GeneraleMedio OrienteRussiaSiria

IL RUOLO DELLA RUSSIA IN SIRIA

L’ALLEANZA TRA RUSSIA E SIRIA

Dopo aver dedicato 4 articoli alla conoscenza della realtà storico-politica siriana ( Siria 1; Siria 2; Siria 3; Siria 4 ), e altri 4 alla conoscenza della guerra civile siriana ( Siria 5; Siria 6; Siria 7; Siria 8, Siria 9 ), più altri due dedicati ai rapporti bilaterali tra Siria e USA e al controverso uso di armi chimiche durante la crisi siriana, proviamo a fare un bilancio dell’intervento russo in Siria a distanze di tre anni dall’inizio delle operazioni.

Come abbiamo avuto modo di approfondire nell’articolo sull’Alleanza tra Siria e Russia, tra questi due paesi vige una storica alleanza, forgiata ai tempi dell’Unione Sovietica sotto l’impulso del Partito Socialista Panarabo Baath, guidato da personalità politiche come Salah Jadid e Hafiz al-Assad. L’alleanza è stata comunque ponderata sugli standard mediorientali e non su quelli prevalenti in occidente, infatti storicamente la Russia non ha mai considerato le aggressioni alla Siria un motivo valido per sostenerla militarmente in modo diretto, come l’URSS ha dimostrato nel corso dei numerosi episodi del conflitto arabo-israeliano, nel corso dei quali si sempre limitata a rifornire l’esercito siriano. Tra l’altro, persino l’erogazione dei mezzi militari veniva ponderato, razionando le forniture di armi sofisticate, preferendo abbondare nell’invio di armamenti meno avanzati, garantendo comunque l’istruzione di molti ufficiali siriani, che non di rado durante le operazioni contro Israele venivano affiancati da istruttori sovietici.

D’altronde, il supporto della Russia sovietica agli alleati mediorientali seguirà questa impostazione, fatta eccezione per la Crisi di Suez, quando Mosca paventò una rappresaglia nucleare contro Francia, Israele e Regno Unito, rei di aver aggredito l’Egitto guidato da Nasser, consentendogli di espandere la sua rivoluzione socialista-panaraba in gran parte del Medioriente, di cui la Siria Baathista di oggi rimane l’ultima erede. Tuttavia, successivamente alla Crisi di Suez, anche i rapporti tra URSS ed Egitto verranno ponderati, ponderando le forniture militari, privilegiando la quantità degli armamenti alla qualità, impedendo agli egiziani di prevalere sugli israeliani, che i sovietici hanno sempre trattato con particolare riguardo, nonostante avessero scelto di ripudiare le proprie origini socialiste, promosse dai numerosi cittadini di fede ebraica emigrati in Palestina dall’est Europa, che preferirono agganciarsi all’orbita strategica americana.

L’ALLEANZA SIRO-SOVIETICA

I rapporti tra Siria e URSS risalgono all’epoca dell’indipendenza siriana dal controllo coloniale francese, e furono potenziati progressivamente, fino a quando Salah Jadid, l’allora leader del Partito Baath decise di indirizzare la Siria su di un corso socialista radicale, che sul piano internazionale oltre a confermare l’ostilità ad Israele, non esitò a sfruttare l’attivismo palestinese indirizzandolo contro la Giordania Hashemita filo-americana, nel tentativo di concretizzare l’ambizioso progetto della “Grande Siria”. Il supporto di Jadid all’insurrezione palestinese, avrebbe permesso all’URSS di sottrarre la Giordania al blocco americano, tuttavia, la debolezza militare giordana venne prontamente colmata dagli Stati Uniti che non esitarono a minacciare l’intervento diretto nella crisi, che mise a rischio l’egemonia politica del Partito Baath, che alla fine decise di epurare l’ala radicale di Jadid, affidando la leadership siriana al ben più pragmatico Ministro della Difesa Hafiz al-Assad, che si affrettò a disinnescare l’escalation giordana, evitando l’ipotesi di un disastroso conflitto con gli Stati Uniti, facendosi carico delle delusione delle aspettative geopolitiche sovietiche. Il pragmatismo di Assad, permise all’establishment baathista siriano di rimanere al potere, conservando lo status-quo regionale, nonostante le non indifferenti pressioni di Mosca, che successivamente alla Guerra del Kippur del 1973, quando il conflitto israelo-siriano si era oramai congelato sulle alture del Golan, decise di raffreddare progressivamente i rapporti privilegiati con la Siria, nutrendo scarsa fiducia sovietica nei confronti dello scaltro Hafez al-Assad, considerato fin troppo autonomo. La nuova leadership siriana indusse l’Unione Sovietica a rimodulare le proprie relazioni con la Siria, riducendo la portata delle forniture militari precedentemente garantite, permettendo agli israeliani di spostare lo status-quo regionale a proprio vantaggio.

Breznev Assad russia siria
( Il presidente sovietico Breznev con il presidente siriani Hafiz al-Assad )

L’approccio russo all’alleato siriano mutò repentinamente nel 1978, quando un’insurrezione islamista sembrò minacciare la stabilità del governo baathsita, prospettando la collocazione della Siria all’interno del blocco occidentale, a cui nel frattempo aveva aderito l’Egitto. Perdendo la Siria, l’Unione Sovietica avrebbe perso di conseguenza la propria influenza geopolitica in Medioriente, senza contare la perdita dell’accesso all’approdo logistico di Tartus, che dal 1971 permetteva l’approvvigionamento della Marina Sovietica nel Mar Mediterraneo. Le conseguenze dell’insurrezione islamista degli anni 70, come oggi, indussero i russi a riconsiderare lo stato delle proprie relazioni con la Siria, incrementando rapidamente il proprio supporto militare ai siriani, potenziando le forniture militari, inviando più di 4.000 consulenti e fornendo persino mezzi sofisticati come i caccia intercettori supersonici Mig-25. Negli anni 80, in prossimità della risoluzione dell’insurrezione islamista, il Presidente siriano Assad si recherà in visita in Unione Sovietica, stipulando un Trattato di Amicizia e Cooperazione che agevolerà la rimozione dei limiti all’esportazioni militari posti precedentemente da Mosca, permettendo ai siriani di ristrutturare il proprio sistema di deterrenza contrapposto a quello israeliano, accaparrandosi massicci quantitativi di caccia Mig-23, e pianificando l’acquisto di mezzi aerei più moderni, come i Su-24 e i Mig-29. Il Trattato che tutt’oggi lega la Siria alla Russia, oltre alla sfera militare, coinvolge anche quella economica, e rinnova la sua efficacia automaticamente ogni 5 anni, salvo rescissione di una delle due parti.

Le promettenti commesse militari siriane, vennero tuttavia deluse dal crollo dell’Unione Sovietica, che impedì alla Siria di ottenere limitò il quantitativo di mezzi precedentemente ordinati, tra l’altro a condizioni economiche particolarmente agevolate. La crisi della Russia post-sovietica, privò la Siria del suo fornitore militare privilegiato, costringendola a ripiegare su altri fornitori tecnologicamente meno affidabili, ma economicamente sostenibili come l’Iran, la Corea del Nord e la Cina. La cooperazione bilaterale tra Russia e Siria, si riprenderà solo con l’avvento degli anni 2000, per iniziativa del neo-presidente russo Putin e del neo-presidente siriano Bashar al-Assad, intenzionati a rilanciare la storica alleanza vigente tra i loro due paesi, concordando nuove commesse militari, permettendo il progressivo aggiornamento dell’hardware delle forze armate siriane, seppur in quantitativi notevolmente inferiori di quelli garantiti durante l’epoca sovietica.

LA RECENTE CRISI SIRIANA

Nel 2011, sull’onda delle “primavere arabe“, anche la Siria si ritrovò coinvolta dalle proteste popolari che attraversarono gran parte del Medioriente, mettendo in crisi il governo baathista presieduto da Bashar al-Assad, bersagliato dalla retorica confessionale dei predicatori islamisti, abili nell’aizzare la maggioranza sunnita contro la minoranza alawita, accusandola di complottare con l’Iran sciiti per escluderli dal sistema politico siriano. Durante le fasi iniziali della crisi siriana, la Russia mantenne un approccio diplomatico piuttosto cauto, invitando la comunità internazionale a non favorire la destabilizzazione di un paese chiave per la stabilità mediorientale, esortando comunque il presidente Assad ad aprire una stagione di riforme politiche, evitando l’innesco di una guerra civile simile a quella che nello stesso periodo stava facendo sprofondare la Libia nel caos, culminato con l’assassinio del leader libico Gheddafi, perpetrato dalle milizie islamiste locali assistite dall’aviazione della NATO, distorcendo il mandato che qualche mese prima il Consiglio di Sicurezza ONU aveva autorizzato, subordinando l’uso della forza alla protezione dei civili e non a sostegno di una delle parti in conflitto, come poi si è effettivamente verificato.

L’interpretazione distorta della risoluzione ONU 1973, irritò considerevolmente la Russia e un po’ tutti i paesi BRICS, che non gradirono affatto l’approccio arbitrario al diritto internazionale operato dalla coalizione occidentale aggregata dagli USA su impulso francese. L’approccio occidentale alla crisi libica, screditò il fronte occidentale, inducendo i russi a bloccare con il proprio veto qualsiasi risoluzione ONU, avanzando uno scudo diplomatico contro un altamente probabile intervento occidentale finalizzato a favorire il rovesciamento del governo di Assad da parte del fronte islamista locale, galvanizzata dal successo ottenuto in Libia solo qualche settimana prima. Allo scudo diplomatico promosso dalla Russia, si associò anche la Cina, apponendo il proprio veto alle risoluzioni occidentali promosse in Consiglio di Sicurezza ONU, auspicando una risoluzione politica della crisi, propedeutica all’apertura di una seria stagione riformista da parte del governo di Damasco. La Russia pur rimanendo solidale al governo siriano, ha tentato a più riprese di trovare un’intesa con l’occidente che permettesse la ricomposizione politica del conflitto, bloccando l’afflusso di armi all’interno del paese, così da convincere il fronte ribelle ad intavolare un negoziato, che potesse coinvolgere i loro sponsor occidentali, che alla fine rigetteranno tale ipotesi, confidando di poter rovesciare rapidamente il governo di Bashar al-Assad. In questo periodo, il governo di Mosca pur difendendo Assad, non mancherà di criticarne la gestione della crisi, esortandolo a ricercare l’intermediazione della Lega Araba, avvalendosi del supporto dell’inviato speciale dell’ONU Kofi Annan.

Conisglio Sicurezza ONU siria russia usa
( Conisglio di Sicurezza ONU )

Durante le prime turbolenti fasi della crisi siriana, la Russia arrivò a prendere seriamente in considerazione l’evacuazione della base navale di Tartus, la cui perdita avrebbe segnato l’ennesima tappa della crisi post-sovietica, privando la Marina Militare Russa dell’unico approdo logistico Mediterraneo. Nello specifico la Russia scontò l’inerzia del Presidente Medvedev, fin troppo accondiscendente verso l’occidente, che sembrava più interessato ad una capitolazione russa simile a quella jugoslava degli anni 90 che ad un accordo, a cui credeva solo lo scialbo presidente russo, tra l’altro prossimo alla scadenza del mandato. La possibilità di perdere la base logistica di Tartus venne accolta dal governo di Mosca come una eventualità dalle implicazioni strategiche irrilevanti, lasciando intendere di essere disposti a rinunciarvi senza colpo ferire. Ad ogni modo, nonostante la scarsa intraprendenza di Medvedev, i russi non rinunciarono a rifornire l’esercito siriano, respingendo le accuse occidentali di armare un regime criminale, rammentando come gli USA non avessero esitato a sostenere insieme all’Arabia Saudita la monarchia sunnita degli al-Khalifa in Bahrein, assediata dai manifestanti sciiti locali, sbaragliati nel silenzio complice dei mass-media occidentali, ricorrendo all’uso della forza, divenuto strumento criminale ma legittimo per la conservazione della importantissima base navale di Manama, che tutt’oggi ospita la 5° Flotta della Marina Militare Americana. L’atteggiamento contraddittorio occidentale, venne amplificato anche da alcune ONG che dimostreranno estrema solerzia nel sottolineare come il supporto russo alla Siria comportasse responsabilità indirette, che invece per gli USA e l’Arabia Saudita in Bahrein non valevano, dimostrando forse che le vite dei manifestati dell’emirato del golfo valessero meno di quelle siriane, alimentando dubbi circa la loro effettiva indipendenza dall’influenza da interessi geopolitici ben definiti.

LE RISPOSTE ALLA MINACCIA ISLAMISTA

Nel 2014, mentre i russi si limitavano a sostenere indirettamente il governo siriano, gli Stati Uniti ruppero gli indugi aggregando i propri alleati all’interno di una coalizione internazionale anti-terrorismo finalizzata a combattere i jihadisti dell’ISIS, che a Settembre cominciarono a colpire con i primi raid aerei, nonostante la mancanza di una risoluzione ONU che arriverà solo nel 2015, quando le milizie del califfato di al-Baghdadi cominciavano a prendere piede a cavallo tra Iraq e Siria, rendendosi protagonisti dei primi attentati terroristici in occidente. La risoluzione 2249 che il Consiglio di Sicurezza ONU deliberò, venne fortemente vincolata dalla diplomazia russa, che si impegnò ad evidenziare imperativi inderogabili come il rispetto della sovranità, l’integrità territoriale, l’indipendenza degli stati minacciati dal terrorismo, esortando i paesi della comunità internazionale ad impedire l’afflusso di miliziani, armi e finanziamenti, autorizzandone le iniziative militari contro le formazioni terroristiche come l’ISIS ed al-Qaida, escludendo tuttavia la presenza di militari sul terreno. Sempre nel 2015, la rielezione di Putin in Russia favorì un marcato cambio di registro, esortando la comunità internazionale a predisporre una strategia comune finalizzata al contrasto della minaccia trasversale posta dal terrorismo islamista.

Il presidente Putin, mutò radicalmente l’approccio della Russia alla crisi siriana, soprattutto perché l’intelligence stava rilevando un anomalo afflusso di jihadisti dal Caucaso russo verso la Siria, dove integravano le potenti milizie islamiste, la cui vittoria avrebbe potuto galvanizzare le forze islamiste attive nel sud della Russia, sicché il presidente russo decise di incrementare progressivamente il supporto militare al governo siriano, sostenendone la lotta contro le milizie islamiste che da qualche mese infestavano il suo paese. Se sul piano militare i manipoli di disertori confluiti nell’Esercito Siriano Libero (FSA) non costituivano una grande minaccia per l’Esercito Siriano fedele al governo di Damasco, lo stesso non poteva certo dirsi del poderoso fronte islamista, che al contrario di questi pochi disertori sunniti scalcagnati, oltre a riempirsi le tasche di denaro straniero, dimostrò di sapere anche combattere, mettendo in seria difficoltà le forze governative, al punto da indurre il presidente siriano Bashar al-Assad a chiedere il supporto militare diretto della Russia e dell’Iran, che recepiranno positivamente la richiesta, concordando una strategia militare da predisporre contro l’impetuosa avanzata islamista, trovando la determinante collaborazione dell’Iraq, con cui iniziarono a condividere informazioni di intelligence. I russi tenteranno inutilmente di convincere gli USA a coordinare gli sforzi a contrasto del terrorismo, tuttavia Washington preferirà mantenersi indipendente, preferendo cooperare esclusivamente con i propri alleati.

L’INTERVENTO RUSSO IN SIRIA

Dinnanzi alle ritrosie americane, la Russia appronterà una strategia autonoma, allestendo rapidamente sulla costa siriana di Latakia una base militare all’interno dell’aeroporto di Khmeimim, dove dislocò un piccolo ma efficace dispositivo aereo, che sul finire di Settembre 2015 inizierà ufficialmente la propria campagna militare, colpendo una serie di obiettivi nei pressi Hama, bersagliando la coalizione ribelle composta dai disertori del FSA, dagli islamisti di Ahrar al-Sham e dai qaidisti di al-Nusra. I bombardamenti aerei russi ribaltarono l’equilibrio di forze sul campo, fornendo il decisivo supporto aereo alle manovre dell’esercito siriano, permettendogli di attaccare obiettivi preventivamente scardinati dalle efficaci incursioni dei vecchi bombardieri russi Su-24 e Su25, e dei più moderni Su-34, spesso scortati da coppie di caccia Su-30, aerei coinvolti anche nelle operazioni finalizzate ad ostacolare il commercio illegale di petrolio predisposto dall’ISIS al confine con la Turchia, pregiudicando seriamente le capacità finanziarie dell’organizzazione islamista.

russia su-25 in siria
( Bombardieri tattici russi Su-25 in missione in Siria )

L’intervento russo coinvolse anche la Marina Militare, protagonista di alcuni lanci di missili guidati Kalibr, operati sia dai sommergibili stazionanti nel Mediterraneo che da alcune corvette Classe Buyan stazionanti nel Mar Caspio, da dove i missili russi riusciranno a colpire obiettivi a distanze prossime ai 2.000 Km, sorvolando gli spazi aerei di Iran e Iraq prima di raggiungere la Siria. La capacità di proiezione offensiva russa, fu infatti agevolata dalla collaborazione strategica dei governi di Teheran e Baghdad, che autorizzarono il sorvolo dei loro spazi aerei sia ai missili che ai bombardieri strategici Tu-22M, Tu-95 e Tu-160, mezzi aerei d’epoca sovietica che in molti casi si ritrovarono ad operare per la prima volta in condizione di vera battaglia, sorvolando proprio il corridoio che dal Caspio conduceva direttamente in Siria, dove sorgevano i principali arsenali islamisti.

LA CRISI TURCA

Nel Novembre 2015, le forze aeree russe accuseranno l’abbattimento di un bombardiere Su-24 ad opera di un caccia F-16 dell’aeronautica militare turca, che in quell’occasione non esiterà a neutralizzare l’aviogetto russo, perché reo di aver violato per qualche istante lo spazio aereo turco per colpire i terroristi che Ankara sosteneva indirettamente da qualche anno, nella loro lotta contro il governo siriano presieduto da Bashar Al-Assad. L’iniziativa turca, rischiò per la prima volta di innescare uno scontro diretto tra un paese NATO come la Turchia e la Russia, tuttavia, Mosca per iniziativa del suo abile presidente preferì reagire in modo composto, intensificando i raid contro le formazioni ribelli islamisti filo-turchi, e potenziando le difese anti-aeree della base di Latakia, dislocando i sofisticati sistemi S-300 e S-400, il cui raggio d’azione metteva costantemente sotto tiro l’aviazione turca, costringendola a mantenersi debitamente lontana dallo spazio aereo siriano, che cominciò ad essere presidiato dai moderni caccia Su-35.

russia s400 siria
( Sistema antiaereo russo S-400 dislocato in Siria )

L’incidente deteriorò le relazioni tra Russia e Turchia, al punto che il governo di Ankara arriverà a minacciare il blocco del Bosforo alle navi russe, atto che se realizzato con ogni probabilità potuto innescare una guerra tra i due paesi, che inevitabilmente avrebbe coinvolto la NATO. La crisi tra Mosca ed Ankara incrementerà il livello di tensione in prossimità del Bosforo, ma anche nella regione, inducendo la Russia a dislocare ulteriori caccia Mig-29 nella loro base militare in Armenia, mentre intanto la diplomazia russa promuoveva, senza successo, una risoluzione ONU che condannasse i raid turchi contro le milizie curde attive nel nord della Siria, sottolineando la complicità turca con il terrorismo islamista.

I RISULTATI DELL’INTERVENTO RUSSO

Agli inizi del 2016, il presidente russo Putin, constatò l’efficacia della campagna aerea siriana, registrando l’inizio dei negoziati di pace di Ginevra, mentre intanto l’esercito siriano strappava la città di Palmira dalle forze dell’ISIS, proprio grazie al contributo determinante dei russi, che per l’occasione festeggeranno ospitando all’interno dello storico teatro d’epoca romana (Patrimonio UNESCO) un simbolico concerto che comunicò al mondo l’efficacia dell’intervento militare russo in Siria, che a differenza di quello della coalizione americana produceva effetti decisamente più concreti, nonostante l’impiego di un dispositivo militare ben più contenuto, oltretutto legittimato dal governo siriano che invece ha a più riprese condannato le attività aeree occidentali, come reiterata violazione del proprio spazio aereo. Nonostante i risultati conseguiti dalla Russia e dall’Iran a fianco dell’esercito siriano, gli Stati Uniti non rinunceranno a mettere in dubbio l’efficacia del lor intervento, insinuazioni respinte dal Presidente russo Putin che reagirà sostenendo che gli americani avrebbero impiegato in modo più produttivo i 500 milioni di dollari da loro spesi nella campagna siriana, se gli avessero spesi per combattere il terrorismo, anziché per l’addestramento dei ribelli islamisti, permettendo la stabilizzazione della regione, interrompendo la distribuzione di armi a soggetti inaffidabili e fin troppo contigui a quel terrorismo che a parole sostenevano di combattere con risultati al di poco dubbi.

 

Concerto Russia Siria Palmira
( Concerto organizzato dalla Russia nel teatro romano di Palmira sottratto all’Isis )

 

Sempre nel corso del 2016, i russi effettueranno una stretta sequenza di massicci bombardamenti aerei contro i terroristi, dislocando per qualche tempo i propri bombardieri strategici all’interno dell’aeroporto iraniano di Hamadan, riducendo gli intervalli di tempo tra una sortita e l’altra, impedendo ai terroristi islamisti di riorganizzarsi, dinnanzi alla parallela avanzata dell’esercito siriano. Sul finire dell’anno, il governo di Mosca potenzierà il proprio dispositivo militare schierando la portaerei Kuznetsov dinnanzi alle coste siriane. Durante l’estate, il tentato golpe militare contro Edogan, rimescolerà le carte in Medioriente, inducendo il leader turco a riconsiderare i propri rapporti con gli USA e di conseguenza il proprio approccio alla crisi siriana, che stava ponendo sempre più le condizioni ideali per il potenziamento della minaccia curda. Il fallito golpe, allontanerà Erdogan dall’orbita occidentale, avvicinandolo paradossalmente alla Russia di Putin, che sorvolando sulla crisi conseguente all’abbattimento del Su-24 in Siria, riuscirà a sfruttare lo stato di precarietà politica del presidente turco per convincerlo a riconsiderare la sua strategia in Siria, coordinando una soluzione politica insieme all’Iran che agevolerà la riconquista siriana della città di Aleppo ed il congelamento della sacca ribelle di Idlib, dove le milizie islamiste furono costrette ad adeguarsi alle direttive del suo sponsor turco, che non esitò a barattare le loro istanze, divenute secondarie rispetto alla minaccia militare curda dislocata lungo tutto il loro confine meridionale, al cui interno continuava ad operare l’organizzazione terroristica curda del PKK, legata a doppio filo con le milizie YPG armante dagli Stati Uniti.

 

L’ANOMALO RUOLO AMERICANO IN SIRIA

All’inizio del 2017, l’abbattimento di un cacciabombardiere Su-22 siriano nei pressi della città di Tabqa da parte degli USA, provocherà la reazione della Russia che minaccerà di intercettare tutti i velivoli non identificati che varcheranno il fiume Eufrate, diventato un confine ideale che separava nuovamente i due vecchi nemici della guerra fredda, ritrovatisi ad operare all’interno dello stesso teatro di crisi, la cui escalation potrebbe essere facilmente innescata, da iniziative imprudenti o mal interpretate, soprattutto mentre l’esercito siriano si accingeva a spezzare l’assedio di Deir Ez-Zor, liberata dalla morsa dell’ISIS nel mese di Settembre, nonostante gli “anomali” bombardamenti di cui le milizie ribelli filo-USA si sono rese protagoniste nel corso di alcuni momenti chiave delle operazioni, sia ad opera dei curdi sul versante est che dal valico di al-Tanf al confine con la Giordania, azioni che tuttavia gli ufficiali americani giustificheranno come mere coincidenze non pianificate.

USA-ribelli SIRIA
( Militari USA occupano illegalmente territori siriani insieme ai ribelli )

Mentre gli USA impiantavano basi militari illegali all’interno dei territori siriani, la Russia definiva con il governo di Damasco le condizioni per l’espansione della base navale di Tartus. Sul finire del 2017, il presidente russo Putin si recherà in visita in Siria, incontrando nella base aerea di Latakia il presidente siriano Assad, annunciando la fine delle operazioni militari, ed il prossimo ritiro delle forze impegnate nella lotta al terrorismo islamista, nel corso del quale sono stati testati nuovi sistemi d’arma, dal moderno caccia stealth Su-57 ai missili guidati Kalibr, che hanno catalizzato l’attenzione di molti potenziali acquirenti. Parallelamente al supporto all’esercito siriano, i russi si impegneranno a pacificare il clima politico interno dispiegando la propria polizia militare, agevolando l’iter di riconciliazione nazionale, convincendo molti gruppi ribelli a concordare zone di de-escalation, promosse grazie allo strategico coinvolgimento della Turchia, che il pragmatismo strategico di Putin stava abilmente sottraendo all’influenza di Washington, oramai considerata da Erdogan come inevitabilmente compromessa con le milizie curde YPG, che al netto dei tradizionali buoni rapporti con i russi, eviteranno di affidarsi allo scudo di Mosca, confidando nell’appoggio americano alla creazione di uno stato curdo. I russi tutt’oggi stanno tentando di convincere i curdi a cooperare con il governo di Damasco, promuovendo una costituzione di tipo federalista che garantisca loro una larga autonomia regionale, che tuttavia sembrava trovare consensi più nel cantone di Afrin, oggi occupato dai turchi, che nel resto del Rojava, dove la l’influenza americana impedisce l’avvio di una seria fase negoziale.

A causa dell’intervento russo l’America ha dovuto rinunciare all’idea di annettere la Siria all’interno della propria orbita geopolitica, nonostante le ricorrenti crisi chimiche strumentalizzate per tentare di mutare lo scenario militare a favore dei ribelli islamisti locali. I raid americani, non hanno mutato gli equilibri di forza, e sebbene i mezzi militari russi dislocati in Siria non blindano di certo la Siria,  sono quantomeno serviti a rendere il quadrante Mediterraneo orientale meno sicuro per gli occidentali, che in occasione dell’ultimo “raid chimico” hanno “preferito” bombardare prevalentemente dal Golfo Persico e dal Mar Rosso, limitando al minimo le iniziative nel Mar Mediterraneo, dove la blanda presenza militare russa configura un margine di pericolo a cui i paesi occidentali non sono abituati a far fronte.

CONCLUSIONI

L’intervento della Russia nella crisi in Siria ha aperto una nuova stagione nella politica internazionale, ponendo fine all’ordine unipolare statunitense, da cui è scaturita la spirale di caos che oggi attanaglia la regione mediorientale. La Russia è riuscita ad interrompere questa spirale caotica evitando di perdere un alleato chiave, senza di cui sarebbe impossibile proiettare la propria influenza in Medioriente. L’approccio russo alla guerra in Siria ha poi impedito l’instaurazione di un regime islamista più o meno radicale ai diktat di potenze regionali alleate degli Stati Uniti. Il bilancio strategico dell’intervento russo in Siria va pertanto considerato senza dubbio positivo, giacché ha permesso di conseguire i loro obiettivi strategici prioritari, come il puntellamento del loro unico alleato regionale e la sconfitta del fronte islamista, il cui successo avrebbe inesorabilmente galvanizzato gli islamisti del Caucaso russo. Il conseguimento degli obiettivi principali, ha addirittura permesso alla Russia di conseguirne altri ben più ambiziosi, sottraendo la Turchia di Erdogan all’orbita degli Stati Uniti, che dinnanzi al fallimento delle milizie islamiste siriane nell’ovest siriano, sono stati costretti a puntare tutto sulle milizie marxiste curde YPG, anche a costo di incrinare i propri rapporti con Ankara, che considera le milizie curde emanazione diretta dell’organizzazione terroristica PKK.

Il pragmatismo del presidente russo Putin, ha permesso di trasformare un’insidia, come quella di Erdogan, in una risorsa strategica, con cui è riuscito a disinnescare il focolaio di crisi principale situato nel circondario rurale della città di Idlib, dove l’imbrigliamento della coalizione islamista-turcomanna ha agevolato il ripristino del controllo governativo dei territori a ovest dell’Eufrate, sottraendoli all’ISIS e impedendone l’impossessamento da parte delle milizie curde filo-USA. I russi confidano che nel lungo periodo i curdi si rendano conto dei vantaggi politici derivanti dal dialogo con il governo di Damasco, da cui potrebbero ottenere garanzie costituzionali in senso federale, vantaggi che rimanendo subordinati agli USA non potranno ottenere, illudendosi di riuscire a gestire l’isolamento regionale, amministrando territori abitati in prevalenza da arabi, per nulla disposti a sottostare alle dipendenze di una minoranza. Ad ogni modo, la rilevanza della questione curda sembra secondaria, giacché oggi la reale priorità è costituita dal ruolo dell’Iran, senza di cui l’operazione sarebbe stata strategicamente impossibile e tatticamente proibitiva. Infatti, per la Russia, l’Iran è stato un alleato prezioso, con cui condivide l’ostilità degli Stati Uniti, ma che al contempo contende l’influenza sul governo siriano, soprattutto oggi che si entra in una fase della crisi più politica e sempre meno militare. Russia e Iran pur essendo alleati, perseguono obiettivi strategici diversi, parliamo dell’esigenza di stabilità dei russi e della proiezione anti-sionista iraniana, che nel medio-lungo periodo mira a favorire la liberazione del Golan siriano, da dove insieme agli Hezbollah libanesi spera di spezzare il pluridecennale assedio israeliano ai danni della popolazione palestinese.

 

Russia Putin Turchia Erdogan Iran Rohani Siria
( L’inedito asse tra la Russia di Putin l’Iran di Rohani e la Turchia di Erdogan )

La Russia di certo non avversa l’Iran, tuttavia non condivide la minacce ad Israele con cui continua ad avere rapporti privilegiati, tollerandone addirittura le incursioni illegali nei cieli siriani, permettendo loro di colpire le milizie iraniane. Tra l’altro, Mosca sta deliberatamente procrastinando il potenziamento della difesa anti-aerea siriana, evitando la consegna di sistemi sofisticati come gli S-300, che se consegnati in mano ad operatori siriani ridurrebbero sensibilmente il margine di manovra offensivo di Israele, agevolando il consolidamento politico-militare iraniano in Siria. La nuova sfida strategica per la Russia è ora quella di riuscire a strutturare uno status-quo quantomeno provvisorio con cui sventare una svantaggiosissima escalation sul Golan tra Israele e Iran, che oggi si ritrovano separati dall’ultima sacca ribelle di Daraa, dove quel che resta della resistenza islamista sopravvive da anni grazie al sostegno più o meno diretto fornito dagli israeliani e dai giordani.

Israele, dal canto suo, non sembra avere particolari problemi con la permanenza al potere di Bashar al-Assad, anche perché indebolito, ma non tollera la presenza iraniana in Siria, che nello specifico consiste in un discreto numero di consulenti militari affiancati alle milizie popolari che affiancano dall’inizio della crisi l’esercito siriano. Ad ogni modo, malgrado la Russia stia esortando tutti i paesi stranieri, compresi USA, Francia, Turchia, Iran e Israele, a lasciare la Siria, agevolando il ripristino della piena sovranità siriana, nessuno di questi paesi sembra effettivamente intenzionato a smobilitare. L’esigenza di riprendere il controllo dei confini siriani con la Giordania, ha recentemente indotto Mosca a promuovere una soluzione di compromesso, che permetta la liberazione della sacca di Daraa, senza il coinvolgimento delle milizie filo-iraniane, invitate a mantenersi a distanza di 50/80 Km dai confini israeliani, soluzione che sia Damasco che Teheran stanno valutando, anche perché oggi non avrebbero il potenziale per minacciare un’offensiva sul Golan, obiettivo che sono costretti a rinviare per immediata mancanza di risorse.

Russia Putin Israele Netanyahu
( Il presidente russo Putin ed il premier israeliano Netanyahu )

Ad ogni modo, gli iraniani difficilmente decideranno di ritirarsi dalla Siria, soprattutto dopo aver contribuito a stabilizzarla, tuttavia la riproposizione della crisi nucleare innescata dal ripudio degli accordi JCPA da parte degli USA, sta incrementando nuovamente la pressione internazionale sull’Iran, mettendolo nelle condizioni di cedere qualcosa per salvaguardare il proprio programma nucleare, e quel qualcosa potrebbe essere proprio la proprio presenza militare nel sud della Siria, ipotesi che sebbene perorata dall’amministrazione americana Trump, indebolirebbe l’influenza iraniana in Siria a tutto vantaggio della Russia, che per mezzo del suo pragmatico presidente Putin riesce a guadagnare margini politici anche senza far nulla, disponendo delle capacità di sfruttare a proprio vantaggio le maldestre iniziative degli attori internazionali coinvolti a vario titolo nella crisi siriana, che nel perseguire i loro interessi immediati, trascurano la possibilità che qualcuno possa incunearsi per trarne vantaggi nel lungo periodo.

La Russia in Siria dimostrato di essere una “Smart Power”, dotata di quella flessibilità strategica che consente di trarre vantaggi all’interno di una realtà particolarmente fluida come quella mediorientale, che gli Stati Uniti non sono riusciti a dominare malgrado il loro status di “superpotenza”, di cui la Russia pare abbia imparato a fare a meno, dimostrando il primato strategico del pragmatismo politico sull’irruenza militare, nelle relazioni internazionali contemporanee. Mosca e Washington si approcciando diversamente ai propri alleati, infatti se gli USA sono quel tipo di potenza abituato a soccorrere i propri alleati aggredendone i nemici, mentre la Russia è quel tipo di potenza che al contrario preferisce soccorrere i propri alleati cercando di cooptare i nemici, predisponendo un proficuo approccio geopolitico flessibile che consente di conseguire risultati migliori e a costi decisamente inferiori, garantendo inoltre vantaggi trasversali in termini di stabilità regionale.