progetto di autoamministrazione democratica dei territori controllati. La formula del TEV-DEM cercò di promuovere una logica amministrativa polietnica che, almeno sulla carta, agevolasse la partecipazione politica delle minoranze curde, yazide, turkmene e assire. A livello economico, la TEV-DEM confermò la contiguità ideologica con il PKK di Ocalan, promuovendo un sistema economico di impostazione comunista, vincolando i diritti di proprietà privata alle logiche collettivistiche.

L’ASSEDIO ISIS E LA COLLABORAZIONE USA

Dinnanzi alla prepotente avanzata delle milizie jihadiste dell’ISIS, i curdi del PYD riusciranno a resistere all’assedio delle proprie roccaforti solo grazie al determinante supporto delle milizie marxiste del PKK e degli Stati Uniti, nonostante la ferma opposizione della Turchia, che considerava il PYD uno pseudonimo siriano del PKK. Il governo turco ostacolerà i tentativi del PKK di accorrere in soccorso dei curdi assediati a Kobane, ponendo fine al timido processo negoziale precedentemente avviato con l’organizzazione di Ocalan, favorendo le condizioni per la ripresa del conflitto all’interno dei confini turchi. A partire dal 2015, gli USA inizieranno a supportare le milizie curde YPG, convincendole ad abbandonare l’impostazione autodifensiva in favore di una campagna offensiva finalizzata al respingimento delle forze dell’ISIS verso i confini iracheni. La cooperazione tra i comunisti curdi e gli Stati Uniti verrà preceduta dal restyling cosmetico del vessillo delle milizie YPG, che abbandoneranno la storica bandiera rossa stellata in favore di una colorata di un meno rivoluzionario colore giallo, venendo incontro alle necessità americane di occultare alla propria opinione pubblica il supporto di un’organizzazione comunista. Ideologia comunista che convincerà molti cittadini occidentali di estrazione marxista ad unirsi alle milizie YPG, considerate da questi “foreign fighters” come una sorta di riedizione delle brigate internazionali.

L’AUTONOMIA DEL ROJAVA E I LEGAMI CON IL PKK

Nel 2016, il PYD confermerà la formula del TEV-DEM, istituendo la “Federazione Democratica della Siria Settentrionale del Rojava”, suscitando la ferma condanna sia del governo siriano che della Coalizione Nazionale delle Forze di Opposizione Siriane  (CNS). Anche lo stesso Consiglio Nazionale Kurdo (CNK) criticherà la svolta unilaterale del PYD, respingendo seccamente le accuse che lo volevano complice della Turchia, con cui, tuttavia, non negavano di intrattenere rapporti politici mediati dal PDK di Barzani. Ben presto, il rapporto tra PYD e CNK riproporrà nel contesto siriano il dualismo interno al Kurdistan iracheno tra il PDK di Barzani e la coalizione PKK-PUK di Talabani. Nello specifico, la federazione promossa dal PYD si allontanerà dalle concezioni nazionaliste curde rivendicate dal CNK, promuovendo una formula politica multietnica decentralizzata di stampo liberal-socialista coerente alle impostazioni anarchiche predicate dal PKK di Ocalan. La contiguità tra il PKK e il PYD confermerà i timori dell’intelligence turca, che diramerà l’ordine di arresto del loro leader Salih Muslim, classificato come terrorista dal governo di Ankara, che più avanti contesterà all’Unione Europea il supporto fornitogli. Ad ogni modo, la Federazione del Rojava non verrà amministrata da Salih Muslim, ma verrà co-presieduta dalla curda Hediya Yousef e dall’arabo Mansur Selum.

La federazione promossa dai curdi del PYD verrà sottoscritta anche dalle minoranze assire e da alcune tribù arabe del nord-est della Siria, grazie al cui supporto costituiranno la milizia delle “Forze Democratico Siriane” (FDS), che al netto del nome, sarà composta quasi per intero dal nucleo curdo delle milizie YPG curde, affiancate da consulenti militari americani. Gli Stati Uniti giocheranno un ruolo determinante nella costituzione delle milizie FDS, convincendo i curdi a cosmetizzare la contiguità tra le milizie marxiste YPG e i terroristi comunisti del PKK, facendoli confluire dentro una nuova sigla apolitica, estranea alle accuse di contiguità con l’organizzazione terroristica marxista di Ocalan mosse dagli alleati turchi. Sarà sempre grazie al fondamentale supporto militare americano che le milizie FDS riusciranno a respingere l’ISIS verso il confine iracheno. L’intervento americano a supporto curdo, inizialmente, si articolerà per via aerea, per poi svilupparsi anche a terra, contravvenendo al mandato del Consiglio di Sicurezza ONU, che nella risoluzione 2249 escludeva espressamente la presenza di militari stranieri sul suolo siriano. Ad ogni modo, l’avanzata delle milizie SDF si è sviluppata all’interno dei territori precedentemente occupati dall’ISIS, dove le milizie curde, tutt’oggi, continuano ad essere accusate di perseguitare i residenti arabi, attraverso vessazioni e deportazioni che alcuni corrispondenti giudicano come vere e proprie azioni di pulizia etnica nei confronti delle comunità arabe e turcomanne locali. Tesi, quella della pulizia etnica, che sarebbe finalizzata a de-arabizzare territori, da integrare in un futuro stato curdo. A queste gravi accuse, va aggiunto il fenomeno della coscrizione forzata e del deprecabile arruolamento di minori documentato da molti corrispondenti, pratica condivisa sia con l’ISIS che con il cosiddetto Esercito Libero Siriano (FSA).

USA bombardamento siria curdi ypg
( Aviazione USA supporta le operazioni delle milizie curde YPG in Siria )

Sul piano internazionale, il supporto americano alle milizie FDS, ha indotto alcuni paesi europei come la Francia a supportarne le iniziative, affiancando propri militari alle milizie curde, rendendosi complici degli Stati Uniti nella violazione della sovranità nazionale siriana, più volte denunciata dal governo di Damasco. I principali paesi della NATO, sorvoleranno sia sull’origine comunista delle milizie curde, che sui loro legami con l’organizzazione terroristica marxista PKK denunciata dai loro alleati turchi. Particolare, è invece il rapporto che i curdi del PYD intrattengono con il vicino Kurdistan iracheno, dove il PDK di Barzani mantiene rapporti politici decisamente freddi con il PYD, vuoi per la loro alleanza con gli storici avversari del PKK, vuoi perché l’impostazione multietnica della federazione del Rojava rischia di vanificare la causa nazionalista curda.
Durante le ultime battute della lotta all’ISIS, le milizie turcomanne integrate alle milizie dei ribelli del FSA supportate dalla Turchia hanno impedito alle milizie curde SDF di congiungersi con i compagni del cantone di Afrin, che qualche mese fa è stato oggetto dell’invasione turca, denominata Olive Branch (Ramoscello d’ulivo). L’iniziativa militare turca ha impedito la realizzazione di un corridoio curdo lungo i propri confini, pregiudicando il progetto di una futura indipendenza o autonomia dei territori occupati dai curdi. Proposito che Ankara intende allontanare minacciando di estendere il proprio intervento militare ad est del fiume Eufrate, nonostante la netta opposizione americana.

CONCLUSIONI

La piccola realtà curdo-siriana può essere considerata come una realtà periferica del ben più importante contesto curdo-turco, da cui proviene gran parte della popolazione curda oggi residente in Siria. Infatti, la piccolissima comunità curda autoctona è cresciuta proprio conseguentemente agli importanti flussi migratori provenienti dalla Turchia nazionalista di Ataturk. In molti casi, parliamo degli stessi curdi complici del genocidio armeno, e degli stessi curdi protagonisti dell’effimera Repubblica di Ararat, promossa dallo Xoybun, di cui abbiamo scritto negli articoli precedenti. Successivamente allo sfaldamento dell’Impero Ottomano, la minoranza curdo-siriana ha tratto giovamento dal mandato francese sui territori siriani, ottenendo un certo grado di autonomia locale, almeno fino alla proclamazione dell’indipendenza della Repubblica Siriana. Dinnanzi alla prospettiva di perdere la propria autonomia, ritrovandosi ostaggio di uno stato dominato dalla maggioranza araba, i curdi hanno tentato inutilmente di convincere la Francia a mantenere truppe all’interno dei loro esigui territori, nella speranza di riuscire ad ottenere quell’indipendenza che il Trattato di Losanna tradì. Ci riferiamo al Trattato di Losanna perché, come già detto, l’establishment curdo-siriano era espressione del partito nazionalista curdo-turco Xoybun, lo stesso che qualche anno prima riuscì a convincere i francesi a perorare inutilmente la loro causa nazionalista, inserendola nel fallimentare trattato di Sevres, poi superato, per volontà turca, proprio da quello di Losanna. Tuttavia, anche in occasione dell’indipendenza siriana, i francesi si dimostrarono incapaci di concretizzare il loro teorico sostegno alla causa nazionalista curda, lasciandola in balia delle nuove autorità di Damasco. Comportamento, questo, che susciterà l’irritazione dei curdi, che non esitarono ad aggredire il contingente francese prossimo al ritiro, organizzando una rappresaglia che coinvolgerà persino la comunità cristiana assira, considerata contigua agli interessi francesi.

Nel secondo dopoguerra, alcune personalità legate allo Xoybun come Osman Sabri e Daham Miro guideranno il processo di riorganizzazione della causa curda siriana, fondando il PDKS, suscitando la ferma condanna del governo siriano, intimorito dall’ascesa di un movimento secessionista curdo all’interno dei propri confini. L’attivismo del PDKS si svilupperà proprio durante l’ascesa del nazionalismo panarabo nella regione mediorientale, a cui l’establishment arabo siriano si era risolutamente accodato, modificando addirittura la denominazione del paese in Repubblica Araba Siriana, riaffermando l’identità araba del paese. L’ascesa del panarabismo, degraderà ulteriormente la condizione dei curdi-siriani, privandoli del diritto di cittadinanza, senza contare il processo di arabizzazione delle aree a netta prevalenza curda lungo il confine con la Turchia. In quel frangente, l’allora governo siriano avanzerà l’idea di una fascia di arabizzazione profonda 15 Km, da sviluppare lungo i confini con la Turchia, finalizzata a diluire la rilevanza demografica curda, idea questa, che recentemente i turchi stanno rilanciando perorando una fascia di sicurezza libera da milizie curde lungo i confini turco-siriani. La solidarietà panaraba agevolò la sincronizzazione delle iniziative che i governi di Siria e Iraq disponevano per contenere il crescente attivismo curdo nella regione, soprattutto alla luce della crescente rilevanza del PDK del clan Barzani nel Kurdistan iracheno.

La sintonia siro-irachena verrà meno con il dualismo baathista tra Hafiz al-Assad e Saddam Hussein, quando i siriani decideranno di sfruttare la causa curda a loro vantaggio, concedendo asilo politico a Jalal Talabani, consentendogli di fondare l’UPK. La “tolleranza strategica” siriana verrà estesa anche al PKK di Ocalan in funzione anti-turca. Infatti, l’UPK e il PKK pur essendo due realtà politiche curde, risultavano accomunate da una leadership socialista decisamente più radicale di quella più moderata e pragmatica del PDK di Barzani, che al netto della retorica nazionalista curda, non esitava a cooperare sottotraccia sia con l’Iraq, che con la Turchia, approccio conciliante mutuato anche dal PDKS. La tolleranza strategica siriana nei confronti dei curdi verrà presumibilmente supportata dall’Unione Sovietica, a cui UPK e PKK si sentivano profondamente legati ideologicamente. Ponte ideologico che permetteva ai sovietici una vantaggiosa proiezione geopolitica, paradossalmente disattesa proprio dal PDK di Barzani, nonostante fosse stato supportato proprio dalla Russia subito dopo il fallimento della Repubblica di Mahabad in Persia. Il movente geopolitico sembra confermato dall’archiviazione della tolleranza strategica all’indomani del crollo sovietico, quando i siriani abbandoneranno i curdi al loro destino, preferendo normalizzare le controverse relazioni con la vicina Turchia, revocando progressivamente il tacito supporto garantito al PKK. Il cambio di politica impostato dal governo siriano, infiammerà la realtà curdo-siriana, profondamente legata all’organizzazione marxista di Ocalan, dando luogo a sporadici incidenti, soprattutto all’indomani del suo rocambolesco arresto.

Nei primi anni del 2000, il corso moderato del PDKS verrà contestato dalle fazioni più radicali solidali al PKK, divenute sempre più ostili all’influenza che il PDK di Barzani continuava ad esercitare all’interno del contesto curdo-siriano. Gli scontenti del PDKS decideranno così di fondare il PYD, una formazione contigua al radicalismo socialista predicato da Ocalan. Il cambio di clima politico nel nord-est della Siria si paleserà in occasione degli scontri di Qamishli, quando i curdi-siriani tenteranno inutilmente di fornire agli Stati Uniti un motivo per estendere l’invasione dell’Iraq alla vicina Siria. In quell’occasione, le rivendicazioni comuniste dei curdi-siriani cederanno il passo alle invocazioni al presidente americano Bush, acclamato come il liberatore del popolo curdo, e non più come il leader dell’oppressione capitalista. La crisi di Qamishli, verrà risolta prontamente dall’esercito siriano, affossando il tentativo di riconciliazione abbozzato dal neo-presidente Bashar al-Assad, alle prese con il preludio della crisi politica che da qualche anno attanaglia il suo paese. A Qamishli, i siriani hanno preso atto che sotto il manto rivoluzionario socialista della causa curda, in realtà si celava la crescente influenza statunitense irradiata dal vicino Kurdistan iracheno. L’intuizione siriana, indurrà il governo baathista di Damasco ad incrementare la pressione sul PYD, arrestando molti suoi membri, e costringendo alla fuga molti dei suoi dirigenti, che come Salih Muslim troveranno rifugio proprio nel Kurdistan iracheno, da dove avanzeranno progetti di federalizzazione, puntualmente respinti dai siriani. Salih Muslim, cercherà di mantenere il PYD equidistante dal PKK e dal PDK, riuscendo addirittura ad accreditarsi come mediatore terzo nel processo di pace che il governo turco aveva avviato in quel periodo con l’organizzazione di Ocalan.

Durante le prime fasi della crisi siriana la realtà curda si è accodata all’opposizione chiedendo le dimissioni del presidente Assad e l’avvio di un processo di cambiamento democratico, pur scartando ogni ipotesi di intervento straniero nella crisi, perorata dal Consiglio Nazionale Siriano (CNS). In questo clima di instabilità, saranno gli esponenti del PDKS vicini al PDK di Barzani a prendere l’iniziativa, compattando la realtà curda all’interno del Comitato Supremo Curdo (CSK) ed organizzando le milizie YPG. Le milizie YPG riusciranno a prendere il controllo di alcune località nord-orientali abitate da cospicue minoranze curde, godendo del tacito ritiro dell’esercito siriano, incapace di tenere le posizioni periferiche assediate dalla potente avanzata dell’ISIS. Il governo siriano, in quel frangente, preferirà ritirare la gran parte delle proprie forze nelle aree centrali del paese, mantenendo solo il controllo delle principali basi militari, delegando tacitamente il controllo delle aree urbane alle milizie curde. Il ritiro siriano permetterà al ben più armato PYD, sostenuto dal PKK, di accrescere il proprio potere, svincolandosi dagli alleati del vecchio PDKS, ponendo fine all’esperienza del CSK. La militarizzazione della crisi siriana permetterà al PYD, e di conseguenza al PKK, di sfruttare il proprio primato militare per egemonizzare le milizie YPG, marginalizzando i deboli referenti moderati del PDK di Barzani, costringendoli a riunirsi nuovamente all’interno del Consiglio Nazionale Kurdo (CNK). L’egemonia del PYD permetterà di sviluppare la loro particolare visione politica comunista e multietnica, coinvolgendo nella loro formula di autogoverno anche le locali minoranze yazide e assire.

Miliziani comunisti curdi YPG siria
( miliziani comunisti curdi )

Le milizie YPG riusciranno a fatica a reggere l’assedio dell’ISIS, che riusciranno a spezzare e respingere, paradossalmente, solo grazie al supporto di quelli che teoricamente dovevano essere i loro nemici, ovvero gli americani. Questa apparentemente inedita alleanza tra comunisti e capitalisti, di certo non ha sorpreso il governo siriano, che già nella crisi di Qamishli aveva intuito la volontà dei “rivoluzionari” curdi di cooperare con gli Stati Uniti, al punto da inneggiare slogan in cui si proclamavano pronti a morire per il presidente repubblicano George Bush Jr, sebbene questi rappresentasse l’antitesi del loro modello socialista. Ad ogni modo, il superamento delle contraddizioni ideologiche è stato favorito dalla nuova amministrazione liberal-democratica Obama, abile nel trasformare quelli che fino a qualche anno fa erano riconosciuti come ribelli comunisti in “freedom fighters” democratici, occultando nelle nuove “Forze Democratiche Siriane” (SDF) quanto di comunista c’era tra i ranghi delle milizie YPG.

I curdi sono riusciti ad accreditarsi tra i mass-media occultando la loro retorica marxista, in favore di argomenti più accattivanti per il pubblico occidentale come l’umanitarismo, l’ambientalismo, il femminismo, ecc. Il restyling cosmetico ha permesso così ai comunisti curdi di trasformare la quinta essenza del capitalismo (gli USA) nel migliore alleato della loro rivoluzione socialista, e agli americani di accreditare dei ribelli comunisti come forza democratica geopoliticamente utile, sorvolando sui legami che li legano all’organizzazione terroristica marxista del PKK. Gli Stati Uniti insisteranno nel loro sostegno ai curdi, nonostante le reiterate proteste degli alleati turchi che, paradossalmente, classificano come Washington, il PKK come un’organizzazione terroristica. La cosmeticizzazione del ruolo del PKK in Siria ha irritato profondamente la Turchia, spingendola a riconsiderare la propria scala di priorità strategiche, disinnescando il fronte ribelle di Idlib, e iniziando a cooperare al processo di de-escalation con Russia e Iran. I turchi, da parte loro, contestano agli Stati Uniti il continuo afflusso di armi verso i curdi-siriani, che nonostante la sconfitta dell’ISIS, non accenna a diminuire, agevolando la militarizzazione di una realtà contigua a quella dei terroristi del PKK. Infatti, per quanto gli USA sostengano che i curdi delle SDF non siano affatto legati con i terroristi marxisti di Ocalan, le innumerevoli prove fotografiche raffiguranti le gigantografie di Ocalan sparse per i territori occupati dalle milizie curde avvalorano l’esatto contrario, corroborando le accuse turche.

Ocalan PKK curdi YPG SDF siria
( Gigantografia del leader del PKK Ocalan esposta dai miliziani curdi YPG a Raqqa )

Ad ogni modo, forti del supporto americano, le milizie curde YPG sono riuscite a sottrarre all’ISIS il controllo dei territori siriani orientali, ponendoli sotto il governo della loro autoproclamata “Federazione Democratica”. Il controllo curdo sui territori occupati, risulta tutt’oggi piuttosto complicato, dal momento che le popolazioni arabe locali mal tollerano il dominio di una minoranza, contestando apertamente il fenomeno della coscrizione militare coatta. Violazioni dei diritti umani che vengono regolarmente denunciate dai civili dell’est della Siria, che richiedono il ritorno delle autorità di Damasco, senza contare i fenomeni di pulizia etnica con cui le milizie curde impediscono ai rifugiati arabi di ritornare nelle loro case. Criticità contestate apertamente anche dai curdi del CNK, che disconoscono l’autorità del PYD e l’egemonia delle loro milizie YPG, sebbene siano state ridenominate (SDF), nel tentativo di occultare i profondi legami con i terroristi marxisti del PKK. Legami, questi, che hanno indotto la Turchia ad impedire il congiungimento del Rojava curdo con il cantone occidentale di Afrin, oggi occupato dalle truppe turche. Paradossalmente, le milizie curde YPG, istituite per difendere la sicurezza della popolazione curda, hanno preferito espandere il proprio dominio sui territori sud-orientali arabi della Siria, anziché accorrere in soccorso dei propri fratelli di Afrin, lasciandoli in balia dell’invasione turca. In quell’occasione, i curdi non hanno saputo, o voluto, svincolarsi dalle direttive strategiche dei loro sponsor americani, continuando la corsa verso il profondo sud-est arabo, preferendo occupare qualche campo petrolifero, barattando i loro ideali per qualche barile di petrolio, diventando strumento geostrategico di una potenza straniera. Destino che, come abbiamo avuto modo di constatare nei nostri precedenti articoli, condivide con tutte le comunità curde del Medio Oriente.

Oggi, la crisi siriana è sostanzialmente disinnescata, e tra i curdi trapela la volontà di riconciliarsi con il governo siriano, con cui continua ad intrattenere un rapporto misurato, decisamente più aperto rispetto a quello tenuto dai ribelli islamisti asserragliati nella sacca di Idlib. I curdi avrebbero interesse a riconciliarsi con il governo di Damasco, da cui sperano di ottenere una qualche forma di autonomia locale. anche se tra le file del PYD  non manca chi confida nel supporto americano per raggiungere una vera e propria indipendenza. L’esito di questa partita politica sarà sicuramente influenzato dagli sviluppi del controverso rapporto tra gli estremisti del PYD e i curdi moderati alleati del PDK di Barzani, con cui, oltre all’etnia, condividono la strategica alleanza con gli USA. Tuttavia, per quanto gli americani possano essere d’aiuto, presto o tardi la piccola minoranza curda finirà per perdere il controllo delle province meridionali siriane a netta prevalenza araba. Infatti, è decisamente improbabile che nel medio-periodo una realtà meno organizzata di quella del Kurdistan iracheno riesca a controllare un territorio esteso il doppio di quello attualmente amministrato dal Governo regionale del Kurdistan iracheno.

Mappa situazione crisi siriana
( Mappa rappresentativa dell’odierna situazione militare della crisi siriana )

Ad ogni modo, se è vero, che gli interessi curdi sono subordinati a quelli di Washington, l’annunciato ritiro americano dalla Siria sembrerebbe avvalorare la prospettiva di una riconciliazione, peraltro, perorata anche dalla Russia, con cui i curdi coltivano ottimi rapporti. Mosca sta, infatti, cercando di convincere il governo siriano a riformare la costituzione in senso federalista, tentando di convincere i baathisti trasformare l’attuale Repubblica Araba di Siria, in una più generica Repubblica Siriana, ridimensionando l’identità araba del paese. Tuttavia, le pressioni federaliste russe, oltre ad essere avversate dal Partito Baath, incontrano soprattutto la ferma opposizione di Iran e Turchia, assolutamente contrari ad ogni ipotesi di riconoscimento politico curdo, che temono possa galvanizzare i focolai nazionalisti curdi all’interno dei loro confini. Ankara e Teheran, infatti, continuano a respingere ogni ipotesi di coinvolgimento curdo nel processo di risoluzione della crisi siriana. Addirittura i turchi minacciano di estendere il proprio intervento militare da Afrin a tutto il nord della Siria, al fine di realizzare una fascia di sicurezza profonda 15 Km libera dalla presenza delle milizie terroristiche YPG-PKK. Ipotesi che gli Stati Uniti hanno più volte contestato, minacciando di intervenire a difesa dei loro alleati curdi. Va poi considerato, che il governo turco non considera tutti i curdi-siriani come una minaccia, infatti, intrattiene buoni rapporti con i curdi del CNK alleato del PDK di Barzani.

Ad ogni modo, al netto dell’annunciato ritiro americano, il consolidamento dell’asse Mosca-Ankara suggerisce che difficilmente agli annunci seguiranno fatti coerenti. Per intuire gli sviluppi della contesa curdo-siriana, dovremo basarci sull’atteggiamento della Turchia nei confronti dei dossier S-400 e F-35, perché nel caso in cui il governo di Erdogan decida di confermare l’intenzione di ultimare l’acquisto del sofisticato sistema antiaereo russo, allora la consegna dei moderni caccia-bombardieri stealth americani verrà cancellata, come presumibilmente la loro appartenenza alla NATO. D’altronde, ad Ankara si è fatta largo l’idea che se un paese NATO come gli USA non si fa scrupolo a collaborare con un gruppo ribelle comunista come quello dei curdi YPG, non ci sia contraddizione alcuna se un paese NATO come la Turchia decida di intensificare il rapporto con i russi, iniziando ad acquistare armi da loro. L’eventuale rottura dell’alleanza tra Turchia e USA, vorrà dire che Ankara avrà intuito che tra loro e i curdi, Washington ha scelto i curdi, decidendo di scommettere sul progetto del “Grande Kurdistan”, la cui concretizzazione passerà inevitabilmente per il disgregamento degli odierni stati di Iran, Iraq, Siria e Turchia. Ecco spiegata la sintonia tra Turchia e Iran, due paesi consapevoli di poter essere i prossimi a fare i conti con il processo di destrutturazione nazionale già avviato in Iraq e Siria. Si, perché quello che è successo, succede e succederà in Siria non è una questione meramente siriana, ma una questione mediorientale di portata internazionale. Infatti quella siriana è solo una tappa, la seconda dopo l’Iraq, verso la nascita di uno stato kurdo alleato degli Stati Uniti, incastonato nel bel mezzo del Medioriente. Paese che insidierebbe i confini meridionali russi, e che precluderebbe ai cinesi uno dei corridoi commerciali terrestri ipotizzati nel loro progetto della “via della seta”.

PS:

Con questo 4° articolo concludiamo la serie di approfondimento dedicata alla conoscenza della variegata realtà curda. Confidiamo che questi quattro articoli possano fornire un quadro generale della complicata questione curda a chi non la conosce e ricerca una sintesi da cui partire per farsi un’idea personale sull’argomento trattato.